Speed Drills

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=e19ex4gF9Ao]

http://www.daoshi.it Some of our exercisese: Speed drills for Martial Arts. Hits per minute. Kickboxing speed drills. Esercizi per la velocità. Nota sul dispendio energetico e misurazione colpi al minuto. In questo caso, ritmo di 174 colpi al minuto hpm (174 Hits per minute), 58 nei 20 secondi.
NOTA BENE: da eseguire o a vuoto o su sacco leggero (se su sacco pesante, i colpi non portati con la massima potenza ma solo con la massima velocità di partenza). NON E’ UN ESERCIZIO SULLA POTENZA DEL COLPO. Obiettivo: lavorare sulla velocità di partenza del colpo e sui colpi totali espressi.
misurazione base: numero totale di colpi al minuto. In questo caso. circa 184 (92 nei 30 secondi)
misurazioni complesse:
1 pugno = 1 punto
1 finta = 1 punto
1 cambio guardia = 1 punto
1 calcio, o ginocchio = 2 punti
1 calcio girato o saltato = 3 punti

La misurazione al tempo 0 significa “prima del ciclo allenante sulla velocità”
Dopo la misurazione al tempo zero, viene ripetuta la misurazione al termine del ciclo per la velocità (indicativamente dopo 3 settimane)

Importante mantenere il più possibile la corretta esecuzione del colpo. Naturalmente più avanza la velocità più si nota il ricorso a “scorciatoie” che aumentano la velocità a discapito della potenza. Nel training sulla potenza invece andremo a fare esattamente il contrario.Privilegiare la potenza assoluta e la massima correttezza di esecuzione, a discapito della velocità totale di colpi tirati.

La formazione come “andare al cinema” o come “momento sacro”? Una metafora con il Dojo

La formazione come “andare al cinema” o come “momento sacro”? Una metafora con il Dojo

Parliamo finalmente della vera Crisi, quella dei Manager, dell’intero Sistema della Formazione, del Sapere dove si VUOLE ANDARE…

La crisi è nel modo con cui la formazione “ipocrita” genera persone incapaci di decidere… ci sono troppi formatori che hanno il terrore dei corsisti, il terrore delle pagelline di fine corso, hanno smesso di vedersi come veri formatori e sono diventati “cagnolini ammaestrati” da portare a fare i bisognini in spazi ristretti… per i corsisti, la pappa deve essere già predigerita, i compiti “sfidanti ma non troppo”, e soprattutto vietato giudicare, anche se uno dice emerite stupidaggini, o si comporta da maleducato, “va capito”.

Mi dispiace ma io (personalmente, parlo per me come formatore) a questo gioco non partecipo più da tempo. Se mi cercano come esperto in qualche tema del quale sono esperto, se mi cercano come autore, bene,  per imparare qualcosa ci sono delle regole da seguire. Pratico Arti Marziali da circa 25 anni (formalmente, nella realtà da più tempo), e quando uno entra nel mio Dojo per imparare deve avere lo spirito giusto e aver voglia di imparare. Se viene per fare lo sbruffone o lo spaccone ha sbagliato posto.

Il Dojo è un luogo sacro di apprendimento e crescita personale, anche spirituale. l’aula non è meno importante di un Dojo. Lo spirito della formazione come momento “sacro” di crescita personale è stato completamente perso. Ho scritto un articolo su questo, spero che aiuti a far luce su questa faccenda che oggi è cruciale per uscire dalla crisi, che è anche e soprattutto una crisi di energie manageriali

http://studiotrevisani.wordpress.com/2012/04/12/lezioni-dal-dojo-per-i-manager/

Riattivare il locus-of-control interno, riprendere in mano le leve di manovra del proprio destino

© Articolo a curadi: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.
Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regiedi Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.
 
Come già evidenziato1,il locus of control (LoC) è una variabile psicologica cheindica il senso di controllo del proprio destino e gli eventi.
Vedere il futuro come ‘autodeterminabile’ daparte dell’impresa o della persona, e comprendere l’esigenza diattivarsi senza attendere il fato, dipende sostanzialmente dalposizionamento del locus of control psicologico. Le ricerchesul tema ne dimostrano la centralità per il raggiungimento dellacompetitività e impongono un ruolo primario del LoC nel metodo2.
Un LoC “esterno” attribuisce prevalentementeal destino o agli “altri” il controllo di quanto accade. Un LoC“interno” porta invece il soggetto molto più indirizzato aconsiderare il destino come un effetto delle proprie azioni e quindiuna variabile “intervenibile”.
In altre parole, il locus of controlrappresenta l’atteggiamento mentale con cui noi sentiamo di essere ingrado di determinare le nostre azioni, e i relativi risultati,rispetto al controllo esercitato dal caso e dalle circostanzeesterne.
Ripristinare il LoC interno ad un livello internoe ragionevole, equilibrato, è una delle meta-operazioni principalidi un approccio registico, che permette al soggetto di riprenderein mano le leve di manovra del proprio destino.
1 Trevisani, D. (2000), Competitività aziendale, personale, organizzativa. Strumenti di sviluppo e creazione del valore, FrancoAngeli, Milano.
2Lo sviluppo del lavoro di ricerca sul locus of control si deve a Rotter (1966, 1971).
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La drammaturgia della vendita consulenziale, i suoi rituali: Ascolto aumentato. Percepire i copioni, le maschere, i personaggi

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

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Occuparsi di vendita significa trattare con la psiche umana, con i suoi meccanismi di funzionamento, e in particolare questo significa “percepire”. Una percezione aumentata che ci fa vedere i copioni del film che sta andando in scena, le maschere che stanno sopra alla persona, i “personaggi” che le persone cercano di interpretare.

Ascoltare non significa udire solo parole, ma decodificare quanto di “teatrale” e di drammaturgico sta andando in scena durante la comunicazione umana.

Passiamo quindi ad alcuni aspetti speciali dell’ascolto:

·quelli relativi alla decisione- come gli individui e le aziende attuano le scelte che devono compiere? Quando avvengono le decisioni? Cosa conduce una persona a prendersi un impegno? Quali azioni possiamo mettere in campo per far si che una decisione venga presa?

L’empatia aumentata significa non solo capire la persona ma capire come una persona decide o non decide

·la comunicazione interpersonale (come le persone si rapportano tra di loro). Con che stile, con quali canali, con quali effetti? A chi sembrano attingere per il loro “personaggio”?

Significa anche osservare questi meccanismi in un contesto sociale e di gruppo che può mutare da un momento all’altro (il sistema azienda è un sistema tribale e complesso) e non in un laboratorio asettico.

L’approccio della drammaturgia, le scienze del teatro e della rappresentazione, ci aiutano enormemente a dare spessore e familiarità a meccanismi di allenamento alla vendita, alla trattativa e negoziazione, che altrimenti faticano a trovare forma, ad esempio:

·il prologo e l’epilogo di una rappresentazione teatrale hanno molti meccanismi comuni con le fasi di apertura e di chiusura di una vendita;

·gli attori e i personaggi diventano maschere di una rappresentazione in real-life;

·possiamo dividere i diversi incontri negoziali come “atti” (primo tempo, secondo tempo, terzo tempo, e via così) di una grande rappresentazione;

·entrano in scena i “personaggi”: durante un atto compaiono nuovi personaggi anche inaspettati, a scompigliare l’intera rappresentazione e a modificare il quadro strategico e gli assetti ed equilibri di una trattativa in corso;

·durante una vendita (e nel teatro) va in scena un copione emotivo, possiamo trovare momenti di vissuto quali la “confessione”, l’accusa, lo sproloquio, o la disperazione;

·il tono stesso di una scena o di una intera sequenza di vendita può toccare tutta la sfera dei “generi” e stili teatrali: comico, drammatico, ironico, surreale, etc;

·lo sfondo emotivo può essere poetico, drammatico, esistenziale, psicologico e psicanalitico, amicale o ostile al protagonista, può assumere tratti duri o sfumati, può avere tempi dilatati o tempi serrati, esattamente come una rappresentazione teatrale o in un film.

Prepararsi atutto questo è essenziale per un professionista di vendita (e per ogni manager).

I paralleli tra i due mondi ci aiutano quindi a fare luce sui meccanismi sottostanti la vendita consulenziale.

Trattare la dinamica psicologica della vendita significa entrare nella psicologia della percezione (come viene decodificata la realtà), mentre trattarne l’aspetto drammaturgico significa evidenziarne gli aspetti teatrali, smontare il “gioco” in corso.

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©Copyright. Vietata la copia o riproduzione non autorizzata. Per contatti. Altri approfondimenti sul volume sono disponibili alla sezione dedicata alla Vendita Strategica sul sito Studiotrevisani e sul blog Strategic Selling, risorse per la formazione vendite.

La drammaturgia della vendita consulenziale, i suoi rituali di interazione: copioni, maschere, personaggi

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

Occuparsi di vendita significa trattare con la psiche umana, con i suoi meccanismi di funzionamento, e in particolare:

·quelli relativi alla decisione- come gli individui e le aziende attuano le scelte che devono compiere? Quando avvengono le decisioni? Cosa conduce una persona a prendersi un impegno? Quali azioni possiamo mettere in campo per far si che una decisione venga presa?

·la comunicazione interpersonale (come le persone si rapportano tra di loro). Con che stile, con quali canali, con quali effetti?

Significa anche osservare questi meccanismi in un contesto sociale e di gruppo che può mutare da un momento all’altro (il sistema azienda è un sistema tribale e complesso) e non in un laboratorio asettico.

L’approccio della drammaturgia, le scienze del teatro e della rappresentazione, ci aiutano enormemente a dare spessore e familiarità a meccanismi di allenamento alla vendita, alla trattativa e negoziazione, che altrimenti faticano a trovare forma, ad esempio:

·il prologo e l’epilogo di una rappresentazione teatrale hanno molti meccanismi comuni con le fasi di apertura e di chiusura di una vendita;

·gli attori e i personaggi diventano maschere di una rappresentazione in real-life;

·possiamo dividere i diversi incontri negoziali come “atti” (primo tempo, secondo tempo, terzo tempo, e via così) di una grande rappresentazione;

·entrano in scena i “personaggi”: durante un atto compaiono nuovi personaggi anche inaspettati, a scompigliare l’intera rappresentazione e a modificare il quadro strategico e gli assetti ed equilibri di una trattativa in corso;

·durante una vendita (e nel teatro) va in scena un copione emotivo, possiamo trovare momenti di vissuto quali la “confessione”, l’accusa, lo sproloquio, o la disperazione;

·il tono stesso di una scena o di una intera sequenza di vendita può toccare tutta la sfera dei “generi” e stili teatrali: comico, drammatico, ironico, surreale, etc;

·lo sfondo emotivo può essere poetico, drammatico, esistenziale, psicologico e psicanalitico, amicale o ostile al protagonista, può assumere tratti duri o sfumati, può avere tempi dilatati o tempi serrati, esattamente come una rappresentazione teatrale o in un film.

Prepararsi atutto questo è essenziale per un professionista di vendita (e per ogni manager).

I paralleli tra i due mondi ci aiutano quindi a fare luce sui meccanismi sottostanti la vendita consulenziale.

Trattare la dinamica psicologica della vendita significa entrare nella psicologia della percezione (come viene decodificata la realtà), mentre trattarne l’aspetto drammaturgico significa evidenziarne gli aspetti teatrali, smontare il “gioco” in corso.

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Potenziare la corteccia prefrontale sinistra

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano: metodi e tecniche di coaching e training”, Franco Angeli editore, Milano.

Le neuroscienze insegnano che il cervello risponde agli stimoli con meccanismi molto simili a quelli dei muscoli: le aree usate frequentemente lavorano, si rafforzano, si “irrobustiscono”, si potenziano; le aree inutilizzate diminuiscono di tono e volume sino a divenire quasi inesistenti (chi ha avuto lunghe ingessature si è potuto rendere conto direttamente di quanto il non-utilizzo produca riduzione del volume della zona ingessata).

Lo stesso meccanismo accade nella mente. Una sequenza di momenti positivi e sensation windows positive (SW) allena e tiene attiva la corteccia prefrontale sinistra, la cui attività si correla a emozioni positive (gioia, capacità di cogliere le positività, sensazioni, energia, coscienza)1. Al contrario, una sequenza di SW negative allena la corteccia prefrontale destra, maggiormente specializzata nel cogliere emozioni negative.

Addirittura, i neuro-scienziati hanno dimostrato un effetto sull’induzione di percezione e ricordo positivo, tramite stimolazioni magnetiche dirette (repetitive transcranial magnetic stimulation) della zona orbitofrontale sinistra2.

In termini di coaching formativo, non volendo confondere i ruoli (le stimolazioni tramite attrezzature biomedicali sono sfera medica), preferiamo indurre una uguale e maggiore capacità (persino più duratura) tramite apprendimento esperienziale, per vivere i goal e obiettivi positivi, generando stimoli allenanti ed esistenziali adeguati. Questi effetti non sono banali.

Va da se che se alleniamo molto un braccio e l’altro no, avremmo degli scompensi. Così come se avessimo una gamba potente e muscolosa e un’al­tra de­bole e avvizzita, la nostra camminata sarebbe zoppicante, e l’equilibrio dell’or­ganismo si farebbe deficitario. Ogni disequilibrio fisico porta a ripercussioni negative su tutto l’apparato scheletrico e muscolare, ed ogni disequilibrio mentale a malfunzionamento del pensiero, malessere e sofferenza psichica.

Il funzionamento ottimale dipende perciò anche dalla capacità di creare equilibri e simmetrie, e un potenziamento “stupido”, che non tenga conto degli equilibri, ma cerchi solo “potenza”, è dannoso, distruttivo.

Lo stesso accade nella mente. Dobbiamo imparare ad allenare e stimolare la corteccia prefrontale sinistra e in generale a vivere le emozioni positive non solo in seguito ad eventi enormi (lotterie, vincite) ma anche e soprattutto in attività che altrimenti non coglieremmo. Dobbiamo programmare spazi e tempi in cui farlo. È questione di sopravvivenza.

Disintossicare la mente non è quindi più solo arte ma anche scienza.

È importante quindi non solo generare spazi e tempi dedicati, ma anche cogliere sensazioni positive (sensation windows), esperienze che sfuggono anche se limitate o non eterne, e il dono che ne deriva.

La vita ci offre continuamente doni, anche se limitati.

Per dono limitato si intende la sensazione che anche un semplice gesto o atto può portare per pochi istanti, senza pretendere che esso duri per sempre.

Ed ancora, apprendere a cogliere energie da una capsula spaziotemporale (il dono di un frame), fa parte di nuove abilità da coltivare in sé e negli altri.

1 Vedi, tra i contributi di ricerca sul tema: Davidson, R. J. (1998), Understanding Positive and Negative Emotion, in LC/NIMH conference proceedings “Discovering Our Selves: The Science of Emotion”, May 5-6, 1998, Decade of The Brain Series, Library of Congress, Washington DC.

2 Schutter, D. J., van Honk, J. (2006), Increased positive emotional memory after repetitive transcranial magnetic stimulation over the orbitofrontal cortex, Journal of Psychiatry and Neuroscience, Mar. 31 (2), pp. 101-104 (Department of Psychonomics, Affective Neuroscience Section, Helmholtz Research Institute, Utrecht University, Utrecht, NL).

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Attivare e potenziare le energie mentali: lo stato psi­co­e­nergetico e la preparazione psicologica

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano: metodi e tecniche di coaching e training”, Franco Angeli editore, Milano.

Jules: Per me è troppo stare insieme a te!

Hilary: Fammi capire… stare con me è troppo cosa?

È… troppo divertente? O troppo intenso? Troppo bello?

Jules: Richiede troppa energia.

Dal film: A time for dancing, di Peter Gilbert

Raggiungere il proprio potenziale non è solo materia muscolare o di sviluppo fisico. Anzi, vi sono attività nelle quali il supporto biologico e fisico è soprattutto latente, agisce in background, e predomina ampiamente la presenza di energia mentale e motivazionale.

Tra queste, le professioni prettamente intellettuali, o la prestazione didattica-educativa, o ancora le micro-prestazioni quali gestire una riunione tra manager, o l’atto dell’ascoltare un cliente, un collega, un familiare. In tutte queste situazioni, e in molte altre, le energie mentali sono fondamentali.

Anche nelle prestazioni più prettamente fisiche, come correre, lottare, combattere, o saltare, il grado di motivazione e le energie mentali addizionali possono fare la differenza tra una prestazione standard e una prestazione eccellente. La voglia di fare è più potente di qualsiasi integratore.

Le energie mentali si attivano ampiamente sul fronte delle relazioni interpersonali. Anche stare con una persona richiede energie. Nei rapporti umani vi sono storie che logorano e consumano energie, altre che ne danno, altri ancora che innescano forti flussi di scambio reciproco, e numerose sfumature intermedie. Servono energie anche per incontrare le persone.

In ogni attività umana la componente fisica rimane importante ma comunque il supporto biologico non è condizione sufficiente ad esprimere performance: è una condizione necessaria, ma non l’unica parte della ricetta.

Le attivazioni fisiche sono diverse, impegnando maggiormente il sistema cognitivo e relazionale nell’attività manageriale, e il sistema muscolare e respiratorio nel caso di azioni ad alta fisicità. Tuttavia, nessun manager può permettersi di non respirare, e nessun pugile può permettersi di non pensare. Sono dati di fatto. Corpo e mente funzionano bene solo in sinergia.

Mentre il supporto bioenergetico è decisamente variabile, il supporto motivazionale deve essere presente in ogni situazione nella quale si richieda sforzo, impegno, dedizione, presenza mentale.

Il senso della psicoenergetica è quindi orientato a cogliere la componente non fisica della performance e del wellness.

La prestazione umana è ampiamente condizionata dal fatto di sentirsi “su di morale” o “giù di morale”, pieni di “voglia di fare” oppure svuotati, “carichi” o “scarichi”. Una scarsa condizione psicoenergetica si traduce in senso di stanchezza psicologica, apatia, perdita di vitalità, incapacità di reagire o di fare.

Esistono certamente collegamenti importanti tra energie biologiche e energie mentali. Ad esempio, la condizione di insufficienza di zuccheri e di ossigeno nel sangue conduce ad una diminuzione della capacità di ragionamento. Il nutrimento biologico della mente è indispensabile per farla funzionare. Ma se la benzina è di scarsa qualità, il motore andrà male.

I tentativi goffi di accrescimento delle energie mentali agendo esclusivamente tramite la via biochimica, dimenticando il lato esistenziale, sono distruttivi. Gli interventi chimici vanno distinti da quelli esistenziali.

Curare l’infelicità con le medicine, o generare motivazione con una pillola non sono lo scopo di una via umanistica per le performance e il potenziale.

Ridurre tutto a chimica e fisica (riduzionismo psicofisiologico), impedisce di ragionare seriamente sul piano spirituale della vita. Negare un livello di valutazione esistenziale e filosofica dell’essere umano impoverisce l’analisi.

I rimedi farmaceutici finalizzati a risolvere il fattore “energie mentali” su un piano puramente biologico (sostanze psicoattive e psicofarmaci) sono da tempo considerati approcci insufficienti. Sono utili a spegnere incendi, non a creare felicità vera, lavorano sul sintomo e non sulla radice esistenziale di un disagio o della motivazione. E nemmeno possono durare a lungo.

Come evidenzia Jung, è molto riduttivo accettare una concezione materialistica…

secondo la quale la psiche sarebbe il prodotto delle secrezioni del cervello, come la bile lo è del fegato. Una psicologia che concepisca ciò che è psichico come un epifenomeno farebbe meglio a chiamarsi “fisiologia cerebrale” e ad accontentarsi dei modestissimi risultati che offre una psicofisiologia del genere1.

Un’eccellente condizione psicoenergetica vede la persona lucida, “su di morale”, carica di energia e – nel campo professionale – creativa, concentrata, produttiva, più saggia, meno vittima degli umori, e, nel campo fisico, desiderosa di esprimere tutto il suo corpo nell’azione, vogliosa di fare, di sudare, di correre, saltare, lottare, muoversi, e di amare.

Le stesse attività che possono dare gioia (es.: correre, nuotare, giocare, fare una vacanza, stare con amici) diventano fonte di dolore se affrontate con livelli di energie mentali basse e in condizioni di umore negativo.

Sviluppare energie mentali elevate è un nostro obiettivo, ancora più sfidante rispetto al piano di lavoro delle energie fisiche, poiché lo stato di avanzamento delle conoscenze scientifiche sul funzionamento della mente è meno evoluto rispetto a quello sul corpo.

Il lavoro sulle energie mentali può essere avviato in un coaching ma diventa poi responsabilità della persona farlo diventare normalità, con un impegno essenzialmente quotidiano, continuativo, determinato dalla volontà di una progressione. Come evidenzia un classico di Jung:

Per progressione s’intende anzitutto l’avanzamento quotidiano del processo psicologico di adattamento. Come è noto, l’adattamento non si raggiunge mai una volta per tutte…2.

Jung affronta, già nel 19283, i problemi dell’energia mentale, cercando (almeno concettualmente) di distinguere l’energia vitale dalla forza vitale. Secondo Jung l’energia vitale rappresenta un concetto soprattutto biologico, mentre la forza vitale sarebbe una specificazione di un’energia universale.

Possiamo o meno essere d’accordo, tuttavia il lavoro pionieristico di Jung avanza temi di frontiera e pone domande ancora non risposte, sulle connessioni tra energie biologiche e mentali, e su come accrescere l’“energia vitale”.

Ciò che sappiamo è che le energie mentali elevate non sono analizzabili in modo riduzionistico (solo biologicamente): esiste il tema delle condizioni esistenziali (e non solo biologiche), ad esempio una buona autostima e la fiducia in sé, il supporto degli altri, avere vicino persone sincere che ci apprezzano anche nei nostri difetti e non ci giudicano in continuazione, o il giocare un ruolo che si sente a pieno come proprio, tratti che non vogliamo esaminare solo sotto il profilo biochimico ma richiedono un intervento di analisi esistenziale.

Dobbiamo quindi comprendere che lo sviluppo delle energie mentali richiede il frutto congiunto di una analisi fisica delle condizioni biologiche dell’organismo (condizione bioenergetica) abbinata ad una analisi esistenziale dell’individuo.

1 Jung, C. G. (1928), Energetica Psichica, Boringhieri, Torino, p. 48 (traduzione italiana, edizione 1970), p. 20.

2 Ivi, p. 48.

3 Ibidem.

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Funzione di risposta del mercato, soglie percettive e limiti del miglioramento: implicazioni per lo sviluppo del prodotto


© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Franco Angeli editore, Milano.

La funzione di risposta del mercato definisce il tipo di reazione che il consumatore o cliente sviluppa a fronte di un certo stimolo. Nel nostro lavoro, è necessario collegare questa funzione ad alcuni meccanismi che avvengono nella percezione umana, in particolare il fenomeno delle soglie percettive.

La psicologia della percezione identifica due tipi di soglie – soglia assoluta e soglia differenziale – le quali generano altrettanti tipi di prestazione (prestazione assoluta e prestazione differenziale).

La soglia assoluta identifica la quantità minima di stimolazione sensoriale necessaria affinché un particolare stimolo (una vibrazione, un oggetto, un colore) sia percepito da un individuo.

La soglia differenziale fa riferimento al differenziale di stimolazione sensoriale che determina per l’individuo la consapevolezza di un cambiamento, l’accorgersi di una mutazione nello stato precedente. È quindi basata sul concetto di percezione della differenza di intensità.

Questi fattori percettivi devono entrare al centro del processo imprenditoriale di gestione della customer satisfaction. Ad esempio, produrre un miglioramento nelle vibrazioni di un volante (riduzione di vibrazioni) quando non esiste un margine per ottenere un miglioramento percepibile (condizione di ceiling-effect) è un intervento che non supera la soglia differenziale, e sostanzialmente uno spreco di investimenti.

Nel caso evidenziato, lo sforzo dell’azienda per l’incremento di prestazioni tecnico/ingegneristiche (passare dal punto A al punto B) produce anche un incremento della prestazione percepita nel cliente. Lo sforzo viene premiato. Nel passaggio da B a C, l’incremento della prestazione reale (tecnico-ingegneristica) è ancora più elevato, ma la prestazione percepita dal cliente migliora di poco. Lo sforzo è poco premiato. Nel passaggio da C a D, invece, la prestazione ingegneristica migliora ma non avviene alcun effetto percettivo nel cliente. Lo sforzo non viene per niente premiato. Quindi sostanzialmente si tratta di denaro sprecato, a meno che l’azienda non si impegni in attività di comunicazione in grado di valorizzare l’investimento e renderlo più percepibile, più visibile, più tangibile per il cliente.

Gli incrementi prestazionali non sono tali, dal punto di vista di marketing, se non superano la soglia di sensibilità del fruitore.

Lo sviluppo del prodotto, pertanto, dovrebbe essere guidato dalla ricerca di miglioramenti percepibili, in cui l’investimento produca effetti tangibili.

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Performance evaluation source

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Franco Angeli editore, Milano.

Per direzionare la crescita e lo sviluppo del prodotto/servizio, è necessario introdurre un concetto chiave: la fonte di valutazione della prestazione (PES: performance evaluation source), i fattori in base ai quali il consumatore giudica positiva o negativa una prestazione resa da un prodotto o servizio.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario realizzare un’importante rivoluzione, spostando l’oggetto della customer satisfaction dalla prestazione oggettiva alla prestazione soggettiva. I due concetti sono molto diversi.

La prestazione oggettiva riguarda aspetti prestazionali misurabili in laboratorio, non discutibili. La prestazione soggettiva riguarda invece la valutazione realizzata dal singolo consumatore, in base a criteri del tutto personali, sotto l’influenza dei propri filtri biologici, psicologici, culturali e sociali.

Mentre la qualità ingegneristica misurabile in laboratorio costituisce un dato di fatto, è necessario considerare che per il consumatore la base di misurazione della performance non avviene in laboratorio, ma è data dalle sensazioni percepite durante l’uso.

Non è possibile per il consumatore medio realizzare una misurazione scientifica della qualità. Di fatto egli si affiderà ai propri sensi, agli stimoli che provengono da un rapporto personale con il prodotto, soprattutto con i suoi aspetti di superficie, con i quali esso viene a contatto.

Per un ingegnere, ad esempio, può essere assolutamente irrilevante il rumore o suono prodotto dal meccanismo di espulsione dei dischetti dal PC. Per un consumatore può essere inconsciamente un segnale molto forte, in quanto utilizza inconsapevolmente questa informazione per trarre inferenze sulla robustezza del prodotto, sul suo grado di tecnologia, e sulla sua cura costruttiva.

Poco importa se queste sue inferenze, se queste sue deduzioni sono magari sbagliate. Se alla fine determinano un mancato acquisto, o un’impressione negativa di prodotto, diventano molto importanti. Quindi, per uno psicologo del prodotto, per il marketing, e per il fatturato aziendale, esse sono fondamentali.

In questo campo assistiamo ad uno scontro filosofico, tra orientamento al prodotto (ingegneristico) e orientamento alla psicologia del fruitore (orientamento di marketing), che permea molte aziende contemporanee, produce forti conflitti interni all’impresa.

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