Dove si colloca l’utilità dei prodotti: risoluzione, omeostasi, anticipazione

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Franco Angeli editore, Milano.

Affinché avvenga un acquisto, è necessario che l’oggetto del desiderio svolga una funzione positiva sull’orizzonte psicologico del cliente. Le indagini sul campo svolte dall’autore hanno permesso di evidenziare tre proprietà distinte riepilogabili come segue:

(1) prevenire problemi che il soggetto ha già: il prodotto agisce come risolutore di un problema esistente, un problema che ha già iniziato ad agire sul campo psicologico del soggetto;

(2) mantenere situazioni positive: in questo caso, il prodotto ha una funzione di “manutenzione” o consolidamento di situazioni esistenti;

(3) agire per arrestare una minaccia futura e prevenirla: in questo caso, il prodotto viene acquistato per via della sua capacità percepita di arrestare minacce future, incombenti, che hanno una certa probabilità di verificarsi e mettono in pericolo la tranquillità psicologica del cliente.

Trattare le pulsioni d’acquisto significa, soprattutto, capire che posizione occupa il prodotto all’interno dello spazio/tempo del soggetto, identificare quale funzionalità il prodotto assume rispetto alla prospettiva temporale del consumatore/cliente.

Le tre macro-categorie di valori/proprietà di prodotto, possiedono una sostanziale differenza data dal tipo di orizzonte temporale sul quale esso agisce.

Se trasponiamo l’analisi al livello della vendita aziendale, le domande sottostanti sono – indicativamente – le seguenti:

  • Quali sono i problemi che l’azienda vive oggi? (analisi risolutiva).

  • Quali sono le situazioni attualmente positive di quest’azienda? (analisi omeostatica).

  • Quali sono i problemi futuri da prevenire? (analisi preventiva).

Queste domande sono assolutamente preliminari. Infatti, per ciascuna area, è necessario attivare un grado di introspezione superiore e cogliere il dettaglio della fonte pulsionale.

Per quanto riguarda il quadrante futuro, esisteranno pulsioni più forti se i problemi hanno una elevata probabilità di manifestarsi, ed un impatto sull’azienda estremamente negativo. Ad esempio, il timore della perdita dei migliori tecnici (i quali portano alla concorrenza i segreti industriali) può essere il movente fa scaturire la necessità di creare un piano motivazionale per il personale. Oppure ancora, il timore della perdita verso la concorrenza dei migliori funzionari commerciali (i quali trasferiscono verso di essa l’intero parco clienti e il patrimonio di conoscenza e contatti). Questi problemi assumono rilevanza maggiore rispetto ad accadimenti futuri meno probabili o meno gravi sul piano dell’impatto.

Una buona analisi temporale non può fermarsi all’esame superficiale delle risposte ma deve andare in profondità, alla ricerca dei veri moventi psicologici che spingono il decisore ad agire o non agire.

Le implicazioni per la comunicazione sono immediate: occorre sviluppare strategie persuasive che attacchino una o più leve temporali.

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Implicazioni dei moventi nascosti per le strategie di marketing, verso la ridefinizione della mission

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Franco Angeli editore, Milano.

Proseguiamo il nostro esempio sul marketing culturale, anche se le implicazioni di quanto esponiamo valgono in ogni settore. Quello che un manager deve capire, rispetto a queste dinamiche, è la necessità di “caricare” l’offerta costruendo un pacchetto che soddisfi sia il BSS primario che i BSS secondari. Se nella biblioteca ciò che conta è la possibilità di interazione offerta dagli ambienti circostanti, un intervento di “pulizia” (o meglio di “polizia”) che liberi gli spazi di incontro dai frequentatori distruggerebbe uno dei più forti moventi reali per cui quelle persone vi si recano.

Un intervento di marketing culturale dovrebbe cercare di costruire un ambiente di fruizione (un punto di vendita, per dirla in termini di marketing), che massimizzi la possibilità di interazione. Questa tecnica ad imbuto utilizza i BSS secondari per aumentare la domanda complessiva e superare i limiti del BSS primario.

Il concetto stesso di mission viene stravolto da questo ragionamento. Il manager della biblioteca il quale veda nella sua organizzazione unicamente un luogo di studio (mission essenziale), perderà tutte le opportunità legate al corollario di BSS secondari. Un manager culturale più attento al marketing vedrà invece in queste dinamiche una forte opportunità per trasformare la biblioteca in luogo di studio e contemporaneamente di incontro, svago, ricreazione, aggregazione, e persino di divertimento (mission allargata).

Questo significa massimizzare l’estensione della mission organizzativa. Il principio di base, in termini di marketing, è che (1) se le persone vengono attratte dai BSS secondari offerti dalla biblioteca, diversi di questi finiranno per usufruire anche della biblioteca stessa, producendo un effetto acquisitivo verso i nuovi clienti, e (2) chi abitualmente usufruisce della biblioteca vi troverà nuove opportunità (un bar, punti gratuiti di consultazione internet, salotti, bacheche di annunci, sino ad un centro fitness), sviluppando effetto di ritenzione del cliente esistente e crescita della customer satisfaction.

Possedere una visione allargata di marketing è un requisito indispensabile per conseguire obiettivi importanti. Questa visione allargata permette di fuoriuscire dagli stereotipi e dalle limitazioni autoimposte.

Passando al settore meccanico, ad esempio, un produttore di spazzole industriali che si consideri solo come “produttore di spazzole” perderà enormi opportunità se non realizza che il cliente non cerca realmente spazzole ma “soluzioni per il trattamento di superfici”, ad esempio, sistemi per levigare sbavature, o per pulire incrostazioni (il bisogno di base). Il prodotto che risolve meglio questo bisogno reale, avrà successo di mercato (es: prodotti chimici, o utensili dedicati).

Quando l’azienda perde il contatto con il vero movente di acquisto, e si concentra solo sul proprio prodotto, si apre un baratro, una caduta libera in cui le vendite possono precipitare. Inoltre, i concorrenti riusciranno presto a fornire un servizio o prodotto in grado di risolvere il bisogno di base meglio e più efficacemente. Il focus manageriale sul prodotto fa spesso perdere di vista il bisogno sottostante del cliente, che costituisce il vero movente di acquisto. Su questo bisogno sottostante deve concentrarsi il nuovo marketing.

La visione allargata di marketing ha effetti anche sul marketing sociale e culturale. Ritorniamo al nostro esempio sul marketing di una biblioteca.

A cosa serve una biblioteca? A conservare libri o a diffondere cultura? Se il movente è conservare libri allora non si tratta di una biblioteca ma di un archivio. Se il movente è diffondere cultura e fornire strumenti adeguati, allora la biblioteca si deve trasformare in centro di sviluppo di iniziative. Da qui la propositività verso altre forme di arricchimento culturale per i propri utenti (stage internazionali, stage aziendali, stage in organizzazioni, ricerca e divulgazione di materiali in realtà virtuale, eventi, seminari, iniziative).

Di certo, l’obiettivo di allargare l’orizzonte di marketing non può essere posseduto dal burocrate aziendale, dal brontosauro dell’organizzazione, colui che – arroccato sulle proprie posizioni e timoroso del cambiamento – vede nella ri-focalizzazione della mission una perdita di potere, abitudini, e orizzonti certi.

La competitività, in questo senso, richiede l’esplorazione profonda del senso di esistere dell’impresa, e un’apertura totale a nuove modalità di soddisfazione di bisogni primari e secondari, espressi e latenti. Questo approccio produce un ripensamento del rapporto tra mission e marketing.

Naturalmente, occorre evitare confusione tra i diversi obiettivi. Massimizzare i BSS secondari per una biblioteca non significa realizzare interventi che mettano in pericolo la tranquillità degli ambienti di studio, delle sale di lettura. Significa fare marketing della struttura basandosi sui bisogni reali delle persone, incrementare la customer satisfaction degli utenti, ricercare nuove modalità per far fronte sia all’esigenza reale (crescita culturale e studio) che ai bisogni secondari che vi si accompagnano (socializzazione, ecc.).

Un intervento di marketing culturale applicato ad una biblioteca può seguire un percorso a 3 stadi: al primo stadio troviamo l’obiettivo di incremento delle prestazioni legate all’utilità tradizionale (reperire libri, disporre di locali di studio), e quindi l’intervento sul catalogo, il miglioramento degli ambienti, ecc. Al secondo stadio troviamo i progetti che si basano sulla massimizzazione delle utilità non tradizionali ma che comunque creano valore socializzante per la struttura (possibilità di incontro, ambienti per lo svago, eventi che creano spirito di gruppo e fidelizzazione alla struttura). Al terzo stadio possiamo fare un ulteriore salto concettuale basato sul fatto che il motivo profondo di esistere della struttura si lega al bisogno umano di crescita culturale, di sviluppo professionale dell’individuo, e che i libri sono solo uno degli strumenti per raggiungere tale scopo.

Estensione della mission di prodotto legata all’allargamento della visione. Esempio nei servizi di una biblioteca

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Moventi apparenti e moventi reali dei consumi

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Franco Angeli editore, Milano.

Quali sono i motivi reali per cui acquistiamo o ci comportiamo in un certo modo? Quali sono i moventi sottostanti per cui, ad esempio, uno studente sceglie di studiare in una biblioteca pubblica piuttosto che nella propria camera? Ed ancora, perché una specifica biblioteca universitaria (poniamo, la biblioteca di Lettere) e non un’altra (es: la biblioteca di Ingegneria)? Per ogni comportamento esistono dei moventi, delle ragioni sottostanti.

L’analisi dei moventi apparenti in un’intervista ad uno studente potrebbe portare a queste conclusioni: lo studente (Gianni) si reca in biblioteca perché lì si studia meglio. La biblioteca di lettere risponde al BSS (bisogno sottostante servito) meglio della propria camera. Offre un ambiente più silenzioso, quando servono vocabolari specialistici sono a portata di mano.

L’analisi dei moventi reali può portare a conclusioni diverse:

  • Gianni sta cercando una compagna. Sente un vuoto nella propria vita, e intuisce che sarà più facile incontrare una ragazza in un luogo pubblico piuttosto che nella propria camera.

  • Gianni cerca anche motivazione ad impegnarsi. La visione di altre persone che studiano conforta il nostro studente e lo incoraggia.

  • Gianni cerca anche di sentirsi a posto con se stesso. Sa benissimo che in casa accenderà lo stereo, navigherà in Internet, riceverà telefonate, questo lo distrarrà e alla fine della giornata si sentirà, come spesso gli capita, un perdente.

  • Gianni sente anche il bisogno di giustificare alla propria famiglia come sta spendendo il tempo di vita, che grado di impegno sta mettendo nella sua carriera. Passare il tempo all’interno dell’università in qualche modo produce in lui l’impressione di “aver lavorato”, di “avere prodotto”, e questo risolve alcuni problemi che ha verso la sua immagine di sè, rispetto all’essere in ritardo con gli esami e al sentimento di sapere di pesare ancora sulla famiglia.

  • Gianni frequenta la biblioteca di Lettere, (pur studiando Giurisprudenza) anche perché l’ambiente lo fa sentire più a suo agio. Lì non incontra i suoi colleghi di corso, e questo gli evita di doversi giustificare per essere in ritardo. A Lettere il suo ritardo negli studi è più normale e questo lo fa sentire meno pressato.

  • Gianni cerca anche un’identità. In un certo senso, nella biblioteca di lettere si sente un pò “diverso” rispetto agli altri, e questo lo aiuta a costruire una propria personalità autonoma, ha qualcosa da dire quando incontra qualcuno, che lo rende un pò diverso, un pò più interessante.

  • Nella biblioteca di Lettere, si formano spesso gruppi di studenti nell’atrio, è più facile incontrare qualcuno, parlare con qualcuno, venire invitati ad una festa, trovare chi ti chiede di uscire. A Giurisprudenza le persone vanno e fuggono, prese dalla carriera.

  • A dire il vero esisterebbe anche un’altra biblioteca, quella di Economia, ma lì proprio non si sente a suo agio. Tutti sembrano già dirigenti d’azienda, belli, abbronzati, decisi, sicuri, forti – diversi da lui – esistono circoli molto chiusi, e lì si sente un pesce fuor d’acqua.

Per tutti questi motivi e molti altri ancora, il nostro amico Gianni frequenta quella biblioteca. Alcuni di questi moventi possono essere in qualche modo emersi dal suo subconscio, altri no, agendo in background.

Quello che interessa nella nostra analisi è capire che il bisogno sottostante servito (BSS) ha sfaccettature multiple. Accanto al BSS primario, di facciata, o motivo principale di frequentazione della struttura bibliotecaria, esistono BSS secondari (moventi nascosti) che possono persino superare la forza del BSS primario.

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Dove si colloca l’utilità dei prodotti: risoluzione, omeostasi, anticipazione

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Franco Angeli editore, Milano.

Affinché avvenga un acquisto, è necessario che l’oggetto del desiderio svolga una funzione positiva sull’orizzonte psicologico del cliente. Le indagini sul campo svolte dall’autore hanno permesso di evidenziare tre proprietà distinte riepilogabili come segue:

(1) prevenire problemi che il soggetto ha già: il prodotto agisce come risolutore di un problema esistente, un problema che ha già iniziato ad agire sul campo psicologico del soggetto;

(2) mantenere situazioni positive: in questo caso, il prodotto ha una funzione di “manutenzione” o consolidamento di situazioni esistenti;

(3) agire per arrestare una minaccia futura e prevenirla: in questo caso, il prodotto viene acquistato per via della sua capacità percepita di arrestare minacce future, incombenti, che hanno una certa probabilità di verificarsi e mettono in pericolo la tranquillità psicologica del cliente.

Trattare le pulsioni d’acquisto significa, soprattutto, capire che posizione occupa il prodotto all’interno dello spazio/tempo del soggetto, identificare quale funzionalità il prodotto assume rispetto alla prospettiva temporale del consumatore/cliente.

Le tre macro-categorie di valori/proprietà di prodotto, possiedono una sostanziale differenza data dal tipo di orizzonte temporale sul quale esso agisce.

Se trasponiamo l’analisi al livello della vendita aziendale, le domande sottostanti sono – indicativamente – le seguenti:

  • Quali sono i problemi che l’azienda vive oggi? (analisi risolutiva).

  • Quali sono le situazioni attualmente positive di quest’azienda? (analisi omeostatica).

  • Quali sono i problemi futuri da prevenire? (analisi preventiva).

Queste domande sono assolutamente preliminari. Infatti, per ciascuna area, è necessario attivare un grado di introspezione superiore e cogliere il dettaglio della fonte pulsionale.

Per quanto riguarda il quadrante futuro, esisteranno pulsioni più forti se i problemi hanno una elevata probabilità di manifestarsi, ed un impatto sull’azienda estremamente negativo. Ad esempio, il timore della perdita dei migliori tecnici (i quali portano alla concorrenza i segreti industriali) può essere il movente fa scaturire la necessità di creare un piano motivazionale per il personale. Oppure ancora, il timore della perdita verso la concorrenza dei migliori funzionari commerciali (i quali trasferiscono verso di essa l’intero parco clienti e il patrimonio di conoscenza e contatti). Questi problemi assumono rilevanza maggiore rispetto ad accadimenti futuri meno probabili o meno gravi sul piano dell’impatto.

Una buona analisi temporale non può fermarsi all’esame superficiale delle risposte ma deve andare in profondità, alla ricerca dei veri moventi psicologici che spingono il decisore ad agire o non agire.

Le implicazioni per la comunicazione sono immediate: occorre sviluppare strategie persuasive che attacchino una o più leve temporali.

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Teoria e realtà negli acquisti attuati dalle imprese (psicologia del business-to-business marketing)

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Franco Angeli editore, Milano.

Chi conosce più da vicino il mondo degli acquisti aziendali e della vendita, sa benissimo che le regole della “matematica formale” imposte dalle procedure di acquisto organizzate, anche nelle grandi imprese, non vengono sempre rispettate.

Si può fare di tutto per evitare che un fornitore risultato primo in graduatoria in una gara di appalto (metodo formale d’acquisto) venga in qualche modo escluso, eliminato, sino a compiere atti illegali, pur di non avere a che fare con quel soggetto – che per vari motivi non vogliamo all’interno dei nostri spazi fisici e psicologici.

Dal fattore umano, dalle simpatie-antipatie, dalle valutazioni soggettive, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali, dalle pulsioni subconscie ed inconscie, è difficile sfuggire. Questo determina, a volte, lo stravolgimento dei risultati formali, il fatto che vengano ricercate strade per “far vincere qualcuno” nella gara tra i fornitori, a discapito ed in barba delle procedure e delle regole scritte.

Questo accade in genere quando nelle procedure formalizzate di acquisto non sono presenti tutti i fattori reali di scelta (e del resto, è difficile inserirvi fattori subconsci ed inconsci). Ad, esempio, la nostra azienda può – abbastanza inconsapevolmente – considerare di fatto molto importante la capacità di ascolto dimostrata dal potenziale fornitore, ma nelle procedure di acquisto non vi è traccia di tale fattore. Questo genera distorsione ed errori.

Anticipando quanto diremo in seguito, per il venditore, in altre parole, è necessario agire sul terreno psicologico dell’impresa acquirente, inserendo le proprie offerte all’interno dell’orizzonte psicologico soggettivo del buyer.

Questo richiama la nostra attenzione sulla necessità, per qualsiasi azienda, di dotarsi di un metodo di vendita per lo sviluppo della competitività.

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Principio del Battle Rhythm: un decalogo per la vendita professionale

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

Il principio del Battle Rhythm consiste nel tenere un “ritmo di battaglia” nella vendita, un contatto cadenzato e incalzante sulle operazioni di vendita in corso, senza aprire troppi cantieri di vendita con il rischio di concluderne pochi o nessuno.

Nello specifico:

  1. Le attività di vendita vanno inquadrate in specifiche campagne e progetti, non lasciate al buon senso individuale o gestite come “progetti vaghi”.

  2. Le buone intenzioni vanno trasformate in buone operazioni, seguendo un concetto di “qualità totale” nella vendita e di Eccellenza Operativa, dove nulla di ciò che conta viene lasciato al caso.

  3. Ogni campagna e ogni progetto hanno responsabilità personali ben identificate, ruoli chiari e non confusi, team dedicati o persone dedicate, obiettivi ben inquadrati.

  4. Le cadenze di operazioni e contatti devono tenere “caldo” il progetto senza mai lasciarlo raffreddare, e portarlo sino alla conclusione.

  5. Ogni linea di vendita va portata avanti sino alla chiusura, sia essa positiva o negativa, e non può essere lasciata aperta a tempo indeterminato.

  6. Le energie vanno focalizzate e non disperse. Pertanto, non esiste una vendita generica ma l’organizzazione di progetti di vendita.

  7. Non esiste un flusso di attività indistinto ma una sequenza organizzata di operazioni (Operations) che vogliono produrre un determinato effetto (Effects-Based Operations).

  8. Le attività svolte entro ciascuna linea di vendita – telefonate, incontri interlocutori, mail, presentazioni, incontri tecnici, commerciali, negoziazioni, visite, pranzi, prove, ispezioni, dimostrazioni, etc. – sono tutte importanti, nessuna esclusa, e vanno sincronizzate tra di loro (principio della sincronizzazione operativa).

  9. Dobbiamo distinguere azioni che preparano il terreno dalle azioni di chiusura, seguire tra esse un principio di Catena degli effetti a cascata (una azione prepara la successiva), che prevede un buon coordinamento tra le varie azioni nella linea di vendita.

  10. Le varie azioni devono essere tra loro coordinate in una matrice globale – Effects Synchronization Matrix – che evidenzia graficamente e in tabelle comprensibili chi fa cosa e quando, e come sono tra di loro collegate le varie operazioni.

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

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Il lavoro sulle incongruenze e sulle dissonanze

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

Le persone sono naturalmente e culturalmente ostili a riconoscere le proprie incongruenze e dissonanze, in quanto il processo di riconoscimento e “ripulitura” può assomigliare all’estrazione di una freccia piantata sulla gamba, con la quale la persona vada tranquillamente convivendo. Molti preferiscono zoppicare piuttosto che estrarre la freccia.

I reality check aiutano a far emergere la distanza tra comportamento ottimale (auspicato, o ideale) e comportamento reale o vissuto.

Un capitolo centrale in tema di immagine aziendale e personale riguarda un concetto da noi denominato “distanza rogersiana fondamentale” o incongruenza del Sé1, tema psicoterapeutico che si applica benissimo ai temi dello sviluppo manageriale.

Con questo termine abbiamo inteso sintetizzare un tema critico esposto da Carl Rogers, nell’opera La terapia centrata sul cliente2, dedicata al processo di crescita individuale e sviluppo del Sé.

Una delle variabili più condizionanti la crescita personale, secondo Rogers, è la presenza di incongruenza, i cui nodi critici sono (1) credere di sé stessi cose che non sono vere, (2) e non accorgersi di come siamo realmente. Esponiamo alcuni passaggi, che commenteremo di seguito:

L’incongruenza è un costrutto fondamentale della teoria che abbiamo elaborato. Si riferisce ad una discrepanza tra l’esperienza reale dell’organismo e l’immagine di sé che l’individuo ha quando si rappresenta quell’esperienza….

…. quando il soggetto non ha coscienza di tale sua incongruenza, è vulnerabile alla possibilità di ansia e di disorganizzazione…

…l’ansia si riscontra spesso in terapia quando il soggetto prende coscienza di alcuni elementi della sua esperienza che contrastano nettamente con il suo “concetto di sé”.

La sintesi del pensiero rogersiano evidenzia questi meccanismi:

 

  • spesso le persone non sono consapevoli di cosa stanno facendo. Un manager può pensare di aver condotto bene una trattativa, mentre la controparte ride appena fuori dalla porta, in quanto era disposta a concedere il doppio;
  • spesso le persone non sono consapevoli dei propri errori. Giustificano i risultati negativi sulla base di forze del destino, evitano un’introspezione che li porti a scoprire di avere difetti e ampi margini di imperfezione nel proprio operato. Questo impedisce di cogliere i propri obiettivi e bisogni di miglioramento;
  • è difficile prendere coscienza dei propri reali comportamenti ed errori, finché non si ricerca ed accetta un confronto con un interlocutore autentico che aiuti l’azienda o manager ad “aprire gli occhi su di sé”, evidenziando le incongruenze.

 

Dal punto di vista della Direzione Risorse Umane, oltre alle azioni indispensabili di ascolto e di sviluppo del potenziale manageriale, questo aspetto ci conduce ad esaltare il bisogno di prendere una linea rispetto alle incongruenze aziendali. Occorrono decisioni coraggiose sulle azioni di sviluppo da compiere, senza “tirarsi indietro” rispetto al prendere disposizioni scomode o che sono in contrasto con l’autopercezione di qualcuno. Urtare la suscettibilità, per noi, è meglio che nascondere verità scomode.

Questo significa a volte “scoperchiare i pentoloni”, dire frasi come “tu hai bisogno di… anche se non te ne rendi conto”, “l’azienda ha rilevato questo stato di cose, c’è un divario tra quello che tu pensi di essere e come io o gli altri ti vedono”, frasi scomode, non più di moda, ma ineluttabili soprattutto nei team ad alte prestazioni.

L’utilizzo di reality-check permette poi di far emergere le dissonanze che segnalano le zone o variabili su cui agire. Le dissonanze più interessanti sono gli scostamenti percepibili tra (1) comportamenti osservati, e (2) credenze o valori dichiarati dai soggetti che li praticano (es.: osservare che il personale di contatto ha una sostanziale incapacità di ascolto del cliente, mentre a parole si giura e predica di essere azienda che mette il cliente al centro delle proprie attenzioni).

Altri tipi di incongruenze si limitano al piano psicologico e valoriale, e consistono nel ricercare dissonanze tra valori di fondo, opinioni e atteggiamenti.

Le dissonanze – quando emergono – possono essere usate come forti motori di sviluppo, mentre quando rimangono latenti danneggiano l’efficacia di ragionamento, la lucidità decisionale, e creano tensioni interiori.

1 Trevisani, 2003 (vedi bibliografia).

2 Rogers, C.R., (1970), La terapia centrata sul cliente. Marinelli Editore, Firenze. Volume originale: Rogers, C. R. (1961), On becoming a Person, Houghton Mifflin, Boston. Vedi anche Rogers, C.R. (1951), Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory. Houghton Mifflin, Boston.

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Passare attraverso i reality-check

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

 

Nella pratica aziendale o personale, quando si entra sul tema delicato della formazione e dello sviluppo, o del problem solving, è indispensabile mettere in atto sistemi di focusing in grado di far emergere i bisogni di miglioramento o formazione passando attraverso il confronto con la realtà.

Questo significa rilevare il bisogno di crescita analizzando come il soggetto gestisce prove o brani di realtà (misurazione su performance reale, reality check), riesaminare il materiale emergente, cogliere il feedback e la percezione altrui, la visione che altri hanno del comportamento attuato.

Riflessioni operative:

  • osservare il comportamento di un soggetto (persona o sistema) nei momenti di vita reale, di fronte a situazioni vere (siano esse sfide, problem solving, performance o comportamenti banali e quotidiani), per valutare come esso si comporta: reality check;
  • valutare il grado di consapevolezza sul comportamento agito (reale), far emergere le percezioni distorte; valutare gli atteggiamenti di fondo verso i problem solving;
  • valutare le incongruenze esistenti tra ideali e realtà emergenti dai reality check;
  • attuare reality-check sia con tecniche ghost (reali) che con tecniche di role-playing e simulazione.

Fanno parte dei reality check di primo livello le azioni di tipi ghost-customer (cliente fantasma, in cui si testano le performance di front-line di una azienda), e i momenti di affiancamento e osservazione mirata di brani esistenziali (es.: notare come un manager gestisce una telefonata o una riunione). Costituiscono reality-check di secondo livello le simulazioni o role-playing, volti a “far emergere allo scoperto” i comportamenti abituali, esercizi nei quali si interagisce teatralmente con ruoli giocati, e in cui tuttavia è impossibile nascondere il proprio modo di essere.

Il reality fa emergere i comportamenti reali. Ad esempio, se testiamo la qualità di un servizio di assistenza potremo misurare la “presa in carica” del problema o i tentativi di allontanamento, evitazione o negazione del problema.

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Le vendite non sono frutto del destino: formarsi alla comunicazione come leva strategica dello sviluppo

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

Il face-to-face è una dimensione fondamentale del Business, assolutamente trascurata per importanza e per budget ad essi dedicati, in rapporto alla spesa in promozione, advertising e pubblicità classici.

Se confrontiamo quanto budget le imprese dedicano alla pubblicità, e quando alla formazione per il face-to-face, notiamo una sproporzione enorme.

Molte imprese dedicano alla crescita delle competenze di comunicazione interpersonale dei propri collaboratori una cifra pari a zero. Altre lo fanno solo con i residui di bilancio, se qualcosa avanza.

E questo equivale a depotenziare e impoverire il capitale umano dell’azienda.

La confusione tra comunicazione pubblicitaria e comunicazione interpersonale è un errore di cui si pagano le conseguenze. In ogni trattativa, in ogni messaggio via email, in ogni telefonata sbagliata, in ogni presentazione poco efficace, le lacune di formazione si trasformano in una sindrome di sconto su sconto, perdita di potere negoziale, perdita di trattative, perdita di clienti veri, perdita di senso di efficacia personale.

Queste micro-perdite sono tanto dannose quanto poco capite dalle imprese, che le metabolizzano male, additandole come “frutto del destino” o della concorrenza agguerrita, o della congiuntura. No. Spesso la questione va ricercata nella preparazione e formazione adeguata, che mancano.

La maggior parte delle aziende svolge affari con altre aziende e non ha un consumatore finale (end-user) colpibile con messaggi pubblicitari classici. E, tuttavia, le imprese si ostinano a cadere nel tranello delle tentazioni pubblicitarie, e a distogliere budget dalla preparazione delle persone verso spot e altre forme mediate. Gli affari veri, negli incontri veri, nelle trattative che contano, li conducono le persone, e queste vanno preparate.

Riportare i budget dal fronte pubblicitario alla formazione di chi comunica tutti i giorni, è un dovere di ogni amministratore più consapevole del fatto che oggi, nel mondo dell’impresa, la differenza la fanno le persone.

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Le competenze psicologiche di chi opera nella negoziazione, vendita consulenziale e trattative complesse

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

Nella vendita consulenziale sono significative diverse competenze, ne citiamo alcune, e molte altre emergeranno durante la lettura:

  • Conoscenze sulla comunicazione umana (verbale, paralinguistica, non verbale);
  • Conoscenze di negoziazione, anche interculturale e internazionale;
  • Capacità di ascolto empatico e ascolto attivo;
  • Capacità di progettazione soluzioni (Solutions Selling);
  • Capacità di esaminare i sistemi decisionali, mappare i poteri, creare “sociogrammi decisionali”;
  • Key Leader Engagement: coinvolgere i Key Decision Makers, gli influenzatori chiave, inquadrare i personaggi chiave che possono facilitare o rallentare la vendita;
  • Riconoscere dissonanze cognitive, comportamentali, conversazionali, anche quando si presentano in formato molto attenuato o nascosto;
  • Capacità di percezione aumentata; percepire i segnali deboli;
  • Capacità di micro-analisi: saper scomporre il flusso esperienziale in “frames”, localizzare brani significativi, fenomeni e comportamenti;
  • Saper riportare correttamente, a colleghi e membri del team, dati e comportamenti osservati (funzioni di debriefing e reporting);
  • Capacità di sintonizzazione emozionale ed esperienziale;
  • Saper utilizzare un repertorio di stili comunicativi vasto e sapersi rapportare ad interlocutori diversi (stretching comunicazionale);
  • Capacità di concludere le trattative e fidelizzare verso futuri steps, capacità di chiusura, di conclusione.

Il tratto comune alle diverse scuole di vendita consulenziale, al di la delle differenze, è la visione strategica della centralità della relazione.

La vendita consulenziale, al contrario della comunicazione pubblicitaria, è un lavoro estremamente interattivo e fluido, basato sul rapporto interpersonale, sulle capacità di sviluppo di relazioni solide, rapporti umani significativi, e sensibili.

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