Sulla differenza tra Arti Marziali e Sport di Combattimento

Arte Marziale e Sport

Contributo del Maestro Samuel Onofri

Direttore Didattico e fondatore del Kihon Aikibudo – http://www.kihon.it/

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Pubblico volentieri questo contributo del collega M° Onofri, su un tema caldo, che trovo raramente dibattuto, e penso sia una stimolo di riflessione straordinario, al di la di qualsiasi sia il proprio punto di vista personale. Un augurio di buona lettura, Dott. Daniele Trevisani www.studiotrevisani.com

Dopo aver dato un rapido sguardo su quelle che potremmo definire come le spinte originarie che hanno portato alla creazione delle principali Arti Marziali, è’ arrivato ora il momento di calarci nella realtà di oggi e di analizzare come si è evoluto e come viene percepito attualmente il concetto di Arte Marziale. Focalizzeremo soprattutto la nostra attenzione sulla differenza sostanziale che intercorre tra Sport e Arte Marziale, tentando di chiarificarne i caratteri distintivi.

Generalmente oggi siamo abituati ad associare qualsiasi attività che implichi un confronto fisico, o comunque lo studio di tecniche finalizzate allo stesso, come forme più o meno moderne di arte marziale. Che esse siano riconosciute come sport olimpici o che siano combattute in una gabbia piuttosto che su un ring o un tappeto; che vengano studiate in un tempio o in una palestra di aerobica, mettiamo tutto nel grande calderone delle Arti Marziali. Effettivamente vi è molta confusione in proposito, e sono cosciente del fatto che quello che sto per dire può disorientare o suscitare risentimento. Vorrei sottolineare quindi subito una cosa. Le considerazioni qui esposte non sono minimamente volte a sminuire in qualche modo ciò che non troverete definito come “arte marziale”, bensì mirano a fare chiarezza sul tema utilizzando dei dati di fatto scaturiti dall’applicazione pratica.

Iniziamo subito con il fare una distinzione tra attività che prevedono gare e non.

Tutto ciò che trova la sua finalizzazione in una gara necessita di regole ben precise, concepite al fine di evitare il più possibile incidenti, e consentire nel contempo la definizione di chi sia il vincitore. Quando si parla di combattimenti il tutto si traduce nell’utilizzo di diversi espedienti quali:

  • Utilizzo di protezioni
  • Tecniche consentite e proibite
  • Arbitraggi
  • Attribuzione di punteggi in base alla tecnica che si ritiene abbia raggiunto il bersaglio
  • Controlli sullo stato di salute dei combattenti, ecc.

Le arti marziali di contro sono nate, se vogliamo definire forse la motivazione primaria, dall’esigenza squisitamente pratica di sopravvivere ad uno scontro.

Nella sua accezione più cruda e senza considerare gli aspetti filosofici che ne scaturirono a posteriori, possiamo affermare che l’arte marziale era una ricerca continua di tecniche utili a restare vivi, il che coincideva sì con la vittoria ma, dal punto di vista individuale doveva essere, per ovvie ragioni, secondario. Nelle arti marziali originarie quindi non vi erano regole o arbitri, o considerazioni del tipo “oggi non mi sento di combattere e mi ritiro dal torneo…”, o “la giuria mi ha penalizzato perché era di parte..” , o “ ho la gamba che mi fa male, meglio rinunciare alle nazionali per prepararmi alle olimpiadi..” ecc. Ogni colpo era buono, ogni momento era buono, ogni contesto era buono e non c’era giusto o sbagliato, né corretto o scorretto, c’era solo vita o morte.

Con questo non voglio dire che le attività agonistiche siano meno “toste” di un’arte marziale definita tale. Anzi, come vedremo in seguito, sotto un certo punto di vista, ed allo stato attuale, potremmo dire il contrario, ma credo che sia importante non confondere le due cose.

Per approfondire e nel contempo rendere più chiari i concetti sopra esposti, credo che sia utile vedere le differenze dal punto di vista pratico facendo l’esempio del Karate e provando a comparare gli stessi momenti di un combattimento analizzati dal punto di vista marziale e da quello agonistico.

Momento Combattimento agonistico Combattimento marziale
Incontro I due contendenti si salutano vicendevolmente e rispettosamente davanti ad una giuria. Entrambi sanno perché sono lì e probabilmente già si sono visti altre volte, o almeno si conoscono sotto gli aspetti tecnici avendo assistito l’uno a gli incontri dell’altro. Il loro scopo è strappare punti e vincere. Due uomini si incontrano. Nessuno sa nulla dell’altro. Non sanno nemmeno se vi sarà uno scontro oppure si saluteranno con cortesia per poi non rivedersi mai più. In ogni caso, entrambe sono pronti a mettersi in guardia e si tengono a debita distanza.
Inizio L’arbitro, appurato che i due contendenti sono pronti ed in posizione, grida : “Ajime!”. Ha inizio il combattimento. Accennando un saluto di cortesia uno dei due uomini si avvicina all’altro accennando ad un inchino. L’altro risponde con la medesima attenta cortesia. Nell’attimo esatto in cui china la testa, però l’altro lo attacca furiosamente con un coltello mirando dritto al collo.
La guardia I due si muovono saltellando sul tatami, attenti a non uscire dal quadrato. L’attenzione dell’uno è completamente focalizzata sull’altro, e i loro movimenti sono sciolti. Sanno che qualunque cosa succeda vi sono ben tre arbitri, medici, pronto soccorso e protezioni, ma soprattutto sono certi di chi e dove sia il loro avversario, e che l’incontro ha una durata fissa, per la quale si sono allenati. L’uomo schiva il fendente allontanandosi e si mette in guardia stabile. Immediatamente la sua attenzione scandaglia la situazione esaminando vari aspetti in poche frazioni di secondo:

  1. Il luogo.
    Controlla cosa vi sia intorno a lui e se potrebbero esserci le condizioni per essere attaccati alle spalle da altre persone.
  2. Il terreno.
    Controlla se la superficie su cui si trova è irregolare o scivolosa, o vi siano ostacoli che gli possano impedire dei movimenti.
  3. Il sole.
    Controlla dove sia il Sole in quel momento. In base a quello deciderà dove muoversi onde evitare di ritrovarselo in faccia.

La sua attenzione non può essere focalizzata solo sul suo avversario perché sa che ce ne potrebbero essere degli altri, e le sue energie le risparmia perché non ha la minima idea di quanto durerà quella assurda situazione.

Scopo Vincere la medaglia, il titolo, il torneo, la coppa ecc. Uscirne vivo.
Obbiettivi tecnici. Ottenere dei punti entrando con dei colpi nella guardia dell’avversario, ma senza affondare, né toccare mai il viso (pena la squalifica). Se non andrà bene la prima tecnica, durante il combattimento ci sarà tempo e modo di rifarsi. Entrambe i combattenti sanno che non basterà entrare con dei colpi, che siano dati con il coltello o a mani nude. I corpi di entrambe sono inondati di adrenalina e non sentiranno né dolore né potenza. Se il colpo non viene portato in punti vitali, l’azione dell’altro non si arresterà ed il combattimento andrà avanti. E’ anche possibile che pur colpendo in un punto vitale, l’altro prima di cadere possa colpire a sua volta e ferire a morte (soprattutto se ha un’arma). Quindi bisognerà colpire con precisione chirurgica punti vitali e, nel contempo, stare molto attenti alla posizione nella quale ci si trova all’atto dell’esecuzione della tecnica e possibilmente allontanandosi immediatamente dopo il colpo.

In ogni caso il combattimento deve essere risolto il prima possibile.

Strumenti Per evitare incidenti, in ambito agonistico, si è deciso di eliminare i colpi più letali e pericolosi e conseguentemente, la rosa delle tecniche consentite è necessariamente limitata. Generalmente nei combattimenti agonistici di karate raramente si va oltre un paio di tecniche di braccia (che di solito sono giakutzuki e uraken) e tre o quattro tecniche di gambe (maegeri, mawashigeri, yokogeri, ushirogeri). Se si va a terra, l’arbitro interverrà, facendo riprendere dalla posizione iniziale, quindi non c’è bisogno di studiare particolari tecniche di caduta (ukemi) o tecniche di combattimento a terra (o da terra). In ambito marziale tutto è consentito, e quindi da tutto bisogna imparare a difendersi. Ogni tecnica può essere utilizzata e ogni strumento può servire a realizzarla, dal coltello al bastone, dal sasso alla polvere. In più i due combattenti, non conoscendosi, non hanno la minima idea del bagaglio tecnico dell’altro. Per sopravvivere bisogna padroneggiare ogni situazione.

Probabilmente nessuno li vedrà e in ogni caso raramente interverrà (onde evitare danni alla sua persona).

Le tecniche utilizzate non avranno nulla di spettacolare, ma saranno portate nella maniera più efficace possibile e nell’ottica del massimo risparmio di energie.

Questo piccolo esempio già ci propone una visione diversa della faccenda. Ovviamente le considerazioni di cui sopra possono essere applicate ad ogni combattimento agonistico, anche i famosi combattimenti senza regole, che apparentemente ci sembrano così veritieri, alla fine si svolgono sulle loro brave superfici piane e delimitate, hanno i loro assistenti, i loro arbitri ecc.

Vista così sembra che tutto fili e che sia lecito pensare che un’arte marziale propriamente detta, studi di fatto, aspetti infinitamente più complicati di uno sport da combattimento, e che sia dunque più difficile e rivolta a pochi “pazzi” eletti.

Ma, proprio in virtu del detto cinese:“ quando sei certo di un punto di vista, quello è il momento in cui lo devi cambiare”,le cose non stanno proprio così.

Il concetto è molto semplice. Un’Arte Marziale, per essere studiata con i presupposti che abbiamo appena espresso, non può prevedere combattimenti veri e propri in sede di allenamento. O meglio può prevedere surrogati che si avvicinano più possibile alla realtà, ma che non arriveranno mai, per ovvie ragioni, alla completa, cruda verità del combattimento per la vita e per la morte. Questa limitazione, in tempo di guerra, era ampiamente compensata dalle battaglie e dai duelli, nei quali si aveva modo di mettere alla prova “veramente” tutto lo studio e gli estenuanti allenamenti a cui si sottoponeva la classe guerriera. Con l’avvento dei periodi di pace, e ringraziamo il cielo per questo, questo genere di test estremi è venuto a mancare; al quesito che metteva in dubbio se fosse o no opportuno il continuare a studiare vecchi sistemi di combattimento, si aggiungeva, come se non bastasse, anche la questione di come continuare a studiare “veramente” l’arte marziale. Le risposte sono state molteplici. Molti, come abbiamo detto, hanno preferito buttarsi nell’agonismo, ritenendo indispensabile una qualche forma di scontro diretto, mediante il quale si potesse, effettivamente mettere alla prova la propria crescita tecnica, se pur consapevoli delle limitazioni a cui sarebbero andati incontro (vedi sopra). Altri hanno preferito una soluzione mista continuando a studiare kata e tecniche tradizionali, ma mettendosi comunque in gioco in qualche gara; altri ancora, in fine hanno scelto di continuare con il metodo tradizionale, aborrendo l’agonismo e coltivando la disciplina come anticamente veniva fatto. Per le prime due categorie vi erano dunque delle prove da affrontare contro avversari che certamente non avevano nessuna intenzione di soccombere o perdere, mentre le scuole che avevano scelto la terza opzione, non dovendosi “scontrare” con nessuno se non con membri della propria scuola, potevano, per così dire, stabilire le proprie regole e le proprie limitazioni in maniera del tutto indipendente ed autonoma. Sostanzialmente era il Maestro che stabiliva quale fosse la didattica per lui più conveniente e produttiva. Insomma il Maestro di una scuola tradizionale, rappresentava, per i suoi studenti, la Legge insindacabile.

Si ponevano a quel punto due problemi di fondamentale importanza. Il primo era che tale legge non poteva essere messa alla prova, dato che non erano previsti confronti con altre scuole (e altre leggi). Al massimo ci si incontrava, come succede tuttora, per dei seminari o degli allenamenti collettivi nei quali ci si scambiano tecniche e sudore evitando accuratamente critiche e confronti.

Il secondo, ma non ultimo, era che elementi come veridicità dei messaggi, efficacia delle tecniche, valore della didattica in termini di crescita degli studenti, interpretazione del messaggio originale della disciplina ecc., erano interamente affidati ad un singolo individuo: il Maestro appunto. Ora… fin quando il Maestro può considerarsi veramente tale (ed in seguito parleremo ampiamente anche su questo tema) tutto fila; i problemi si possono verificare quando la persona che insegna non possiede quel bagaglio di esperienza tale da poter affrontare certi temi con cognizione e con perizia, e va avanti per supposizioni o, peggio ancora per teorie lette o dette senza essersi preoccupato di testarle sulla propria pelle, il che è già pericoloso quando si tratta di tecniche, figuriamoci quando la materia in questione è l’etica o peggio le interpretazioni filosofiche di ciò che si sta studiando.

Anni fa lessi in un libro, di cui volutamente non cito né titolo né autore, un concetto singolare. L’autore affermava in sostanza che, dato che un particolare attacco circolare poteva essere parato in un certo modo, quella era la maniera più indicata di fronteggiare qualsiasi altro tipo di attacco circolare. Sulla carta tutto fila, dato che in termini di linee e di forze non apparivano grosse differenze, peccato che se poi si tentava di mettere in pratica la lezione, si finiva subito in infermeria. Con tutta probabilità l’autore, di cui, a parte queste piccole defaillance riconosco però il valore come scrittore, come storico e come ricercatore, aveva “dedotto”, in maniera teorica e logica, delle azioni che custodivano invece, nel loro svolgimento reale, molte sfumature e variabili che solo la pratica poteva evidenziare.

Di esempi del genere se ne potrebbero fare all’infinito, e in ogni caso torneremo sulla questione più avanti. Per il momento, tornando alla tema principale di questo paragrafo, mi sembra che ora possiamo essere nella condizione di affermare che non sempre, un’arte marziale studiata in maniera tradizionale e senza agonismo o incontri, possa effettivamente essere studiata in maniera seria ed esauriente, in quanto la sua didattica dipende essenzialmente da un solo Maestro e non può essere, di fatto messa alla prova in senso realistico. Ne consegue quindi che, di fatto a tutt’oggi si trovano molto più spesso elementi realistici e vicini alla tecnica originale in una competizione sportiva, che in una dimostrazione di uno stile tradizionale. Di contro l’agonismo esige anch’esso il suo scotto da pagare limitando per forza di cose le azioni e le tecniche originarie trasformandole ed adattandole alle finalità della vittoria, ben diversa (lo abbiamo detto) da quella della sopravvivenza. In proposito cito ancora un esempio che a mio parere può rendere chiaro il concetto. Tempo fa fu organizzata in Tailandia un confronto tra studenti di Kung Fu e Combattenti di Thai Box. Ora.. se andiamo ad analizzare singolarmente i due metodi di combattimento, risulta fin troppo chiaro che il Kung Fu sia estremamente più raffinato e complesso. Ricco di tecniche e sfumature, di stili che si intersecano e di escamotages, inganni e strategie. La Thai Boxe, di contro appare come uno stile rozzo, anche abbastanza grossolano nelle tecniche e nelle guardie. Bhe, volete sapere come è andata?….. Gli studenti di Kung Fu furono letteralmente massacrati dagli atleti di Thai Boxe. Il bello è che i praticanti di Kung Fu furono totalmente spiazzati dalla cosa e non si riuscivano a spiegare il perché di tale catastrofico esito. La risposta era semplice quanto potente: gli atleti di Thai Boxe avevano sì una tecnica più rozza, ma erano abituati a metterla in pratica veramente. Per loro un calcio preso era naturale come respirare, il sangue era pane quotidiano, la fatica la loro vita, la violenza la loro compagna. Gli studenti di Kung Fu, al contrario, pur avendo anni di allenamento durissimo anche loro alle spalle, avevano studiato con avversari immaginari o magari con bersagli inerti, senza mai cimentarsi veramente in un combattimento reale e dove i colpi si scambiavano senza sconti. La cosa incredibile è che, dopo quella manifestazione, tutti sono convinti che la Thai Boxe sia più efficace del Kung Fu, il che non è vero affatto. Il problema di quell’incontro, sono convinto che sia stato che agli studenti di Kung Fu siano stati consegnati nelle mani strumenti estremamente raffinati da subito, senza farli passare attraverso percorsi più semplici e diretti. In più i metodi insegnati loro, erano frutto di interpretazioni di tecniche e concetti, a loro volta interpretati da altri attraverso i secoli (sempre in tempo di pace) e, soprattutto, senza che nessuno li mettesse mai realmente alla prova. Tecniche che anticamente si erano dimostrate in battaglia armi micidiali, si erano trasformate, nel tempo, in movimenti eleganti ed armonici, ricchi di volteggi e pose plastiche veramente belli da vedere, ma completamente inefficaci se utilizzati in una situazione reale. Gli atleti di Thai Boxe, al contrario avevano strumenti più grossolani, ma continuamente messi alla prova sul ring e senza complimenti. Potremmo dire senza difficoltà che la Thai Boxe non si è scontrata con il vero Kung Fu, ma con un suo surrogato addolcito dal tempo.

Del resto, dove viene a mancare la sostanza, cresce la forma, e questo non è solo un problema che ha a che fare con le arti marziali, ma con tutte le cose che, non più applicate realmente, tendono ad essere eccessivamente teorizzate.

Attenzione però, non è assolutamente certo che i Thai Boxers tailandesi uscirebbero vivi da una situazione di reale pericolo, condita magari di coltelli e armi varie. Non preoccupatevi, una soluzione possibile c’è, ma ne parleremo in seguito, per ora continuiamo nell’analisi dell’Aikido seguendo il metodo Kihon.

Studio Trevisani: Siglato accordo con Franco Angeli Editore per nuovo volume di riferimento sulla Vendita Strategica

Studio Trevisani ha siglato l’accordo con l’editore Franco Angeli per un nuovo importante volume sulla Vendita Strategica. L’uscita è prevista per ottobre 2010.

Il volume è frutto di 24 anni di esperienza del dott. Daniele Trevisani e  consulenti associati nella formazione avanzata in comunicazione e nella formazione vendite, corsi di vendita, consulenze e workshop che hanno coinvolto oltre 120 aziende, incluse (solo per citare alcune di esse):

  • Siemens, Frost & Sullivan (London), Commax Consulting (Monaco di Baviera), LRA (Learning Resources Associates, Milano), IIR (Institute of International Research,  Milano), Arch-Chemicals, Panini Modena, Fedon, Zhermack, Roche, Johnson Wax, Sanofi Synthelabo Otc, Abb Sace Spa, Esseco, Fip, Banca Carige, Volksbank, Chiesi Farmaceutici, Enel, Centrum Pensplan, Solvay-Benvic, Solvin, Vinyloop, Digital, IBM, FS, Alitalia, Società Autostrade, Deutsche Bank, Banca Di Roma, Merloni, Nobel Biocare, Hewlett Packard, Ajilon Gruppo Adecco, Dade Behring, Marazzi Ceramiche, A.M.A., Arag, Bcs, Bell, Bondioli e Pavesi, Caffini, Cbm, Cnh Italia, Comer Industries, Dana Italia, Demac, Falc, Gallignani, Gamberini, Gnk Waltersheid Gmbh, Goldoni, Grillo, Honda, Italtractor Itm, Kuhn Italia, Landini, Laverda, Malesani, Mutti, Negrisolo Costruzioni, O.M.B, O.R.M.A, Peruzzo, Rinieri, Roc, S.A.E., Same Deutz Fahr Group, Sgariboldi Officine, Sicma, Sider Man, Slam, Storti International, Tecnoagri, Tifone, Trelleborg Wheel System, Ceres, Normann Copenhagen, GLS Logistics, Norfolkline, Gasa, Uffefrank, Eise, Publicitas, DMA, Scavangegt, Tulip Food, Eise Gug, Ambu, SagaFood, Holger Christiansen, Blue Water Shipping, Danish Crown, Atahotels, ETF, Rulli Rulmeca, Polar Seafood, Pharma Nord, Syddansk Universitet, Bang & Olufsen, Ifoa (Istituto di Alta Formazione per Operatori Aziendali, Azienda Speciale CCIAA Reggio Emilia), Associazione Industriali Reggio Emilia, Associazione Industriali Rimini, Assopiastrelle, Royal Consulate of Danmark (Milano).
  • Aziende cooperative della Grande Distribuzione: Scuola Nazionale Coop, Coop Italia, Coop Adriatica, Coop Tirreno, Unicoop Firenze, Coop Estense, Novacoop, Coop Emilia-Veneto, Coop Toscana-Lazio, SAIT, DICO. Coop Nordest
  • Aziende Cooperative in altri settori: Lega Coop Ravenna, Coop Zerocento, Coop Atlantide, Cesvip (Centro di Sviluppo Manageriale)

Il volume è frutto inoltre di esperienze di analisi della competitività nella vendita internazionale, con ricerche condotte dal da Studio Trevisani e Medialab Research in programmi dell’Unione Europea presso aziende leader tra cui: Ducati Motor, Giglio, Barilla, System Ceramics, Guaber, Sacmi, Maserati, Cognetex, Apofruit,  Enichem, Castelli, Baltur, IMA, Centro Computer, Lamborghini, Stayer, Panini, Ferrari Auto.

Il volume rappresenta un punto di riferimento per la formazione nella vendita consulenziale e un supporto fondamentale per la direzione vendite delle imprese intenzionate a sviluppare le capacità dei propri venditori di essere incisivi e soprattutto “consulenti”.

Nello sviluppo della capacità di vendita, il volume espore i metodi e le sensibilità che mettono il venditore in grado di capire in profondità il contesto in cui agire, le leve e strategie dei competitors, la psicologia del cliente e i suoi decisori, identificare le opportunità, le mappe mentali e le “power maps” nelle quali si sviluppano le vendite complesse e le negoziazioni complesse.

Il volume prosegue la collana di formazione vendite e formazione marketing realizzata da Studio Trevisani, che include il best seller “Psicologia di Marketing e Comunicazione“, volume di autore Italiano più venduto in Italia, per l’area della psicologia e marketing, edito da Franco Angeli, giunto quest’anno in 8° Edizione.

Siglato accordo con l’editore Franco Angeli per nuovo volume sulla Vendita Strategica

Studio Trevisani ha siglato l’accordo con l’editore Franco Angeli per un nuovo importante volume sulla Vendita Strategica. L’uscita è prevista per ottobre 2010.

Il volume rappresenta un punto di riferimento per la formazione nella vendita consulenziale e un supporto fondamentale per la direzione vendite delle imprese intenzionate a sviluppare le capacità dei propri venditori di essere incisivi e soprattutto “consulenti”.

Nello sviluppo della capacità di vendita, il volume espore i metodi e le sensibilità che mettono il venditore in grado di capire in profondità il contesto in cui operano l’impresa e il suo sistema di competitors, il cliente e i suoi decisori, identificare le opportunità, le mappe mentali e le “power maps” nelle quali si sviluppano le vendite complesse e le negoziazioni complesse.

Il volume è frutto di 24 anni di esperienza del dott. Daniele Trevisani nella formazione avanzata in comunicazione e nella formazione vendite cui hanno partecipato sinora oltre 120 aziende, incluse (solo per citare alcune di esse):

  • Siemens, Frost & Sullivan (London), Commax Consulting (Monaco di Baviera), LRA (Learning Resources Associates, Milano), IIR (Institute of International Research,  Milano), Arch-Chemicals, Panini Modena, Fedon, Zhermack, Roche, Johnson Wax, Sanofi Synthelabo Otc, Abb Sace Spa, Esseco, Fip, Banca Carige, Volksbank, Chiesi Farmaceutici, Enel, Centrum Pensplan, Solvay-Benvic, Solvin, Vinyloop, Digital, IBM, FS, Alitalia, Società Autostrade, Deutsche Bank, Banca Di Roma, Merloni, Nobel Biocare, Hewlett Packard, Ajilon Gruppo Adecco, Dade Behring, Marazzi Ceramiche, A.M.A., Arag, Bcs, Bell, Bondioli e Pavesi, Caffini, Cbm, Cnh Italia, Comer Industries, Dana Italia, Demac, Falc, Gallignani, Gamberini, Gnk Waltersheid Gmbh, Goldoni, Grillo, Honda, Italtractor Itm, Kuhn Italia, Landini, Laverda, Malesani, Mutti, Negrisolo Costruzioni, O.M.B, O.R.M.A, Peruzzo, Rinieri, Roc, S.A.E., Same Deutz Fahr Group, Sgariboldi Officine, Sicma, Sider Man, Slam, Storti International, Tecnoagri, Tifone, Trelleborg Wheel System, Ceres, Normann Copenhagen, GLS Logistics, Norfolkline, Gasa, Uffefrank, Eise, Publicitas, DMA, Scavangegt, Tulip Food, Eise Gug, Ambu, SagaFood, Holger Christiansen, Blue Water Shipping, Danish Crown, Atahotels, ETF, Rulli Rulmeca, Polar Seafood, Pharma Nord, Syddansk Universitet, Bang & Olufsen, Ifoa (Istituto di Alta Formazione per Operatori Aziendali, Azienda Speciale CCIAA Reggio Emilia), Associazione Industriali Reggio Emilia, Associazione Industriali Rimini, Assopiastrelle, Royal Consulate of Danmark (Milano).
  • Aziende cooperative della Grande Distribuzione: Scuola Nazionale Coop, Coop Italia, Coop Adriatica, Coop Tirreno, Unicoop Firenze, Coop Estense, Novacoop, Coop Emilia-Veneto, Coop Toscana-Lazio, SAIT, DICO. Coop Nordest
  • Aziende Cooperative in altri settori: Lega Coop Ravenna, Coop Zerocento, Coop Atlantide, Cesvip (Centro di Sviluppo Manageriale)

Il volume è frutto inoltre di esperienze di analisi della competitività nella vendita, con ricerche condotte dal dott. Daniele Trevisani in programmi dell’Unione Europea presso aziende leader tra cui: Ducati Motor, Giglio, Barilla, System Ceramics, Guaber, Sacmi, Maserati, Cognetex, Apofruit,  Enichem, Castelli, Baltur, IMA, Centro Computer, Lamborghini, Stayer, Panini, Ferrari Auto.

DESTIGMATIZZARE I COMPORTAMENTI DI ACQUISTO

Come è possibile che un comportamente stigmatizzante si trasfomi in un fenomeno di moda e di massa?

Le variabili che intervengono sono molteplici: innanzitutto una maggiore informazione e divulgazione della pratica stigmatizzata che ci aiuti a comprendere e a conoscere ciò che è considerato “diverso”.  Un esempio ci è fornito dal mondo islamico:  la tradzione – obbligo delle donne di indossare il velo si è trasformato oggi in un fattore di moda legato ad una scelta libera e consapevole, di una classa media emergente.

Un comportamento stigmatizzante di pochi può essere ritenuto attraente, e quindi adottato da parte di un gruppo che esercita un potere, dominio (opion leaders) sociale ed economico, e che viene preso in considerazoine dai cosumatori che lo trasformano in un comportamento di massa destigmatizzandolo. Un esempio il tatuaggio, simbolo di trasgressione di soggetti ribelli fino a non molti anni fa, è divenuto oggi fenomeno di moda grazie alla veicolazione di personaggi famosi, quali attori,  cantanti,  campioni dello sport ecc.

In questi ultimi 10 anni abbiamo visto destigmatizzare la visione “virile” dell’uomo attraverso messaggi pubblicitari e grazie all’ampliamento dei prodotti presenti sugli scaffali della grande distribuzione. Prima si commercializzavano beni che enfatizzavanao la virilità dell’uomo (Denim after shave “L’uomo che non deve chieder mai!”);  oggi siamo passati ad una visione più femminile  che ricerca benessere e cura del corpo attraverso creme antirughe, coloranti per capelli (just for man).

Nel processo di destigamtizzazione la grande distribuzione può assumere quindi un ruolo importante: ne sono stati un esempio i diversi prodotti anticoncezionali, assorbenti che da prodotti tabu sono diventati prodotti di acquisto meno problematico.

La sfida di oggi può essere legata all’offerta di prodotti alimentari etnici, che fino ad ora venivano commercializzati solo da negozi specializzati e frequentati da alcuni target di consumatori. Ad esempio abbiamo assistito alla diffusione della cucina giapponese (sushi) che da prodotto di nicchia è diventato prodotto di moda. La novità del momento è l’introduzione nella grande distribuzione della vendita della carne trattata, macellata secondo le regole della religione islamica.

Potrebbe diventare questo un prodotto destigamtizzato??

Bibliografia:

Ozlem Sandikci, Guliz Ger

“Veiling in Style: How does a stigmatized practice become fashionable?”

Journal of Consumer Research – Giugno 2010

Sensazioni corporee all’interno del punto vendita

Le sensazioni corporee prodotte dai materiali con i quali è realizzato il punto vendita e gli stimoli che producono sono osservabili nell’atto dell’acquisto e sono condizionati da fattori ambientali e culturali.

L’uso di materiali diversi può favorire:

1. l’avvicinamento ai prodotti,
2. il contrasto con la tipologia delle merci
3. nessun effetto sul consumatore.

Sensazioni corporee e stimoli sensoriali non preconcettuali vengono associati ad una molteplicità di stimoli combinati: illuminazione, spazio, materiali, colori, temperatura, sensazioni olfattive, ecc. che influenzano l’atto di acquisto.

L’influenza degli stimoli ambientali non è uniforme, assume valenze diverse in funzione della fase di avvicinamento al prodotto e della coerenza con lo stesso (es. illuminazione differenziata per enfatizzare il colore dell’ortofrutta…) e del bagaglio di conoscenze del consumatore.

In caso di distanza rilevante, ovvero quando siano solo gli stimoli corporei ad essere percepiti questi non sono sufficienti a condizionare valutazioni sui prodotti.

La fase di avvicinamento è caratterizzata dall’assenza di una valutazione oggettiva permessa da una analisi visiva e tattile del prodotto il contesto in questo caso influisce in maniera significativa per l’atto d’acquisto (esempio la “cantina” come luogo di esposizione dei vini; temperatura, materiali, luce, odore… influiscono preventivamente come stimoli creando una aspettativa più o meno positiva).

Da questo punto di vista la mancanza di dati razionali di valutazione può essere dovuta sia alla lontananza fisica (non riconosco la marca o il packaging) sia dalla distanza culturale (non conosco il prodotto) in entrambi i casi la valenza degli stimoli sensoriali è elevata.

Nella fase di contatto prossimale con il prodotto e dell’analisi visiva razionale l’influenza del contesto non è più così determinante.

Conclusioni

Quali stimoli sensoriali possono identificare l’identità Coop?
Quale coerenza tra gli stimoli e la molteplicità degli stimoli specializzati nel contesto del punto vendita (cantina, farmacia, freschi, ortofrutta…)?
Quali stimoli in rapporto alle differenti componenti sociali e in un contesto multietnico?

Francesco Scanu – Lorenzo Pisoni – Valter Molinaro

Bibliografia: Joan Meyers – Levy; Rui (Juliet) Zhu – Lan Jiang

“Context Effects from Bodily Sensations”

Journal of consumers research June 2010

Dall’odore del prodotto alla traccia nella memoria

Le sensazioni olfattive legate al prodotto possono agire sul comportamento d’acquisto?
Di Roberta Neri – responsabile ufficio ricerche e ascolto Coop Adriatica Maura Sammartino – capo servizio formazione canale ipermercati Nova Coop

Parole chiave

ODORE/ESSENZA
MEMORIA
PRODOTTO

 Le sensazioni olfattive, evocate da profumo/odore/essenza dei prodotti, creano delle connessioni nella memoria maggiormente durevoli rispetto ad altre caratteristiche del prodotto stesso.

Ad oggi le ricerche si sono focalizzate sullo studio dell’odore dell’ambiente mentre ulteriori analisi ci dicono di concentrare l’attenzione sul prodotto.

Questo perché l’odore dell’ambiente crea associazioni complesse nella memoria mentre quello del prodotto si fissa in modo più semplice e immediato.

L’odore agisce su marcatori somatici precognitivi che fanno “scattare” delle reazioni viscerali.

Questo significa che:
–  si può intervenire sull’essenza del prodotto
    –  esempio nei prodotti per l’igiene evocare sensazioni di benessere legate 
       all’infanzia attraverso l’utilizzo di essenze talcate

–  occorre evitare dissonanza tra ambiente e odore atteso del prodotto
    –  esempio entrando in un punto vendita di prodotti per l’infanzia si sente
       un odore acre

 ANDARE OLTRE: COME?

Ricerca delle coerenze tra:
–  odore del prodotto ossia sensazioni olfattive evocate e gli altri attributi del prodotto stesso (visive,tattili,ecc)
–  odore che il prodotto ha e aspettative del consumatore
–   odore del prodotto e messaggio complessivo e significato che si vuole dare: questo come distintività del brand

SFIDA

Se le sensazioni olfattive ci guidano, creando connessioni forti e solide nella memoria e influenzando le scelte future, come possiamo utilizzare questo elemento finalizzandolo alla fidelizzazione del consumatore?

Bibliografia: Aradhna Krishna, May O. Lwin, Maureen Morrin “Product Scent and Memory”, Journal of Consumer Research June 2010

Smart Subcategories

Smart sub categories

di:

Giorgio Agosto Dirigente Vendite canale Smk Novacoop, Roberto Meglioli resp. Servizio Marketing Coop Consumatori Nordest, Marco Monetti Resp. Area Customer care e Innovazione Unicoop Tirreno

Sottocategorie smart: si riferiscono a sottosegmenti in cui si può dividere la categoria madre facendone derivare proposte alternative o complementari all’acquisto.

L’adozione di segmenti assortimentali approfonditi o particolari offrono opportunità diverse nella produzione della soddisfazione del cliente.

Aspetto di particolare importanza assume la lettura di comportamenti derivati dalla valutazione che ogni singolo consumatore offre della scelta fatta.

Nella decisione di adottare nella categoria sub categorie smart il category referente dovrà avere ben chiaro il target di riferimento, l’obiettivo di vendita, la gestione del prodotto.

La lettura trasversale delle performance di ogni singolo obiettivo confrontata alla percezione del cliente porta all’assunzione dell’adozione delle categorie smart.

Possiamo fare degli esempi rispetto ad adozioni di categorie smart in spazi fisici o spazi virtuali.

Spazio fisico: ci sono alcune regole che portano all’adozione di categorie, prima delle quali lo spazio disponibile rispetto alle categorie di assortimento. In questo caso l’adozione di una categoria smart deve trovare armonia con il target del brand, redditività dello spazio assegnato, potenzialità di vendita derivante dalle necessità del cliente. Nel caso in cui queste variabili non fossero valutate si potrebbe creare la condizione in cui il cliente non percepisce in maniera positiva sia l’adozione di sub categoria sia il posizionamento del brand. Per esempio nel caso di assortimento macrobiotico o energizzante trattato in micro segmentazione.

Spazio virtuale: al contrario dello spazio fisico la microsegmentazione può portare maggiore interesse/beneficio da parte del consumatore. In questo caso è obbligo segmentare in maniera diversa le varie proposte relative alle sub categorie per avere una più chiara e veloce lettura assortimentale. La scelta non obbligata del cliente di frequentare la proposta assortimentale su categorie smart può non creare l’effetto disagio affrontato prima, anzi dal momento in cui il discrimine non è più sullo spazio ma sul tempo da dedicare alla navigazione, il posizionamento di sub categorie smart potrebbe generare maggiore curiosità e produrre un acquisto non programmato.