Quando lo spamming è veramente troppo: risposta poetica, in veneto, agli spammer

Non so chi l’abbia scritta, se sia vera o solo opera d’arte, ma questa mail è comunque arte, e volevo condividerla. E’ la risposta, in veneto puro, all’ennesima mail di spamming ricevuta:

Gavì da piantarla de mandarme cadene del porcoesimili, tipo che el mondo l’è belo ma solo se rispedisso tuto subito, se no son sfigà, come el negro de l’Alalabama che no la’ risposto a quatromilasinquesento imeil e no la fato in tempo a dir “a” che l’era za col vestito de legno (tradotto: morto e stramorto), o el cauboi John, tessano, che ghe cascà i maroni parché nol ga risposto etc. etc. Par no parlar de quei che me manda imeil disendome che sicome ghe un provaider (fatalità american) che par ogni imeil che ghe riva el dà un centesimo in beneficensa ala lota contro la peste scaveona, e alora bisogna mandarghene a seci… me gà roto i cojoni! O staltro che el gà na fiola con na malatia rarisima che nisuni sa cosa lè (sto qua el sta in Missuri), che el te dà anca el numero de telefonin parché te ghe telefoni tì (credeghe!) a darghe notissie su le cure posibili (che po’ se te guardi le date te scorpriresi che è pasà almanco tri ani da che lè partia la cadena, quindi tanti auguri…). A mi te me ven a dimandar robe mediche, che stao in frassion de isola dela scala e son gnanca bo de tacarme un ceroto? Po’ quei che me dise che ghe el virus dela posta eletronica che se non te ste atento telo ciapi anca ti e lè pezo che nar co na nigeriana (e saven tuti a cosa se va incontro…), alora te ghe da riempir tuti de imeil etc. etc. Quei po’… che me manda la fotocopia del centro antitumori de Aviano dove i sensiati te dise che i ovi condii i fa vegner el cancro a l’useo… e che farse un sciampo lè pezo de fumarse tri steche de “ms sensa filtro”. Par non desmentegarme de chi me manda scrito che ghe quei dela Erison che i da via i telefonini come i fusse bagigi e adiritura che lori i là proà e funsiona (!?!): basta “inviar el mesagio a tutti quei che te conosi” e te si a posto: tempo do stimane e riva el sior Erison, Mario JJ Erison in persona, aministratore delegato dela dita omonima o anonima, non me ricordo come che se dise, il cuale sa tute le meil che te mandi, e te porta sul porton de casa el scartosso col telefonin ultima generasion col trial band el gipìeres e custodia de pitone ancora che se moe… A sto punto feme un piaser: mandime foto porno, film porno, barzelete e putanade varie ma BASTA CO STE CADENE! Che n’altro po’ e verzo na feramenta e taco a vendarle. Co la speranza che sta meil no la riva in Luisiana a una che lè drio farse i cassi soi…

Età fisica ed età mentale

Si avvicina l’uscita del volume Il Potenziale Umano, e nel frattempo volevo condividere e ragionare assieme su una idea di base, che inserirò nel prossimo libro: L’età mentale diversa dall’età fisica. Non è una novità, ma serve qualche approfondimento.

Una persona mentalmente giovane coltiva sogni e aspirazioni, una persona mentalmente vecchia (al di la del suo corpo) ha smesso di sognare e volare con la fantasia, il suo fuoco si sta estinguendo. E questo non solo nell’individuo, ma addirittura in intere aziende o – più su – in intere nazioni.

Una società vecchia vive del passato e nella burocrazia, è ammantata da emozioni negative (paura, sarcasmo, cinismo), difende i propri piccoli spazi di potere ma non guarda oltre. Compie performance difensive, e non proattive. Una società giovane si pone senza paura dei traguardi e ha la forza di emozionarsi per essi. Osserva il mondo in modo attivo, desidera darvi un contributo, non sta seduta a guardarne lo sfacelo e non si intimidisce di fronte alle sfide. Non ha pura di ciò che non conosce ma lo vuole studiare, sperimentare.

Lo stesso accade nelle aziende e nei team sportivi.

Diventa quindi molto interessante per ogni ricercatore vero e per chiunque di noi avere un modello che ci aiuti a rimetterci in moto (per fini personali), o aiutare un team ad ottenere le performance che desidera (per un coach), o ancora lavorare sul funzionamento ottimale delle persone, per scopo terapeutico e di qualità della vita, al di la delle performance che possono ottenere.

La performance come benessere, ascesa, salita, esplorazione: viaggio verso l’Optimal Functioning Il funzionamento ottimale (Optimal Functioning) è la connessione tra aree di ricerca sui problemi (la patologia, l’area negativa) e aree di ricerca sulle performance (le aree dei goals, o positive). Questo nesso è indispensabile per far luce sui metodi che lavorano sul potenziale dell’uomo e dei team (sia sportivi che aziendali).

Ho potuto osservare con grande frequenza che raramente una persona o un team che “funzionano male”, internamente e psicologicamente, offrono prestazioni esterne positive, o se lo fanno questo non dura a lungo.

Dovendo studiare il funzionamento ottimale dell’uomo impegnato in una performance, e lavorando come formatore per migliorare la condizione che di volta in volta trovavo, sono emerse anche interessanti riflessioni sul funzionamento “sbagliato”, sulle patologie e sugli errori che le persone compiono, consapevolmente o meno. Esempi di errori comuni:

1 • l’utilizzo di un archetipo sbagliato; es, per un venditore, considerare se stesso come un “forzatore di acquisti”, anzichè un problem-solver. Questo impedisce di attivare il potere della relazione di aiuto che fornisce energie utili per vendere. Il problema vale anche per uno sportivo, che entri in campo con la voce interiore “non posso assolutamente sbagliare”, anziché “voglio divertirmi e dare il meglio di me”;

2 • il mancato esame dei propri apprendimenti: chi mi ha insegnato a fare le cose come le faccio ora? Da chi ho appreso? Siamo sicuri che vada tutto bene così? Cosa devo disimparare se voglio crescere?

3 • Sè negati: che ruolo vorrei giocare, in campo o nella vita? Sto giocando il ruolo che desidero, o mi sto auto-castrando? Posso provarci? Mi sto auto-impedendo? Sto rispondendo alle aspettative degli altri o do ascolto anche alle mie?

Queste e altre osservazioni possono dare luce ad una nuova forma di scienza di confine, che non sia esattamente nè una scienza dello sport, nè una scienza psicologica, nè un primato delle patologie (es: psicoterapia o medicina), nè una scienza dell’educazione e della formazione, ma una scienza della condizione ottimale dell’essere umano e dei team. In pratica, una scienza che cerchi il denominatore comune del funzionamento positivo umano.

Qualcosa di simile (uscire dal confine ristretto dello studio sulle “patologie”, e da una visione di “malattia”) sta cercando di fare anche la “psicologia positiva” , nuova area di studio della psicologia che studia fenomeni come la felicità, il benessere, la fiducia, la tenacia – area il cui interesse primario è tuttavia verso il funzionamento psicologico, e non per l’intera sfera delle performance umane.

Una scienza delle energie umane e delle performance non è ancora stata realizzata e sviluppata in modo compiuto: ogni disciplina, nel proprio recinto, ne sfiora una parte, ma risulta per tutti difficile cogliere l’unità del senso.

La fatica, le frustrazioni, le cadute, fanno quindi parte del percorso, anche del mio. È parte del gioco. Anche del mio…

Ps…. Sapere di non essere soli in un percorso di ricerca aiuta!

Per una formazione vera, centrata sugli effetti

Cosa significa realmente “fare formazione centrata sugli effetti”

La formazione centrata sugli effetti vuole ottenere cambiamenti ed effetti reali, dimostrabili

Centrarsi sugli effetti significa fare corsi in cui – al termine – deve essersi prodotto un cambiamento vero, sostanziale, positivo. Il nostro metodo privilegia le esercitazioni pratiche di sviluppo delle abilità di analisi, di comunicazione e di progettualità. Questo atteggiamento di fondo va oltre i corsi marketing e la formazione marketing in senso teorico, o la formazione per la leadership o per la comunicazione. Toccano soprattutto aree delicate come la formazione per la negoziazione, la formazione formatori, la decisione, la comunicazione persuasiva e la comunicazione nei team.

Segnali di corsi condotti e mal progettati: da cosa stare alla larga. Proponiamo 3 categorie specifiche, per partire, i cui segnali, anche contrastanti, possono denotare una scarsa centratura sugli effetti:

1.      Abbuffata di slides: esito: “mi sono annoiato”, si tratta di un risultato negativo, in quanto probabilmente il partecipante non avrà vissuto reali situazioni di sfida, sarà rimasto “alla superficie” delle cose, senza mai entrarvi. Non si impara a nuotare con slides sul nuoto, quindi è determinante correlare gli stimoli didattici agli obiettivi da produrre. Poiché gli stimoli didattici e formativi sono stati insufficienti se rimangono sul piano teorico, diminuiscono la motivazione; i corsi devono anche far scoprire ai partecipanti elementi su cui lavorare, creare dubbi, stimolare al cambiamento, far sperimentare.

2.      Diverimentificio. Il partecipante commenta “mi sono divertito”, cui fa seguito un “nulla totale” in termini di cambiamento prodotto dal corso, una ricaduta-zero sulle azioni quotidiane. E’ un risultato tipico di tanta formazione “da giochetti formativi” che puntano al divertimento puro del partecipante e non al cambiamento da indurre, formazione mal progettata, fine a se stessa. L’investimento in formazione non si misura in semplice divertimento o intrattenimento. Creare un buon clima di apprendimento è importante, produrre un clima positivo altrettanto, ma questi sono solo aspetti di facilitazione, non i veri obiettivi finali per cui si investe in formazione.

3.      Accademia snob. Altro caso drammatico è l’intervento degli “accademici che parlano dall’alto”. Questa categoria contiene professori stipendiati dalle università, che combinano entrate in formazione “una tantum” contando sulla base sicura dello stipendio pubblico. Questo produce in genere un atteggiamento di superiorità. Da notare, che in diversi ambienti universitari la consulenza esterna viene amichevolmente denominata “marchetta”, con tono spregiativo, la dove invece in altri paesi (es, USA), è un denotatore fondamentale di capacità applicativa. In Italia il baronato è riuscito ad isolarsi talmente tanto dal mondo reale da generare un appellativo contaminato di “prostituzione” alla consulenza in azienda. Oltretutto, se non bastasse, mancano a molti le esperienze vere, lo “sporcarsi nel fango”, es: senza avere esperienza diretta e continuativa di vendita è difficile capire cosa significa realmente vendere e fare marketing, e insegnare a farlo, e questo vale in tanti altri campi: chi non ha diretto team con il rischio di fallire (non team di cui non paga gli insuccessi in prima persona) ha ben poca esperienza per poter parlare di leadership. Per compensare la scarsa capacità pratica, l’accademia “pompa” il linguaggio, lo rende ostico, lo “ingrassa” e lo complica per darsi un tono, con il risultato di non farsi capire. L’ingresso in azienda di persone specializzate nel parlare senza avere sperimentato, nel propinare slides teoriche, abituate a osservare i problemi da lontano, senza pratica diretta di ciò che propone, porta a teorizzare di massimi sistemi astratti, disinteressandosi allo stesso tempo, completamente, delle applicazioni concrete, delle problematiche pratiche, dell’assorbimento dei concetti, e di chi si ha di fronte.

Qualsiasi sia il tipo di risultato che vogliamo ottenere, questo tipo di formazione non ci interessa.

Quello che serve nella formazione è chiedersi (e chiarire bene con la committenza) (1) quali effetti vogliamo produrre, (2) in chi, (3) in quanto tempo, e (4) costruire una regia di stimoli (formazione, letture, esperienze, e qualsiasi altro stimolo efficace) che generi veramente l’effetto da produrre.

Daniele Trevisani

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Nota

Un approfondimento del metodo delle “Regie di Formazione” è visionabile al link www.studiotrevisani.it/alm1

Che schifo

Terremoto, morti, competenti, incompetenti, si può prevedere, non si può prevedere? Si poteva fare qualcosa, non si poteva fare? Basta girarci attorno, è anche questione di incompetenze e ignoranza. Provo uno schifo infinto, sento il dolore di chi è stato sepolto da qualcosa che si poteva prevedere… (ops, ci sono anche i teorici dell’imprevedibilità… Palle! Le tecniche previsionali sono assolutamente avanzate, ma se nei posti che contano, nella ricerca, nell’università italiana, nella direzione di strutture nevralgiche, ci sono raccomandati, non ci si può fare niente?)… e se tecnicamente non si potesse prevedere, le case almeno si potevano consolidare, da anni ed anni, nelle zone sisimiche. Ma preferiamo fare grandi opere, cattedrali nel deserto. Provo ad esprimerlo meglio:

http://formazioneaziendale.wordpress.com/2009/04/10/formazione-come-obbligo-morale-di-chi-dirige/

Per chi è su Facebook, ho fondato un gruppo che propone di smettere di spendere soldi pubblici in stupidaggini, e metterli nelle vite degli italiani. http://apps.facebook.com/causes/267783?m=96aaaf39

Formazione come obbligo morale di chi dirige – questioni di terremoto e oltre

Non so so come fare per esprimere la rabbia, l’indignazione di un formatore che insegna management e vede – nei fatti – bambini sotto le macerie. Si deduce, se non sei idiota, che la gente che deve amministrare – a vari livelli – non sa gestire e anticipare i problemi, e la gente muore ancora di terremoto, come nel medioevo si moriva di influenza…. Non è una questione di risorse, è una questione di impieghi e priorità (e le prioritization skills, o capacità di fissare le vere priorità, sono una competenza formativa determinante e coltivabile, non un lusso).

E gli intellettuali chic, i megadirigenti dai megastipendi, i manager snob, tra un cocktail party e un taglio di nastro, ne sanno qualcosa?

Questo mi renderà ancora più incazzato quando vada a parlare di corsi di management a degli amministratori pubblici, come OBBLIGO MORALE e non un lusso…. Chi è morto sotto le macerie ringurazierà, dall’alto, chiunque di noi farà qualcosa per riportare le risorse pubbliche e private sui problemi veri, e non sulle cazzate. Tra i problemi veri vi sono le capacità decisionali e previsionali di chi dirige. Punto.

Imparare a mettere in priorità le cose, è unprincipio basilare del management. Non è un lusso, insegnarlo è un fine nobile, la gente muore davvero per incompetenza di chi amministra, così come le aziende finiscono per chiudere quando il management è incompetente, le famiglie piangono, se non l’hai visto non ci credi, o lo prendi come un problema di altri, ma se ti capita poi ci credi! Io l’ho già visto troppe volte.

Pensiamo veramente a queste cose, quando si promuove un corso manageriale di qualità si da un conributo alla VITA e si promuove SAGGEZZA, altro che palle!

Il prezzo della non formazione dei dirigenti pubblici (o della formazione fatta male) è la malagestione, l’incapacità. Da questa deriva morte, lo vogliamo capire? Il prezzo della malagestione o incapacità gestionale è troppo alto anche per le aziende… basta, è ora di finire di considerare la formazione un lusso… la formazione (quella fatta bene) è la linfa vitale di una struttura sana, di una azienda sana, di un dirigente pubblico o privato sano, il resto è malattia, falsità, ipocrisia.

Daniele Trevisani