Zone di lavoro per la crescita personale: tra apatia e perfezionismi inutili

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.9.  Ricerca dell’eccellenza vs. perfezionismi inutili

Chi si occupa di performance è spesso portato a confondere due piani distinti di una prestazione: la perfezione e l’eccellenza.

Una prestazione eccellente è quella che offre contributi significativi a chi ne deve fruire, mentre una prestazione perfetta è spesso autoreferenziale, forzatamente ed esasperatamente sovraccarica di attenzione, anche nei dettagli nei quali nessuno può percepire un contributo in più o vantaggi ulteriori veri.

La vera eccellenza si misura sul valore vero prodotto, non in finezze snob.

I performer non possono essere danneggiati dalla ricerca della perfezione ma devono essere stimolati dalla ricerca dell’eccellenza. Si tratta di una differenza sottile ma importante.

Perfezionismo e ricerca dell’eccellenza sono atteggiamenti diversi. Il perfezionismo assorbe energie in modo maniacale anche oltre il livello in cui un contributo diventa significativo. Consuma energie inutilmente.

Le attività dei cercatori di perfezione non sono mai finite, mai terminate, mai perfette, esiste sempre una ragione per non completarle o non essere soddisfatti di sè.

L’eccellenza richiede che le energie vengano investite là dove un contributo produce effetti, e sino al livello in cui un miglioramento è reale, percepibile, dotato di senso, creatore di valore buono, e non oltre.

Il perfezionismo non aumenta il successo delle persone, è uno stato di maniacalità. Il successo è determinato dal talento, energia, impegno, non dal perfezionismo o testardaggine verso i dettagli inutili. Il successo avviene nonostante il perfezionismo, non a causa di esso. Come evidenzia Greenspon[1], il perfezionismo è una sorta di malattia:

“Il perfezionismo non è fare del proprio meglio, o ricercare l’eccellenza. È una convinzione emotiva sul fatto che la perfezione sia la sola via all’accettazione personale. È la convinzione emotiva che solo essendo perfetti uno sarà finalmente accettato come persona”.

Un coaching efficace dovrà aiutare il cliente o team ad identificare le soglie di valutazione corrette nelle proprie attività, evitando sia le performance scadenti che quelle dotate di attenzioni maniacali non necessarie.

Localizzare dove si situino le varie attività dell’individuo o del team in questa scala, è fondamentale. Specificamente, localizzare la differenza tra il perfezionismo inutile e l’eccellenza è particolarmente importante nel metodo HPM, vista la presenza della cella “micro-competenze”, che stimola proprio ad andare alla ricerca dei dettagli significativi su cui lavorare. Essa – ricordiamo – non è da non confondere con l’ossessione maniacale sull’inutile e sulla superficie.

Una delle funzioni fondamentali del coaching e della formazione consulenziale consiste proprio nell’aiutare le persone a capire su quali aree è bene investire e su quali invece sia inutile farlo ora, o non valga la pena in quanto il livello raggiunto è già sufficientemente buono.

Le persone non riescono, da sole, il più delle volte, a percepire se stesse con lucidità, a fissare bene i propri scopi, ancora meno a raggiungerli o sviluppare performance ottimali. Esiste una coltre di nebbia che offusca la visione di noi stessi e i nostri veri obiettivi. Guardare oltre non è facile, e anche una sfida, per definizione, non è semplice.

Il coaching, la formazione, la consulenza, sono discipline che – quando fatte con passione e serietà – lavorano sul dare supporto individuale, o a una squadra o intera organizzazione, per aiutarla a percepirsi correttamente, senza lenti sfuocate, a fissare veri obiettivi e fare piazza pulita di falsi obiettivi o presupposti fuorvianti, evolvere e andare verso nuove sfide, crescere, progredire. Perché il senso dell’uomo è questo: la ricerca.

Rispetto alle variabili del modello HPM, ciascuna può essere osservata come uno spazio di crescita con territori in parte conosciuti e raggiunti, ed altri ancora da conquistare ed esplorare.

La domanda non diventa se andare avanti, ma come. Il fatto di andare avanti deve diventare un atteggiamento di fondo, forza di volontà costante.

Un’ultima convinzione e riflessione: l’eccellenza non è materia solo tecnica. L’eccellenza si raggiunge quando si crede in qualcosa.

I puri di cuore, e coloro che lavorano per una causa, fanno quasi sempre cose eccellenti, poiché vi mettono passione.

La tecnica e la formazione ci possono solo aiutare a trasformare la purezza del cuore e la volontà in progetti reali, tangibili e utili.

Vivere, essere puri di cuore, e morire

Per rendere immortale il nostro spirito.

Gustavo Adolfo Rol (1903-1994)

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.


[1] Greenspon, T. (2008), The Courage to be Imperfect: Tom Greenspon on Perfectionism, Northwestern University, Center for Talent Development.

Psicologia della motivazione

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.4. Ricerca dei drivers motivazionali

Come si può notare, il tema esistenziale (meaninglessness vs. ricerca dei significati) è centrale non solo per il fronte psicoenergetico, ma anche per la costruzione di una Vision e di una progettualità.

Perché questo? Perché la mancanza di un senso può produrre effetti devastanti, dalla carenza di scopi personali al senso di inutilità dell’agire, sino a bloccare la ricerca di nuovi orizzonti esterni (ricerca esteriore) o interni (ricerca interiore). La mancanza di senso produce il limitarsi delle energie mentali alla pura sopravvivenza, e spesso nemmeno a quella.

Kinnier e altri autori individuano dieci credenze dominanti che fungono da ancoraggi o interpretazioni della vita[1]:

1. La vita è gioire della vita e vivere l’esperienza della vita

2. la vita è amare, aiutare, servire gli altri

3. La vita è un mistero

4. La vita è senza significato                      

5. La vita è servire Dio e prepararsi all’aldilà

6. La vita è fatica

7. La vita è contribuire a qualcosa più grande di noi stessi

8. La vita è auto-realizzarsi

9. Ognuno deve creare da solo un senso personale della vita

10. La vita è assurda o è uno scherzo.

Ciascuno di questi driver (motori profondi) interagisce con la cultura individuale e con la propria personalità.

In un soggetto possono scatenare una forte produzione psicoenergetica alcuni di questi (es.: 1, 2, 7, 8) mentre altri sono in grado di distruggere o minare la sua voglia di vivere (10, 6, 4), e per ciascuno esistono sfumature diverse. Naturalmente, ogni analisi vale nel tempo in cui è svolta, e il quadro può cambiare, anzi, deve cambiare in seguito ad un buon coaching o ad una formazione di qualità, in cui la revisione di priorità è risultato positivo e ricercato. Purtroppo, sul piano della relazione con se stessi, non conoscere quali sono i driver che ci attivano, è una lacuna gigantesca.

Ogni coach professionale deve localizzare quali sono i driver del cliente o del team in grado di accrescerne le energie mentali, e riuscire inoltre nell’operazione difficoltosa di inserire nuovi driver all’interno dei costrutti mentali già esistenti.

Questa operazione di arricchimento delle fonti di energia psicologica e motivazionale è di straordinario interesse e notevole complessità tecnica.

Operazioni di arricchimento sono possibili su più piani.

Es.: Per un atleta… tu non gareggi più solo per i soldi che guadagni ma anche per… un contributo ad una causa, per scoprire i tuoi limiti, per dimostrare chi sei, per riscattarti da quello che eri…

Per un praticante di fitness… tu non ti alleni più per dimagrire, il grasso e la pancia sono i falsi nemici, il tuo nemico vero è la noia, l’apatia, la tristezza, la vita dimezzata di uno che vive in catalessi nella pigrizia…

Per un operatore sociale… tu non stai accudendo un anziano, stai dando un senso alla tua esistenza…

Per un agonista…voglio che quando esci dal campo tu sia orgoglioso di come hai giocato, non dei punti che hai fatto…

Per un manager… voglio che, quando qualcuno ti chiede cosa hai fatto quest’anno nella tua zona, tu possa dire “ho costruito una buona squadra, ne sono orgoglioso”…

Per un ricercatore… tu scrivi, ma ricordati… non stai facendo una pubblicazione, a nessuno frega niente della tua pubblicazione, se non stai facendo qualcosa che serve veramente agli altri più che a te, stai sprecando tempo… se non è qualcosa di cui essere orgoglioso fai a meno… allora, cosa vuoi fare…?


[1] Kinnier, Richard T., Kernes, Jerry L., Tribbensee, N., Van Puymbroeck, Ch. M. (2003), What Eminent People Have Said About The Meaning Of Life, Journal of Humanistic Psychology, Vol. 43, No. 1, Winter.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

Potenziare la corteccia prefrontale sinistra: la nuova frontiera

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.3.  Potenziare la corteccia prefrontale sinistra

Le neuroscienze insegnano che il cervello risponde agli stimoli con meccanismi molto simili a quelli dei muscoli: le aree usate frequentemente lavorano, si rafforzano, si “irrobustiscono”, si potenziano; le aree inutilizzate diminuiscono di tono e volume sino a divenire quasi inesistenti (chi ha avuto lunghe ingessature si è potuto rendere conto direttamente di quanto il non-utilizzo produca riduzione del volume della zona ingessata).

Lo stesso meccanismo accade nella mente. Una sequenza di momenti positivi e sensation windows positive (SW) allena e tiene attiva la corteccia prefrontale sinistra, la cui attività si correla a emozioni positive (gioia, capacità di cogliere le positività, sensazioni, energia, coscienza)[1]. Al contrario, una sequenza di SW negative allena la corteccia prefrontale destra, maggiormente specializzata nel cogliere emozioni negative.

Addirittura, i neuro-scienziati hanno dimostrato un effetto sull’induzione di percezione e ricordo positivo, tramite stimolazioni magnetiche dirette (repetitive transcranial magnetic stimulation) della zona orbitofrontale sinistra[2].

In termini di coaching formativo, non volendo confondere i ruoli (le  stimolazioni tramite attrezzature biomedicali sono sfera medica), preferiamo indurre una uguale e maggiore capacità (persino più duratura) tramite apprendimento esperienziale, per vivere i goal e obiettivi positivi, generando stimoli allenanti ed esistenziali adeguati. Questi effetti non sono banali.

Va da se che se alleniamo molto un braccio e l’altro no, avremmo degli scompensi. Così come se avessimo una gamba potente e muscolosa e un’al­tra de­bole e avvizzita, la nostra camminata sarebbe zoppicante, e l’equilibrio dell’or­ganismo si farebbe deficitario. Ogni disequilibrio fisico porta a ripercussioni negative su tutto l’apparato scheletrico e muscolare, ed ogni disequilibrio mentale a malfunzionamento del pensiero, malessere e sofferenza psichica.

Il funzionamento ottimale dipende perciò anche dalla capacità di creare equilibri e simmetrie, e un potenziamento “stupido”, che non tenga conto degli equilibri, ma cerchi solo “potenza”, è dannoso, distruttivo.

Lo stesso accade nella mente. Dobbiamo imparare ad allenare e stimolare la corteccia prefrontale sinistra e in generale a vivere le emozioni positive non solo in seguito ad eventi enormi (lotterie, vincite) ma anche e soprattutto in attività che altrimenti non coglieremmo. Dobbiamo programmare spazi e tempi in cui farlo. È questione di sopravvivenza.

Disintossicare la mente non è quindi più solo arte ma anche scienza.

È importante quindi non solo generare spazi e tempi dedicati, ma anche cogliere sensazioni positive (sensation windows), esperienze che sfuggono anche se limitate o non eterne, e il dono che ne deriva.

La vita ci offre continuamente doni, anche se limitati.

Per dono limitato si intende la sensazione che anche un semplice gesto o atto può portare per pochi istanti, senza pretendere che esso duri per sempre.

Ed ancora, apprendere a cogliere energie da una capsula spaziotemporale (il dono di un frame), fa parte di nuove abilità da coltivare in sé e negli altri.


[1] Vedi, tra i contributi di ricerca sul tema: Davidson, R. J. (1998), Understanding Positive and Negative Emotion, in LC/NIMH conference proceedings “Discovering Our Selves: The Science of Emotion”, May 5-6, 1998, Decade of The Brain Series, Library of Congress, Washington DC.

[2] Schutter, D. J., van Honk, J. (2006), Increased positive emotional memory after repetitive transcranial magnetic stimulation over the orbitofrontal cortex, Journal of Psychiatry and Neuroscience, Mar. 31 (2), pp. 101-104 (Department of Psychonomics, Affective Neuroscience Section, Helmholtz Research Institute, Utrecht University, Utrecht, NL).

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

La relazione tra energie personali e aspirazioni personali

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.2. Gli effetti positivi delle immissioni di energie sui livelli di performance e di aspirazione

In termini di psicologia positiva notiamo che l’immissione di energia in una qualsiasi cella può apportare maggiori energie al sistema, e quindi riflettiamo sul fatto che esistono molteplici modi e strade, enormi opportunità, per poter accrescere le energie personali e fare coaching e formazione di qualità.

La liberazione da una catena, o “togliere un sasso dal proprio zaino”, può aprire le strade della volontà per una scalata ulteriore. In generale, le immissioni di energie in un certo stadio aumentano il livello di fiducia in se stessi, autostima e percezione di autoefficacia. Aumenta il senso di libertà.

Le osmosi energetiche portano ad una maggiore propensione dell’indi­viduo verso l’assunzione di rischio positivo, di accettazione di sfide che prima il soggetto riteneva impensabili o troppo pericolose. Per rischio positivo intendiamo azioni che non siano minate da un livello di aspirazione malato, superumano e maniacale, condotte col cuore ma anche con la ragione.

I livelli di aspirazione sono decisamente correlati alle energie circolanti.

Gli studi scientifici di Bresson individuano il livello di aspirazione come “il risultato che un soggetto si dà per un fine da raggiungere, in un compito che ammette diversi gradi di realizzazione”[1].

A bassi livelli di energie personali corrispondono bassi livelli di aspirazione. Le energie si abbassano drasticamente, e i compiti o goal che l’individuo sente di poter gestire si richiudono sempre più entro una nicchia, sino ad implodere, se la tendenza non viene invertita.

Quando mancano le energie, ogni rischio assume sembianze mostruose, persino lo scendere in strada, o l’incontrare altre persone. Al contrario, forti osmosi energetiche positive (contaminazioni positive tra energie fisiche, mentali, competenze, volontà) conducono alla voglia e consapevolezza di poter accettare sfide e rischi superiori, persino lanciarsi con un paracadute, o condurre una operazione chirurgia al cervello (per un medico), o accettare la sfida di avere figli in un mondo difficile (per ogni genitore), o iniziare a pensare di potersi laureare, per qualcuno che aveva rinunciato a questa idea non sentendosi all’altezza, e tante altre occasioni di crescita.

Per questo motivo, nel metodo HPM, quando i canali per introdurre energie sono bloccati da un certo lato (poniamo i valori, o le competenze), è possibile sia teoricamente che concretamente aggirare questo ostacolo. Potremo partire dalla base delle energie fisiche, o da altri canali aperti o apribili, per incrementare le energie totali del sistema. È un lavoro sperimentato e funzionante nella pratica, di cui troviamo crescente supporto teorico.

Avviare il lavoro, e sbloccare i meccanismi, è più importante che fare un lavoro ingegneristicamente perfetto ma – nei fatti – solo teorico, vuoto.

L’effetto di trascinamento e di osmosi positiva avrà riverberi anche sugli altri stati altrimenti inaccessibili per via diretta.


[1] Bresson, F. (1965), Rischio e personalità. Il livello di aspirazione, in Trattato di Psicologia Sperimentale, a cura di Paul Fraisse e Jean Piaget (1978), Einaudi, Torino, p. 458. Edizione originale: Traité de Psychologie Expérimentale. VIII. Langage, communication et décision, 1965, Presses Universitaires de France, Paris.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

Le 6 aree di sviluppo per la crescita delle risorse personali

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

Le azioni di sviluppo del potenziale umano si dividono in:

  1. sviluppo bioenergetico: si prefigge di accrescere le energie del corpo, le forze fisiche, lo stato di salute, forze su cui poggiano tutti gli altri sistemi; vengono individuate sia azioni globali (es.: migliorare lo stato di forma fisico) che azioni localizzate su specifici micro-obiettivi, es.: aumentare la resistenza aerobica, migliorare la postura, rivedere l’alimentazione. Gli interventi si dividono in azioni (1) di riparazione (terapeutiche) o (2) di potenziamento; esse riguardano (a) economie dei distretti locali del corpo e (b) azioni centrate sull’economia corporea complessiva;
  2. sviluppo psicoenergetico: crescita delle energie psichiche, motivazione, volontà, spinta interiore ad agire e a progredire; rimozione di blocchi psicologici e stili di pensiero che impediscono di raggiungere il potenziale, individuazione delle auto-limitazioni, irrigidimenti cognitivi, credenze culturali autolimitanti o dannose per sé e per il team; lavoro di consapevolezza dei potenziali, riduzione dello stress negativo, incremento di autostima, lucidità decisionale, chiarezza delle proprie risorse interiori; il lavoro è sia sull’economia cognitiva generale (es.: ridurre l’ansia generalizzata, aumentare l’autoefficacia generale) che su economie di specifiche aree psicologiche in azione, es.: lavorare sull’ansia in un public speaking, o l’ansia pre-gara, o la visualizzazione mentale dell’evento;
  3. sviluppo delle micro-competenze: è un lavoro specifico, inteso come innestato all’interno di una matrice di obiettivi legati al ruolo. Richiede di individuare fattori che creano differenza tra un’esecuzione (1) scarsa, (2) normale o media, (3) un’esecuzione di alto livello (il nostro obiettivo finale). Gli esempi possono essere tanti. Es.: localizzare i dettagli che differenziano una vendita da principiante vs. una vendita di alto livello (dove sono esattamente le differenze?); capire le “distintività” (azioni, dettagli, micro-atteggiamenti, micro-comportamenti) che mette in campo un combattente professionista rispetto ad un dilettante, nella preparazione, e durante un incontro. O la differenza che c’è tra un rigore tirato bene e un rigore tirato male, o tra una riformulazione corretta e una sbagliata (per un terapeuta), o per un cuoco, il tempo ottimale di cottura e uno leggermente peggiore. La ricerca di dettagli delle performance può essere applicata in ogni campo. Possiamo localizzare le micro-competenze di un direttore, di un venditore, di un atleta, di un medico, di uno psicologo, di un negoziatore, di un educatore. Il lavoro sulle micro-competenze richiede sia una fase di riconoscimento (detection aumentata, stimolo della capacità di percezione e localizzazione) che una fase di formazione (lavorare sulle variabili prima isolate); produce inoltre un forte incremento della sensibilità ai dettagli, dell’attenzione, della capacità di trovare “cose concrete su cui lavorare”;
  4. sviluppo delle macro-competenze: le macro-competenze sono la connessione tra (1) il repertorio globale di abilità della persona e (2) il ruolo che quella persona vuole ricoprire. Le due sfere possono di fatto collimare perfettamente, o invece essere scollegate o ridotte (il che mette la persona in sicura difficoltà). Possono anche essere sovrabbondanti e anticipatorie dei futuri cambiamenti (creando agio e una condizione di maggiore elasticità e sicurezza). Prevedono l’esame del ruolo, delle aspirazioni, delle traiettorie, la rilevazione di gaps (lacune) e incoerenze professionali, analisi di bisogni di revisione o cambiamento significativo del proprio lavoro o della posizione professionale, dei ruoli giocati in campo; richiede valutazione e anticipazione dei mutamenti organizzativi cui dare risposta; sviluppo di una coerenza tra proprio profilo professionale e propri obiettivi di vita o obiettivi aziendali da raggiungere, tra le proprie aspirazioni e le opzioni reali dell’azienda e del team, ricerca di spazi nuovi di espressione;
  5. sviluppo della vision e del piano morale: localizzazione degli ancoraggi morali forti, dare spessore morale e senso alla vita e all’azione, costruzione e revisione di un piano di lungo periodo, costruire una linea di tendenza ideale, sognare e idealizzare una traiettoria di crescita positiva; coltivare saggezza nelle scelte, cercare un ancoraggio a valori guida, revisione della mappa di credenze morali e consolidamento di una filosofia di vita positiva. Comprende la ricerca di nuovi stimoli all’autorealizzazione, connessione a valori umani positivi e forti, senso pieno del fare e dell’esistenza, ricerca di un senso profondo dei progetti, trovare motivi e direzioni per cui vale la pena impegnarsi; e persino nuove aree di obiettivi esistenziali o/o professionali che diano sapore e senso alla vita, idee e pensieri ispirativi sui quali la persona non aveva ancora riflettuto.
  6. sviluppo di mete, traguardi, goal e progettualità necessaria: definizione di obiettivi precisi da raggiungere, misurabili, tempificabili; progettualità su risultati concretamente raggiungibili; sviluppo della capacità di gestione di tempi (time management) e progetti (project management), gestione efficace delle proprie risorse, capacità di concretizzazione, di realizzazione, abilità nel calare nella realtà un concetto o un obiettivo, trasformare una visione d’insieme in to-do-list (lista delle cose da fare); capacità di tradurre un ideale o un proprio valore in un piano di azione.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

The Book “Change Directors” by Daniele Trevisani, has been published in Russian (Akvilon Publishing)

The Book “Change Directors” by Daniele Trevisani, has been published in Russian (Akvilon Publishing)

Book "Change Directors" by Daniele Trevisani, Russian Edition by Akvilon, Kiev

Interview to Daniele Trevisani, author:

I felt it was important to give a personal contribution to Russian Speaking countries, in terms of a different approach to Business Management, Human Resources, Training Methods and Change Management.

I realized it was the right moment for Russian-Speaking Managers to have the occasion to read something different. Many European managers stard to be tired of US “fast and easy” management style, and wish to have something more rooted in the European tradition. This book fills a gap, showing management tools from a “Latin” cultural source.

There is a problem that I call “Gatekeeping”. Only a fews books pass the “gate” of translation. Usually, those books are the US best-sellers, and being best-seller does not always equal being best-thinkers. Many bestsellers use “fast a easy rules”… For this reason, only “fast and easy” memes (ideas) spread, are able to emerge, and this is a cancer for the world management community.

Managers need to think a lot, not less. Managers need no fast rules. Managers need wisdom, sincerity, maieutic approaches. Latin and Greek ancient rules are much better than Fast and Easy management manuals. I call these authors “Sellers of Easiness”, and I personally and professionally deprecate them.

The real US culture is deep and rarely gests the occasion to enter the best-selling books, rather, best-selling books are full of “easy and nice” rapid rules, those rapid and smart rules that create global economic catastrophes. My Latin Management Approach comes from the same roots of leadership models used in the Roman Empire Army, and from the thinkstyle of Leonardo da Vinci. Not from some 20 years old business guru that made easy money.

I hope that this book, full of suggestions and techniques about a Latin and European view on change management, can bring new approaches to Leadership Models, Organizational Grwth, and help all Russian Speaking Managers to use Latin wisdom, ancient tools that can help a lot.

My contribution in mainly from the point of view of an international management trainer and Human Potential researcher, but it is an interesting observational point of view. Sometimes a mountain to see things from above. I hope this book will help everybody in Russia, Ukraine, and any other Russian Speaking Region, to see new concepts that were not under our attention before, and to help managers and politicians to get a much higher focusing, train managers with new methods,  promote growth and development.

Feel free to write me at the address in www.danieletrevisani.com for any comment about the book, I will appreciate.

Daniele Trevisani, Studio Trevisani Human Potential & Communication Research, www.studiotrevisani.it

Coop Atlantide Cervia – Gruppo Comunicazione

Atlantide collageAtlantide, Cooperativa leader nel campo dell’educazione ambientale, si occupa di educazione, formazione, ricerca e divulgazione, piani di comunicazione ambientale, consulenza per la promozione delle attività connesse all’ambiente (promozione del riciclaggio e raccolta differenziata, formazione di insegnanti e formatoti,  educazione nelle scuole). Segue inoltre i progetti di enti pubblici e aziende che intendono dare un contributo allo sviluppo e salvaguardia ambientale.

Il progetto formativo, condotto dal dott. Daniele Trevisani per Cesvip Ravenna (finanziato dalla Provincia di Ravenna) è finalizzato a potenziare le competenze comunicative del capitale umano di Atlantide, coinvolto nella comunicazione al cliente e nella progettazione delle azioni educative.

Abstract, in English_____

Coop Atlantide, leader in the field of Environmental Education in Italy, conducts environmental education plans, training, research and promotion of environmental consciousness and practices. Atlantide works as consulting agency for public and private companies, and public administrations, to provide professional projects. Atlantide takes care of planning and execution of projects in environmental education and environmental communication, both in creative terms, and in practical field activities.

collage4Dr. Daniele Trevisani is one of the leading Italian trainers in communication and management, acts as training consultant and coach, serving as communication trainer and training expert in several training projects whose objective is to raise interpersonal and strategic communication skills. Serving as consultant for Atlantide’s Human Resources projects, his aim is to increase Human Potential Effectiveness and Organizational Performance in the company.

Micro-video con concetti base sugli stili comunicativi, e applicazioni alle riunioni aziendali e altri contesti lavorativi

dr. Daniele Trevisani, www.danieletrevisani.com – micro-video  riassuntivo di alcuni concetti per una buona comunicazione:

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=xm5SxIyEsJE]

Per fare della formazione seria sulla comunicazione vera in azienda riflettiamo su diversi punti. Ne segnalo alcuni tra i tantissimi:

– è inutile investire tanto in comunicazione esterna (es: pubblicità) e non curare le comunicazioni vere di ogni giorno. Quando le comunicazioni interne reali (email, telefonate, incontri, colloqui, riunioni), tra persone, tra manager, e nei team, e coi clienti, sono inefficaci, l’azienda ne soffre ogni giorno. Le decisioni sono rallentate, le persone perdono tempo e motivazione, e ogni azione aziendale diventa lenta e faticosa e persino dannosa. Chi vuole risultati deve smettere di considerare la comunicazione come “pubblicità esterna” ed entrare nella mentalità della attenzione alla qualità in ogni micro-comunicazione quotidiana, sia interna che verso il cliente, in ogni contatto quotidiano.

– ogni comunicazione è caratterizzata da contenuti (il “cosa”) e da uno stile comunicativo (es: poetico, assertivo, pessimista, ottimista, prolisso, burocratico, decisionista, politichese, etc).

precisione e chiarezza del linguaggio sono fondamentali per non perdere tempo in azienda. Per ogni situazione occorre saper utilizzare stili diversi, es: poetico-visionario in una apertura motivazionale, concreto e pratico nella fase operativa

– per trasferire bene le informazioni occorre applicare concetti di “economia della comunicazione” (quante risorse uso, per ottenere cosa) – quanto impegno le mie risorse e le risorse altrui, e con che effetti

– dobbiamo distinguere i messaggi di tipo emotivo (che richiedono tempi diversi ed economie diverse) dai messaggi di tipo strettamente informativo, chiarire se vogliamo fare un colloquio in profondità con un collaboratore, o dare un semplice imput

aziendalese e politichese diventano non solo linguaggi, ma abiti mentali e atteggiamenti in cui le persone si nascondono per “fare altro”, esibirsi, o “fare melina”, anzichè preoccuparsi di trasmettere informazioni o condividere messaggi veri

– nelle riunioni aziendali notiamo spesso “diseconomie della comunicazione”, caratterizzati da uscite di tema frequenti, divagazioni, invasioni di atteggiamenti e temi improduttivi, in cui si impiegano 4 ore in chiacchiere inutili e auto-rappresentazioni, monologhi e show personali, per prendere decisioni o fare analisi che richiederebbero 20 minuti.

Vedi altre info e risorse in:

http://www.studiotrevisani.it (sito istituzionale in Italiano)

http://www.medialab-research.com/rivista.htm (iscrizione alla rivista gratuita di comunicazione Communication Research)

http://studiotrevisani.wordpress.com – blog con video, schede e risorse per la psicologia della comunicazione, formazione e management

Per una formazione vera, centrata sugli effetti

Cosa significa realmente “fare formazione centrata sugli effetti”

La formazione centrata sugli effetti vuole ottenere cambiamenti ed effetti reali, dimostrabili

Centrarsi sugli effetti significa fare corsi in cui – al termine – deve essersi prodotto un cambiamento vero, sostanziale, positivo. Il nostro metodo privilegia le esercitazioni pratiche di sviluppo delle abilità di analisi, di comunicazione e di progettualità. Questo atteggiamento di fondo va oltre i corsi marketing e la formazione marketing in senso teorico, o la formazione per la leadership o per la comunicazione. Toccano soprattutto aree delicate come la formazione per la negoziazione, la formazione formatori, la decisione, la comunicazione persuasiva e la comunicazione nei team.

Segnali di corsi condotti e mal progettati: da cosa stare alla larga. Proponiamo 3 categorie specifiche, per partire, i cui segnali, anche contrastanti, possono denotare una scarsa centratura sugli effetti:

1.      Abbuffata di slides: esito: “mi sono annoiato”, si tratta di un risultato negativo, in quanto probabilmente il partecipante non avrà vissuto reali situazioni di sfida, sarà rimasto “alla superficie” delle cose, senza mai entrarvi. Non si impara a nuotare con slides sul nuoto, quindi è determinante correlare gli stimoli didattici agli obiettivi da produrre. Poiché gli stimoli didattici e formativi sono stati insufficienti se rimangono sul piano teorico, diminuiscono la motivazione; i corsi devono anche far scoprire ai partecipanti elementi su cui lavorare, creare dubbi, stimolare al cambiamento, far sperimentare.

2.      Diverimentificio. Il partecipante commenta “mi sono divertito”, cui fa seguito un “nulla totale” in termini di cambiamento prodotto dal corso, una ricaduta-zero sulle azioni quotidiane. E’ un risultato tipico di tanta formazione “da giochetti formativi” che puntano al divertimento puro del partecipante e non al cambiamento da indurre, formazione mal progettata, fine a se stessa. L’investimento in formazione non si misura in semplice divertimento o intrattenimento. Creare un buon clima di apprendimento è importante, produrre un clima positivo altrettanto, ma questi sono solo aspetti di facilitazione, non i veri obiettivi finali per cui si investe in formazione.

3.      Accademia snob. Altro caso drammatico è l’intervento degli “accademici che parlano dall’alto”. Questa categoria contiene professori stipendiati dalle università, che combinano entrate in formazione “una tantum” contando sulla base sicura dello stipendio pubblico. Questo produce in genere un atteggiamento di superiorità. Da notare, che in diversi ambienti universitari la consulenza esterna viene amichevolmente denominata “marchetta”, con tono spregiativo, la dove invece in altri paesi (es, USA), è un denotatore fondamentale di capacità applicativa. In Italia il baronato è riuscito ad isolarsi talmente tanto dal mondo reale da generare un appellativo contaminato di “prostituzione” alla consulenza in azienda. Oltretutto, se non bastasse, mancano a molti le esperienze vere, lo “sporcarsi nel fango”, es: senza avere esperienza diretta e continuativa di vendita è difficile capire cosa significa realmente vendere e fare marketing, e insegnare a farlo, e questo vale in tanti altri campi: chi non ha diretto team con il rischio di fallire (non team di cui non paga gli insuccessi in prima persona) ha ben poca esperienza per poter parlare di leadership. Per compensare la scarsa capacità pratica, l’accademia “pompa” il linguaggio, lo rende ostico, lo “ingrassa” e lo complica per darsi un tono, con il risultato di non farsi capire. L’ingresso in azienda di persone specializzate nel parlare senza avere sperimentato, nel propinare slides teoriche, abituate a osservare i problemi da lontano, senza pratica diretta di ciò che propone, porta a teorizzare di massimi sistemi astratti, disinteressandosi allo stesso tempo, completamente, delle applicazioni concrete, delle problematiche pratiche, dell’assorbimento dei concetti, e di chi si ha di fronte.

Qualsiasi sia il tipo di risultato che vogliamo ottenere, questo tipo di formazione non ci interessa.

Quello che serve nella formazione è chiedersi (e chiarire bene con la committenza) (1) quali effetti vogliamo produrre, (2) in chi, (3) in quanto tempo, e (4) costruire una regia di stimoli (formazione, letture, esperienze, e qualsiasi altro stimolo efficace) che generi veramente l’effetto da produrre.

Daniele Trevisani

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Nota

Un approfondimento del metodo delle “Regie di Formazione” è visionabile al link www.studiotrevisani.it/alm1