X-Y vs. formazione pic-indolor, spettacolo e burattini

La formazione a volte perde di vista il suo motivo di esistere, viene trattata da clienti e partecipanti come se fosse uno spettacolo, un intrattenimento… partecipanti che valutano i professionisti su cose che non conoscono, terrore dei formatori verso le schede di valutazione, corsi brevi sempre più brevi, effetto pic-indolor… la punturina formativa che non fa ne bene ne male… quasi un ritocco, un lieve maquillage, una iniezione antirughe, un lifting estetico che non deve toccare altro che la superficie…

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Anche il linguaggio aziendale non è più corretto: “corso” può significare di tutto, da un corso di excel a un corso di leadership… da un lavoro serio accompagnato da una seria analisi ad un lavoro superficiale fatto per sopportazione o per obbligo normativo…

il potere contrattuale è nelle mani di chi ha poca o nessuna conoscenza della materia formativa, e pretende di decidere come farla… nessuna continuità… guai dare da leggere qualcosa fuori, tutto deve essere svolto in una giornata o poco più… andare contro tutto questo è una missione in sè… nessun medico serio tratterebbe un malato in modo superficiale con n. 1 pastiglia magica, non esistono pastiglie magiche. Anche nello sport, nessun preparatore atletico serio accetterebbe di portare qualcuno alle olimpiadi con un training di 1 giorno… La vera rivoluzione sarà il passaggio dai corsi alle Regie Formative, ho dedicato un intero libro a questo, 2 anni di lavoro, e se anche una sola impresa o una sola persona ne traesse beneficio – e riuscisse a produrre qualcosa di utile per il genere umano – non sarebbero stati anni  sprecati – su questo metodo ho messo diverse schede scaricabili al sito http://www.studiotrevisani.it/hpm1/     

 

Da: Regie di Cambiamento, FrancoAngeli editore
Da: Regie di Cambiamento, FrancoAngeli editore

 

 

…la serietà di chi acquista e di chi fornisce formazione e coaching sta anche e soprattutto nell’analisi: fare un ragionamento serio sul divario tra X (come sono le cose ora) e Y (come vorrebbe il cliente che diventassero dopo). Poi, mettere in campo risorse serie (professionsti preparati, coach, formatori, regole aziendali, sistemi di organizzazione efficaci) nel passaggio da X a Y, è (quasi) tutto qui…

 

Daniele Trevisani – www.studiotrevisani.it 

I 2 coraggi, storie di capi, PNL e formazione – formazione vera vs. powerpoint e guru

Ci sono persone responsabili delle vite di tante famiglie. La loro responsabilità gli impone di imparare, il massimo, da chiunque, perchè i loro errori possonono fare danni enormi a catena, mentre le loro decisioni giuste fanno bene a tantissimi. Non si impara quindi solo per sè, ma anche e soprattutto per dare qualcosa agli altri. Allora parliamo un pò di partecipazione “vera” a “corsi veri”, da parte dei decisori. In 20 anni di lavoro “ho visto cose che voi umani neanche immaginate”, per rendere un omaggio a Blade Runner, e voi stessi ne avete viste forse anche di più.

Avrete notato come molti manager di altissimo livello tendono più a “mandare qualcuno” ai corsi e “farsi raccontare cosa è successo”, magari in 5 minuti (perchè “loro” hanno da fare, sempre, incondizionatamente, cose più importanti, mentre voi sapete benissmo che non è così). Anzi, il mestiere di un manager dovrebbe soprattutto essere acquisire conoscenza, competenze, e meditare sulle decisioni, non si perde tempo se si sta riflettendo, se si analizzano scenari, se ci si chiede dove andare, quello non è tempo perso.

Non tutto è nero, lo dico subito. Io di persona ho tenuto corsi a Generali e Ufficiali dell’Esercito disposti a mettersi al pari di una recluta e imparare da me qualcosa di nuovo, e li ho aprezzati soprattutto per questo, come persone, per la loro umiltà e spirito di crescita, il “fuoco sacro” dell’apprendimento e della ricerca. Ho avuto in workshop di ogni tipo Amministratori Delegati e top-managers desiderosi di ripensare completamente al loro futuro e rimettere in modo la vita e le aziende, e li ho aiutati. Ma la maggior parte non è così. I più, tocca dirlo, sono boriosi di uno status spesso non guadagnato col sudore, non danno alla formazione un valore superiore a quello di una “gita”, e al massimo vanno a delle sottospecie di conferenze autocelebrative promosse da associazioni o enti, dove ascoltano un qualche fesso, amico di qualcuno, un furbetto del quartierino, che spara minchiate, e si rassicurano di essere “già a posto”, escono precisi identici a come sono entrati. E’ incredibile, ma certe persone odiano chi li fa pensare e amano chi li ruffiana…

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E se il corsetto (scusatemi, il “workshop”) dura meno di due ore (ed è di venerdì pomeriggio), è anche meglio… sai, “noi dobbiamo lavorare, mica possiamo perdere tempo ai corsi”… (un mio amico ha commentato… bravo stronzo, poi ci chiediamo perchè le nostre aziende se le comprano gli stranieri)

La formazione deformata è la norma, è indolore, è una suppostina piccola piccola, bella lubrificata, e si scioglie subito, non la senti neanche.

E’ quella che confonde un paio d’ore di “aggiornamenti sulla 626” o altro obbligo di legge, con un ragionamento serio su dove guardare al futuro.

La formazione vera è un’altra cosa. Non è un “corso” ma un “percorso. La formazione vera è quella che ti fa riflettere e sperimentare, ti fa uscire diverso da come sei entrato, è quella che ti fa nascere qualche dubbio sulla correttezza di come agisci, ti fa incuriosire verso nuovi modi di gestire, ti offre nuove visioni che ti allargano la mente, spunti che fanno bene a te e alla tua azienda…, e ti aiuta a capire dove sbagli. Non sempre è solo seriosa teoria, possono esserci momenti divertenti, ma il succo del discorso deve andare alla radice di come pensi e di come ti comporti.

Un resoconto recentissimo parla del grande successo di una formatrice americana che in una convention ha fatto alzare tutti e ballare… che cazzo c’entra? Cosa hanno imparato? La sopresa non è tanto nel comportamento della formatrice americana “alla Robbins” o alla PNL-maniera, quanto nel fatto che uno non si senta sufficientemente idiota nel ballare in un corso… a meno che (caso rarissimo) non si tratti di un momento di ingegneria formativa in un percorso più ampio (questo può capitare, ma nel caso specifico, la sessione consisteva appunto nel ballare al suono di “we are the champions”, panzoni sfigati che si dicono di essere campioni, è stupendo, surreale, è una apoteosi della lobotomia).

Poi, la formazione vera ti fa sperimentare ciò di cui si parla, non si limita a raccontare. Se fai formazione sulla leadership, devi fare esercizi concreti che ti permettano di testare le tue capacità e capire dove puoi migliorare, non solo leggere le “regolette da un minuto” sparate da qualche povero imbecille americano, inglese, francese, manager americano da un minuto, o da dove cavolo viene.

Un mio cliente aveva letto tutto sulla leadership, e anche di più, e questo mi ha insospettito. Ho deciso di fare pratica. Abbiamo simulato alcuni colloqui con i suoi collaboratori, e nei fatti non aveva alcuna capacità di “ricentrare” gli argomenti di conversazione, se non ricorrendo al bastone del capo (la strategia conversazionale è ben altra cosa), o “facendosi fottere senza accorgersene” (prassi abituale). Nei fatti,  non aveva mai praticato esercizi di “leadership conversazionale applicata”, per quanto piena fosse la sua biblioteca… con esercizi mirati ha capito dove sbagliava, e dal giorno dopo ha iniziato ad applicare… poi in altri incontri ha perfezionato la tecnica, e in altri ancora abbiamo affrontato nuove tecniche e nuove aree, in un crescendo di apprendimento… (una fatica da bestia, giuro, non fare una semplice lezione e cavarsela così)… ma i furbetti del quartierino che circolavano in azienda sono stati smascherati, ed è solo l’inizio di una scoperta che non ha fine, non si finisce mai di imparare. E’ un atteggiamento di fondo di apprendimento permanente, e vale anche per me.

Altra differenza tra la formazione vera è le “porcate formative”. Un mio cliente mi racconta di essere stato avvicinato da un certo personaggio, il quale sosteneva che in 1 settimana di coaching “lo avrebbe smontato e rimontato”, scardinando tutte le sue credenze limitanti, e sostituendole con quelle potenzianti. Era un praticante di PNL, ex assicuratore, convertito alla formazione.

La PNL a mio parere può essere:

(a) una tecnica sopraffina: in mano a pochi, selezionati, seri ricercatori e professionisti, che la usano in modo integrato (ripeto – integrato con altre tecniche, le quali, tutte, richiedono anni e anni di pratica e studio, non 2gg di corso che ti certificano come “esperto”). Così considerata, è  un tassello importantissimo, rispetto ad un panorama di tecniche più ampio: un elemento utilissimo, ma non il solo, di un repertorio di tecniche psicologiche più vasto – ripeto – più ampio della sola PNL. La PNL è una risorsa ma è solo una delle tante discipline utili,  ma non è la sola, non è la risposta a tutto, non ha, ad esempio, molto a che fare con la ricostruzione esistenziale delle persone (approccio Rogersiano) che costituisce parte essenziale del bagaglio formativo del formatore umanistico. Ma la PNL può esssere anche:

(b) una accozzaglia di puttanate da orgia dell’imbecillità, praticate da persone che si autoproclamano esperti e non lo sono, “magia” per poveri creduloni, praticata da improvvisatori, sfigatissimi discepoli di sfigatissimi guru motivazionali che “hanno capito tutto” mentre il resto del mondo “non ha ancora capito niente”, una accozzaglia di tecniche “magiche”, che funzionano in 5 minuti la dove migliaia e migliaia di serissimi ricercatori e psicologi si fanno il culo inutilmente, lei, la magica PNL, arriva e risolve tutto, dall’alto delle sue manipolazioni di modalità e submodalità. Diciamocelo seriamente: nessuno di noi vorrebbe avere a che fare con PNListi di tipo B, mentre incontrare quelli di tipo A sarebbe decisamente una grande fortuna.

Parlo ai PNListi: è obbligo morale e vantaggio professionale andare assolutamente a rivedere o recuperare i testi dello psichiatra Roberto Assagioli (ideatore della Psicosintesi), da cui tutto è partito, e di Maxwell Maltz (Psicocibernetica), per capire veramente da dove viene la PNL, non credete a niente di quello che vi dicono sulla PNL, nemmeno i fondatori, finchè non avete letto questi testi sull’utilizzo delle immagini mentali: tutti i testi di Roberto Assagioli, e Maxwell Maltz, tra i primi.

Ora, diciamocelo chiaramente: le persone non sono macchinette da smontare e rimontare, non esistono “magie” e “maghi” contro uno stuolo di imbecili psicologi ed sperti in scienze della comunicazione che hanno perso 20 anni a studiare per niente… non credete a queste palle… 20 anni di studio sono il minimo per capire qualcosa su come funziona la mente umana e come potere dare un contributo esistenziale serio…  non è un caso se esistono Senior e Junior, non è inutile lo studio. La formazione vera deve avere un approccio più umile, “centrato sulla persona”, o Rogersiano, deve essere una consulenza di processo, una contribuzione, non abbiamo davanti a noi imbecilli mentre noi formatori siamo guru da venerare, spesso siamo più ignoranti di loro, la vera differenza sta nel nostro voler aiutare sinceramente, non nel fare i “meccanici saccenti”, questi non servono a niente.

La formazione vera non “smonta e rimonta” ma fa “provare e riflettere”, e rispetta le persone (esclusi gli imbecilli). Questa è la formazione vera, non i powerpoint sparati a raffica…., non i modelli preconfezionati e le verità predigerite, i “managerialesi incravattati”, il club del golf, i “minchiotronici” guru motivazionali che ti dicono che avrai successo se solo lo vuoi, che sei un perdente, che il tuo valore si misura in base a quanto hai guadagnato, i calvinisti del successo, che pensano di sapere tutto non ti insegnano niente… fare formazione vera richiede

1 – il coraggio del formatore di far sperimentare alle persone come agiscono nella “verità” della loro azione quotidiana e fargli scoprire come migliorare… sapendo che questo li espone in prima persona (dis-anestetizzare le pesone dalle abitudini e apatie non è sempre indolore) e

2 – il coraggio di chi partecipa di mettersi in discussione…

…due coraggi estremamente rari….

Daniele Trevisani

ps… per chi ne vuole sapere altre o dire la propria ( io ne ho altre da dire e immagino anche tu), ho messo un gruppo su Facebook inerente i temi di formazione e potenziale umano http://www.facebook.com/group.php?gid=44520376739 in cui scambiarsi di tutto, da sfoghi a opinioni bananli ad articoli serissimi e link a risorse che ci piacciono. Un pezzo sulla polemica tra formazione vera e falsa esce nel prossimo numero della rivista CR (gratuita completamente e autofinanziata = senza bavaglio, chi non è già iscritto la può vedere al link http://www.medialab-research.com/rivista.htm ) . Il punto sulla formazione deformata non finisce qui, dite la vostra, esprimetevi, questo è solo l’inizio…

Fare formazione nel turismo partendo dai comportamenti reali

Un obiettivo della struttura turistica: creare fluidità di azione e comportamento “scorrevole”

© Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Copyright

Se pensiamo ad un dilettante, di qualsiasi disciplina sportiva o manageriale, o in un’area della vita (anche banale, es: cambiare un pannolino per la prima volta), e osserviamo i suoi movimenti, li troveremo goffi, impacciati, “a scatti”, non armonici. La “prima volta” è quasi sempre un atto intriso di goffaggine.

Se studiamo una persona padrona di sè nella propria attività, possiamo intravedere movimenti fluidi, armonici, rapidi o lenti ma sempre concordanti tra loro. Oltre alla fluidità fisica del movimento, notiamo un senso di dominio generale, una sicurezza che deriva dall’“essere padroni” della situazione.

Lo stesso accade nelle strutture turistiche. In un campeggio, in un hotel, in un villaggio, in una città, il cliente si accorge subito da pochi dettagli se il personale di front line, gli operatori, e la direzione, sono formati, sono fluidi, o sono spinosi, o impacciati, o litigano tra di loro, se hanno o non hanno a cura la comunicazione verso di lui. Quando tutto fluisce il cliente ritorna.

Questo modo di operare viene chiamato anche “agire in stato di flusso”, e vale sia per le attività fisiche che per le attività manageriali, come il condurre una trattativa o negoziare, o gestire il clietne

La palestra di formazione intende mettere il soggetto in condizioni di sperimentare progressivamente diversi “esercizi” sul cambiamento nella direzione desiderata. Intende alimentare la padronanza, la sicurezza di sè, la certezza delle proprie capacità, far lavorare la persona verso una progressiva assimilazione profonda che porti alla fluidità.

Nelle arti marziali esiste la consapevolezza che l’acquisizione di una tecnica diventa reale solo quando il soggetto non deve fare più alcuno sforzo mentale per padroneggiare la tecnica, ma essa fuoriesce da sola, completamene assimilata e integrata nel self:

Portare una sciabola, maneggiarla, dominarla, diventare una cosa sola con essa, è una pratica alla quale la spiritualità non è aliena. La spiritualità, intesa come lo spiritus – l’”alito essenziale”, il “soffio” dell’anima, controparte della materialità – trova la sua maggiore realizzazione proprio attraverso la cosa più densa, solida e concreta, il metallo. Curiosamente il “metallo”, nella tradizione cosmogonica Orientale (Go Kyo), è l’elemento che comprende i polmoni, come organo, e la loro funzione, la respirazione.

L’Iaido, l’”Arte dello sfoderare la sciabola tagliando”, è stato dominato da due tipi di scuole, opposte e complementari. L’una, incentrata su formule più rigide e ritualizzate; l’altra, focalizzata sul dominio della più nobile delle armi attraverso la fluidità. Senza dubbio, il Maestro Akeshi appartiene a questo secondo genere, come ha dimostrato più volte nei suoi lavori in video.

Secondo questa linea, l’essenziale non è tanto il gesto o la forma, ma la sensibilizzazione ed il dominio. Solo allora, il praticante è in grado di aprirsi all’atto magico dell’esecuzione impeccabile ed economica, alla maestria, che è lo scopo che, nella sostanza, tutte le scuole marziali perseguono al suo massimo livello.

Per questo il Maestro Sueyoshi propone una metodologia di allenamento, nella quale l’allievo deve familiarizzare con la sua arma fino a quando essa si trasforma per prima cosa in un’estensione delle sue mani, poi del suo corpo ed infine della sua respirazione[1].

 

La palestra di cambiamento e di formazione nel turismo intende portare il soggetto a “dominare” il campo di cui vuole impadronirsi, diventare una cosa sola con esso, e non solo farvi un “riscaldamento teorico”. Concetti come ascolto, gestire il reclamo, dare informazioni con piacere, seguire i bisogni del cliente, creare rapporto, creare fiducia, devono passare dal teorico al pratico, con un coaching e una formazione adeguata.

Il passaggio del dominio dell’arma è suggestivo; il metallo che diventa prima oggetto inanimato, poi estensione dell’arto, poi estensione del corpo, ed infine estensione della respirazione. Questa visione rende bene la metafora sottostante al senso di acquisizione profonda di una tecnica o disciplina.

Anche l’empatia – un esempio di tecnica manageriale e comunicazionale – può essere vista prima come semplice tecnica da memorizzare (imparare formule comportamentali e domande da porre, o frasi preconfezionate da pronunciare meccanicamente), poi può diventare un’abito mentale, fino a trasformarsi in un modo di essere. La formazione che funziona nel turismo è quella che tocca e fa sperimentare con esercitazioni le azioni quotidiane, vere, che permea la persona senza sforzo, che parla di qualcosa che il cliente tocca con mano, essere ascoltato e capito. E questo lo porta a stare bene e poi a tornare. La formazione serve per questo.

Lo stesso vale per ogni altro target di cambiamento, sia esso la vendita,  l’assertività, o la sicurezza in sè e l’autostima o ancora la capacità di decision-making o di leadership.

Il senso della spiritualità del percorso, della palestra, della bottega di apprendistato, pervade ogni serio percorso di formazione o di cambiamento. Anche nel turismo.

Copyright Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it

 

Fonti:

Daniele Trevisani (2007). Regie di Cambiamento. Franco Angeli editore, Milano.

Daniele Trevisani (2008). Psicologia delle performance e del potenziale umano. Franco Angeli editore, Milano (in pubblicazione).


[1] Grassetto nostro, da: Tucci, Alfredo (2005). L’arte senza artificio. In Budo International, settembre 2005, p.24.

© Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Copyright, è probita la copia o divulgazione senza la citazione dell’autore e del sito di provenienza.

1.5. Capsule spaziotemporali e finestre di sensazioni

 1.5. Capsule spaziotemporali e finestre di sensazioni

Per accrescere il proprio potenziale bisogna apprendere nuove abilità, e si tratta spesso di abilità sottili, sfuggenti, impalpabili.

Imparare ad apprezzare le “capsule spaziotemporali” è una delle aree di apprendimento del metodo HPM, centrale sia nei piani di crescita personale, che nello sviluppo delle prestazioni.

Una capsula spaziotemporale è un segmento del tempo e dello spazio dotato di significato proprio. Può trattarsi di pochi minuti di un incontro, o del segmento di tempo di un allenamento, o di un qualsiasi brano di vita. La vita è piena di stupende “capsule” non viste.

In una capsula o frame (finestra, brano di esistenza) possono trovarsi esperienze meditative o fisiche, riflessive, o invece molto attive e dinamiche, valori e significati, da vivere soli o in compagnia.

I sensation seekers (cercatori di sensazioni) sono alla continua ricerca di capsule spaziotemporali positive e ne traggono energie.

La matematica non è opinione.

Se vivi 2 momenti positivi la mattina, 1 al pomeriggio, e 1 alla sera, avrai avuto 4 momenti positivi nella giornata, al di là del loro contenuto. Se questo si ripete per almeno 5 o 6 giorni, avrai una settimana in cui prevalgono sensazioni positive. Se invece nella giornata hai avuto 1 evento negativo la mattina, 1 il pomeriggio, il vuoto esistenziale la sera, e nessun momento positivo di ricarica, avremo una sequenza di giornate che scaricano.

Alla fine della settimana, del mese, dell’anno, e della vita, saremo sempre più scarichi e rintanati in un guscio sempre più stretto. Al punto di non aver nemmeno più la voglia di guardare fuori, o peggio, la forza di cercare.

Ancora una volta, stiamo attenti a non confondere le capacità di rilassamento (un fatto in sé positivo, da apprendere e coltivare) con stasi, apatia e abulia, la perdita di voglia di vivere.

Le capsule non sono pastiglie da digerire per “tirare avanti”, ma momenti dotati di significato in sé e per sé. Hanno valore per come attivano le nostre sensazioni ed emozioni, e non come anestetico di altro che non va. Se ne hanno la proprietà, non è comunque questa la loro funzione.

Una capsula per qualcuno può essere un momento di allenamento in palestra o sul campo, “sentendo” un’attività intensa o che piace, una cena, la scrittura, la lettura di una lettera, o di un passaggio che colpisce in un  libro, un momento di solitudine guardando il tramonto, una preghiera, un gioco, un dialogo profondo tra persone, o qualsiasi altro brano di vita dotato di significato proprio, persino uno sguardo.

Il semplice fatto che un momento di esperienza sia dotato di significati dovrebbe farci rizzare le antenne, visto che senza significati la vita muore e le energie mentali si annullano. Le capsule sono contenitori di significati.

Spesso si ricerca il senso compiuto all’interno della perfezione. Capsule di durata eterna, anziché di durata limitata e praticabile. Questa è una delle più grandi bestialità che un essere umano possa apprendere, e se gli capita di incamerare questo virus, farà bene a disfarsene prima possibile.

Il contrario è saper cogliere il dono limitato. Per dono limitato si intende nel metodo HMP una finestra di sensazioni (Sensation Window – SW), ad esempio la sensazione positiva che si prova quando siamo in presenza di persone che ci piacciono, in quel preciso momento, anche non potendo possedere illimitatamente il tutto, tutto il suo tempo, tutte le sue ore o minuti.

O ancora, la sensazione che può dare un allenamento, persino un brano di un allenamento (training experience), senza per forza dover vincere qualcosa, e dover diventare campioni per forza. Apprezzare il training, oltre che il risultato che ne può derivare, persino indipendentemente da esso, è una nuova forma di competenza.

Di fatto, siamo poco allenati a riconoscere e generare finestre di sensazioni positive, e ben allenati verso quelle negative. Questo produce danni psicologici e fisiologici.

Tra i fattori determinanti del lavoro sul potenziale umano: 1) far apprezzare alla persona i frames esperienziali di cui si compone un’esperienza allenante o formativa, 2) scoprire sensazioni nascoste anche nei momenti più piccoli o apparentemente insignificanti,  3) aumentare la capacità di cogliere, percepire e assaporare il fluire di sensazioni, 4) diminuire le passività e aumentare la capacità di costruire esperienze positive e di crescita.

 

 

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Copyright, dal Volume:

“Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

1.6. Radicamento solido (grounding) e ali per volare

 1.6. Radicamento solido (grounding) e ali per volare

Le persone hanno bisogno di tante cose: cibo, acqua, amore, denaro oggetti, ma, ancora di più, hanno bisogno di radici su cui poggiare (grounding) e ali per volare, strumenti per raggiungere i propri scopi, sogni, aspirazioni, e non spegnersi.

Lavorare su entrambi i piani è il nostro credo fondamentale. È un lavoro diretto ad un potenziamento generale della persona, ad un suo radicamento solido, un ancoraggio su piattaforme salde, per poi poter guardare in alto.

È un rafforzamento indispensabile, necessità sulla quale non è bene chiudere gli occhi.

Questo bisogno è mosso da due grandi classi di motivi: (1) potenziarsi per il desiderio di raggiungere obiettivi che solo con energie elevate possiamo toccare, (2) sviluppare la resistenza esistenziale, saper incassare, farsi forti e assorbire i colpi che arrivano con forza, quanto più la vita si fa complessa e competitiva, e centrano l’individuo da ogni lato (fisico, psicologico, economico, esistenziale). Colpi a volte durissimi e imprevisti.

Gli unici a non subirli sono coloro i quali hanno abbandonato, sono protetti, o possono permettersi di non avere obiettivi. Anche per loro tuttavia, quando la situazione cambia, farsi trovare forti e preparati piuttosto che deboli e impreparati farà la differenza.

Per tutti gli altri, la giostra è aperta qui ed ora, non è possibile scendere, ma solo imparare a potenziarsi, capire cosa succede, prendere coscienza, smontare i meccanismi del gioco, prendere in mano qualche leva di comando, e governare il timone dell’imbarcazione che ci conduce.

Prepararsi e potenziarsi ha senso non solo peri l’oggi ma anche per un domani in cui vogliamo farci trovar pronti rispetto alle sfide che ancora non possiamo prevedere, l’imprevisto. E, come evidenzia l’umanista e scrittore francese Rabelais, verso il futuro è meglio essere preparati.

 

Bevo per la sete che è da venire

François Rabelais (1494-1553)

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Copyright, dal Volume:

“Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

 

Training per pensare

Esistono molti modi per fare training. Uno dei principali è insegnare alle persone a risolvere problemi. Un altro lato della medaglia è invece insegnare a costruire il nuovo. Se ci si focalizza solo sulle cose che non vanno, drammi e tragedie piccole o grandi, o problemi, ci si atrofizza-  dentro –  la capacità di pensare positivo.

Ci concentriamo solo sul “tappare le falle” e non sul “costruire qualcosa”.  

Credo molto invece che i problemi non vadano nascosti, ma abbiamo il dovere di coltivare la progettualità positiva.

La capacità di costruire va tenuta allenata anche e soprattutto nei momenti di difficoltà, e in ogni attimo della vita, per non parlare poi della formazione costruttiva, dove le persone possono essere invitate non solo a risolvere problemi ma a generare qualcosa… è solo un pensiero… ma riguarda un atteggiamento di fondo che possiamo e dobbiamo coltivare…

Fate un esperimento: ascoltate i discorsi, nei bar, o in azienda, e guardate se parlano di “tappare falle” o di costruire qualcosa di nuovo…. stili di comunicazione e stili di pensiero sono collegati.

un saluto Daniele

Imparare a comunicare (…viaggio nella scoperta delle proprie potenzialità)

Lo sviluppo della capacità comunicativa, professionale o personale, è un valore in sè, è un percorso continuo, un viaggio in dimensioni sempre nuove di scoperta e di crescita dei propri potenziali

©Copyright Studio Trevisani Communication Research. Tutti i diritti riservati. E’ vietata la copia non autorizzata o riproduzione senza citazione della fonte.

Vi sono persone abili nel comunicare, altri sono invece desiderosi di farlo ma bloccati o impacciati, mentre altri ancora sono del tutto incapaci di manifestare, esprimere, raccontare vissuti emozionali diversi, vivono bloccati entro una singola dimensione emozionale (autostereotipo), incapaci di uscirne, con ripercussioni negative sulle relazioni umane e professionali. La prima operazione da svolgere per lo sblocco comunicativo emozionale è quella di riconoscere in sè la volontà di cambiare e crescere. Perchè affrettarsi a farlo? i motivi sono diversi:

  • In una vita manageriale sempre più frenetica si trova sempre meno spazio per l’espressione personale. Tutto questo produce compressione delle proprie abilità, irrigidisce le persone e le riduce a maschere di se stessi, diminuendo drasticamente la qualità della vita e delle relazioni.
  • La condivisione delle esperienze emotive è una delle regole auree della leadership emozionale. Senza una buona capacità espressiva, il rapporto interpersonale rimane superficiale o freddo. Chi desidera avere solo rapporti superficiali o freddi può anche accettarli. Chi vuole andare oltre, deve sviluppare abilità di espressione emozionale. L’abilità di espressione emozionale misura il grado di difficoltà che un soggetto esperisce quando deve far scendere in campo la comunicazione delle emozioni, negative o positive che siano.

E’ possibile raggiungere una buona capacità di espressione emozionale tramite tecniche i metodi drammaturgici per la leadership. Tali metodi consentono di sbloccare il vissuto emozionale che si associa a particolari situazioni sociali e comportamenti della vita aziendale e quotidiana, tra cui parlare in pubblico, assegnare ordini e obiettivi, redarguire o criticare un collaboratore, motivare le persone, parlare con i propri cari ad un livello più profondo, o semplicemente far valere le proprie ragioni.

Tra i metodi utilizzabili prodotti da Studio Trevisani:

  • recitazione per lo sblocco emozionale sulla base di spartiti emozionali prodotti ad-hoc dallo Studio, modelli proprietari sviluppati partendo dalle ricerche di base sulla psicologia delle emozioni
  • recitazione dei tipi caratteriali tramite spartiti di Analisi Transazionale (AT)
  • recitazione di tipologie stilistiche espressive (prototipi stilistici) basati su modelli culturali esistenti
  • riproduzione di comportamenti di leader efficaci
  • tecniche di espressione corporea con adattamenti specifici provenienti dal metodo Stanislavski (tecniche per la formazione dell’attore)
  • realizzazione di role-playing situazionali
  • psicodrammi emozionali per la rivisitazione di interi brani di interazione professionale e l’emersione dei fattori critici su cui agire per ottenere un cambiamento

Ogni tecnica utilizzata, sebbene partendo da angolature diverse, si prefigge obiettivi comuni:

  • allargare il repertorio espressivo
  • sbloccare l’espressività personale
  • accrescere il senso di benessere e autostima che deriva dal riuscire ad esprimersi come si desidera
  • sviluppare sicurezza di sè nelle condizioni professionali e di vita
  • identificare ed abbandonare le gabbie emotive e condizionamenti comportamentali che impediscono alle persone di seguire il proprio percorso di crescita.

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1.1. Introduzione: un modello efficace per il lavoro sul potenziale umano

1.1. Introduzione: un modello efficace per il lavoro sul potenziale umano

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo dirige l’attenzione verso due diversi ambiti di applicazione:

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani superiori, ricercare, crescere.

Questo accade in alcuni particolari momenti della vita in cui diventa importante per noi realizzare qualcosa, migliorare, ed esprimerci.

Chiedersi qual è il proprio potenziale e quanto di esso abbiamo esplorato o raggiunto non è una domanda banale. Quando questo accade, un sentimento dentro di noi cambia. Dalla realtà esterna iniziamo a spostare l’attenzione verso la realtà interna.

Ci poniamo domande, alcune di queste possono fare male, altre aprire nuovi orizzonti, ma non importa, poiché esse ci mettono positivamente in discussione. Nessuna domanda è inutile quando ragioniamo sul senso e sul significato, ci chiediamo se e come vorremmo costruire qualcosa di cui essere fieri (una prestazione, o un contributo agli altri o ad una causa), o semplicemente essere diversi o migliori.

Per molti l’esito di una maggiore attenzione al potenziale personale è il desiderio di esplorarlo, o lasciare un segno, iniziare progetti, potersi guardare alle spalle ed essere fieri di come abbiamo vissuto, di quello che siamo e siamo stati, e dare un messaggio positivo a chi ci seguirà nel viaggio della vita. Per altri invece tutto rimane bloccato in una ruminazione mentale ininterrotta e auto-distruttiva. Energie bloccate che corrodono anziché produrre.

La differenza tra i due risultati (progetti di sviluppo vs. ruminazione mentale negativa) sta nell’avere un modello e un supporto che aiuti a individuare meglio i traguardi e i percorsi da intraprendere.

Insuccessi, cadute, blocchi, errori, fanno parte integrante di questo viaggio, ma il loro accadere non ne sposta minimamente il valore.

Ciò che differenzia un uomo da un sasso è che lo “stare compressi”, sepolti in un ammasso, essere trasportati senza chiedersi dove, o rimanere pressati e immobili, è accettabile per il secondo ma non per il primo.

L’uomo ha bisogno di volare, di esprimersi, di “ricercare”, e di dare senso alla propria vita.

Desiderare di progredire, porsi domande, “chi, cosa, dove, con chi, perché”, è un obiettivo o passaggio inevitabile per ogni anima sensibile.

Dare impulso al viaggio della vita ha sempre senso. Ne può avere sia che si desideri unicamente una propria evoluzione personale, o che invece il percorso sia finalizzato al percorso professionale e aziendale.

Entrambi i viaggi hanno spessore e valore. Ambedue sono degni di attenzione e di supporto, perché una persona ferma e spenta non è utile a nessuno, così come non è utile avere imprese e team incapaci e demotivati.

Senza un modello che ci aiuti a trovare le direzioni di crescita, il nostro sforzo può risultare nobile ma vano. Si corre, ci si affanna, si investono tempi ed energie,  ma spesso senza una buon mappa di orientamento. Il risultato è un’enorme dispersione.

Un buon modello, invece, aiuta a trovare più rapidamente la strada. Se un modello non offre stimoli, indirizzi e orientamenti, risulta completamente inutile. Un modello del potenziale umano, inoltre, può essere utilizzato in progetti concreti di coaching, di consulenza, di training aziendale, coaching sportivo, ma anche nel counseling, nei corsi di leadership, nella formazione. Da quando esiste, l’uomo si sforza di costruire mappe per orientarsi e non perdersi. Abbiamo mappe degli strati più profondi della terra, dei mari, del cosmo, ma – stranamente – non ci vengono fornite mappe efficaci per orientarci nel nostro sviluppo personale o nei territori del potenziale umano.

Il modello HPM contiene una concezione dell’uomo come articolazione di tre piani: (1) energie (fisiche e mentali), (2) competenze (skill, abilità), e (3) direzionalità (traguardi, obiettivi, valori, visioni, aspirazioni e sogni).

Il metodo HPM considera tutti i fattori evidenziati nel modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) come aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

Modello HPM, Copyright Daniele Trevisani
Modello HPM, Copyright Daniele Trevisani

Ciascuna delle 3 aree è suddivisa in due sotto-aree, per un totale di sei “celle di lavoro” utili nel aziendale training, nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza e nei progetti di crescita personale.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita. Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna i primi strumenti utili e operativi è invece già possibile.

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Copyright, dal Volume:

“Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Avanzamento e opportunità del coaching

Le persone lottano per dare senso e direzione alla propria vita, ma il groviglio per molti si fa sempre più complicato. Il tempo per risolvere i problemi sembra sempre meno, e le soluzioni che sembrano a portata di mano sfuggono non appena si tenta di raggiungerle. Il metodo HPM intende sbloccare l’evoluzione del percorso di sviluppo personale e aziendale, dando sostegno al lavoro di crescita.

Spesso questo richiede di tagliare i ponti con parti del passato, cedere abitudini, rimettere al lavoro il motore creativo.

I passi fondamentali:

  1. ascolto ed esplorazione delle proprie aspettative
  2. confronto personale sincero con persone in grado di fare la differenza (coach, trainer, terapeuti)
  3. ripresa del senso di direzionalità nel percorso di crescita
  4. sostegno al “ritmo delle operazioni”, dare continuità ai primi successi e capitalizzare la crescita passo dopo passo.