Moventi apparenti e moventi reali dei consumi

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Franco Angeli editore, Milano.

Quali sono i motivi reali per cui acquistiamo o ci comportiamo in un certo modo? Quali sono i moventi sottostanti per cui, ad esempio, uno studente sceglie di studiare in una biblioteca pubblica piuttosto che nella propria camera? Ed ancora, perché una specifica biblioteca universitaria (poniamo, la biblioteca di Lettere) e non un’altra (es: la biblioteca di Ingegneria)? Per ogni comportamento esistono dei moventi, delle ragioni sottostanti.

L’analisi dei moventi apparenti in un’intervista ad uno studente potrebbe portare a queste conclusioni: lo studente (Gianni) si reca in biblioteca perché lì si studia meglio. La biblioteca di lettere risponde al BSS (bisogno sottostante servito) meglio della propria camera. Offre un ambiente più silenzioso, quando servono vocabolari specialistici sono a portata di mano.

L’analisi dei moventi reali può portare a conclusioni diverse:

  • Gianni sta cercando una compagna. Sente un vuoto nella propria vita, e intuisce che sarà più facile incontrare una ragazza in un luogo pubblico piuttosto che nella propria camera.

  • Gianni cerca anche motivazione ad impegnarsi. La visione di altre persone che studiano conforta il nostro studente e lo incoraggia.

  • Gianni cerca anche di sentirsi a posto con se stesso. Sa benissimo che in casa accenderà lo stereo, navigherà in Internet, riceverà telefonate, questo lo distrarrà e alla fine della giornata si sentirà, come spesso gli capita, un perdente.

  • Gianni sente anche il bisogno di giustificare alla propria famiglia come sta spendendo il tempo di vita, che grado di impegno sta mettendo nella sua carriera. Passare il tempo all’interno dell’università in qualche modo produce in lui l’impressione di “aver lavorato”, di “avere prodotto”, e questo risolve alcuni problemi che ha verso la sua immagine di sè, rispetto all’essere in ritardo con gli esami e al sentimento di sapere di pesare ancora sulla famiglia.

  • Gianni frequenta la biblioteca di Lettere, (pur studiando Giurisprudenza) anche perché l’ambiente lo fa sentire più a suo agio. Lì non incontra i suoi colleghi di corso, e questo gli evita di doversi giustificare per essere in ritardo. A Lettere il suo ritardo negli studi è più normale e questo lo fa sentire meno pressato.

  • Gianni cerca anche un’identità. In un certo senso, nella biblioteca di lettere si sente un pò “diverso” rispetto agli altri, e questo lo aiuta a costruire una propria personalità autonoma, ha qualcosa da dire quando incontra qualcuno, che lo rende un pò diverso, un pò più interessante.

  • Nella biblioteca di Lettere, si formano spesso gruppi di studenti nell’atrio, è più facile incontrare qualcuno, parlare con qualcuno, venire invitati ad una festa, trovare chi ti chiede di uscire. A Giurisprudenza le persone vanno e fuggono, prese dalla carriera.

  • A dire il vero esisterebbe anche un’altra biblioteca, quella di Economia, ma lì proprio non si sente a suo agio. Tutti sembrano già dirigenti d’azienda, belli, abbronzati, decisi, sicuri, forti – diversi da lui – esistono circoli molto chiusi, e lì si sente un pesce fuor d’acqua.

Per tutti questi motivi e molti altri ancora, il nostro amico Gianni frequenta quella biblioteca. Alcuni di questi moventi possono essere in qualche modo emersi dal suo subconscio, altri no, agendo in background.

Quello che interessa nella nostra analisi è capire che il bisogno sottostante servito (BSS) ha sfaccettature multiple. Accanto al BSS primario, di facciata, o motivo principale di frequentazione della struttura bibliotecaria, esistono BSS secondari (moventi nascosti) che possono persino superare la forza del BSS primario.

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Dove si colloca l’utilità dei prodotti: risoluzione, omeostasi, anticipazione

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Franco Angeli editore, Milano.

Affinché avvenga un acquisto, è necessario che l’oggetto del desiderio svolga una funzione positiva sull’orizzonte psicologico del cliente. Le indagini sul campo svolte dall’autore hanno permesso di evidenziare tre proprietà distinte riepilogabili come segue:

(1) prevenire problemi che il soggetto ha già: il prodotto agisce come risolutore di un problema esistente, un problema che ha già iniziato ad agire sul campo psicologico del soggetto;

(2) mantenere situazioni positive: in questo caso, il prodotto ha una funzione di “manutenzione” o consolidamento di situazioni esistenti;

(3) agire per arrestare una minaccia futura e prevenirla: in questo caso, il prodotto viene acquistato per via della sua capacità percepita di arrestare minacce future, incombenti, che hanno una certa probabilità di verificarsi e mettono in pericolo la tranquillità psicologica del cliente.

Trattare le pulsioni d’acquisto significa, soprattutto, capire che posizione occupa il prodotto all’interno dello spazio/tempo del soggetto, identificare quale funzionalità il prodotto assume rispetto alla prospettiva temporale del consumatore/cliente.

Le tre macro-categorie di valori/proprietà di prodotto, possiedono una sostanziale differenza data dal tipo di orizzonte temporale sul quale esso agisce.

Se trasponiamo l’analisi al livello della vendita aziendale, le domande sottostanti sono – indicativamente – le seguenti:

  • Quali sono i problemi che l’azienda vive oggi? (analisi risolutiva).

  • Quali sono le situazioni attualmente positive di quest’azienda? (analisi omeostatica).

  • Quali sono i problemi futuri da prevenire? (analisi preventiva).

Queste domande sono assolutamente preliminari. Infatti, per ciascuna area, è necessario attivare un grado di introspezione superiore e cogliere il dettaglio della fonte pulsionale.

Per quanto riguarda il quadrante futuro, esisteranno pulsioni più forti se i problemi hanno una elevata probabilità di manifestarsi, ed un impatto sull’azienda estremamente negativo. Ad esempio, il timore della perdita dei migliori tecnici (i quali portano alla concorrenza i segreti industriali) può essere il movente fa scaturire la necessità di creare un piano motivazionale per il personale. Oppure ancora, il timore della perdita verso la concorrenza dei migliori funzionari commerciali (i quali trasferiscono verso di essa l’intero parco clienti e il patrimonio di conoscenza e contatti). Questi problemi assumono rilevanza maggiore rispetto ad accadimenti futuri meno probabili o meno gravi sul piano dell’impatto.

Una buona analisi temporale non può fermarsi all’esame superficiale delle risposte ma deve andare in profondità, alla ricerca dei veri moventi psicologici che spingono il decisore ad agire o non agire.

Le implicazioni per la comunicazione sono immediate: occorre sviluppare strategie persuasive che attacchino una o più leve temporali.

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Teoria e realtà negli acquisti attuati dalle imprese (psicologia del business-to-business marketing)

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Dal volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Franco Angeli editore, Milano.

Chi conosce più da vicino il mondo degli acquisti aziendali e della vendita, sa benissimo che le regole della “matematica formale” imposte dalle procedure di acquisto organizzate, anche nelle grandi imprese, non vengono sempre rispettate.

Si può fare di tutto per evitare che un fornitore risultato primo in graduatoria in una gara di appalto (metodo formale d’acquisto) venga in qualche modo escluso, eliminato, sino a compiere atti illegali, pur di non avere a che fare con quel soggetto – che per vari motivi non vogliamo all’interno dei nostri spazi fisici e psicologici.

Dal fattore umano, dalle simpatie-antipatie, dalle valutazioni soggettive, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali, dalle pulsioni subconscie ed inconscie, è difficile sfuggire. Questo determina, a volte, lo stravolgimento dei risultati formali, il fatto che vengano ricercate strade per “far vincere qualcuno” nella gara tra i fornitori, a discapito ed in barba delle procedure e delle regole scritte.

Questo accade in genere quando nelle procedure formalizzate di acquisto non sono presenti tutti i fattori reali di scelta (e del resto, è difficile inserirvi fattori subconsci ed inconsci). Ad, esempio, la nostra azienda può – abbastanza inconsapevolmente – considerare di fatto molto importante la capacità di ascolto dimostrata dal potenziale fornitore, ma nelle procedure di acquisto non vi è traccia di tale fattore. Questo genera distorsione ed errori.

Anticipando quanto diremo in seguito, per il venditore, in altre parole, è necessario agire sul terreno psicologico dell’impresa acquirente, inserendo le proprie offerte all’interno dell’orizzonte psicologico soggettivo del buyer.

Questo richiama la nostra attenzione sulla necessità, per qualsiasi azienda, di dotarsi di un metodo di vendita per lo sviluppo della competitività.

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Principio del Battle Rhythm: un decalogo per la vendita professionale

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

Il principio del Battle Rhythm consiste nel tenere un “ritmo di battaglia” nella vendita, un contatto cadenzato e incalzante sulle operazioni di vendita in corso, senza aprire troppi cantieri di vendita con il rischio di concluderne pochi o nessuno.

Nello specifico:

  1. Le attività di vendita vanno inquadrate in specifiche campagne e progetti, non lasciate al buon senso individuale o gestite come “progetti vaghi”.

  2. Le buone intenzioni vanno trasformate in buone operazioni, seguendo un concetto di “qualità totale” nella vendita e di Eccellenza Operativa, dove nulla di ciò che conta viene lasciato al caso.

  3. Ogni campagna e ogni progetto hanno responsabilità personali ben identificate, ruoli chiari e non confusi, team dedicati o persone dedicate, obiettivi ben inquadrati.

  4. Le cadenze di operazioni e contatti devono tenere “caldo” il progetto senza mai lasciarlo raffreddare, e portarlo sino alla conclusione.

  5. Ogni linea di vendita va portata avanti sino alla chiusura, sia essa positiva o negativa, e non può essere lasciata aperta a tempo indeterminato.

  6. Le energie vanno focalizzate e non disperse. Pertanto, non esiste una vendita generica ma l’organizzazione di progetti di vendita.

  7. Non esiste un flusso di attività indistinto ma una sequenza organizzata di operazioni (Operations) che vogliono produrre un determinato effetto (Effects-Based Operations).

  8. Le attività svolte entro ciascuna linea di vendita – telefonate, incontri interlocutori, mail, presentazioni, incontri tecnici, commerciali, negoziazioni, visite, pranzi, prove, ispezioni, dimostrazioni, etc. – sono tutte importanti, nessuna esclusa, e vanno sincronizzate tra di loro (principio della sincronizzazione operativa).

  9. Dobbiamo distinguere azioni che preparano il terreno dalle azioni di chiusura, seguire tra esse un principio di Catena degli effetti a cascata (una azione prepara la successiva), che prevede un buon coordinamento tra le varie azioni nella linea di vendita.

  10. Le varie azioni devono essere tra loro coordinate in una matrice globale – Effects Synchronization Matrix – che evidenzia graficamente e in tabelle comprensibili chi fa cosa e quando, e come sono tra di loro collegate le varie operazioni.

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

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Il fattore umano della vendita: le energie del venditore che opera in ambienti complessi

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

La vendita consulenziale è anche un’area di ricerca, supportata da diversi formatori e ricercatori. Tuttavia non è per tutti. Solo formatori Senior e venditori Senior di alto livello sono in grado di capire il valore di una ricerca seria sui processi psicologici di vendita e le implicazioni che la psicologia del marketing ha per chi opera sul campo.

Spesso, in questo campo, i formatori riempiono una lacuna dovuta alla totale assenza di interesse per il fenomeno della psicologia della vendita da parte del mondo universitario, quasi sempre “impegnato altrove” (conferenze, seminari, etc.), ma non sullo studio della vendita aziendale business to business.

Eccezione importante avviene negli USA, dove in alcune realtà accademiche di punta, la vendita è riconosciuta come una delle aree più importanti di ricerca da parte delle Business School che preparano i futuri manager, sia perché vi riconoscono un territorio di sperimentazione ricchissimo di sfumature (si pensi ad esempio agli studi di psicologia della persuasione) e anche per il fatto che essa viene riconosciuta come motore principale del successo delle imprese.

In pochi istanti di trattativa sbagliata si possono far saltare interi anni di lavoro. Il fatto di avere interessi in gioco molto elevati, fa dirigere attenzione verso quest’area da parte dei pochi e migliori istituti, ricercatori e imprese.

Tuttavia, i ricercatori che se ne occupano non sono venditori in prima persona, non hanno che una vaghissima e distante comprensione del fenomeno pratico che stanno studiando, e quindi mancano nell’includere nelle analisi fattori determinanti.

Si pensi ad esempio al problema pratico di quanto variano le capacità comunicative e conversazionali, le capacità di ascolto, e attenzione (es. cogliere o non cogliere una “mezza affermazione”) man mano che aumenta lo stato di stanchezza fisica e mentale del venditore o negoziatore.

Un venditore Senior è anche in grado di auto-monitorarsi nei propri livelli di energie, e capire quando è il momento di recuperare e fermarsi, quando la sua conversazione rischia di essere amputata e dimezzata dalla sua stanchezza fisica che avanza.

E qui “sbattiamo” contro i limiti della ricerca così come condotta attualmente. Un ricercatore di scienze della comunicazione, poniamo uno specialista in “analisi della conversazione”, mai includerebbe nel suo studio fenomeni fisico-biologici, in quanto la sua disciplina gli impone di limitarsi agli scambi conversazionali. E questo non fa altro che impoverire l’analisi.

Avete mai provato a condurre trattative importanti e ritrovarvi stanchi? Allora sapete di cosa sto parlando. E sapete quanto sia fondamentale curare lo stato di forma fisica e mentale del venditore, e non solo la comunicazione “esterna”. Per questo, il nostro approccio deve considerare non solo la vendita, ma anche il venditore, come un sistema delicato di energie, al quale applicare attenzioni.

Senza un venditore preparato, e in condizioni ottimali di energie e condizione psicofisica, la vendita non trova il supporto del fattore umano.

Serve quindi scienza, unita a pratica di vendita, e questo è terreno della nostra formazione.

La vendita consulenziale si inquadra all’interno delle trattative complesse (Complex Sales) ed ha sempre una forte componente psicologica e a volte psicanalitica. Il gioco tra le parti diventa un gioco tra “maschere caratteriali” e a volte tra “corazze psicologiche” che le parti indossano per non lasciar trasparire la verità. Vedere la verità oltre la cortina di fumo è parte del gioco.

Per migliorare le capacità di vendita dobbiamo capire il processo psicologico di acquisto, la mappatura dei decisori chiave, degli influenzatori e gatekeeper, dei leader aziendali e opinion leader professionali o amicali, da contattare per praticare un Key Leader Engagement strategico.

Il processo di formazione alla vendita consulenziale prevede l’addestramento progressivo all’incontro con un cliente complesso, niente a che fare la formazione da palcoscenico.

Si tratta preparare la persona ad incontrare in modo professionale i bisogni consci, subconsci e inconsci del cliente, che possono trovarsi addirittura in contrapposizione, in contraddizione, in conflitto (conflitto intrapsichico, o conflitto interpersonale), e generare dissonanze con cui apprendere a far conto.

Spesso – nelle vendite complesse – il cliente non esiste nemmeno, sostituito da un decision-network, una rete di influenzatori e decisori che svolgeranno una discussione ad un tavolo nel quale non parteciperai.

È il caso delle trattative per la vendita di forniture tramite gara d’appalto, nelle quali il ruolo consulenziale parrebbe marginale ma invece diventa determinante in quanto crea le condizioni affinché, nel momento della decisione, la maggior parte delle persone che conta abbia già scelto.

Ruolo del consulente di acquisto, secondo la scuola della “Psicologia di Marketing e Comunicazione” diventa fare emergere i diversi livelli della psicologia del cliente (conscio, subconscio, inconscio) e supportare un processo decisionale positivo, coerente con il futuro aziendale, garantendo in questo modo un rapporto basato sulla relazione d’aiuto e la partnership autentica di tra venditore consulenziale e cliente.

Nel nostro modello, le energie di cui si alimenta un venditore consulenziale sono le competenze che egli sa di possedere, e nessun doping può sostituire una formazione seria e un coaching in profondità.

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Team di vendita ad alte prestazioni

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

Se, come dice il nome, le vendite e negoziazioni che affrontiamo sono davvero “complesse”, quindi complicate, non possiamo sperare che una singola persona sposti la montagna e compia un lavoro immane da solo.

Dobbiamo tenere conto del fatto che più persone saranno coinvolte in un progetto-cliente. Quando il cliente è una multinazionale e la vendita dipende da più decisori, ma anche se la vendita è destinata ad una media impresa familiare in cui intervengono più influenzatori, è bene mettere in campo un team e non sperare che una persona da sola faccia ogni cosa.

Quanto più è alta la posta, tanto più serve la capacità di costruire un “team di vendita” veramente affiatato, che includa tutte le persone che avranno rapporti con quel cliente.

Un Sales Team ad Alte Prestazioni è obiettivo definitivo e primario di ogni azienda proiettata verso un futuro di successo.

Le vendite complesse raramente si conducono in solitudine.

Come minimo, nella presentazione di offerte, possono intervenire progettisti, tecnici, amministrativi, persino consulenti esterni, ed entrare anch’essi in relazione con il sistema-cliente senza rendersi conto di essere – in quel momento – dei tasselli di un mosaico complesso.

Un mosaico tutto centrato attorno alla vendita in corso, in una rete di relazioni che può diventare tanto fragile quanto un castello di carta, tanto difficile da costruire quanto rapida da far cadere con un semplice errore comunicativo, una disattenzione, un gesto sbagliato, una dimenticanza, una scortesia anche involontaria.

Dobbiamo quindi considerare due aspetti fondamentali: (1) per far si che le persone si comportino come vogliamo serve leadership, una leadership autorevole che faccia rispettare, nel team di vendita, le regole del gioco; (2) non tutto dipende dal leader: i membri del team, come sottolinea Muzzarelli1 devono fare la loro parte. Non devono aspettarsi che il “capo” sia onnipotente ma attivarsi in prima persona, non essere attendisti passivi, diventare problem solver, giocatori di una squadra. Questo significa anche comprendere bene cosa stiamo facendo, e perché: capire se dobbiamo agire in un modo piuttosto che in un altro, senza che questo sia vissuto come un’imposizione.

Esiste poi un altro aspetto che qualifica le vendite complesse: si svolgono spesso con o contro aziende importanti e multinazionali, veri colossi, con inevitabile aumento nello squilibrio dei rapporti di forza.

Ogni buyer di multinazionali è formato costantemente, è un professionista, un atleta aziendale, un agonista della trattativa, allenato sottoposto a “corsi di acquisto e psicologia della negoziazione” molto frequenti e costanti.

I buyer professionali vengono formati per apprende a rompere il potere negoziale del venditore, annullare i margini di manovra altrui.

Farlo diventa un gusto, anche a discapito di ogni teoria win-win..

In specifici corsi, e questo accade soprattutto nelle multinazionali, il buyer apprende strategie per far sentire il venditore inutile o comparabile con altri, sostituibile, generare la sensazione che l’azienda venditrice sia una tra le tante, una sorta di commodity come il grano, l’acqua o la soia (le tecniche PICOS, o meglio le deformazioni che ne sono seguite, sono un esempio sul quale il nostro lavoro si è concentrato a lungo).

Queste tecniche sono finalizzate a creare ansia nel venditore, senso di insicurezza, sentirsi comparato con altri venditori, fino a portarlo in stato di tensione tale da far “calare le difese” e i prezzi.

Il negoziatore o buyer professionale impara strategie per ottenere informazioni dai venditori e dai tecnici, ed utilizzarle contro di loro.

Svolge ricerche per capire chi ha di fronte e che strategie ha usato finora. Usa la Business Intelligence, prepara una strategia.

Capire con chi si ha a che fare, distinguere scenari veri da favole d’azienda è uno dei compiti principali della vendita consulenziale. E farlo dentro un team che conosce le stesse tecniche e parla la stessa lingua, anziché farlo da soli, è enormemente più facile, anche solo per il fatto di sapere di non essere soli.

Capire i motivi delle strategie comportamentali adottate dai buyer o dai decisori richiede sia saggezza che preparazione. Richiede il coraggio del Gladiatore che sa di dover lottare contro un ciclope, ma proprio per questo decidere di usare strategia e non improvvisare.

Capire chi decide, capire chi comanda, capire chi influenza chi, richiede non solo doti comunicative ma doti di analisi, di Business Intelligence.

La raccolta di tante informazioni, il presidio dei contatti, la costruzione delle condizioni atte a generare la chiusura positiva di un progetto, hanno più possibilità di successo se affrontati in team. Un team con una leadership chiara, valori comuni, conoscenze tecniche condivise, e una buona formazione che ci aiuti a parlare lo stesso linguaggio e manovrare la nave davvero come una squadra affiatata.

Questo è il mondo della vendita consulenziale. Questo è il terreno in cui ci si muove. E in questo scontro si può essere preparati o impreparati, naif o analisti, dilettanti o professionisti. A noi la scelta.

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Passare dai venditori singoli ai Team di vendita ad alte prestazioni

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

I Lupi non cacciano da soli. La loro strategia si fa in squadra. La loro conquista è il lavoro di un gruppo altamente organizzato. Lo stesso deve essere nella vendita.

Se, come dice il nome, le vendite e negoziazioni che affrontiamo sono davvero “complesse”, quindi complicate, non possiamo sperare che una singola persona sposti la montagna e compia un lavoro immane da solo.

Dobbiamo tenere conto del fatto che più persone saranno coinvolte in un progetto-cliente. Quando il cliente è una multinazionale e la vendita dipende da più decisori, ma anche se la vendita è destinata ad una media impresa familiare in cui intervengono più influenzatori, è bene mettere in campo un team e non sperare che una persona da sola faccia ogni cosa.

Quanto più è alta la posta, tanto più serve la capacità di costruire un “team di vendita” veramente affiatato, che includa tutte le persone che avranno rapporti con quel cliente.

Un Sales Team ad Alte Prestazioni è obiettivo definitivo e primario di ogni azienda proiettata verso un futuro di successo.

Le vendite complesse raramente si conducono in solitudine.

Come minimo, nella presentazione di offerte, possono intervenire progettisti, tecnici, amministrativi, persino consulenti esterni, ed entrare anch’essi in relazione con il sistema-cliente senza rendersi conto di essere – in quel momento – dei tasselli di un mosaico complesso.

Un mosaico tutto centrato attorno alla vendita in corso, in una rete di relazioni che può diventare tanto fragile quanto un castello di carta, tanto difficile da costruire quanto rapida da far cadere con un semplice errore comunicativo, una disattenzione, un gesto sbagliato, una dimenticanza, una scortesia anche involontaria.

Dobbiamo quindi considerare due aspetti fondamentali: (1) per far si che le persone si comportino come vogliamo serve leadership, una leadership autorevole che faccia rispettare, nel team di vendita, le regole del gioco; (2) non tutto dipende dal leader: i membri del team, come sottolinea Muzzarelli1 devono fare la loro parte. Non devono aspettarsi che il “capo” sia onnipotente ma attivarsi in prima persona, non essere attendisti passivi, diventare problem solver, giocatori di una squadra. Questo significa anche comprendere bene cosa stiamo facendo, e perché: capire se dobbiamo agire in un modo piuttosto che in un altro, senza che questo sia vissuto come un’imposizione.

Esiste poi un altro aspetto che qualifica le vendite complesse: si svolgono spesso con o contro aziende importanti e multinazionali, veri colossi, con inevitabile aumento nello squilibrio dei rapporti di forza.

Ogni buyer di multinazionali è formato costantemente, è un professionista, un atleta aziendale, un agonista della trattativa, allenato sottoposto a “corsi di acquisto e psicologia della negoziazione” molto frequenti e costanti.

I buyer professionali vengono formati per apprende a rompere il potere negoziale del venditore, annullare i margini di manovra altrui.

Farlo diventa un gusto, anche a discapito di ogni teoria win-win..

In specifici corsi, e questo accade soprattutto nelle multinazionali, il buyer apprende strategie per far sentire il venditore inutile o comparabile con altri, sostituibile, generare la sensazione che l’azienda venditrice sia una tra le tante, una sorta di commodity come il grano, l’acqua o la soia (le tecniche PICOS, o meglio le deformazioni che ne sono seguite, sono un esempio sul quale il nostro lavoro si è concentrato a lungo).

Queste tecniche sono finalizzate a creare ansia nel venditore, senso di insicurezza, sentirsi comparato con altri venditori, fino a portarlo in stato di tensione tale da far “calare le difese” e i prezzi.

Il negoziatore o buyer professionale impara strategie per ottenere informazioni dai venditori e dai tecnici, ed utilizzarle contro di loro.

Svolge ricerche per capire chi ha di fronte e che strategie ha usato finora. Usa la Business Intelligence, prepara una strategia.

Capire con chi si ha a che fare, distinguere scenari veri da favole d’azienda è uno dei compiti principali della vendita consulenziale. E farlo dentro un team che conosce le stesse tecniche e parla la stessa lingua, anziché farlo da soli, è enormemente più facile, anche solo per il fatto di sapere di non essere soli.

Capire i motivi delle strategie comportamentali adottate dai buyer o dai decisori richiede sia saggezza che preparazione. Richiede il coraggio del Gladiatore che sa di dover lottare contro un ciclope, ma proprio per questo decidere di usare strategia e non improvvisare.

Capire chi decide, capire chi comanda, capire chi influenza chi, richiede non solo doti comunicative ma doti di analisi, di Business Intelligence.

La raccolta di tante informazioni, il presidio dei contatti, la costruzione delle condizioni atte a generare la chiusura positiva di un progetto, hanno più possibilità di successo se affrontati in team. Un team con una leadership chiara, valori comuni, conoscenze tecniche condivise, e una buona formazione che ci aiuti a parlare lo stesso linguaggio e manovrare la nave davvero come una squadra affiatata.

Questo è il mondo della vendita consulenziale. Questo è il terreno in cui ci si muove. E in questo scontro si può essere preparati o impreparati, naif o analisti, dilettanti o professionisti. A noi la scelta.

1 Muzzarelli, Francesco (2010), Io e il capo, Il Campo, Bologna, 2010

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La vendita complessa: un gioco per professionisti

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

La vendita consulenziale si esprime soprattutto nella gestione di rapporti ad alto tasso di professionalità. Rapporti che puntano ad una lunga collaborazione e non al “mordi e fuggi”, nella quale il fattore fondamentale da sviluppare è il “trust” (fiducia) verso il venditore/consulente.

Il fattore fiducia deve sempre e comunque essere tenuto alto, per evitare di produrre sensazioni manipolative e corrodere l’immagine dell’azienda per cui si lavora e soprattutto la propria.

La componente persuasiva della vendita esiste, tuttavia i meccanismi utilizzati sono completamente diversi, per modo e motivazione, dagli schemi classici di vendita che parlano di “magia” e formule da memorizzare, schemi comportamentali da ricalcare roboticamente, dai quali ci distanziamo assolutamente e che giudichiamo superati, ed inutili.

Nel modello consulenziale, la fase persuasiva avviene innescando processi mentali del cliente legati alla maturazione della sua consapevolezza.

Compito del consulente d’acquisto (non più venditore, quindi, se vogliamo precisarne la psicologia del ruolo) è di intervenire sulle mappe mentali attraverso informazioni mirate, far maturare nuove consapevolezze, supportare una buona analisi, ri-centrare il cliente verso obiettivi forti e produttivi e portarlo a decidere (fase di ricentraggio e concretizzazione).

La vendita consulenziale è il risultato di progressivi passaggi di incremento della coscienza decisionale del cliente.

I venditori diventano i consulenti d’acquisto, informatori, educatori decisionali (Edu-Marketing). Portano conoscenza e cultura, non solo prodotti.

Sentirsi venditori in costante pressing, o invece consulenti professionali, è una differenza di identità anche per chi vende.

Sentirsi venditori consulenziali aiuta.

La scuola metodologica che portiamo avanti è centrata sulla volontà del venditore di essere protagonista (regista) di un intervento volto a cambiare e migliorare uno stato attuale del cliente o impresa-cliente (modello X-Y di Change management applicato alla vendita).

In questo schema di base lo stato X è la situazione attuale del cliente, e lo stato Y una situazione per lui migliorativa.

Ovviamente, per conoscere X ed Y, nel mondo delle vendite aziendali, occorre fare molto lavoro di analisi. Occorre essere sensibili, come avremo modo di approfondire, alle false X e alle false Y, le analisi distorte, gli obiettivi confusi, le bugie che le persone ci dicono, e si dicono.

Occorre capire se la persona che abbiamo davanti sta recitando un copione e chi ne è lo scrittore dietro le quinte, capire se ci sono suggeritori e chi sono.

Occorre afferrare con quali altri fornitori potenziali un cliente ha parlato prima di noi, con chi parlerà dopo di noi, e quale distintività creare.

È necessario avere estrema preparazione per distinguere le voci vere dalle voci che escono da maschere professionali, maschere di teatro aziendale che raccontano una favola inventata o recitata, o appresa in corsi specifici di tecniche di acquisto e negoziazione d’acquisto, o semplicemente imparata da altri.

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Cosa cercano i clienti

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

I clienti non acquistano solo “pezzi” (es, una fornitura di PC) ma vogliono soddisfare dei bisogni psicologici e aziendali, es. velocizzare il lavoro o far sparire il “mal di denti” dei continui malfunzionamenti informatici che li assillano e gli impediscono di concentrarsi su quello che conta, sul loro lavoro.

Per vendere soluzioni, dobbiamo essere abili nel capire i bisogni, il mondo dei problemi così come percepiti ora dal cliente. E non solo quelli evidenti, ma soprattutto quelli nascosti. Quelli che “non si dicono”.

È difficile per chiunque, e soprattutto per un dirigente, un titolare d’azienda o un buyer, affermare o “confessare” di aver scelto in precedenza un fornitore sbagliato.

Avviare il meccanismo della “confessione”, far si che un cliente si apra e “confessi” le proprie esigenze, è un risultato da vero professionista. Un risultato che richiede tempo e abilità.

È umanamente difficile confessare di aver fatto scelte di mercato che si sono rivelate errate nei fatti, o avere buchi organizzativi, personale demotivato o impreparato (con il rischio di emergere come leader poco abili), difettosità nei prodotti e lamentele dei clienti, e far trasparire i problemi reali che rischiano di dare di sé un immagine negativa.

La paura di proiettare un’immagine di sé come manager inadeguato esiste, per cui le verità vengono nascoste.

Ma verità rimangono. E di tali verità di tutti i giorni, nessuna azienda è completamente priva, nemmeno le migliori.

Da queste condizioni di bisogno non dette partono i moventi di acquisto più forti. Anzi, proprio questi elementi di realtà sono i motori della vendita.

Come ho espresso nel volume “Psicologia di Marketing”, i moventi d’acquisto si collegano a tensioni sottostanti, stati di discrepanza tra (1) come le cose sono, come vengono percepite ora e (2) come il cliente le vorrebbe. In altre parole, stati di “mancanza di omeostasi”, percezione di squilibrio, e desiderio di cambiare questi stati.

Per scoprirli, non sarà sufficiente fare domande aperte o contare sulla trasparenza, ma dovremmo arrivare alla verità con una strategia oculata, o una raccolta di informazioni da più fonti, e una forte abilità nelle tecniche di intervista e ascolto attivo.

È necessario coltivare l’abilità, nel venditore, di produrre un clima comunicazionale o “stato conversazionale” in cui si possa creare questa “confessione”, facendo emergere la verità anziché mascherarla.

Solo così avremo capito come stanno veramente le cose.

Tuttavia, le aziende – come sa benissimo chi le abita – pullulano di bugie, dette sia internamente sia all’esterno, per cui questa attività di scoperta delle verità è un gioco davvero duro, un gioco per professionisti.

Passare la barriera dell’immagine, delle menzogne, e la coltre di reciproche coperture, è un compito arduo, che richiede professionalità.

Vendere in ambienti complessi è possibile solo dopo aver capito dove si situano i gap, le dissonanze, le vulnerabilità, il “non detto”, le molle psicologiche che possono far scattare un acquisto, nella intricata rete di decisori e influenzatori. Ed è un compito che richiede formazione.

Diventano essenziali quindi non soltanto i training per l’espressività (farsi capire, saper presentare con efficacia), ma soprattutto training che coltivano le doti di ascolto attivo, analisi tattica ed empatia strategica.

Tutto questo fa parte della sfera di competenza della psicologia strategica.

La psicologia strategica è la scienza che si occupa di come generare risultati attraverso azioni comunicative e tattiche (e non, come nel caso della psicologia clinica, curare disturbi psicologici).

La psicologia positiva è una branca delle scienze psicologiche che si occupa di come generare un atteggiamento positivo in sé stessi e nel gruppo, motivazione, voglia di vivere, capacità di analisi e costruzione attiva dei fattori che possono portare una persona a raggiungere risultati, stato di benessere interiore, e resilienza (capacità di apprendere dagli errori e rialzarsi dopo un insuccesso).

La vendita consulenziale non è un insieme di procedure, è un modo di essere analisti e strateghi che attinge a piene mani alla psicologia positiva e alla psicologia strategica.

Il metodo cui stiamo lavorando unisce le tecniche della psicologia strategica e della psicologica positiva.

Lo scopo è sviluppare una mente da analista e un modo di essere “stratega positivo”: una persona che utilizza la strategia, compie analisi, apprende dagli errori, considera la sua attività come un grande laboratorio di ricerca, riesce ad immettere energie positive nel suo lavoro, ricavando gratificazione dal modo con cui lavora più che dalle aspettative altrui.

Questo modo di essere si nutre della volontà di capire, di analizzare, di comprendere, anche e persino mentalità diverse, antitetiche, o distorte, strane mappe di potere, personalità razionali e personalità contorte, irrazionali, confusionarie, entrare in sistemi decisionali noti o invece immergersi in sistemi-cliente strambi, inusuali, dissonanti, senza farsi spaventare da questi, ma anzi accettandoli come “oggetto di ricerca” e sfida professionale.

Mettersi il “camice bianco” dell’analista è fondamentale per capire i sistemi-cliente e i varchi che si possono aprire per generare una vendita non solo sporadica, ma continuativa.

La vendita consulenziale è un approccio psicodinamico alle tecniche di vendita, centrato sul concetto di empatia strategica e di counseling d’acquisto (consulenza verso i bisogni, analisi dei bisogni espressi ed inespressi).

Secondo il modello della scuola consulenziale di vendita, l’obiettivo di una vendita è di attivare una forte relazione empatica con il cliente, essere di aiuto verso i bisogni espressi, far emergere il lato inespresso, e far precedere alla vendita vera e propria un’importante fase di analisi, di ascolto attivo, di comprensione, attivando una “percezione aumentata” (Extended Cognition).

Queste capacità provengono dalla psicologia clinica, in particolare dalle tecniche del colloquio clinico, dell’intervista in profondità, dalla “terapia centrata sul cliente” di Carl Rogers, che utilizza gli strumenti fondamentali della riformulazione verbale ed emotiva, senza la quale non potremmo mai sapere se siamo “connessi” o distanti dal vissuto del cliente1.

Nella vendita consulenziale Business to Business non può esistere conclusione di vendita senza analisi dei processi aziendali o psicologici che rendono un certo prodotto – o soluzione – importante.

Perché qualcosa diventa importante? Perché ora? Perché non ieri? E come ha risolto il problema sinora il cliente? Quanto è soddisfatto? Che differenza esiste tra ciò che dice e ciò che sappiamo? O tra ciò che dice a voce e ciò che traspare dal suo volto o dall’osservazione della sua azienda? Tra quanto si è detto in riunione e quanto si sente dire nei corridoi?

Possiamo entrare in un livello di relazione tale da far “aprire” il cliente e tirar fuori i veri bisogni, anche quelli non detti?

Per farlo servono vere e proprie metodologie e tecnologie di analisi psicologica. Ad esempio, la Consulenza di Processo (Edgar Schein)2 offre numerosi spunti, ma nessuna scuola in sé è sufficiente. Per affrontare il mondo delle vendite complesse dobbiamo entrare in un territorio di sperimentazione.

La vendita consulenziale non ha alcuna regola prefissata e rigida, non esistono concetti rapidi o giochi ipnotici, o altre scorciatoie comportamentali: esistono solo tante competenze da apprendere, provare sul campo, per poi ritornare ad apprendere, in una palestra professionale che è anche e soprattutto palestra di vita.

Dovremo sempre tenere alto il fronte della Psicologia Positiva, come nuova scienza che può aiutarci a trovare nuove vie della crescita individuale.

La psicologia positiva ambisce alla coltivazione di uno stile di vita e di pensiero positivo, lo sviluppo delle energie mentali, la crescita dell’ottimismo e dell’ottimismo appreso3, per costruire gli atteggiamenti che ci servono ad affrontare un mestiere duro ma ricco di enormi soddisfazioni.

1 Per alcuni riferimenti bibliografici su Carl Rogers, vedi bibliografia a termine volume.

Rogers, C. R. (1977), Carl Rogers On Personal Power, Delacorte Press, New York. Trad. it: Potere Personale. La forza interiore e il suo effetto rivoluzionario, Roma, Astrolabio, 1978.

Rogers, C. R. (1951), Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory, Houghton Mifflin, Boston

Rogers, C. R. (1961), On becoming a Person, Houghton Mifflin, Boston.

 

2 La metodologia della Consulenza di Processo è strettamente derivata dagli studi di Psicologia Umanistica di Carl Rogers, ed è in grado di inquadrare i processi evolutivi che il cliente vive, e le sue dinamiche aziendali da un punto di vista evoluzionistico.

Tuttavia, si tratta di un metodo destinato originariamente alla consulenza di Direzione Aziendale. La sua applicazione alla vendita consulenziale va creata (ed è il nostro compito), va appresa, va studiata, e serve una formazione forte, professionale.

 

3 Citiamo le opere di Myers, D. G. (1993), The pursuit of happiness: Discovering the pathway to fulfillment, well-being, and enduring personal joy, Avon, New York.

Seligman, M. E. P. (1998), Learned optimism: How to change your mind and your life (2 nd ed.), Pocket Books, New York.

Seligman, M. E. P., & Csikszentmihalyi, M. (2000), Positive psychology: An introduction. In: American Psychologist, 55, 5-14.

Anolli, Luigi (2005), L’ottimismo, Il Mulino, Bologna.

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©Copyright. Vietata la copia o riproduzione non autorizzata. Per contatti. Altri approfondimenti sul volume sono disponibili alla sezione dedicata alla Vendita Strategica sul sito Studiotrevisani e sul blog Strategic Selling, risorse per la formazione vendite.

 

Una mente da analista

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.- Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011

Il mondo della vendita e del marketing è fatto di scelte.

Come osserva Mick, “il sistema di macromarketing è in larga misura la funzione di molte decisioni di micro marketing prese ogni giorno”1.

E, per ogni micro-decisione, occorre che la mente sia preparata a svolgere analisi rapide, a volte persino istantanee.

La vendita complessa è in larga misura la funzione di molte abilità comportamentali e strategiche micro (come la capacità di condurre una conversazione, o osservare dettagli non verbali) e macro (fare analisi di scenario, planning, realizzare progetti e report).

La mente da analista non si ferma al lavoro a tavolino (deskwork), entra in ogni contatto, in ogni stretta di mano, in ogni riunione, in ogni analisi.

Niente viene trascurato.

Comprende anche abilità macro, quali la capacità di compiere analisi socioeconomiche e di progettare piani complessi, elaborare dati, svolgere un’intera analisi di scenario e impostare una strategia.

Nessuno può pretendere di concludere affari o realizzare progetti complessi senza applicare un atteggiamento di analisi profondo, senza avere e coltivare una “mente da analista”.

Un analista si chiede molto spesso “perché”. Nota segnali e sintomi, sviluppa ipotesi, si documenta, svolge ricerca, vuole capire.

Questo atteggiamento, che ho denominato empatia strategica2, include diversi livelli di comprensione, di attenzione strategica al sistema/cliente al quale ci stiamo avvicinando o che stiamo gestendo:

 

  1. empatia comportamentale (capire i comportamenti del sistema con cui vogliamo lavorare e interagire),
  2. empatia cognitiva (capire come ragiona l’altro),
  3. empatia emozionale (capire gli stati emotivi dell’altro) e
  4. empatia relazionale (capire la rete di relazioni in cui vive l’altro).

 

Immaginate il contrario:

 

  • non capire i comportamenti altrui o non coglierne il senso,
  • subire azioni le cui ragioni ci sfuggono, e ancora,
  • non capire che ruolo gioca la controparte,
  • non capire come ragiona l’altro e dare per scontato che ragioni come noi vorremmo o “come si dovrebbe ragionare secondo la (nostra) logica”.

 

Immaginiamo anche cosa significhi portare con se il fardello di una insensibilità emotiva, l’incapacità di cogliere sfumature, non capire se una persona con cui trattiamo sia triste o felice. Oppure, essere indifferenti verso le reazioni emotive che l’altra persona ha nei riguardi di una scelta o ad alcuni aspetti del progetto che trattiamo, e cosa in specifico la preoccupa, o cosa la interessa.

E ancora, i problema delle gaffe culturali che possono offendere un dirigente straniero centrale per il successo della trattativa.

Altro grande tema: l’insensibilità al quadro “tribale” della decisione, i rapporti di forza in essere, la matrice dei poteri (Power Matrix), il rischio di non capire se stiamo trattando con un vero decisore o con un semplice emissario, un influenzatore, o con un puro “parafulmini”, qualcuno che non ha alcun potere. Perdere tempo non è piacevole per nessuno.

A catena, la mancanza di una mente da analista può portarci a perdere di vista persone e ruoli aziendali che dovremmo coinvolgere in un progetto e magari stiamo trascurando completamente.

E, peggio, non afferrare il sistema nelle sue inter-relazioni, ad esempio non capire che esiste un centro di gravità (persone fisiche, o concetti chiave su cui far leva) in ogni acquisto, in ogni decisione.

Possiamo avere di fronte a noi “clan aziendali” e altre forme tribali che si oppongono al nostro ingresso in azienda così come la compresenza di possibili “amici”, persone che ne vedono invece dei vantaggi.

Larga parte delle trattative complesse consiste nel “portare dalla nostra parte” i centri di gravità della decisione, con – ancora una volta – abilità nel condurre incontri personali e sviluppo di rapporti umani.

In un mondo difficile, solo persone preparate e con una “mente da analista” possono penetrare sistemi ostili, individuare le priorità e la “sequenza di mosse” utili per poter spostare l’ago della bilancia decisionale a nostro favore.

Una mente da analista si chiede “Perché dice questo?”, “Perché lo dice adesso?”, “Cosa c’è dietro a questa domanda?”, “Perché non è qui il dott. X… mentre all’altro incontro era presente?”, “Per quali motivi potrebbero dirci di no?”, “Cosa abbiamo di distintivo da proporre?” E tante altre domande, non stereotipate, mai uguali.

I sistemi di contatti e di relazioni in un progetto complesso richiedono visione d’insieme.

Avere visione d’insieme è una capacità, cogliere il senso di un macro-progetto, capire quando è il momento di fare un incontro, individuare quali sono le informazioni critiche che ci servono (Info-Gap), e arrivare ad esaminare il micro-dettaglio di ogni negoziazione.

Le capacità nell’analisi micro sono altrettanto fondamentali: come viene condotta una telefonata, un incontro, una stretta di mano, un’occhiata, un gesto, per poi tornare al macro, e, quando serve, ripensare un’intera strategia.

In altre parole, il successo di un’impresa dipende non solo dalle grandi strategie ma anche dalla capacità di portare a casa risultati in ogni singola vendita, e diventare abili in ogni singola conversazione e contatto che costituiscono la linea di vendita. Buoni numeri arrivano solo da buone azioni.

La linea d’azione della vendita (Action Line), così come la linea d’azione negoziale, richiedono una specifica sensibilità. Sensibilità alla comunicazione “olistica”: ogni azione, comportamento, o non-azione, comunica qualcosa.

Questa sensibilità è da praticare contatto dopo contatto, nelle negoziazioni, negli incontri, nelle telefonate, o nei comportamenti tenuti a tavola.

Riguarda persino il modo di parcheggiare in prossimità dell’impresa cliente, le attenzioni nell’aprire la porta o meno a qualcuno, offrire un caffè o un dono.

I professionisti della vendita strategica e delle negoziazioni complesse adottano un modo di lavorare che è anche un modo di essere.

Colossi aziendali e piccole imprese, nelle loro negoziazioni Business-to-Business, con i distributori, i fornitori, con le reti di vendita, con i buyer aziendali, hanno continui “momenti della verità”: gli incontri faccia a faccia, le discussioni, le mail, le presentazioni, le risposte a domande.

Per ciascuno di essi diventa essenziale curare le abilità di relazione, le capacità personali di analisi e di comunicazione in chi si deve interfacciare con i clienti che contano, sviluppare grandi progetti e vendite importanti.

1 Mick, David Glen; Bateman, Thomas S.; Lutz, Richard J. (2009), Exploring the Pinnacle of Human Virtues as a Central Link from Micromarketing to Macromarketing, in: Journal of Macromarketing, Volume 29 Number 2, June 2009 98-118, Sage Publications.

 

2 Da: Trevisani, Daniele (2005), Negoziazione Interculturale: Comunicazione oltre le barriere culturali. Milano, Franco Angeli.

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