Uscire dalle regole facili e dalle mode del momento

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

Il lavoro sulle diverse immagini produce bisogno di cambiamento, poiché gli esiti di un’analisi su come vediamo noi stessi e come ci percepiscono gli altri – o come vorremmo essere e non siamo – creano dissonanze e stimolano a cambiare. Se non ci accorgiamo delle dissonanze che ci vivono dentro, esse rimangono in noi e come macigni ci impediscono di correre, diventano pesi psicologici che ci consentono solo di trascinarci faticosamente e di “rantolare”, impedendoci di correre e di essere liberi.

Per capire come cambiare, le regole facili sono pericolose. Ad esempio, la regola “dimagrire è bene” contiene distorsione e molti pericoli (es.: anoressia).

Lavorare sulle diverse immagini è essenziale. Un atleta potrebbe voler “dimagrire” per velocizzarsi, mentre magari il suo bisogno è di potenziare la massa muscolare, e un dimagrimento porterebbe ad una perdita pericolosa di massa magra e grassi essenziali (nelle donne, ad esempio, questo produce la perdita delle mestruazioni).

Non sempre dimagrire va bene, in alcuni casi anzi guadagnare peso, se si aumenta in massa magra muscolare, produce un deciso miglioramento di performance, di forza e salute, un cambiamento positivo. L’immagine stessa che sia possibile “aumentare = migliorare” è così contraria agli schemi della “salute = magrezza” che è persino difficile da comunicare o da credere.

Cambiare significa uscire dagli stereotipi forzati (es.: “dimagrire è bene”) ma anzi chiedersi se essi hanno senso su di noi.

Le regole facili e i prontuari comportamentali sono dannosi anche in azienda. Le mode aziendali come il “just in time” (sostanzialmente, produrre sul venduto) o la riduzione dei costi – attuate senza ragionare – hanno causato più danni che benefici. Gli approcci manageriali anche estremamente consolidati, come il marketing anglosassone, hanno immesso in azienda una valanga di pensieri stereotipati cui intere generazioni hanno creduto. Ad esempio, un certo tipo di marketing sostiene che sia sempre bene “produrre ciò che il cliente vuole”, e questa credenza, se presa alla lettera, può finire per giustificare la produzione di film pedofili, se esiste un target di mercato sufficientemente ampio. Questo non è accettabile.

Lo stesso marketing ha prodotto una sindrome da disaffezione rispetto alle proprie potenzialità vere (smettere di fare ciò che si è abili e inseguire mode dell’istante) per inseguire continuamente ciò che il “parco buoi” desidera. Ne è stato un caso il boom della new-economy attorno all’anno 2000, nel quale non poteva essere costruito un business plan che non avesse almeno la parola online nel titolo o sottotitolo. Chi in quegli anni si dimostrasse scettico e volesse riportare le strategie verso la valorizzazione del contatto interpersonale, veniva additato come “vecchio”. La bolla di innamoramento collettivo è stata seguita da un altrettanto rapido collasso di migliaia di aziende e perdita di risparmi da parte della massa di popolazione che vi aveva creduto.

Riflessioni operative:

  • non aderire alle mode dominanti solo perché dominanti; pensare;
  • usare il giudizio critico per ricercare finalità superiori;
  • sforzarsi di uscire dagli stereotipi e dalle attese sociali, soprattutto se assorbite senza valutarne i principi sottostanti.

Come evidenziato in precedenza1, esistono spesso differenze tra come ci vediamo e come vorremmo essere. Una discrepanza critica riguarda il divario tra la (1) nostra realtà interiore (come noi la percepiamo), e (2) il nostro ideale, sogno o aspirazione, su come vorremmo vivere e cosa vorremmo essere.

Il primo problema da affrontare è il più difficile: uscire dalla falsa rappresentazione di sé e cogliere come realmente siamo (focusing della situazione attuale). Il secondo problema (più semplice del primo, anche se non immediato) è costituito dal darsi mete e traguardi sul “come vorrei essere” e lavorare attivamente per raggiungerli (focusing di obiettivi futuri da raggiungere).

Da una comparazione tra il “come ci vediamo” e il “come vorremmo essere” emergeranno le differenze sulle quali avviare azioni di miglioramento della propria identità personale (come individui) o aziendale (come professionisti che operano in un’organizzazione).

L’analisi del come vorremmo essere (o come vorremmo fosse l’organizzazione) non serve solo a creare un progetto concreto – almeno inizialmente – quanto ad allenare la propria psiche a sviluppare una immagine mentale cui tendere, e a cui ispirarsi.

Riflessioni operative:

  • ancorare il proprio progetto di sviluppo ad uno stato ideale positivo;
  • costruire una immagine mentale di sé o dell’organizzazione cui tendere;
  • usare lo stato ideale come punto di ispirazione, non come obiettivo forzato;
  • scoprire la gioia del percorso ed evitare l’ansia da prestazione.

1 Trevisani, 2003.

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Il dramma del “Divario Fondamentale”: la distanza tra bisogno percepito e bisogno reale di cambiamento; fare focusing per ridurre il gap di consapevolezza

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

 

Per capire come e dove occorre crescere serve la possibilità di osservarsi per “come si è”. Ogni sistema (persona, team, azienda) vive un dilemma interiore: da un lato “abita” la propria realtà dall’interno, dall’altro lato avrebbe bisogno di osservarsi dall’esterno.

Non potendo essere in due luoghi contemporaneamente, non ha in nessun momento l’occasione di potersi scrutare con la stessa lucidità con cui un estraneo – distaccato – vede le cose.

Riflessioni operative:

  • considerare l’esistenza di un possibile divario – anche forte o drammatico – tra esigenze auto-percepite e esigenze reali;
  • abbinare la propria autoanalisi a quella di visioni esterne o valutazioni esterne su cosa sia bene cambiare; ottenere feedback dall’esterno per poterlo comparare con le proprie percezioni e valutazioni interne;
  • rimanere umili (evitare dell’altezzosità che impedisce di ricercare il miglioramento) in ogni stato o condizione di vita.

Nelle aziende la soluzione ai problemi di organizzazione ed efficienza è spesso alla portata di mano, è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno se ne accorge, poiché il problema stesso si nasconde nella quotidianità.

Un ladro in una via deserta è allo scoperto, ma in un mercato affollato si sottrae alla vista rapidamente. Un granello di sabbia su un tavolo pulito si può percepire, ma in una spiaggia si confonde. Lo stesso vale per i problemi aziendali e personali. Spesso in una famiglia basta uno sguardo alle conversazioni che avvengono a tavola per capire cosa non va, mentre i membri dall’interno si arroventano da anni in dilemmi interiori alla ricerca del “cosa succede” e “di chi è la colpa”.

Nelle aziende non nasce spontaneamente – una mattina – un fungo con su scritto “qui serve più leadership e meno lassismo”, oppure “qui manca la capacità di comunicare ai dipendenti”, o “dobbiamo dare più spazio alla meritocrazia”, ma bisogna scoprirlo osservando i micro-comportamenti quotidiani, le interazioni reali, una riunione o un colloquio informale, le voci di corridoio.

Collegare i sintomi alle cause è difficile, a volte impossibile. Numerosi meccanismi di difesa ci impediscono di vedere le cose come sono. È più facile dare la colpa al destino che riconoscere di avere assimilato dal padre o dalla madre un modo di essere improduttivo.

Una persona non scopre magicamente che sta perdendo tempo in una linea di pensiero arida ma lo deve scoprire focalizzando i sintomi e risalendo alle possibili fonti. E probabilmente da solo non ce la farà.

Un atleta, o un manager, difficilmente riesce a inquadrare da solo cosa esattamente dovrebbe perfezionare di sè e in quale direzione, e ancora meno cosa fare per crescere. Se costruisse un auto-piano di allenamento con molta leggerezza o supponenza verrebbe da dubitare sulla qualità della sua analisi. Il bisogno di crescita spesso nasconde dettagli che sfuggono all’auto-percezione.

Nella mia esperienza come coach di atleti di arti marziali, ho osservato come alcuni elementi particolari poco percepibili per l’atleta stesso – es.: l’altezza delle braccia mentre è impegnato in una tecnica di calcio – potevano spiegare molti errori. Il soggetto trascurava questo aspetto (perché occuparsi delle mani se sto colpendo con le gambe?). Il problema era tuttavia forte: le mani in posizione sbagliata creano un aumento del tempo necessario a ritrovare una guardia corretta, mentre assettandole bene si produceva un micro-risparmio di tempo in grado di fare la differenza. Solo un osservatore esterno poteva vedere questo dettaglio. Lo stesso vale per molti problemi connessi al cambiamento.

Ne troviamo esempi ogni giorno in azienda: il bisogno di rafforzare il marketing può essere solo un sintomo, che nasconde la presenza di un titolare invadente il quale pretende di fare da direttore marketing e commerciale. Poiché non ne ha le competenze – impedisce di fatto la crescita del reparto. Ogni tentativo di training in questa situazione può risultare improduttivo se le interferenze non cessano, ma scoprire questo “baco latente” è impresa non facile.

Il focusing – apprendere a focalizzare – è la strada da imboccare per smettere di vagare nel buio, in tentativi disordinati.

Il focusing è un processo generale, la cui radice non è riconducibile ad un unico autore. Dobbiamo a Gendlin1 la sua presenza e affermazione tra le scuole psicoterapeutiche contemporanee, ma francamente non possiamo dimenticare quanto i greci e i romani antichi abbiano insistito sulla necessità di focalizzare, ascoltare e ascoltarsi2.

Fare focusing è necessario per ridurre il gap di autoconoscenza, e – se un focusing attuato dal singolo è utile – un focusing aiutato da un professionista o consulente è spesso più efficace.

Riflessioni operative:

  • realizzare focusing (autoanalisi e analisi assistita) per far emergere aree di lavoro, lasciando fluire le proprie sensazioni in un ambiente psicologico non giudicante e di massima accoglienza, non valutativo;
  • raccogliere quanto emerge dal focusing per identificare possibili target di cambiamento.

Nel focusing auto-diretto, si corre il rischio di incontrare un forte gap di autoconoscenza: non conoscersi a sufficienza o illudersi di conoscersi.

È estremamente difficile riuscire ad auto-osservare lucidamente il proprio bisogno di cambiamento, passare dal livello di “sensazione” di un disagio o di una ambizione alla corretta localizzazione del dove, come, quando agire.

Il problema tocca anche l’azienda. A livello di autoanalisi troviamo un gap di consapevolezza anche per la Direzione Risorse Umane e per i leader di team, quando l’osservatore non coglie bene il quadro reale, e le “verità” si offuscano dietro a sintomi e sensazioni imprecise o falsi target.

Da questo derivano problemi a cascata, ad esempio:

  • sbagliare il piano formativo di una persona o di una azienda;
  • usare una strategia formativa meravigliosa ma praticabile solo sulla carta;
  • progettare utilizzando assunti e presupposti sbagliati;
  • scollegarsi dalla realtà, sfuggire il “come sono le cose realmente”.

Riflessioni operative:

  • considerare che la propria conoscenza sullo stato di cose può non essere corretta, o può essere viziata da distorsioni e autoinganni;
  • considerare quanta distanza è presente tra la “sensazione” vaga di un disagio o problema e la sua corretta identificazione, a livello di sede e di cause;
  • considerare che le prime sensazioni o “letture” – senza focusing adeguati – portano spesso a distorsioni, abbagli, valutazioni errate;
  • ricercare punti di vista e confronto multipli per ridurre il margine di errore;

1 Gendlin, E. (2001), Focusing. Interrogare il corpo per cambiare la psiche, Astrolabio, Roma. Ed. originale: Focusing-Oriented Psychotherapy. A manual of the experiential method; vedi anche E. Gendlin, (1996). The power of Focusing, Ann Weiser Cornell, (1996).

2 Vedi ad esempio Plutarco, L’arte di ascoltare. Mondadori, Milano, 2004. Altra fonte: Plutarco, L’educazione, traduzione e note di Giuliano Pisani, Ed. Biblioteca dell’Immagine, Pordenone, 1994, pp. 161-187.

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Ricercare una visione ispiratrice per il percorso: le tre zone del cambiamento

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Danie

le Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

 

 

 

 

Prima di acquistare un biglietto per una vacanza, occorre decidere il tipo di esperienza che si vuole vivere. È necessario ispirarsi ad una visione, a volte questo significa sognare, guardare oltre, decidere se si desidera viaggiare per far raccolta di fotografie o di emozioni, se stare da soli o in compagnia, e di chi. In altre parole, serve una visione ispiratrice. Anche nel cambiamento organizzativo siamo di fronte a questa scelta di fondo.

Un meta-modello, una visione ispiratrice che governa i modelli specifici di cui ci occupiamo, è il modello metabolico.

Nella nostra prospettiva, ogni soggetto (persona, team o azienda) – impegnato in un percorso di cambiamento – può essere assimilato ad una cellula. Una cellula che “respira” è viva, una cellula chiusa, imprigionata in se stessa, è morta.

Il sistema-cellula scambia informazioni o sostanze con l’ambiente esterno muta, evolve, si sforza di far entrare nutrienti, e cerca di espellere cataboliti (materiali di scarto), veleni o sostanze tossiche.

Agire sul cambiamento significa dare impulso a tali dinamiche.

Ogni sistema vivente, piccolo o grande – se desidera vivere – deve continuamente lavorare per mantenere i suoi equilibri interiori in un ambiente che cambia senza sosta. Il funzionamento descritto assomiglia molto a quello di una macchina, o di un’unità biologica, tuttavia la dinamica del cambiamento psicologico, culturale e organizzativo, non è estranea a questi processi.

Diversi approcci alla psicologia, come la Bioenergetica, riconoscono questo tipo di funzionamento:

un qualsiasi organismo, per quanto complicato, funziona sempre, nel suo insieme, come un’unica cellula. Le funzioni vitali dell’organismo quali l’espansione e la contrazione, la tensione verso l’esterno ed il ritiro in sé o all’indietro, l’assorbimento e l’emissione, sono regolate da quello che è conosciuto come principio del piacere1.

In altre parole, il cambiamento positivo cerca di portare tendenzialmente una persona o un sistema verso uno stato di maggiore piacere e soddisfazione (“andare verso”), rifuggendo da dolore e disagio (“allontanarsi da”).

Questo prototipo di funzionamento generale ha tuttavia delle aberrazioni pratiche e apparentemente illogiche, come la persistenza volontaria in uno stato di disagio, l’assunzione di sostanze (fisiche) o pensieri (mentali) che causano danni all’organismo.

Nel capitolo sull’omeostasi esamineremo come questi fatti siano da collegare ai meccanismi di regressione verso l’abitudine, il tentativo di mantenere equilibri, anche se precari o dannosi, mosso dalla pulsione umana verso la sedentarietà o dalla difesa del carattere da attacchi esterni. Lottare contro questi antagonisti del cambiamento, tra cui la “resistenza” e la regressione, fa parte di un’analisi registica del cambiamento.

In termini metaforici, possiamo evidenziare in un sistema umano che cambia tre differenti attività prima di tutto mentali, che corrispondono ad altrettante operazioni psicologiche concrete: acquisire, consolidare, espellere.

Nel metodo delle regie il cambiamento è visto come un meccanismo nel quale è necessario far luce su (1) cosa sia bene acquisire, far entrare (2) cosa sia bene mantenere, consolidare e (3) di cosa sia invece opportuno disfarsi, abbandonare, lasciare.

Si tratta del principio di base del metabolismo, la cui sostanza vale in ogni processo di cambiamento personale o aziendale, terapeutico o formativo.

Riepilogando, le tre aree di analisi principali individuate nel “modello metabolico” sono:

 

  • Zona 1: rimuovere, abbandonare, disapprendere, lasciar andare, disfarsi di…
  • Zona 2: consolidare, mantenere, aggrapparsi a, rafforzare, ancorarsi a…
  • Zona 3: acquisire, imparare, apprendere, assimilare, far entrare…

 

Il lavoro mentale di focusing (identificare, localizzare, far luce, diradare la nebbia, far emergere) consiste nella ricerca di quali siano i contenuti delle tre aree. Senza un focusing adeguato, un’azione che intende produrre cambiamento può diventare persino controproducente o avere effetti opposti a quelli desiderati, come un pugno sferrato nel buio può rischiare di colpire un amico.

1 AA.VV. (2007), Bioenergetica, in Wikipedia, enciclopedia online (al 4/1/2007).

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessioni operative:

  • analizzare cosa il soggetto (persona o sistema) deve disapprendere, abbandonare, eliminare dal proprio modo di essere, di agire o pensare; valutare le difficoltà sottostanti nel farlo, gli ancoraggi che rendono il cambiamento difficile, le pulsioni profonde;
  • analizzare e rafforzare gli ancoraggi di identità, di comportamento e di atteggiamento, sui quali si costruisce la propria solidità interiore;
  • valutare i bisogni di apprendimento, sia come conoscenza da immettere, che come comportamenti o atteggiamenti da far entrare per produrre sviluppo positivo.

 

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Alchimie tra forze contrapposte: La lotta tra pulsioni di assimilazione, stabilità, rimozione

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

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Il cambiamento positivo è il motore dell’evoluzione e riguarda ogni persona e ogni organizzazione. Il propulsore psicologico può essere un obiettivo da raggiungere, l’orgoglio, volontà, sogni e aspirazioni (motori psicologici positivi), o invece bisogno, sofferenza, necessità di rimuovere uno stato di disagio (motori psicologici negativi).

Chiunque desidera progredire deve mettere in conto un investimento concreto, fatto soprattutto di tempo ed energie mentali, e deve apprendere a ricentrarsi verso le priorità strategiche (azioni di ricentraggio).

Rimanere aperti a nuovi input riguarda indifferentemente la crescita personale, lo sviluppo delle aziende e delle organizzazioni, il mondo del business o quello dello sport. Nelle arti marziali, un Maestro afferma che:

…il praticante deve cercare sempre lo sviluppo delle sue conoscenze e perfezionarle nel corso della sua evoluzione… deve vivere in una perpetua situazione di apprendistato durante la sua esistenza, perché le situazioni e i metodi evolvono costantemente1.

Secondo questa visione, il cambiamento non è quindi un “atto finito”, ma un “atteggiamento di fondo”, un “amore” verso un percorso fatto di ricerca, di curiosità per il nuovo, di attenzione al nuovo, che mette in atto un meccanismo evolutivo costante.

Siamo sempre in qualche forma di “apprendistato” e possiamo sempre imparare qualcosa di nuovo. Tuttavia, ogni mutamento – volontario o subìto – richiede impegno e presenta un costo (tempo, energie, fatica), e molti non desiderano pagarlo o lo posticipano sino all’ultimo. Le conseguenze in questi casi non tardano ad arrivare.

I “mostri” contro cui lottare sono tanti. Tra questi la regressione verso l’abitudine, un meccanismo involontario che porta le persone a “rintanarsi” e rinchiudersi in riti quotidiani – a volte dannosi. Il “drago” prende anche sembianze di “politico”, attua meccanismi volontari quali il boicottaggio attivo del cambiamento (cercare di bloccare il processo e gli input esterni) e frena l’evoluzione di un sistema, per puro interesse personale.

Abbiamo ancora le resistenze ideologiche, valoriali, o i blocchi che chiunque mette in atto quando sente che altri cercano di attuare un ingresso nel proprio territorio psicologico. Ritroviamo ancora il problema delle energie per cambiare, la cui mancanza può frenare anche le migliori intenzioni. Si presenta inoltre il problema della competenza o incompetenza del consulente o formatore, chiamato ad aiutare il processo evolutivo.

Gli ostacoli possono essere tanti. Questa è solo una breve e incompleta rassegna delle sfide che ci attendono.

Nonostante le avversità che incontriamo, l’evoluzione è – e rimane – un fattore di sopravvivenza. In un certo senso siamo tutti “forzati del cambiamento”, costretti dall’ambiente a non fermarci, ad adattarci, a mutare, poiché il territorio fisico e sociale attorno a noi – e quello psicologico dentro di noi – cambia, è in costante evoluzione. Il movimento del terreno sul quale una persona poggia permette solo due cose: cadere, o trovare nuovi assetti ed equilibri.

Noi ci rivolgiamo a quelli che vogliono farsi trovare pronti nelle sfide, ricercano il grounding (radicamento, sentirsi fisicamente e psicologicamente ancorati) e allo stesso tempo possiedono spirito di ricerca e si sentono diretti verso un fronte positivo, un orizzonte, e amano lottare per questo.

Il “metodo registico” intende offrire strumenti e concetti utili a chi si occupa di cambiamento positivo e “formazione” nel suo senso più vasto, ma anche di evoluzione assertiva (guidata da principi), trasformazioni del modo di essere, di sistemi di apprendimento e di sviluppo organizzativo, e ancora di potenziale individuale, human potential e human performance, crescita e maturazione individuale o delle imprese.

I tre soggetti-tipo cui si indirizza il metodo sono (1) chi desidera praticare un percorso di evoluzione personale con maggiore consapevolezza dei meccanismi che lo governano; (2) i clienti e ruoli istituzionali strategici coinvolti in progetti sul cambiamento, sviluppo e formazione (dirigenti, leader e manager); (3) i professionisti esterni (consulenti organizzativi, formatori, coach, allenatori e direttori di team, aziendali e sportivi) chiamati a supportare e produrre performance, ad avviare relazioni di aiuto per “cambiare le cose” e “far crescere” (una persona, una squadra, un sistema).

Ognuna di queste persone deve essere aiutata ad acquisire le abilità e capacità fondamentali (key-learning) per far fronte a nuove sfide prioritarie (key-challenges). Cambiare e formarsi serve anche per poter affrontare le sfide.

La realtà ci presenta (nei casi migliori) organizzazioni e persone già pronte ad un cambiamento, anche forte. Ci offre anche organizzazioni e persone restie, o persino contrarie, e che tuttavia hanno bisogno di variare il proprio assetto perché non più adeguato. Nell’uno e nell’altro caso, dobbiamo capire come poter procedere, quale strategia adottare, e come muoverci per essere efficaci.

Nei box “cosa fare” – esposti durante il testo – evidenziamo alcuni suggerimenti operativi su vari temi che riguardano il facilitare il cambiamento, connessi agli argomenti trattati. Vediamo quindi il box seguente:

Riflessioni operative:

  • analizzare se e quanto un soggetto (persona o sistema) possa permettersi di non cambiare, alla luce delle sfide ambientali e sociali che lo attendono, o sia invece nella necessità di dover migliorare o progredire;
  • inquadrare i key-learning (apprendimenti chiave) in risposta alle key-challenges (sfide prioritarie) che attendono la persona (o sistema organizzativo);
  • valutare quanto il soggetto (persona o sistema) sia intenzionato ad impegnarsi in un percorso di cambiamento;
  • capire quali sono i blocchi verso il cambiamento;
  • creare un clima positivo verso il percorso di cambiamento, legato ai benefits che il percorso può produrre.

Può esistere quindi un metodo per inquadrare i bisogni di evoluzione in modo assertivo, mirato e finalizzato ad obiettivi strategici? Nel passaggio successivo esamineremo un’ipotesi: la visione del “principio metabolico”.

1 Cohen, Alain (2007), Principi I.D.S. Krav Maga, in Budo International, 1/2007.

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Strategie di vendita: il primato della comunicazione face-to-face

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Un produttore di ingranaggi che vuole vendere prodotti ad un costruttore di macchine non può certo pensare di fare pubblicità televisiva nel prime time “colpendo” 10 milioni di spettatori sperando che in questo “mucchio” vi siano i 3-4 decisori che contano, i responsabili acquisti e dirigenti dell’azienda cliente.

Ogni Business ha di fronte a sé due grandi strade: (1) le comunicazioni pubblicitarie, spesso costose, massificate, dagli enormi budget, figlie di un miraggio fatto di inutili lustrini sfavillanti, e (2) – soprattutto nel Business to Business – la scelta di formarsi come professionisti nel mondo delle negoziazioni interpersonali e incontri umani, tra persone vere.

Per la stragrande maggioranza delle imprese e delle organizzazioni non ha senso investire in pubblicità di massa, a tappeto, occorre imparare a colpire i decisori. Occorre un approccio più mirato.

Un club sportivo che deve ottenere una palestra da un Comune, dovrà convincere lo specifico dirigente, e probabilmente fare azione di sensibilizzazione anche sull’Assessore allo Sport. Non può certo pensare di persuaderli tramite un’inserzione su un giornale.

Dovrà per forza incontrarli di persona, negoziare con loro, vendere loro dei benefici e un’immagine di chi siamo e di cosa vogliamo fare. Dovrà dare garanzie di affidabilità, e la certezza che, come fornitori o come interlocutori, non saremo creatori di problemi per la loro carriera aziendale o politica.

Un contratto da stipulare per un appalto o una fornitura strategica non verranno mai aggiudicati se non attraverso trattative e incremento della conoscenza personale, fiducia, forti legami personali, percezione di benefici.

Ancora, pensiamo a quanta dose di “vendita” e “sviluppo del rapporto umano” vi sia in un colloquio di lavoro, e nella decisione di fidarsi di un certo professionista in ogni campo (medico o avvocato, dentista, fisioterapista, ingegnere o consulente), e persino in un corteggiamento, e nelle tante forme della seduzione.

Riflettiamo. È sufficiente affidare la seduzione o la costruzione della fiducia ad uno spot o ad un volantino, cartaceo o digitale che sia? Possiamo pensare che uno spot faccia per noi il “lavoro” del capire l’altro, entrarvi in relazione, e costruire una relazione solida?

La pubblicità non è inutile, è uno strumento che serve in casi molto specifici, ma non va confusa con la comunicazione in senso lato. Sono due gambe con le quali le aziende corrono, con la differenza che la gamba pubblicitaria è spesso bella e massaggiata e la gamba della formazione alla negoziazione e comunicazione umana, è amputata.

Siamo circondati e bombardati da pubblicità, da tecnologie di messaggistica, sino alla nausea, siamo stati riempiti di bugie e promesse vuote, e non ci fidiamo più. E abbiamo ben ragione di essere stanchi.

Per questo, molto peso è tornato al fattore umano e all’incontro umano, al guardarsi negli occhi, al voler capire con chi stiamo trattando, un momento essenziale per i progetti che contano davvero.

Il business del futuro è il risultato di progetti che le imprese, tramite le persone, conducono assieme ad altre imprese tramite persone umane, in carne ed ossa. È il ritorno del primato dell’uomo.

È in questo campo che si gioca una partita fondamentale. È questo il terreno dove ancora – e sempre più – conta la sensibilità che solo il fattore umano può portare.

Lavorare in partnership con i clienti è una sfida. Significa costruire dal nulla progetti su misura per il cliente, avere la capacità di offrire unicità e consulenza, qualità e soprattutto “valore relazionale aggiunto” che faccia la differenza tra noi e gli altri.

Il mondo degli incontri umani di business face-to-face è più “vero” di quello pubblicitario, è molto più frequente per le piccole, medie e grandi imprese, è un fatto quotidiano, e per le aziende è essenziale formarsi su questo.

Nelle comunicazioni personali, face to face, tutto conta: gli sguardi, le strette di mano, le trattative che le aziende conducono per concludere progetti, affidandosi a poche, selezionate persone in grado di capire situazioni complicate e condurre operazioni negoziali complesse.

In tali progetti si può essere annientati e deprivati di ogni potere negoziale, o “portare a casa” un risultato. Si può costruire o distruggere il futuro.

Sulle spalle e sulle capacità di poche persone, in poche ore di trattativa, si decide il destino di progetti destinati a cambiare intere aziende, il futuro del loro personale e delle famiglie che lavorano.

Lì, sul “teatro” della vendita e della negoziazione, si gioca il destino delle aziende.

E su questo fronte vogliamo stare, e rimanere.

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©Copyright. Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011. Vietata la copia o riproduzione non autorizzata. Per contatti, vedi Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Vendite complesse: prepararsi da professionisti.

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

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Esiste una grande confusione in campo aziendale su cosa sia la formazione. Alcuni pretendono di preparare negoziatori e venditori tramite un paio di ore di lezioni teoriche in cui vengono propinate teorie e concetti astratti, affidandosi a professori universitari che non hanno mai venduto niente in vita loro.

Altri si affidano a persone che li faranno camminare sul fuoco raccontandogli che questo li porterà a dominare l’universo, con l’effetto pratico di fargli bruciare i piedi (se va bene), o li trascinano in meeting di vendita in cui dovranno cantare e ballare come poveri deficienti deliranti.

Altri assegnano incarichi a società di consulenza blasonate (le tante Consulting), e sperano di risolvere il problema (avere negoziatori e venditori preparati) affidandosi a presunti Guru che mostrano diapositive sfavillanti, frasi ad effetto, autori dai nomi esotici e famosi. Utile, ma insufficiente.

Altri ancora puntano sul “fai da te”, facendo affiancare i giovani a venditori anziani, senza filtro, con l’effetto pratico di propagare e disseminare tutti i loro errori per generazioni e generazioni.

Più che una formazione classica, serve una forte “sensibilizzazione”, qualcosa che vada oltre le regole stereotipate. Ad esempio, imparare a vedere come noi reagiamo alle comunicazioni altrui, come funziona il nostro dialogo interno[1], capire come esaminare una conversazione e cogliere le sue mosse strategiche, preparasi ad essere analisti.

La formazione seria è una forma di apprendimento molto forte, parte da un’autoanalisi che nessun PowerPoint può sostituire, e ci chiede di fare i conti con chi siamo veramente.

Al contrario dei seminari tenuti dai “corsifici”, un buon coaching in profondità (coaching personale o team coaching) può aiutare la persona e il team a prestare attenzione a ciò che prima gli sfuggiva, e questo non ha niente a che fare con la formazione classica.

Bisogna aiutare le persone a muoversi da professionisti, a “pensare” come professionisti. La ricerca del Potenziale Umano che si nasconde in ogni persona non è né facile né immediata, lo sappiamo tutti benissimo. Ma, a volte, cerchiamo scorciatoie che non esistono.

Le situazioni in cui la comunicazione cambia le cose sono tante.

Possiamo avere un colloquio di lavoro nel quale si decide una svolta nella vita, nel quale far emergere chi siamo e cosa valiamo.

Gli effetti di ogni parola e di ogni gesto saranno sommatori e decisivi.

Lo stesso bisogno di essere comunicatori efficaci tocca il problema di trovare un finanziatore per progetto, o un sogno da concretizzare.

Tante situazioni, un denominatore comune: il risultato delle attività di comunicazione e negoziazione cambia la vita. Affrontare questo mondo intrigante richiede l’esame di molte variabili. Ma cerchiamo prima un tratto comune e valutiamo quali sono le poche certezze di cui disponiamo.

Una prima consapevolezza di fondo è il bisogno di una grande serietà in chi opera nel mondo della comunicazione e della negoziazione complessa: essere coscienti del fatto che dagli esiti di una trattativa strategica dipendono svolte di tipo professionale, effetti che cambiano la vita, propria o altrui.

Se condotte bene, gettano le basi per un futuro migliore. Se condotte male, producono danni enormi.

Una seconda certezza: per comunicare bene serve formazione specifica, l’abito mentale di chi si prepara alla negoziazione, dedica ad essa risorse mentali, la gestisce come un’attività professionale e strategica (approccio mentale del Get-Ready Mind Set), e non trascura i dettagli[2].

Una terza certezza è il bisogno di curare la “macchina” del venditore, negoziatore o comunicatore, ancora prima di preoccuparci delle sue prestazioni esterne. Una persona che sta bene, piena di energie fisiche e mentali, avrà ottime chance di esprimere anche il suo potenziale comunicativo. Al contrario, una persona fisicamente debilitata o esaurita, e psicologicamente stanca o che si sente fuori ruolo, non farà altro che errori continui.

Come sottolinea un collega e amico, importante psicologo e counselor italiano, allenatore della nazionale italiana di Apnea e di campioni del mondo di apnea, quando ci si “immerge” nelle relazioni e nelle negoziazioni si va incontro, come fa un apneista, anche a se stessi e al proprio inconscio.

Possono emergere paure o incongruenze, ansie e timori ragionevoli o irragionevoli, coscienti o subcoscienti.

Se questi ci bloccano, ci rallentano, ne subiremo gli effetti negativi.

Al contrario una persona che abbia fatto un lavoro profondo su di sé può “immergersi” tranquillamente sia in acqua che nella più difficile trattativa, senza perdere in consapevolezza emotiva e rimanendo sostanzialmente sereno nonostante l’ambiente difficile che lo circonda[3].


[1] Per il dialogo interiore nelle situazioni di consumo e scelta di acquisto, vedi Bahl, S. e Milne G. R. (2010), Talking to Ourselves: A Dialogical Exploration of Consumption Experiences, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.

[2] La preparazione mentale a compiti successivi, e l’utilizzo delle risorse mentali, nella Consumer Research, è stata affrontata in un articolo specifico. Vedi Bosmans Anick, Pieters Rik e Baumgartner Hans (2010), The Get Ready Mind-Set: How Gearing Up for Later Impacts Effort Allocation Now, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.

[3] Manfredini, Lorenzo (2010), Appunti di counseling, materiale didattico riservato, Associazione Olos e Istituto di Dinamica Mentale, Ferrara.

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©Copyright. Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Strategic Selling. Psicologia e Comunicazione per la vendita”, Franco Angeli editore, Milano, 2011. Vietata la copia o riproduzione non autorizzata. Per contatti, vedi Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

SHARED SITUATIONAL AWARENESS (SSA) – Pulizia mentale e coscienza della realtà condivisa in un team

Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Esperto in Formazione, Coaching Aziendale, Team Coaching e Potenziale Umano, Direttore Studio Trevisani.

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Una risorsa pulita è quella che supera i test più severi. La guerra, nella sua crudeltà, è uno di questi. Andiamo quindi a vedere un concetto che proviene dal mondo dell’Intelligence e della Strategia in ambito militare.

Chiediamoci quanto esso potrebbe essere utile nella conduzione migliore di un equipaggio di una nave (vedi il caso Costa Concordia), nella prevenzione di un incidente sul lavoro, nel miglioramento di una equipe di scienziati, o in un consiglio di amministrazione serio, vero, fatto da decisori veri.

SHARED SITUATIONAL AWARENESS (SSA)
La situational awareness (conoscenza, consapevolezza della situazione) indica il grado di precisione con cui la percezione di una situazione da parte di un individuo corrisponde alla realtà effettiva. Quando la conoscenza della situazione è patrimonio comune di un insieme di attori (nel caso specifico, sensori, decisori e attuatori), si parla di “conoscenza condivisa” (shared). I fattori che possono ridurre la consapevolezza della situazione sono fatica, stress, sovraccarico di lavoro, insufficienza della comunicazione, degrado dell’ambiente operativo; fra quelli che al contrario contribuiscono a migliorarla vi è in primo luogo un efficiente “networking” della forza, che abilita la distribuzione tempestiva e capillare di informazioni precise, aggiornate e affidabili.

Per chi apprezza i confronti costruttivi, in tempi di cambiamento o di ristrutturazione organizzativa è indispensabile guardare oltre il recinto delle risorse “aziendaliste”, oramai infestato da guru e profeti di ogni tipo. Gli esiti delle loro infezioni virali gettate nel pensiero aziendale non li sapremo mai.

Il ragionamento individuale, la percezione individuale, non sono più sufficienti ad affrontare la complessità dei problemi.

Una buona SSA è tra le poche soluzioni reali esistenti.

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dott. Daniele Trevisani, Esperto in Formazione, Coaching Aziendale, Team Coaching e Potenziale Umano, Direttore Studio Trevisani.

la formazione per la sicurezza e la cultura della responsabilità dei manager non sono optional

28 gen 2012. ieri sei passeggeri Statunitensi naufraganti dalla Costa Concordia hanno fatto causa a Miami contro il gruppo americano Carnival, proprietario di Costa Crociere… per 460 milioni di dollari di risarcimento… spero che questo tolga dubbi sul fatto che la formazione per la sicurezza e la responsabilità sociale d’impresa siano fondamentali

Formazione per la comunicazione intergenerazionale e interculturale

Workshop avanzati in Comunicazione Interculturale e Intergenerazionale per l’Impresa e la Pubblica Amministrazione

  • Intercultural Business Communication Gym – Generation-Bridging  Business Communication Gym
  • Laboratorio di comunicazione e sperimentazione per l’incremento dell’efficacia comunicativa interculturale e intergenerazionale

Temi di lavoro. Sulla base delle analisi svolte, vengono inquadrati i seguenti temi di lavoro e relativi corsi di formazione:

(I diversi temi di lavoro vengono esposti come gamma di orientamento. I temi trattati e affrontati in fase didattica dipendono dalle analisi a priori svolte dai nostri consulenti)

Corsi di Comunicazione Interculturale e Intergenerazionale

  • Comsits: inquadrare le situazioni comunicative e le loro peculiarità. Capacità interculturale finalizzato a capire la panoramica dei media da utilizzare, la varietà di situazioni comunicative e di canali comunicativi adeguati ai diversi contesti culturali
  • Comunicare a generazioni diverse ancorandosi ai comportamenti, ai linguaggi, ai valori nascenti, alle incertezze, alla psicologia dei bisogni
  • Farsi capire e saper valorizzare prodotti, progettualità, idee, in ambienti interculturali. Formazione interculturale sulla vendita
  • Le situazioni comunicative di tipo micro-interculturale e loro criticità. Analizzare le sub-culture e le micro-culture, non solo le macro-differenze culturali.
  • Potenziare le proprie capacità di cogliere i segnali deboli della comunicazione. Individuare le differenze culturali e le distanze comunicative mentre si manifestano, e saper reagire con prontezza, rapidità, efficacia, innescando meccanismi di maggiore efficienza comunicativa interculturale
  • Le fasi di codifica e decodifica dei messaggi. Aspetti linguistici, stilistici e di relazione. La differenza culturale negli stili comunicativi, la capacità di adattarsi agli stili comunicativi di diverse culture e agli stili di negoziazione di culture e sub-culture specifiche
  • Il 4-Distance Model e l’analisi delle distanze relazionali e comunicative.
  • I fattori di differenza culturale. Dai modelli classici ai nuovi modelli di psicologia culturale.
  • Partire dalle fonti di incomunicabilità per inquadrare le leve della comunicazione interculturale efficace
  • Localizzazione degli errori comunicativi e delle difficoltà di comunicazione
  • Comunicazione efficace sul piano della valorizzazione dei progetti aziendali e della negoziazione tecnica. Formazione interculturale per area manager, project manager, venditori internazionali, formazione vendite e formazione per le negoziazioni all’estero, con clienti stranieri e culture diverse
  • Comunicazione efficace nella comunicazione interculturale scritta, applicata a rapporti, proposte, documenti commerciali
  • Comunicazioni telefoniche e conference call
  • Fattori di efficacia per le comunicazioni e presentazioni tramite PowerPoint da realizzare in culture diverse. Le presentazioni interculturali.
  • Comunicazione efficace sul piano della negoziazione interculturale
  • Il miglioramento delle comunicazioni tecniche e progettuali, la comunicazione di dati e specifiche tecniche. La comunicazione interculturale sul piano dei rapporti tra tecnico e tecnico, commerciale-commerciale, commerciale-direzione, e altre modalità interculturali d’impresa.
  • Fattori di chiarezza e precisione comunicazionale. Mantenere chiarezza e precisione linguistica attraverso le culture
  • Le comunicazioni nei team interculturali (intercultural crew communications)
  • Ricercare le economie della comunicazione, l’efficienza ed efficacia comunicativa
  • Il Miglioramento delle diverse Comsit, dai meeting agli incontri face-to-face, sino alle comunicazioni mediate – l’un approccio di apprendimento continuo
  • Le casistiche di negoziazione interculturale e comunicazione interculturale d’impresa: la negoziazione sui prezzi, la negoziazione sulle condizioni e termini di pagamento, la negoziazione sulla leadership, la negoziazione sui termini di consegna, logistica e post-vendita-
  • Le questioni interculturali di natura legale: la connessione tra valori culturali e le ripercussioni sulle diversità nelle attese reciproche tra imprese
  • La trasmissione di vicinanza e i segnali di avvicinamento
  • L’empatia strategica interculturale: capire gli interlocutori, raccogliere informazioni, depurare il quadro dagli errori di interpretazione e dalle percezioni distorte, elaborare le strategie finalizzate ai risultati
  • Le tecniche di chiusura e concretizzazione nella comunicazione interculturale
  • La vendita interculturale e le dinamiche di comunicazione interculturale efficace
  • Costruire un piano strategico per la formazione interculturale degli persone-chiave d’impresa coinvolte nelle comunicazioni internazionali, contatti e negoziazioni interculturali
  • Intercultural Business Training avanzato: formare i player e i team ad alte prestazioni per la vendita e negoziazione interculturale d’impresa

Metodologia didattica: attività formativa di tipo esperienziale e partecipativo, con utilizzo di role-playing, video-riprese, lavori d’aula e di gruppo

Informazioni ulteriori al link http://www.studiotrevisani.it/comunicazione_interculturale1.htm

Archetipi – Bibliografia sulla Psicologia degli Archetipi

Libri principali per approfondire la conoscenza della psicologia degli archetipi

(con link alla scheda su IBS per chi desidera acquistare i volumi online)

La psicologia degli archetipi identifica i modelli fondamentali che guidano il nostro pensiero e comportamento, il nostro modo di pensare, di agire e di scegliere, di decidere cosa è importante o meno. Intervenire sui propri archetipi, e riconoscerli (prima di tutto) è un modo molto efficace, profondo e proficuo per ottere cambiamento positivo diretto verso nuovi traguardi personali e professionali.  Utile per riflettere e trovare spunti eccellenti per chiunque si occupa di formazione, di consulenza manageriale, di psicologia, comunicazione, management e potenziale umano, ma anche di psicoterapia, counseling e relazioni d’aiuto, didattica e sviluppo organizzativo, risorse umane e sviluppo dei team.

L’eroe dentro di noi. Sei archetipi della nostra vita
Pearson Carol S., 1990, Astrolabio Ubaldini – Libro consigliato per chi desidera trovare una buona sintesi e ottimi spunti di riflessione. Contiene inoltre schemi ed esercitazioni applicative per esercizi di sviluppo.
€ 13,50

Risvegliare l’eroe dentro di noi. Dodici archetipi per trovare noi stessi
Pearson Carol S., 1992, Astrolabio Ubaldini
€ 20,00

Altre letture consigliate sul tema dell’archetipo
L’alchimia delle parole. Un approccio archetipico al linguaggio
Kugler Paul, 2002, Moretti & Vitali
€ 18,00

Archetipi
2009, Edizioni XII
€ 19,50

Archetipi
Zolla Elémire, 2002, Marsilio
€ 6,50

Gli archetipi dell’inconscio collettivo
Jung Carl G., 1977, Bollati Boringhieri
€ 8,80 (Prezzo di copertina € 11,00 Sconto 20%)

Archetipi di territorio
Marson Anna, 2008, Alinea
€ 18,70 (Prezzo di copertina € 22,00 Sconto 15%)

Archetipi e citazioni nel fashion design
Benelli Elisabetta, 2006, Firenze University Press
€ 19,50

Archetipo, attaccamento, analisi. La psicologia junghiana e la mente emergente
Knox Jean, 2007, Ma. Gi.
€ 24,00

Complesso, archetipo, simbolo nella psicologia di C. G. Jung
Jacobi Jolande, 2004, Bollati Boringhieri
€ 20,00

La dea. Creazione. Fertilità e abbondanza. La sovranità della donna. Miti e archetipi
Husain Shahrukh, 1999, EDT
€ 15,00

Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile
Kerényi Károly, 2010, Adelphi
€ 22,00

La donna ferita. Modelli e archetipi del rapporto padre-figlia
Leonard Linda S., 1985, Astrolabio Ubaldini
€ 12,50

Dora e il drago. Strutture archetipiche e psicoanalisi applicata
Marchetti Enzo, 1994, Schena
€ 12,91

Elia e al Khidr. L’archetipo del maestro invisibile
2004, Medusa Edizioni
€ 28,00

L’era dello spirito. Archetipi, metafore, simboli per un tempo nuovo
Vannucci Giovanni, 1999, Servitium
€ 7,75

L’eterno fanciullo. L’archetipo del Puer aeternus
Franz Marie-Louise von, 2009, Red Edizioni
€ 10,50

Il fanciullo e la core: due archetipi
Jung Carl G., 1981, Bollati Boringhieri
€ 8,80 (Prezzo di copertina € 11,00 Sconto 20%)

Il filo di paglia, il tizzone e il fagiolo. Differenze e costanze archetipiche in diverse culture
Franz Marie-Louise von, 2000, Moretti & Vitali
€ 15,00

La maschera inevitabile. Attualità dell’archetipo della maschera
Meroni Bruno, 2005, Moretti & Vitali
€ 14,00

Miti e archetipi. Vol. 2
Corradini Domenico, 1995, ETS
€ 20,66

Nel profondo dell’anima. La dimensione archetipica del sè
Godino Antonio, Majorello Carla, 2002, Quattroventi
€ 16,00

Opere. Vol. 9/1: Gli archetipi e l’Inconscio collettivo.
Jung Carl G., 1997, Bollati Boringhieri
€ 28,00 (Prezzo di copertina € 35,00 Sconto 20%)

Opere. Vol. 9/1: Gli archetipi e l’Inconscio collettivo.
Jung Carl G., 1980, Bollati Boringhieri
€ 53,60 (Prezzo di copertina € 67,00 Sconto 20%)

Parola & psiche. Saggio per un collegamento fra gli indirizzi linguistico e archetipico in psicodinamica
Fratini Antoine, 1999, Armando Editore
€ 12,39

Processi archetipici in psicoterapia
2007, Ma. Gi.
€ 22,00

La psiche e gli archetipi dello spirito
2003, Moretti & Vitali
€ 17,00

Sette archetipi per il quarto millennio. Psicoanalisi, simboli, scultura
Tranchina Paolo, Arcuri Luigi, 1994, Centro Documentazione Pistoia
€ 2,58

Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale
Durand Gilbert, 2009, Dedalo
€ 22,00