Marketing del Centro Fitness: attrarre nuovi clienti

Marketing del Centro Fitness e New Business Marketing: attrarre nuovi clienti e sviluppare corsi e progetti innovativi.

Intervista a Daniele Trevisani, relatore presso il Fitness Forum 2010 Bologna.

Copyright Studio Trevisani, Daniele Trevisani.

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Marketing del Centro Fitness: attrarre nuovi clienti

…l’economia è costantemente dibattuta tra fasi di spinta e fasi di recessione. Adesso, il contesto ci impone di essere più “tecnici” e “scientifici” nel fare marketing e vendita, e da quello che impostiamo oggi – dalle metodologie che andremo ad inserire in questa fase – molto probabilmente impareremo molto anche per il futuro.

– Quali sono le leve oggi più efficaci?

Per conquistare nuovi clienti, le campagne di ipersegmentazione. Sembra una parolaccia, ma significa essere capaci di fare un lavoro estremamente mirato, ancora più di prima. Stop alla promozione classica. Ne parleremo approfonditamente appena possibile. Per tenersi stretto il cliente, sicuramente serve poi qualcosa di nuovo, parlo di marketing percettivo da applicare all’interno del centro fitness, parlo di coaching serio, applicato al cliente, sia come linea di servizio, che come “gift” o regalo promozionale. Ed ancora, il coinvolgimento dei propri clienti più esperti (i “lead users”) per rinnovare costantemente l’offerta. Molti nostri clienti esperti ne sanno ben più di noi su cosa dovremmo fare per migliorare il club nel quale passano centinaia di ore. Sentiamo la loro voce, con umiltà. Ascoltiamo. Progettiamo, impariamo da loro.

– Il New Business Marketing sarà al centro del tuo intervento. Potresti descrivercene, in sintesi, gli aspetti più importanti?

Come dicevo, dobbiamo passare dalla promozione classica alle campagne di marketing caratterizzate da ipersegmentazione: il mercato non è uno sciame generico di grandi fagiani che si coglie con una rete a maglie larghe, qualche cartello pubblicitario, qualche volantino. È caratterizzato da persone che si raggruppano in specifici segmenti localizzabili. Sinora i centri fitness nella media si sono affidati alla promozione generalista. I più bravi hanno lavorato su segmenti localizzati. Il passo successivo è il marketing fatto tramite micro-campagne. Le nuove tappe verso il miglioramento continuo del marketing nel centro fitness passano attraverso i micro-segmenti. Facciamo un esempio di alcuni micro-segmenti: mamme che hanno partorito da 2 a 6 mesi fa, e hanno bisogno di un programma mirato. Studenti fuorisede della facoltà di Economia (o qualsiasi facoltà X) appena immatricolati o iscritti e che verranno a trasferirsi nella nostra città e non vogliono smettere di fare sport. Anziani over 70 cui il medico ha prescritto una blanda attività fisica (camminare) e che noi coinvolgeremo in un programma di fit-walking e motivazionale studiato per gli over 70. Neo-adolescenti che praticano calcio cui offrire un programma integrativo (potenziamento e posturale, o altro) rispetto alla loro attività, andando a stipulare convenzioni con le varie società sportive e offrendo un programma dedicato di 1 solo allenamento integrativo settimanale. Convenzione con l’azienda X per la pausa pranzo dei propri dipendenti… Programmi di co-marketing con istituti medici e professionisti della riabilitazione. Programmi di coaching e life-coaching su segmenti mirati, e tanto altro ancora. La cosa essenziale è iniziare a pensare che non bastano i volantini, i siti web, la pubblicità classica, ma occorre creare un vero e proprio ufficio commerciale/marketing/vendita del club. Se non esiste lo dobbiamo creare, anche solo partendo con una persona sola, che sia pure il titolare o un suo collaboratore, e poi li dobbiamo preparare a vendere. Se devo fare una convenzione con una impresa locale, devo andare a vendere il mio club e la sua immagine, di persona, assolutamente di persona, ai decisori (titolare, o direttore del personale). Non basta “sapere di fitness” per fare vendita, la vendita o si studia o “si spera vada bene”. Meglio studiarla, credo davvero.

– In base alla tua ampia esperienza di consulente, quali sono i punti deboli sui quali i club devono oggi lavorare di più?

Primo: darsi una struttura commerciale che in molti club manca. Secondo: creare “percorsi” e non “corsi”, prendere in carico il cliente completamente, non solo vendere un mensile. Portarlo all’estate con il fisico tonificato e donargli salute tutto l’anno, applicare il marketing esperienziale alle sessioni allenanti. Volere fortemente la sua crescita personale e il suo benessere. Applicare le tecniche del Potenziale Umano e non solo un approccio sportivo.

Terzo:  la formazione manageriale e in comunicazione, lacunosa e improvvisata, lasciata ai margini del budget. E’ obbligatorio per ogni club che si rispetti darsi un budget per la formazione, non c’è scampo, e questa deve toccare tutto il personale, di sala pesi, gli istruttori e allenatori, i dirigenti, il desk. La dobbiamo integrare come parte naturale della vita del club.

Poi dobbiamo preparare gli “incursori”, fare formazione vendite a quelli che andranno a vendere il club all’esterno, a fare convenzioni, a preparare dimostrazioni, nelle fiere, nelle sagre, nei centri commerciali, nelle scuole. Vendere il club all’esterno, portarlo fuori, non aspettare che il cliente arrivi per miracolo. Imparare a “portare fuori il club”, fare una vendita diretta (personal selling), significa essere capaci di fare un lavoro estremamente mirato e preparare una tattica di vendita. La capacità di vendita non si eredita da nessuno. Si costruisce.

I risultati delle campagne mirate e della vendita diretta hanno una bella caratteristica: si vede subito se funzionano, se quel micro-segmento risponde, se dobbiamo continuare su quella strada o smettere di battere quel segmento e passare ad altri. In altre parole: si toccano i risultati subito e con mano.

Quali sono i target di clientela su cui scommettere di più nel prossimo futuro?

Intanto le imprese, il che richiede fare convenzioni e vendita/negoziazione Business to Business verso l’impresa target. Poi i privati, ma – come ripeto – non bisogna disperdersi, ma localizzare micro-segmenti.

Sono i micro segmenti che danno più gratificazioni: i newcomers (persino dai 9, 10 anni)e i teenagers, che – se siamo bravi – fidelizzeremo al club per i prossimi 20 anni e più. Gli anziani cui offrire un servizio tra il fitness e il medicale. Le donne che si avvicinano alla maturità e vogliono sentirsi giovani. I target molto polarizzati che chiedono discipline intense magari combinate con outdoor, le nuove arti marziali miste, i target polarizzati in senso opposto – le discipline orientali o molto rilassanti, le combinazioni e permutazioni tra discipline, gli abbinamenti tra corsi e coaching. In altre parole: il club deve diventare una “palestra di creatività” con approccio scientifico, non è solo una palestra per i praticanti: è una palestra di management.

Grazie per la preziosa collaborazione.

Lo Spazio Mentale del Progetto e la teoria dei 3 mondi (a cura di Angelo Rovetta)

Teoria della progettazione

 

Lo spazio mentale del progetto[1] – Il progetto tra naturale e artificiale

  • Copyright, Articolo a cura di Angelo Rovetta, in: Rivista Communication Research n. 1/2010 a cura di Medialab Research www.medialab-research.com

Nella teoria dei 3 Mondi Popper offre una euristica proposta dei modi con cui interagiscono la conoscenza, le azioni umane e i “dati” del mondo “fuori” dal soggetto che percepisce e che interagisce, che vive.

Il Mondo 1, dunque, è costituito dall’insieme delle “cose” che popolano la natura (dai sassi agli animali, dalle foreste alle vallate, dai monti ai mari). Tutto ciò che è dato prima dell’avvento e delle relazioni con il soggetto.

Il Mondo 2 è il mondo della soggettività percipiente, della coscienza, della introspezione e dell’autonomia, della autoreferenzialità del “io sono”: la coscienza.

Il Mondo 3 è l’insieme degli oggetti “artificiali”, costruiti dai soggetti nel tempo. Si tratta di oggetti fisici  (come gli strumenti e le protesi di cui l’uomo si è dotato nel tempo) o di oggetti “mentali” (le idee, i romanzi e le poesie, le formule matematiche e fisiche). Tutto ciò, insomma, che non era dato “prima”, ma che è stato immesso nel Mondo 1 (nella “natura”) dal Mondo 2 (l’uomo) tramite creatività, immaginazione, lavoro, manipolazione, interazione con i Mondi 1 e 3.

Infatti, la caratteristica “sistemica” dei 3 Mondi è che si influenzano reciprocamente e che gli oggetti del Mondo 3 “modificano” gli altri due Mondi.

Ecco, pertanto, dove si collocano la progettazione umana e i suoi prodotti: nel Mondo 3, ossia tra natura e artificio.

I progetti sono “oggetti” del Mondo 3, non esistenti “prima”, che, una volta creati dall’uomo,  oggettivati, concretizzati  nella materia (un  tempio, una leva, un dipinto, un libro, una formula scritta) e nelle relazioni tra cose e persone, entrano a far parte del Mondo 1, per così dire. Incrociano la sua naturalità, possono diventare essi stessi elementi del “paesaggio naturale” che si presenta alla percezione del soggetto.

Un paesaggio artificiale è “naturale” nella misura in cui diventa “ovvio”, scontato, un “dato”, per il soggetto che lo percepisce, ci vive, lo considera il suo contesto, il contesto – campo che produce il significato dei singoli elementi che lo compongono.

Se l’artificiale diventa “immanente” all’ambiente – contesto in cui è posto, si naturalizza, agli occhi del soggetto che osserva, cioè tende a essere percepito come un elemento del Mondo 1.

Il progetto, pertanto, ha un suo significato dal punto di vista del contesto, cioè dello spazio in cui è prodotto e si oggettiva, come risposta di un soggetto che interagisce con  il contesto – ambiente stesso.

Ha, però, anche un ulteriore significato, di diverso livello e valore logico, dal punto di vista del tempo, della sua durata, della processualità con cui opera nel suo contesto, nel modo in cui, da artificiale, diventa “naturale”.

In questo modo si ordinano i problemi di sempre, relativi ai modi di essere della conoscenza umana e ai rapporti tra soggetto che conosce e ciò che sta “fuori” dal soggetto, nonché ai correlati problemi dei rapporti tra natura, cultura e norma.

Cioè, alle relazioni tra desiderio (aspettative e previsioni), tra eredità (ciò che è dato perché avvenuto e creato nel passato) e intenzionalità, volontà, proiezione, investimento nel futuro (ciò che è possibile, probabile che avvenga domani, o che “deve” avvenire).

E’ in questo immenso campo problematico – sistemico che la mente umana “progetta”.

Lo spazio – mente: in interiore homine si genera il pensiero – progetto

Il soggetto si struttura, nella sua consapevolezza – coscienza, prima di tutto nelle sue relazioni spaziali: ognuno percepisce un “dentro e un fuori”. La percezione del dentro di sé è complessa, pur nel suo essere intuitivo. Vi è una percezione fisica delle proprie parti interne, che, perlopiù, è enfatizzata dal dolore fisico, dal malessere.

Vi sono sentimenti ed emozioni che provengono dal di dentro: nel sogno, e nell’incubo, per esempio.

La percezione interna di un sé psico-corporeo, de-limitato dalla pelle o dall’aura, si costruisce negli anni, con varie esperienze, esplorando il mondo – contesto intorno e costruendo il proprio “interno” come spazio interiore, introiettanto,  e ispezionando (introspezione) gli “spazi” della memoria, del percepito, del sentito, dell’intuito.

La mente e il cuore producono immagini, ma entro un campo – spazio che è l’interno di sé o il sé, autopoietico – autoreferenziale, che sta “dentro” l’involucro fisico, cioè la condensazione energetica che ci sentiamo di essere.

La percezione di pensare, di sentire e di amare sono processi che producono incessantemente immagini.

Le immagini che percepiamo e di cui siamo coscienti (anche quelle di cui abbiamo meno o nulla coscienza) consistono, quando “nascono”, in differenze nell’istante (Bateson).

Il perdurare delle immagini nell’apparato neurologico (memoria, tracce mestiche) genera il tempo, cioè il flusso, l’evoluzione delle forme, la complementarietà delle forme, la sommatoria delle differenze di immagini endogene ed esterne (percezioni di “oggetti esterni” tramite i sensi), antiche (ricordate) e nuove.

Immagine e spazio mentale: rapporti

La forma dell’immagine

Le forme di un’immagine sono bordi – confini: delimitano, definiscono “chiudono” uno spazio, non solo al proprio interno, ma, anche, costruiscono, per complementarietà, un ambiente esterno.

Nella mente nasce lo spazio, dentro e intorno alle forme, in quanto un’immagine che si crea dinamicamente nella mente con-forma lo spazio e produce, al tempo stesso, un campo energetico (l’attesa?) una tensione che costituisce lo spazio – contesto entro cui si manifesta l’immagine stessa.

Il campo – contesto non è necessariamente un a priori, ma tende a co-costruirsi insieme all’immagine che produce e da cui è, contemporaneamente, prodotto.

Si tratta di uno spazio dinamico, nel momento della creazione dell’immagine, cioè metamorfico.

Il “pensiero” è costituito da immagini: la mente è uno spazio riempito e costruito da immagini.

Le immagini creano lo spazio mentale e, se vi è uno spazio mentale previo, “riempiono” lo spazio.

Un certo numero di immagini ricorrenti, ripetute, consolidate, fermano il dinamismo della creazione di spazio e vengono percepite come spazio statico.

La fissazione – cristallizzazione dello spazio in forme “riconoscibili” modifica la percezione degli spazi mentali e di quelli dell’ambiente in cui un soggetto vive.

Il lavoro dei primi mesi di vita: il gioco del rocchetto, dentro fuori, presenza assenza, luce buio, c’è non c’è, costruisce lo spazio mentale e, contemporaneamente, lo spazio dell’ambiente circostante. Non c’è, dunque, diversità di tratti tra lo spazio che è la mente e lo spazio dell’universo sensibile, l’ambiente – contesto in cui ogni mente cresce e con cui si misura dialetticamente.

Dall’indifferenziato alla percezione della differenza: lo spazio si “costruisce” dentro e fuori il soggetto che osserva e conforma l’ambiente mediante i prodotti del mondo 3 di Popper.

Lo spazio è, poi, nell’evoluzione – durata del soggetto percepito come un a priori: da “campo energetico” anonimo (pura potenza – possibilità, virtualità), diventa un ambiente o un paesaggio in cui abitano le singole immagini, è il luogo del riconoscimento di immagini – oggetti attraverso questi processi spaziali di base.

– La categorizzazione: riconoscere forme, esterne al soggetto, per similitudine – analogia con forme consolidate, già esperite dalla mente; la memoria genera il tempo.

– La classificazione : inserire la forma identificata in classi di forme , cioè in “cartelle” – insiemi  individuati da alcune caratteristiche spaziali (qualità e quantità) comuni a tutti gli oggetti o soggetti identificati da quella forma categoriale che struttura lo spazio  mentale tra interno ed esterno.

La classe come astrazione: l’astrazione è una ricorsività, un ritorno di elementi. Ciò comporta un riconoscimento di forme , cioè di ritmi percettivi che si sovrappongono nella mente, nelle tracce mestiche, dando vita all’ ”essere simile a…”, la ripetizione di questo processo dà vita all’astrazione dal contesto di alcuni elementi ricorrenti e alla cartella o classe o decontestualizzazione degli oggetti e alla loro ricollocazione nel contesto classe : la classe è nominata.

La foresta come classe di tutti gli oggetti aventi le caratteristiche che definiscono la classe stessa.

La classe è un principio ordinativo e conoscitivo poiché permette l’attribuzione delle caratteristiche generali di appartenenza ai singoli oggetti che si osservano.

I numeri possono essere considerati classe di classi?

Ogni classe può contenere un numero a piacere di sottoclassi.

La classe della bellezza ha numerose sottoclassi: la classe degli uomini belli, quella delle donne belle, delle automobili, delle case, dei soprammobili, dei paesaggi, dei pensieri belli.

Esempio: il soggetto può riconoscere che un oggetto è un albero perché ha tratti formali (qualità e quantità) che definiscono un tipo di spazio (statico e dinamico). Se lo identifica – categorizza come albero, lo può classificare nell’insieme foresta – bosco, cioè la cartella classe spaziale che raccoglie tutti gli oggetti aventi alcune caratteristiche di definizione dello spazio (foglie verdi e/o gialle rosse, rami tronco, radici, ecc.) rugoso e/o liscio .

Lo spazio – immagini definito foresta – bosco può, a sua volta, avere alcune sue caratteristiche, in quanto insieme, autonome, non indipendenti, rispetto alla categoria del singolo albero. In questo caso, da classe degli oggetti – albero passa a partecipare dei processi di identificazione spaziale delle categorie – categorizzazioni spaziali.

Sette dimensioni per lo spazio –  mente

Nello spazio mentale le immagini di solito vengono create secondo le tre dimensioni dello spazio fisico percepito : altezza, lunghezza e profondità.

Ma l’immaginazione ha la capacità di “trasformare” le immagini inserendovi il dinamismo del tempo e della relativa processualità: le metamorfosi delle forme richiedono il tempo dell’evoluzione delle stesse. Il tempo e il processo sono, dunque, la quarta dimensione dello spazio – mente.

La quinta dimensione è costituita dalla “tenuta” delle forme nel tempo: la memoria permette la ricorsività e il riconoscimento del già esperito una volta. E’, perciò, collegata al tempo e ha una funzione generativa.

La sesta dimensione è costituita dall’intuizione – sintesi, la capacità di cogliere ciò che è invisibile e sottile, le tracce, le ombre della realtà: si tratta del famoso “sesto senso” o del “terzo occhio” posto in mezzo alla fronte e che permette la percezione o la sintesi cosciente dell’impercettibile. L’intuizione è la dimensione, la sorgente da cui sgorga il nuovo: segni e simboli, immagini , che poi l’uomo riesce a rendere oggetti e strutture anche fisiche, che la mente genera a partire dalle immaginazioni intuitivo-sintetiche.

La settima dimensione è strettamente connessa con l’intuizione: si tratta dell’energia vitale che “anima” ogni soggetto, detta anche intelligenza emotiva.

Più semplicemente si può parlare della dimensione erotica, dell’eros, della capacità d’amare, dell’impulso di “essere attratto da”, cioè di prendere dentro (desidero possederti) e lasciarsi prendere dal desiderio altrui (di solito espresso da persona, ma anche da oggetti naturali o artificiali).

L’eros, come dimensione mentale, non va confuso con il cosiddetto appetito sessuale.  L’ ”istinto” sessuale si manifesta, insieme agli altri bisogni primari, come fattore biologico ed esercita la sua funzione evolutiva di mantenimento della specie.

L’impulso sessuale, ormonale, nello spazio mentale interagisce con gli altri spazi immaginativi e diventa dimensione erotica: una modalità specifica di costruire, “generare” immagini e, dunque, di progettare.

Si tratta di una mente pluridimensionale (con molte sfaccettature) o di un unico spazio mentale, integrato, a sette dimensioni?

Ritengo che ci possano essere momenti, nella vita, o persone, che utilizzino in modo non integrato le potenzialità e qualità della mente immaginativa.

Sono, tuttavia, potenzialità che possono essere sviluppate: perciò è utile la formazione.

Raggiungere la capacità d’uso della mente come spazio integrato, in cui le sette dimensioni cooperano alla generazione di progetti (immagini, idee, procedure, pianificazioni), è possibile e fa parte dello sviluppo umano, sia del singolo, sia del genere.

La virtualità, ossia  la speranza del futuro – pre-vedere

Il futuro, nello spazio mente, non fa parte del tempo: nella mente le immagini sono sempre al presente, lì e in quel momento; possono essere archiviate nella memoria, possono subire metamorfosi, ma sono sempre “presenti”.

Del resto, ogni progetto presuppone un tempo in cui potrà, dovrà essere realizzato.

E’ una necessità del progetto implicare la speranza di un futuro in cui il progetto stesso sarà possibile, verrà generato e oggettivato.

Ogni progetto è un investimento su un possibile futuro che gli è dato e dovuto se vuole esserci. Se vuole passare dal possibile al “fattibile” e al realizzabile – realizzato.

Il giudizio di fattibilità indica la potenza del progetto. Fa parte, ancora, della virtualità, che è il modo di essere dello spazio mentale a sette dimensioni, la matrice del progettare.

Lo spazio mentale è uno spazio vuoto. Ma matriciale: è un vuoto gravido di infinite epifanie di immagini: emozioni e idee, segni e simboli, progetti. In questo consiste la virtualità di ogni progetto.

Nel progettare, la mente investe e ipoteca il futuro, lo pre-vede, in un gioco virtuale: “Supponiamo che…”

Un progetto possibile, perché ha investito sulla speranza del tempo futuro, non necessariamente è fattibile a breve, come dimostrano i tanti progetti leonardeschi e i “sogni”, le aspirazioni progettuali di tutti gli uomini.

La mancata realizzazione di tanti progetti dipende, dal punto di vista logico, probabilmente dal fatto che, nello spazio virtuale della mente, ogni progetto partecipa delle sette dimensioni che lo generano, mentre, quando lo si deve realizzare, si opera una violenta riduzione alle tre dello spazio fisico o alle quattro della “realtà” storica.

La tecnologia si sforza di elaborare progetti che ottemperino alla prevedibilità scientifica e, perciò, siano fattibili, in sé diligentemente ricorsivi, algoritmici.

Si tratta, in tutti i modi, di operare una serie di adattamenti e di adeguamenti, di “riduzioni” dimensionali, sino al punto che un progetto può venire “snaturato”, come si dice comunemente.


[1] Per queste riflessioni si sono seguiti i seguenti autori  “sistemici”:

G. Bateson, Una sacra unità, Adelphi, Milano 1997, G. Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano 1984, E. Marconi, Spazio e linguaggio, IPL, Milano 1990, K. R. Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1990.

Zone di lavoro per la crescita personale: tra apatia e perfezionismi inutili

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.9.  Ricerca dell’eccellenza vs. perfezionismi inutili

Chi si occupa di performance è spesso portato a confondere due piani distinti di una prestazione: la perfezione e l’eccellenza.

Una prestazione eccellente è quella che offre contributi significativi a chi ne deve fruire, mentre una prestazione perfetta è spesso autoreferenziale, forzatamente ed esasperatamente sovraccarica di attenzione, anche nei dettagli nei quali nessuno può percepire un contributo in più o vantaggi ulteriori veri.

La vera eccellenza si misura sul valore vero prodotto, non in finezze snob.

I performer non possono essere danneggiati dalla ricerca della perfezione ma devono essere stimolati dalla ricerca dell’eccellenza. Si tratta di una differenza sottile ma importante.

Perfezionismo e ricerca dell’eccellenza sono atteggiamenti diversi. Il perfezionismo assorbe energie in modo maniacale anche oltre il livello in cui un contributo diventa significativo. Consuma energie inutilmente.

Le attività dei cercatori di perfezione non sono mai finite, mai terminate, mai perfette, esiste sempre una ragione per non completarle o non essere soddisfatti di sè.

L’eccellenza richiede che le energie vengano investite là dove un contributo produce effetti, e sino al livello in cui un miglioramento è reale, percepibile, dotato di senso, creatore di valore buono, e non oltre.

Il perfezionismo non aumenta il successo delle persone, è uno stato di maniacalità. Il successo è determinato dal talento, energia, impegno, non dal perfezionismo o testardaggine verso i dettagli inutili. Il successo avviene nonostante il perfezionismo, non a causa di esso. Come evidenzia Greenspon[1], il perfezionismo è una sorta di malattia:

“Il perfezionismo non è fare del proprio meglio, o ricercare l’eccellenza. È una convinzione emotiva sul fatto che la perfezione sia la sola via all’accettazione personale. È la convinzione emotiva che solo essendo perfetti uno sarà finalmente accettato come persona”.

Un coaching efficace dovrà aiutare il cliente o team ad identificare le soglie di valutazione corrette nelle proprie attività, evitando sia le performance scadenti che quelle dotate di attenzioni maniacali non necessarie.

Localizzare dove si situino le varie attività dell’individuo o del team in questa scala, è fondamentale. Specificamente, localizzare la differenza tra il perfezionismo inutile e l’eccellenza è particolarmente importante nel metodo HPM, vista la presenza della cella “micro-competenze”, che stimola proprio ad andare alla ricerca dei dettagli significativi su cui lavorare. Essa – ricordiamo – non è da non confondere con l’ossessione maniacale sull’inutile e sulla superficie.

Una delle funzioni fondamentali del coaching e della formazione consulenziale consiste proprio nell’aiutare le persone a capire su quali aree è bene investire e su quali invece sia inutile farlo ora, o non valga la pena in quanto il livello raggiunto è già sufficientemente buono.

Le persone non riescono, da sole, il più delle volte, a percepire se stesse con lucidità, a fissare bene i propri scopi, ancora meno a raggiungerli o sviluppare performance ottimali. Esiste una coltre di nebbia che offusca la visione di noi stessi e i nostri veri obiettivi. Guardare oltre non è facile, e anche una sfida, per definizione, non è semplice.

Il coaching, la formazione, la consulenza, sono discipline che – quando fatte con passione e serietà – lavorano sul dare supporto individuale, o a una squadra o intera organizzazione, per aiutarla a percepirsi correttamente, senza lenti sfuocate, a fissare veri obiettivi e fare piazza pulita di falsi obiettivi o presupposti fuorvianti, evolvere e andare verso nuove sfide, crescere, progredire. Perché il senso dell’uomo è questo: la ricerca.

Rispetto alle variabili del modello HPM, ciascuna può essere osservata come uno spazio di crescita con territori in parte conosciuti e raggiunti, ed altri ancora da conquistare ed esplorare.

La domanda non diventa se andare avanti, ma come. Il fatto di andare avanti deve diventare un atteggiamento di fondo, forza di volontà costante.

Un’ultima convinzione e riflessione: l’eccellenza non è materia solo tecnica. L’eccellenza si raggiunge quando si crede in qualcosa.

I puri di cuore, e coloro che lavorano per una causa, fanno quasi sempre cose eccellenti, poiché vi mettono passione.

La tecnica e la formazione ci possono solo aiutare a trasformare la purezza del cuore e la volontà in progetti reali, tangibili e utili.

Vivere, essere puri di cuore, e morire

Per rendere immortale il nostro spirito.

Gustavo Adolfo Rol (1903-1994)

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.


[1] Greenspon, T. (2008), The Courage to be Imperfect: Tom Greenspon on Perfectionism, Northwestern University, Center for Talent Development.

Formazione interculturale aziendale, efficacia interculturale, comunicazione interculturale

Formazione interculturale, comunicazione interculturale aziendale e management cross-culturale

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La comunicazione interculturale aziendale riguarda

  • la competenza nel capire gli interlocutori di culture diverse (empatia interculturale strategica),
  • essere efficaci e persuasivi in contesti interculturali (persuasione interculturale, es: vendite all’estero),
  • la capacità di condurre negoziazioni internazionali (negoziazione interculturale),
  • la capacità di avviare e condurre gruppi di lavoro su progetti che coinvolgono persone di culture diverse (team interculturali e leadership interculturale).

Capire la cultura altrui è un fattore critico di successo nei mercati globali, ma anche all’interno della stessa nazione. La cultura determina infatti:

  • la reazione ai prodotti e alle proposte commerciali, le dinamiche di persuasione interculturale
  • la reazione delle persone verso gli atteggiamenti personali e comportamenti che osserva, filtrati da schemi culturali e mentali (frame mentali e frame culturali)

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Per dare supporto e contributo concreto alla formazione interculturale, i problemi di comunicazione interculturale e negoziazione interculturale sono analizzati in una specifica pubblicazione curata dallo Studio Trevisani, un contributo primario di ricerca per le imprese e i managers, con modelli originali provenienti dalle ricerche condotte dall’autore.

 

Pubblicazione tematica di comunicazione interculturale e negoziazione interculturale curata da Studio Trevisani

 

Volume "Negoziazione Interculturale"

  • Trevisani, Daniele (2005). Negoziazione Interculturale: Comunicazione oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. 2005. (172 pag.)

L’esigenza di una formazione interculturale riguarda ogni professionista e ogni manager

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Senza consapevolezza culturale, è impossibile essere efficaci in un mercato internazionale ove le possibilità di contatto interculturale sono, in un giorno, superiori a quelle che un nostro antenato poteva avere in una intera vita.

La competenza interculturale e la formazione interculturale permettono di capire meglio:

  • le radici dei comportamenti, delle decisioni, di ciò che osserviamo negli altri e in noi stessi
  • la reazione ai messaggi, alle attività di persuasione, ai colori, ai linguaggi, alle forme, e agli stili comunicativi
  • gli stili di comunicazione interpersonale, le distanze gerarchiche, le stratificazioni sociali
  • le tecniche di negoziazione e la capacità di essere culturalmente efficaci oppure essere rifiutati culturalmente
  • le modalità di inserimento, accettazione e adattamento delle risorse umane attive all’estero (es: area managers, resident managers, filiali estere, joint ventures, stabilimenti produttivi), il successo nell’insediamento delle aziende e delle persone che vi operano
  • le tecniche di negoziazione e la capacità di essere culturalmente efficaci oppure essere rifiutati culturalmente
  • le modalità di inserimento nelle organizzazioni, i percorsi di carriera, la possibilità di avere successo e i modi con cui si può essere efficaci

Altre informazioni ai link seguenti:

Trappole cognitive e pensiero pulito

Come riconoscere le Trappole Mentali, Gabbie Mentali, Trappole Cognitive, Distorsioni della Valutazione, Alterazioni del Giudizio

Obiettivi: capire i meccanismi alla base delle decisioni sbagliate, migliorare le proprie capacità di analisi, decisione e controllo della situazione

La mente umana è uno strumento eccezionale, ma la velocità con la quale siamo chiamati a fare analisi e prendere decisioni in condizioni incerte ci porta a scorciatoie e trappole mentali che, anzichè aiutare, e velocizzare il ragionamento, ci portano in errore. Come evidenzia bene un autore della rete (http://artemisia-blog.blogspot.com/2008/12/trappole-mentali.html)

…”Uno dei vari giochi che propone il professor Motterlini è quello del pallone e delle scarpe da calcio che costano complessivamente 110 Euro. Se le sole scarpe costano 100 euro in più del pallone, quanto costa quest’ultimo? La maggior parte delle persone risponde subito istintivamente che il pallone costa 10 euro. Perché? Il motivo è che nel nostro cervello ci sono due sistemi: il sistema 1, istintivo, veloce, costa poco sforzo, fa fare tante cose insieme e ci porta ad ingannarci, e il sistema 2 più accurato ma lento, pigro, richiede sforzo, concentrazione e quindi ci impedisce di fare più cose insieme, basato su regole apprese con fatica. Il nostro “pilota automatico” (il sistema 1) parte subito e ci fa rispondere che il pallone costa 10 euro e solo dopo aver attivato il sistema 2 ci correggiamo e capiamo che costa 5″…

Questo caso è utile per riflettere, ma la vita ce ne presenta in continuazione e di ben più subdoli. Sembrava persino ovvio e banale perdere tempo a ragionare. Chiedete quante volte un managere ha deciso di andare ad un appuntamento importante preparandosi una lista scritta di ascolto, una serie di domande da fare, una wish-list di informazioni da ottenere. Risposta: raro, rarissimo… siamo disabituati ad ascoltare, a ragionare, a fermare la testa indaffarata nel suo brulicare. Ragionare in modo libero e pulito da condizionamenti è difficile. Liberarsi dai condizionamenti è difficile. E tuttavia, perchè tenerseli, perchè non provarci?

La formulazione del problema spesso trae in inganno. Nei nostri corsi aziendali è fondamentale coltivare precisione e chiarezza del linguaggio, sviluppare doti di focusing (capacità di focalizzare), concentrazione, precisione e lucidità del ragionamento, nella vita aziendale, ma anche per le decisioni da prendere in caso di crisi. Non è un caso se in questo tipo di training vi sia una forte presenza di manager che devono prendere decisioni critiche, forze dell’ordine o militari o servizi di sicurezza, protezione civile, personale medico, e altri ruoli delicati nei quali è indispensabile (non quindi una moda) ripulire il pensiero dalle percezioni errate. Bene, quanti di questi errori compiamo? Quante decisioni aziendali che sembrano logiche, immediate, ovvie, non lo sono? Quante analisi soffrono di distorsione e portano questa distorsione nelle decisioni da prendere, e quindi nelle scelte pratiche, VERE, della vita personale e aziendale? Le opportunità di ragionare sugli errori nelle decisioni e sugli errori nei ragionamenti sono rare. I nostri sistemi difensivi entrano subito in azione. Non ci piace sentire di avere sbagliato, a volte preferiamo conservare un’immagine positiva di noi stessi e alteriamo interi dati di realtà pur di conservare integra l’immagine di “buoni valutatori” e di “buoni manager”, o “buoni decisori”. non solo in azienda, ma anche nelle nostre scelte di vita e nelle scelte professionali quotidiane. esempi di problematiche in cui entrano le trappole mentali: Quanto incidono questi errori sulle scelte critiche di strategia, che fronteggiano le imprese, esempi, in alcune aree: Scelte strategiche Investire su un mercato o un altro, in un settore o in un altro settore? Promuovere un prodotto o lasciarne morire un altro? Quali sono i nostri investimenti prioritari? Cosa ci garantirà un buon equilibrio aziendale? Quali scelte invece sembrano a prima vista vincenti ma ci conducono in trappola? Investimenti materiali: aprire o chiudere uno stabilimento e dove? Avviare una delocalizzazione o accentrare? A quale tipo di struttura ottimale dovremmo tendere? Investimenti immateriali: investire in quale area? In Ricerca tecnologica, in Qualità tecnica, in Qualità del servizio, in Formazione Aziendale, o dove altro? Tagliare quali costi? Perché questi e non altri? Quali sono le due operazioni primarie da fare il prossimo anno? Personale, Risorse Umane Cercare quale tipo di personale? Di quali persone avremmo veramente bisogno? Quali sono i modi migliori per trovarli? Quali sono i modi migliori per fare formazione aziendale, trattenere i talenti, e valorizzarne le risorse in azienda? Che valore vero ha portato, nel suo operato, una certa persona all’azienda? Quali sono le prime due persone che dovremmo mandare fuori dall’azienda, e perchè? Vendita, Commerciale, Marketing, Comunicazione Stiamo facendo le scelte giuste nei punti di vendita o distribuzione? I nostri punti vendita sono come dovrebbero essere? E il nostro posizionamento di mercato? E’ più importante tagliare i prezzi o trovare una differenziazione altrove? E dove? Dove sono i colli di bottiglia che frenano il potenziale di un gruppo di lavoro o dell’intera impresa? Gli assetti attuali sono equilibrati? I numeri raccontano la realtà vera delle cose? Immaginate cosa significa un errore in ciascuna di queste aree. Immaginate cosa significa fare una analisi sbagliata, e prendere quindi la strada sbagliata, in una o più di queste domande? Quanti errori possiamo permetterci prima pagare un prezzo troppo alto? Che benefici concreti possiamo ottenere se riusciamo a fare una buona analisi almeno su un punto chiave per ogni area? Il training esamina le principali scoperte che la psicologia e le scienze cognitive hanno compiuto sul tema delle trappole cognitive, e come queste possono essere applicate nella vita di tutti i giorni nelle proprie scelte, e nelle decisioni aziendali che contano. Il training ci permette di prendere coscienza di quali dati e abitudini, seppure eclatanti o abituali, sarebbe meglio trascurare (depurazione mentale), e quali sono i fattori che sarebbe meglio portare nelle nostre analisi (arricchimento mentale e decisionale). Osservate una riunione aziendale, o un gruppo di persone che decide. Quante volte ci succede di concentrarci su fatti che poi si sono rivelati inutili, e trascurare elementi che contano veramente? Le trappole cognitive sono ovunque, si annidano nelle nostre abitudini comportamentali, vengono assorbite per osmosi e per osservazione, e – come un virus – rendono l’organismo-azienda meno forte, aprono varchi all’ingresso di malessere organizzativo e successive crisi di mercato. Dietro ad ogni prodotto sbagliato c’è un ragionamento sbagliato. Dietro ad ogni decisione sbagliata ci sono modalità di ragionare che possono essere migliorate. Anche le decisioni giuste, o le scelte passate, quando corrette, potevano probabilmente essere ancora migliori, e i tempi per prenderle più ridotti. Per le di attività di formazione e corsi inerenti il miglioramento nell’analisi e nella decisione, siamo in grado di avviare progetti ad hoc – progetti formativi esperienziali, pratici – ma basati su solide conoscenze scientifiche. Questi progetti formativi permettono di avvalersi di casi, pratica, ed esercitazioni specifiche, per migliorare le capacità di analisi, la formazione manageriale sulle decisioni, le tecniche di riconoscimento delle Trappole Mentali, Gabbie Mentali, Trappole Cognitive, Distorsioni della Valutazione, e dare impulso alle priorità che ci permettono di fare passi importanti per consolidare l’azienda che vorremmo essere o il team che vorremmo diventare, o mantenere elevati i fattori attuali di successo. Lo sviluppo di progetti personalizzati viene realizzato dietro preventivazione specifica, per la quale è indispensabile avviare un contatto preliminare nei riferimenti riportati presso il sito Studio Trevisani.

Articolo di Daniele Trevisani

Categoria: Formazione Manageriale Avanzata – Corsi Aziendali Innovativi

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Coop Atlantide Cervia – Gruppo Comunicazione

Atlantide collageAtlantide, Cooperativa leader nel campo dell’educazione ambientale, si occupa di educazione, formazione, ricerca e divulgazione, piani di comunicazione ambientale, consulenza per la promozione delle attività connesse all’ambiente (promozione del riciclaggio e raccolta differenziata, formazione di insegnanti e formatoti,  educazione nelle scuole). Segue inoltre i progetti di enti pubblici e aziende che intendono dare un contributo allo sviluppo e salvaguardia ambientale.

Il progetto formativo, condotto dal dott. Daniele Trevisani per Cesvip Ravenna (finanziato dalla Provincia di Ravenna) è finalizzato a potenziare le competenze comunicative del capitale umano di Atlantide, coinvolto nella comunicazione al cliente e nella progettazione delle azioni educative.

Abstract, in English_____

Coop Atlantide, leader in the field of Environmental Education in Italy, conducts environmental education plans, training, research and promotion of environmental consciousness and practices. Atlantide works as consulting agency for public and private companies, and public administrations, to provide professional projects. Atlantide takes care of planning and execution of projects in environmental education and environmental communication, both in creative terms, and in practical field activities.

collage4Dr. Daniele Trevisani is one of the leading Italian trainers in communication and management, acts as training consultant and coach, serving as communication trainer and training expert in several training projects whose objective is to raise interpersonal and strategic communication skills. Serving as consultant for Atlantide’s Human Resources projects, his aim is to increase Human Potential Effectiveness and Organizational Performance in the company.

Concetti di formazione aziendale per la comunicazione interna

Materiali didattici copyright by Studio Trevisani, realizzazione Daniele Trevisani

Le diversità comunicative possono essere preziose  (es: più esperienze diverse possono portare a maggiore creatività in un team), ma possono anche creare barriere (es: barriere ideologiche, barriere linguistiche). Le barriere linguistiche sono facili da riconoscere, quelle ideologiche molto meno

 

Gli stili di comunicazione si qualificano in base a diverse componenti

  • Verbale
  • Paralinguistica
  • Non verbale

 

Rappresentazione del Self: l’articolazione dei segnali che si emettono produce una immagine di sè, una “facciata” che può essere o meno capita correttamente, o invece sottoposta a distorsioni ed interpretazioni errate (es: cogliere un senso di dominanza e aggressività, in seguito ad una distanza personale ravvicinata, mentre l’altro voglia invece dare un segnale di vicinanza)

 

Impressions management: la gestione strategica delle impressioni. Prevede consapevolezza delle proprie mosse comunicative, del loro impatto, e degli effetti che queste “mosse” producono sull’interazione complessiva

 

Dataflow e scomposizione del dataflow: ogni interazione interpersonale contiene più flussi di dati. Come un brano musicale che contiene 10 diversi strumenti, possiamo scomporre un brano di comunicazione e distinguere ad esempio il flusso di dati dal flusso emotivo che lo accompagna.

 

Giochi di faccia: le persone realizzano specifiche mosse atte a posizionarsi rispetto agli altri (vedi esempio brani di Totò, nei quali raggiunge il risultato di farsi percepire come “nobile” utilizzando sapientemente una serie di scelte linguistiche (mi ha condotto, anzichè mi ha portato, noi – plurale maiestatis, anzichè io) segnali non verbali, toni, e abbigliamento scenico

 

Empatia: capacità di capire lo stato e la condizione altrui, soprattutto dal punto di vista esistenziale ed emotivo (da non confondere con la “simpatia”, che prevede l’apprezzamento). Un conto è capire (gli investigatori cercano di capire la mentalità di un killer, o un negoziatore aziendale cerca di capire la mentalità dei manager con cui deve fronteggiare), altro conto è simpatizzare. L’empatia strategica serve per aumentare la propria comprensione della situazione percettiva altrui.

 

Stretching comunicazionale: allargamento dei propri repertori comunicativi, amplificare la gamma di risorse comunicative di cui si dispone, sbloccare i propri stili comunicativi, al fine di essere in grado di gestire situazioni con persone anche molto diverse e in contesti inattesi, facendo ricorso a doti di sensibilità situazionale più che a repertori rigidi e regole preconfezionate.

La vecchia legge: suggerimento per diffidare di chi fa promesse facili

Credo in una vecchia legge ancora valida, che dice:

“ciò che viene facilmente, facilmente se ne va. I funghi non possono cambiarsi in querce, e le querce non possono spuntar fuori come funghi” (Walter Pitkin, 1935).

In sintesi, credo sia ancora bene diffidare di chi ci promette cambiamenti rapidissimi, istantanei, risultati magici e facili, senza sforzo. E’ bellissimo credere di poter dimagrire in un attimo, poter cambiare una persona in venti minuti (vedi i suggerimenti di Anthony Robbins, pnllisti, e altri “miracolisti” anglosassoni), ma fuori dalla ignorante e misera cultura anglosassone manageriale, se osserviamo per un attimo la realtà e le culture greche, latine, arabe, e ancora le culture orientali che si dedicano allo studio dell’uomo da millenni, ogni traccia di saggezza indica la via del potenziale umano in un lavoro serio, duraturo, e nell’impegno… 

Daniele Trevisani

Psicologia del cliente e psicologia del prezzo: i “costi di opportunità” e i prezzi psicologici

Anticipare gli scenari: anteprime esclusive dalle pubblicazioni del Journal of Consumer Research
In questa serie, analizziamo in anteprima alcuni studi di frontiera della ricerca sulla psicologia del marketing. Questi contributi dello Studio Trevisani sono promossi dal dott. Daniele Trevisani, formatore aziendale Senior, esperto in Potenziale Umano e autore di “Psicologia di Marketing e Comunicazione“. Scopo di queste anticipazioni è aiutare le imprese Italiane e i manger Italiani ad avere un accesso diretto alle fonti primarie di conoscenza ed evoluzione del settore, anticipare alcuni dei concetti chiave che emergono dalla ricerca mondiale, e capire dove deve dirigersi la formazione aziendale seria,  impegnata, ricentrata su obiettivi formativi importanti e reali.
“La conoscenza e la formazione sono la materia prima dei nostri competitor. In questo ring, chi non sale preprato ha già perso” (Daniele Trevisani).
GS066010[1]IS071-063[1]Studio esaminato e commentatoOpportunity Costs: Remind Consumers about Savings
(data di uscita: dicembre 2009)
In un esperimento, gli autori hanno dimostrato come la percentuale di scelta di un iPod Touch da 16 Gb all’incirca si raddoppiava quando la differenza di prezzo comparata con il modello a 32 Gb veniva formulata come una scelta che “ti lascia 100 $ in tasca, liberi da spendere”. Il prezzo è una variabile importante non solo per ciò che si aquista ma per i budget mentali disponibili. Chi sceglie di spendere un extra (es: 20 o 30 euro) per una bottiglia di vino buono, rispetto ad un prodotto più standardizzato, avrà 20 o 30 euro in meno per altri tipi di acquisto, e può o meno concentrarsi su questi, o invece sui benefici del vino di alta qualità (es: fare bella figura in una cena romantica, o una forma di “autopremiazione”). I 20 o 30 euro in meno sono chiamati “costi di opportunità” legati alla scelta di una soluzione più costosa. Questo studio esamina cosa accade quando ai consumatori viene ricordato questo fenomeno prima degli acquisti, o invece non viene messo in evidenza. Aziende come Ikea, e altre specializzate in prodotti di livello di prezzo basso o non premium, hanno realizzato risultati importanti con strategie di vendita basate sul ricordare ai clienti i “costi di opportunità”. 
Capire le dinamiche degli Opportunity Costs è fondamentale sia per chi pratica prezzi inferiori alla media o serve mercati orientati al prezzo, che per chi pratica prezzi elevati e serve strati di mercato alti.
Per le aziende che praticano prezzi inferiori alla media: la percezione importanza sui risparmi che possiamo realizzare negli acquisti, e gli effetti che ne derivano, può essere manipolata dalla comunicazione aziendale. Aumentare la percezione dei “costi di opportunità” significa aumentare la sensazione percepita sulle addizionali di prezzo contenute nelle scelte di acquisto di alto livello, o più costose rispetto a soluzioni più economiche.
Ikea ad esempio ha mostrato in alcuni dei propri messaggi, una scarpiera costosa (della concorrenza) con dentro poche scarpe, o una scarpiera propria, più economica, straripante di scarpe, ricordando al cliente quanto in più poteva permettersi nei propri acquisti di altra natura, se avesse risparmiato sull’acquisto dei mobili.
Per le aziende italiane, le  implicazioni pratiche per chi vende qualità elevata sono fondamentali: per chi vende prodotti di livello elevato, diventa determinante apprendere a comunicare il “perchè” del prezzo più elevato, i valori aggiunti, i benefit, e le implicazioni negative per acquisti di livello più basso.
In altre parole, si prospetta un futuro sempre più qualificato da una competizione forte tra la comunicazione dei prezzi. Offerte di prezzo d’attacco e offerte centrate sulla qualità e prezzi elevati, con una prospettiva di concorrenza sulla sensibilità ai prezzi, psicologica, e meno centrata sul piano strettamente monetario (prezzi psicologici vs. prezzi economici).
Sintesi delle aree principali in cui questa ricerca trova applicazioni:
– formazione per il retail marketing
– formazione nella comunicazione aziendale
– formazione marketing strategico
– negoziazione, formazione dei negoziatori
– comunicazione nei punti vendita
Testo originale dell’anteprima
Opportunity Costs: Remind Consumers about Savings
When we choose to spend $10 more than usual for a bottle of wine, we’ll have
$10 less to spend on an appetizer, a dessert, or ten songs on iTunes. That’s known
as the “opportunity cost” of that choice. A new study in the Journal of Consumer
Research looks at the benefit of drawing consumers’ attention to opportunity
costs.
Unless opportunity costs are explicitly named, most consumers don’t consider
them when making purchases, according to authors Shane Frederick, Nathan
Novemsky (both Yale University), Jing Wang (Singapore Management
University), Ravi Dhar (Yale University), and Stephen Nowlis (Arizona State
University). They found that consumers made different choices when opportunity
costs were made clear.
For example, in one study, the authors found that the percentage of people
interested in paying $15 for a DVD fell by 20 percent if the “not buy” option was
explicitly described as “keeping the money for other purchases.” In another
experiment, they demonstrated that the choice share of a 16 Gb iPod Touch
roughly doubled when the cost difference compared to the 32 Gb model was
phrased as “leaving you $100 in cash.” They found the effectiveness of such
manipulations depended on participants’ chronic attitude toward spending.
“Tightwads are less affected than spendthrifts, as they may be more inclined to
spontaneously construe purchase decisions in terms of opportunity costs,” they
explain.
According to the authors, IKEA employed this cueing strategy brilliantly in an ad
campaign showing an unhappy woman next to an expensive custom cabinet
containing one pair of shoes opposite a modestly priced IKEA cabinet
overflowing with shoes.
“Given that consumers who bring to mind opportunity costs become more price
sensitive, manufacturers of less-expensive brands interested in increasing price
sensitivity may promote their products more effectively by reminding consumers
to consider the opportunity costs,” the authors write.
Shane Frederick, Nathan Novemsky, Jing Wang, Ravi Dhar, and Stephen Nowlis.
“Opportunity Cost Neglect.” Journal of Consumer Research: December 2009.

Autore  del post: Daniele Trevisani