Formazione Aziendale: Assimilare tecniche formative dalle Arti Marziali e Sport di Combattimento

formazione e arti marzialiallenamento all'agonismospirito combattivoleadership e team buildingpreparazione fisica e mentale

Utilizzare per la Formazione Aziendale i metodi derivanti dagli sport di combattimento e dalle arti marziali

Il gruppo Daoshi è attivo nella formazione innovativa che utilizza i metodi e le tecniche delle Arti Marziali e degli Sport di Combattimento (es, Kickboxing, Thai Boxe, MMA) per ricavarne approcci e metodologie utili nella formazione aziendale.

In particolare, per quando riguarda il fronte del Potenziale Umano, della Leadership, la capacità di lottare e combattere in sfide che traggono ispirazione dalla metafora del ring ma trovano elementi comuni in ogni sfida aziendale, in ogni vendita complessa, in ogni progetto determinante per il futuro dell’impresa.

Dalla collaborazione tra esperienze diverse nascono idee innovative. E’ il caso dei programmi sviluppati in collaborazione con il dott. Lorenzo Manfredini, psicologo esperto in psicologia degli sport estremi, Direttore dell’associazione S.T.E.P.

Associazione STEP Consapevole – Counseling, Training Mentale e Psicocorporeo, Coaching e Psicologia del Potenziale Umano

Integrating Business Training with Sports Experience

Le arti marziali e gli sport di combattimento sono un canale di apprendimento privilegiato e una grande metafora della vita, dalle quali la formazione aziendale può ricavare metodi veri, nuovi, efficaci.

L’esperienza di formazione sportiva e manageriale si fonde nella capacità unica di realizzare progetti di formazione per aziende, fondati sul concetto di Potenziale Umano, di Sfida Positiva, di Step di Sviluppo Consapevole.

In tale ambito, il gruppo Daoshi collabora con l’associazione di Formazione e Counseling S.T.E.P. Consapevole, diretta dal dott. Lorenzo Manfredini, psicologo e allenatore della Nazionale Italiana di Apnea, esperto in psicologia dello sport, bioenergetica, psicoterapia e tecniche del Potenziale Umano, per realizzare progetti di formazione aziendale su misura, tarati sulle esigenze di specifici team aziendali, in grado di fare la differenza rispetto a formazione statica e passiva, puramente teorica, che caratterizza il panorama attuale della formazione manageriale.

I programmi riguardano una grande sfera di aree, tra cui:

  • Allenamento alla varietà e al lavoro in condizioni di incertezza
  • Le zone allenanti e le tecniche per generare stimoli al cambiamento
  • Il potere delle stimolazioni innovative
  • Formazione aziendale per la leadership
  • Condurre i gruppi efficacemente con carisma
  • Essere coach e creare spirito di squadra
  • L’agonismo positivo in azienda, la sfida, la motivazione
  • Carisma e autorità
  • Team ad alte prestazioni e team building
  • Sviluppo personale
  • Comunicazione efficace nei team
  • Creare team-players e sviluppare i potenziali personali
  • Resistenza e Resilienza
  • Mental Training: i metodi di Training Mentale utilizzati in campo sportivo per favorire concentrazione, lucidità, consapevolezza tattica e situazionale

I metodi derivano da una forte base scientifica e pratica, visualizzabili anche nella letteratura specifica pubblicata dagli autori. In particolare:

Archetipi – Bibliografia sulla Psicologia degli Archetipi

Libri principali per approfondire la conoscenza della psicologia degli archetipi

(con link alla scheda su IBS per chi desidera acquistare i volumi online)

La psicologia degli archetipi identifica i modelli fondamentali che guidano il nostro pensiero e comportamento, il nostro modo di pensare, di agire e di scegliere, di decidere cosa è importante o meno. Intervenire sui propri archetipi, e riconoscerli (prima di tutto) è un modo molto efficace, profondo e proficuo per ottere cambiamento positivo diretto verso nuovi traguardi personali e professionali.  Utile per riflettere e trovare spunti eccellenti per chiunque si occupa di formazione, di consulenza manageriale, di psicologia, comunicazione, management e potenziale umano, ma anche di psicoterapia, counseling e relazioni d’aiuto, didattica e sviluppo organizzativo, risorse umane e sviluppo dei team.

L’eroe dentro di noi. Sei archetipi della nostra vita
Pearson Carol S., 1990, Astrolabio Ubaldini – Libro consigliato per chi desidera trovare una buona sintesi e ottimi spunti di riflessione. Contiene inoltre schemi ed esercitazioni applicative per esercizi di sviluppo.
€ 13,50

Risvegliare l’eroe dentro di noi. Dodici archetipi per trovare noi stessi
Pearson Carol S., 1992, Astrolabio Ubaldini
€ 20,00

Altre letture consigliate sul tema dell’archetipo
L’alchimia delle parole. Un approccio archetipico al linguaggio
Kugler Paul, 2002, Moretti & Vitali
€ 18,00

Archetipi
2009, Edizioni XII
€ 19,50

Archetipi
Zolla Elémire, 2002, Marsilio
€ 6,50

Gli archetipi dell’inconscio collettivo
Jung Carl G., 1977, Bollati Boringhieri
€ 8,80 (Prezzo di copertina € 11,00 Sconto 20%)

Archetipi di territorio
Marson Anna, 2008, Alinea
€ 18,70 (Prezzo di copertina € 22,00 Sconto 15%)

Archetipi e citazioni nel fashion design
Benelli Elisabetta, 2006, Firenze University Press
€ 19,50

Archetipo, attaccamento, analisi. La psicologia junghiana e la mente emergente
Knox Jean, 2007, Ma. Gi.
€ 24,00

Complesso, archetipo, simbolo nella psicologia di C. G. Jung
Jacobi Jolande, 2004, Bollati Boringhieri
€ 20,00

La dea. Creazione. Fertilità e abbondanza. La sovranità della donna. Miti e archetipi
Husain Shahrukh, 1999, EDT
€ 15,00

Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile
Kerényi Károly, 2010, Adelphi
€ 22,00

La donna ferita. Modelli e archetipi del rapporto padre-figlia
Leonard Linda S., 1985, Astrolabio Ubaldini
€ 12,50

Dora e il drago. Strutture archetipiche e psicoanalisi applicata
Marchetti Enzo, 1994, Schena
€ 12,91

Elia e al Khidr. L’archetipo del maestro invisibile
2004, Medusa Edizioni
€ 28,00

L’era dello spirito. Archetipi, metafore, simboli per un tempo nuovo
Vannucci Giovanni, 1999, Servitium
€ 7,75

L’eterno fanciullo. L’archetipo del Puer aeternus
Franz Marie-Louise von, 2009, Red Edizioni
€ 10,50

Il fanciullo e la core: due archetipi
Jung Carl G., 1981, Bollati Boringhieri
€ 8,80 (Prezzo di copertina € 11,00 Sconto 20%)

Il filo di paglia, il tizzone e il fagiolo. Differenze e costanze archetipiche in diverse culture
Franz Marie-Louise von, 2000, Moretti & Vitali
€ 15,00

La maschera inevitabile. Attualità dell’archetipo della maschera
Meroni Bruno, 2005, Moretti & Vitali
€ 14,00

Miti e archetipi. Vol. 2
Corradini Domenico, 1995, ETS
€ 20,66

Nel profondo dell’anima. La dimensione archetipica del sè
Godino Antonio, Majorello Carla, 2002, Quattroventi
€ 16,00

Opere. Vol. 9/1: Gli archetipi e l’Inconscio collettivo.
Jung Carl G., 1997, Bollati Boringhieri
€ 28,00 (Prezzo di copertina € 35,00 Sconto 20%)

Opere. Vol. 9/1: Gli archetipi e l’Inconscio collettivo.
Jung Carl G., 1980, Bollati Boringhieri
€ 53,60 (Prezzo di copertina € 67,00 Sconto 20%)

Parola & psiche. Saggio per un collegamento fra gli indirizzi linguistico e archetipico in psicodinamica
Fratini Antoine, 1999, Armando Editore
€ 12,39

Processi archetipici in psicoterapia
2007, Ma. Gi.
€ 22,00

La psiche e gli archetipi dello spirito
2003, Moretti & Vitali
€ 17,00

Sette archetipi per il quarto millennio. Psicoanalisi, simboli, scultura
Tranchina Paolo, Arcuri Luigi, 1994, Centro Documentazione Pistoia
€ 2,58

Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale
Durand Gilbert, 2009, Dedalo
€ 22,00

Psicologia della motivazione

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.4. Ricerca dei drivers motivazionali

Come si può notare, il tema esistenziale (meaninglessness vs. ricerca dei significati) è centrale non solo per il fronte psicoenergetico, ma anche per la costruzione di una Vision e di una progettualità.

Perché questo? Perché la mancanza di un senso può produrre effetti devastanti, dalla carenza di scopi personali al senso di inutilità dell’agire, sino a bloccare la ricerca di nuovi orizzonti esterni (ricerca esteriore) o interni (ricerca interiore). La mancanza di senso produce il limitarsi delle energie mentali alla pura sopravvivenza, e spesso nemmeno a quella.

Kinnier e altri autori individuano dieci credenze dominanti che fungono da ancoraggi o interpretazioni della vita[1]:

1. La vita è gioire della vita e vivere l’esperienza della vita

2. la vita è amare, aiutare, servire gli altri

3. La vita è un mistero

4. La vita è senza significato                      

5. La vita è servire Dio e prepararsi all’aldilà

6. La vita è fatica

7. La vita è contribuire a qualcosa più grande di noi stessi

8. La vita è auto-realizzarsi

9. Ognuno deve creare da solo un senso personale della vita

10. La vita è assurda o è uno scherzo.

Ciascuno di questi driver (motori profondi) interagisce con la cultura individuale e con la propria personalità.

In un soggetto possono scatenare una forte produzione psicoenergetica alcuni di questi (es.: 1, 2, 7, 8) mentre altri sono in grado di distruggere o minare la sua voglia di vivere (10, 6, 4), e per ciascuno esistono sfumature diverse. Naturalmente, ogni analisi vale nel tempo in cui è svolta, e il quadro può cambiare, anzi, deve cambiare in seguito ad un buon coaching o ad una formazione di qualità, in cui la revisione di priorità è risultato positivo e ricercato. Purtroppo, sul piano della relazione con se stessi, non conoscere quali sono i driver che ci attivano, è una lacuna gigantesca.

Ogni coach professionale deve localizzare quali sono i driver del cliente o del team in grado di accrescerne le energie mentali, e riuscire inoltre nell’operazione difficoltosa di inserire nuovi driver all’interno dei costrutti mentali già esistenti.

Questa operazione di arricchimento delle fonti di energia psicologica e motivazionale è di straordinario interesse e notevole complessità tecnica.

Operazioni di arricchimento sono possibili su più piani.

Es.: Per un atleta… tu non gareggi più solo per i soldi che guadagni ma anche per… un contributo ad una causa, per scoprire i tuoi limiti, per dimostrare chi sei, per riscattarti da quello che eri…

Per un praticante di fitness… tu non ti alleni più per dimagrire, il grasso e la pancia sono i falsi nemici, il tuo nemico vero è la noia, l’apatia, la tristezza, la vita dimezzata di uno che vive in catalessi nella pigrizia…

Per un operatore sociale… tu non stai accudendo un anziano, stai dando un senso alla tua esistenza…

Per un agonista…voglio che quando esci dal campo tu sia orgoglioso di come hai giocato, non dei punti che hai fatto…

Per un manager… voglio che, quando qualcuno ti chiede cosa hai fatto quest’anno nella tua zona, tu possa dire “ho costruito una buona squadra, ne sono orgoglioso”…

Per un ricercatore… tu scrivi, ma ricordati… non stai facendo una pubblicazione, a nessuno frega niente della tua pubblicazione, se non stai facendo qualcosa che serve veramente agli altri più che a te, stai sprecando tempo… se non è qualcosa di cui essere orgoglioso fai a meno… allora, cosa vuoi fare…?


[1] Kinnier, Richard T., Kernes, Jerry L., Tribbensee, N., Van Puymbroeck, Ch. M. (2003), What Eminent People Have Said About The Meaning Of Life, Journal of Humanistic Psychology, Vol. 43, No. 1, Winter.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

Potenziare la corteccia prefrontale sinistra: la nuova frontiera

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.3.  Potenziare la corteccia prefrontale sinistra

Le neuroscienze insegnano che il cervello risponde agli stimoli con meccanismi molto simili a quelli dei muscoli: le aree usate frequentemente lavorano, si rafforzano, si “irrobustiscono”, si potenziano; le aree inutilizzate diminuiscono di tono e volume sino a divenire quasi inesistenti (chi ha avuto lunghe ingessature si è potuto rendere conto direttamente di quanto il non-utilizzo produca riduzione del volume della zona ingessata).

Lo stesso meccanismo accade nella mente. Una sequenza di momenti positivi e sensation windows positive (SW) allena e tiene attiva la corteccia prefrontale sinistra, la cui attività si correla a emozioni positive (gioia, capacità di cogliere le positività, sensazioni, energia, coscienza)[1]. Al contrario, una sequenza di SW negative allena la corteccia prefrontale destra, maggiormente specializzata nel cogliere emozioni negative.

Addirittura, i neuro-scienziati hanno dimostrato un effetto sull’induzione di percezione e ricordo positivo, tramite stimolazioni magnetiche dirette (repetitive transcranial magnetic stimulation) della zona orbitofrontale sinistra[2].

In termini di coaching formativo, non volendo confondere i ruoli (le  stimolazioni tramite attrezzature biomedicali sono sfera medica), preferiamo indurre una uguale e maggiore capacità (persino più duratura) tramite apprendimento esperienziale, per vivere i goal e obiettivi positivi, generando stimoli allenanti ed esistenziali adeguati. Questi effetti non sono banali.

Va da se che se alleniamo molto un braccio e l’altro no, avremmo degli scompensi. Così come se avessimo una gamba potente e muscolosa e un’al­tra de­bole e avvizzita, la nostra camminata sarebbe zoppicante, e l’equilibrio dell’or­ganismo si farebbe deficitario. Ogni disequilibrio fisico porta a ripercussioni negative su tutto l’apparato scheletrico e muscolare, ed ogni disequilibrio mentale a malfunzionamento del pensiero, malessere e sofferenza psichica.

Il funzionamento ottimale dipende perciò anche dalla capacità di creare equilibri e simmetrie, e un potenziamento “stupido”, che non tenga conto degli equilibri, ma cerchi solo “potenza”, è dannoso, distruttivo.

Lo stesso accade nella mente. Dobbiamo imparare ad allenare e stimolare la corteccia prefrontale sinistra e in generale a vivere le emozioni positive non solo in seguito ad eventi enormi (lotterie, vincite) ma anche e soprattutto in attività che altrimenti non coglieremmo. Dobbiamo programmare spazi e tempi in cui farlo. È questione di sopravvivenza.

Disintossicare la mente non è quindi più solo arte ma anche scienza.

È importante quindi non solo generare spazi e tempi dedicati, ma anche cogliere sensazioni positive (sensation windows), esperienze che sfuggono anche se limitate o non eterne, e il dono che ne deriva.

La vita ci offre continuamente doni, anche se limitati.

Per dono limitato si intende la sensazione che anche un semplice gesto o atto può portare per pochi istanti, senza pretendere che esso duri per sempre.

Ed ancora, apprendere a cogliere energie da una capsula spaziotemporale (il dono di un frame), fa parte di nuove abilità da coltivare in sé e negli altri.


[1] Vedi, tra i contributi di ricerca sul tema: Davidson, R. J. (1998), Understanding Positive and Negative Emotion, in LC/NIMH conference proceedings “Discovering Our Selves: The Science of Emotion”, May 5-6, 1998, Decade of The Brain Series, Library of Congress, Washington DC.

[2] Schutter, D. J., van Honk, J. (2006), Increased positive emotional memory after repetitive transcranial magnetic stimulation over the orbitofrontal cortex, Journal of Psychiatry and Neuroscience, Mar. 31 (2), pp. 101-104 (Department of Psychonomics, Affective Neuroscience Section, Helmholtz Research Institute, Utrecht University, Utrecht, NL).

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

La relazione tra energie personali e aspirazioni personali

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.2. Gli effetti positivi delle immissioni di energie sui livelli di performance e di aspirazione

In termini di psicologia positiva notiamo che l’immissione di energia in una qualsiasi cella può apportare maggiori energie al sistema, e quindi riflettiamo sul fatto che esistono molteplici modi e strade, enormi opportunità, per poter accrescere le energie personali e fare coaching e formazione di qualità.

La liberazione da una catena, o “togliere un sasso dal proprio zaino”, può aprire le strade della volontà per una scalata ulteriore. In generale, le immissioni di energie in un certo stadio aumentano il livello di fiducia in se stessi, autostima e percezione di autoefficacia. Aumenta il senso di libertà.

Le osmosi energetiche portano ad una maggiore propensione dell’indi­viduo verso l’assunzione di rischio positivo, di accettazione di sfide che prima il soggetto riteneva impensabili o troppo pericolose. Per rischio positivo intendiamo azioni che non siano minate da un livello di aspirazione malato, superumano e maniacale, condotte col cuore ma anche con la ragione.

I livelli di aspirazione sono decisamente correlati alle energie circolanti.

Gli studi scientifici di Bresson individuano il livello di aspirazione come “il risultato che un soggetto si dà per un fine da raggiungere, in un compito che ammette diversi gradi di realizzazione”[1].

A bassi livelli di energie personali corrispondono bassi livelli di aspirazione. Le energie si abbassano drasticamente, e i compiti o goal che l’individuo sente di poter gestire si richiudono sempre più entro una nicchia, sino ad implodere, se la tendenza non viene invertita.

Quando mancano le energie, ogni rischio assume sembianze mostruose, persino lo scendere in strada, o l’incontrare altre persone. Al contrario, forti osmosi energetiche positive (contaminazioni positive tra energie fisiche, mentali, competenze, volontà) conducono alla voglia e consapevolezza di poter accettare sfide e rischi superiori, persino lanciarsi con un paracadute, o condurre una operazione chirurgia al cervello (per un medico), o accettare la sfida di avere figli in un mondo difficile (per ogni genitore), o iniziare a pensare di potersi laureare, per qualcuno che aveva rinunciato a questa idea non sentendosi all’altezza, e tante altre occasioni di crescita.

Per questo motivo, nel metodo HPM, quando i canali per introdurre energie sono bloccati da un certo lato (poniamo i valori, o le competenze), è possibile sia teoricamente che concretamente aggirare questo ostacolo. Potremo partire dalla base delle energie fisiche, o da altri canali aperti o apribili, per incrementare le energie totali del sistema. È un lavoro sperimentato e funzionante nella pratica, di cui troviamo crescente supporto teorico.

Avviare il lavoro, e sbloccare i meccanismi, è più importante che fare un lavoro ingegneristicamente perfetto ma – nei fatti – solo teorico, vuoto.

L’effetto di trascinamento e di osmosi positiva avrà riverberi anche sugli altri stati altrimenti inaccessibili per via diretta.


[1] Bresson, F. (1965), Rischio e personalità. Il livello di aspirazione, in Trattato di Psicologia Sperimentale, a cura di Paul Fraisse e Jean Piaget (1978), Einaudi, Torino, p. 458. Edizione originale: Traité de Psychologie Expérimentale. VIII. Langage, communication et décision, 1965, Presses Universitaires de France, Paris.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

Immettere energie e coltivare il potenziale personale

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

I meccanismi energetici nel modello HPM sono molteplici, ma per ora osserviamo due meccanismi in particolare:

  • le diffusioni energetiche: le immissioni di energia in un’area hanno implicazioni positive (fanno bene) anche alle altre aree;
  • i drenaggi energetici: i cali o blocchi di energia in un’area danneggiano anche le altre aree.

(Commento inedito da intervista all’autore: …per immettere energie nel sistema dobbiamo svolgere un lavoro allenante, partendo da qualsiasi “angolazione” di attacco sia per noi più facile in questo momento: fare sport, migliorare una tabella allenante, mangiare meglio, coltivare amicizie, tagliare con abitudini dannose, cercare le positività che non riusciamo più a scorgere, lottare per una causa giusta, impegnarsi in un progetto. Tutte le azioni positive hanno influenza sulla capacità del sistema nel suo complesso. Nessuna è inutile. Man mano che procediamo con azioni positive, il sistema personale ne viene potenziato e nuove azioni positive, prima giudicate impossibili, diventano progressivamente alla nostra portata).

 Le implicazioni per lo sviluppo personale sono numerose, ma soprattutto:

 – è possibile realizzare una strategia di immissione selettiva di energie in un’area, per poi utilizzarla come perno per lo sviluppo di altre aree. Ad esempio, creare grounding bioenergetico, il che significa lavorare principalmente sulle energie del corpo per poi poter “fare leva” su un corpo energeticamente carico, su un fisico forte, pronto ad assumersi impegni psicologicamente rilevanti, anche gravosi, goal e obiettivi sfidanti;

–  è possibile realizzare una strategia di immissione multipla di energie ricercando una crescita su più livelli e stadi. Ad esempio, lavorare sistematicamente e contemporaneamente su tutte le aree del modello HPM.

 In generale, un lavoro su un’area è possibile solo se i livelli energetici di base dell’area toccata sono a livello sufficiente per supportare carichi superiori. Se non vi sono condizioni minime, occorre trovare strade alternative.

Ad esempio, in campo manageriale è completamente inutile realizzare un intervento dalle grandi ambizioni  (job enrichment, job enlargement, role-modeling, e altri), attaccando lo strato delle macro-competenze, se le micro-competenze di supporto sono insufficienti. Se una persona non sa nemmeno gestire una riunione di un piccolo gruppo di lavoro, inutile passare a temi ancora più complessi che poggiano su competenze che ancora non ci sono.

Altrettanto inutile è riempire di competenze (skills) un manager se mancano le energie motivazionali (volontà) necessarie a mettersi in gioco.

Inutile studiare nuovi progetti creativi se l’intero team è in stato di demotivazione cronica o affaticamento. Una persona disabilitata nelle energie mentali non va da nessuna parte, non porta avanti nemmeno se stessa, e tantomeno il progetto più ambizioso che qualsiasi mente possa partorire.

In generale, in mancanza di energie, il “nuovo” non viene affrontato. Sem­plicemente non ci sono le forze per affrontare il cambiamento.

L’area psicoenergetica assieme a quella bioenergetica sono quindi ancoraggi forti di lavoro per un coaching e una formazione seria e analitica.

Saltarli piè pari e passare subito alle competenze applicative è inutile. Così come costruire progetti che richiedono presenza di energie che non ci sono.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

Verso il concetto di “Regie Terapeutiche”

hpm1Regie terapeutiche

Dal volume di Trevisani, Daniele (2007), Regie di Cambiamento. Approcci integrati alle risorse umane, allo sviluppo personale e organizzativo, e al coaching. FrancoAngeli, Milano. Diritti di riproduzione riservati. Sono possibili gli utilizzi per fini formativi, didattici e di ricerca, previa citazione dell’autore e della fonte. Altri materiali inerenti le Regie al sito www.studiotrevisani.it/hpm1. Vedi inoltre  Scheda sintetica del volume su IBS

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Sul fronte terapeutico, il problema delle regie è quantomai attuale. Inutile raccontarsi bugie, credere ai proclami scritti nei documenti associativi e statutari, belli ma non reali. I terapeuti dotati di “fuoco sacro” per il loro lavoro sono sempre meno, ancora meno sono i terapeuti-ricercatori che osano sfidare le scuole di appartenenza e i testi ufficiali su cui studiano.

La psicologia e la psicoterapia sono tra i campi più afflitti dalla sindrome studiata da Kuhn, la resistenza alle rivoluzioni scientifiche che vengono “da fuori”, tale per cui le scuole professionali e di pensiero si autocelebrano, coltivano i propri eletti su basi di affiliazione, ostacolano il confronto con altre scuole, creano circoli chiusi. Questo in psicoterapia accade frequentemente. Gli psicoterapeuti in genere aderiscono a scuole, per esempio “sistemico-relazionale”, “comportamentale”, “rogersiana”, “cognitivo-comportamentale”, “psicodrammatica”, e i più rifiutano una convergenza interdisciplinare.

Aumentano i burocrati della terapia, i protocolli terapeutici pronti all’uso, da discount della guarigione, i protocolli diventano oggetti da usare senza pensare, gli strumenti psicometrici di misurazione tramite questionario divengono vangeli, mentre in realtà sono strumenti validi per “annusare” se va bene, ma non sufficienti per una regia terapeutica.

Il modello dell’intervento terapeutico, nella psicoterapia e nella terapia medica è ampiamente medico-centrico, e – nonostante gli innumerevoli sforzi (vedi i lavori di Carl Rogers per la terapia centrata sul cliente) coinvolge poco il cliente sulla metodologia, e persino sulle responsabilità.

Mentre nessuno può togliere al medico la decisione ultima (in qualità di  esperto) su quale scelta difficile fare, può invece evolvere enormemente il grado di condivisione del metodo, delle opzioni di intervento che viene applicato con il paziente.

Ad esempio, se vogliamo trattare il problema del dimagrimento di un obeso, dobbiamo sicuramente essere consapevoli che possiamo agire (come gamma di opzioni) sul piano medico, psicologico, comportamentale, e farmaceutico.

Ma – è questo il punto – il cliente deve fare delle scelte sul grado di rapidità del dimagrimento desiderato, sul tipo di restrizione e rinunce alimentari, o piuttosto sul fatto di non volere fare alcuna rinuncia e farsi impiantare un palloncino nello stomaco per togliere automaticamente il senso di fame.

Il risultato finale (dimagrire) può essere ottenuto con una mole tanto vasta di opzioni che risulta limitato pensare di agire con una sola strada terapeutica. È molto più ragionevole aumentare la consapevolezza del cliente sulle diverse opzioni, creare una convergenza di metodi, e aiutarlo a diventare protagonista della scelta tra le diverse opzioni.

E questo, beninteso, non significa diventare “buonisti”. Il modello delle regie non è in sè per nulla “buonista”, è assertivo, poiché ad un certo punto obbliga il consulente a divenire Regista, a scegliere un percorso, a prendersi delle responsabilità. Tuttavia, gli spazi per condividere il modello con il cliente, per farlo partecipe del processo, per assegnargli responsabilità e aumentare la compliance (collaborazione con il medico) sono enormi.

Il cambiamento volontario non è un processo che un soggetto attua e l’altro subisce (come molti pensano), ma un percorso nel quale i due soggetti devono collaborare, lavorare assieme.

Anche il cliente ha forti responsabilità nel percorso di cambiamento. Tuttavia, il cliente nel rapporto terapeutico ha la tendenza a “attendere istruzioni”. Nel “non detto” del rapporto terapeutico si crea l’attesa del cliente  di dover rimanere passivo e attendere ricette. Sarà difficile che sia il cliente stesso a “fare la prima mossa” e cercare di diventare co-protagonista nel processo e parteciparvi più attivamente. Il rischio di chi lo fa è di invadere il territorio psicologico del medico-terapeuta e di essere rigettato.

Esiste poi il problema del metodo. Agire con una regia in campo terapeutico significa utilizzare una serie di strumenti molto ampia, e coordinarli. Agire senza regia significa invece prendere appuntamenti con un terapeuta o medico, il quale deciderà di volta in volta cosa fare, o usare una sola dimensione della terapia, perdendo opportunità.

Esiste una forte presa di responsabilità nel terapeuta che decide di approntare una regia di intervento: pianificare i diversi strumenti (tools), e testare i suoi progressi sul campo[1].

La differenza tra un intervento terapeutico con regia o senza si coglie:

  1. dalla consapevolezza che ha il cliente di quale fase del percorso sta attraversando (senso della posizione);
  2. dal senso stesso del percorso che ha il cliente (senso del tragitto);
  3. dal fatto che il terapeuta abbia o meno approntato un percorso o agisca alla giornata (grado di organizzazione del percorso);
  4. dal fatto che vengano presi appuntamenti di volta in volta o si preveda un ciclo terapeutico basato su modello (auspicabile);
  5. dalla molteplicità degli strumenti di intervento che il terapeuta è in grado di mettere in atto (grado di varietà): la varietà dei metodi di cui dispone, la quantità di strumenti che si trovano nel toolbox o “borsa degli attrezzi” del terapeuta.

Un esempio pratico in campo psicologico: agire sull’ansia. Il terapeuta è in grado di scavare, far emergere la trasmissione transgenerazionale del disagio psichico, per capire se ci sono “assorbimenti” di modelli psicologici dai genitori (approccio psicodinamico e freudiano)? Ha il repertorio per fare questo? È in grado di attivare un vero clima di accoglienza incondizionata, di ascolto empatico, di seguire il flusso del pensiero del cliente senza forzarlo troppo presto, se e quando necessario (approccio rogersiano[2])? Conosce queste tecniche? Il terapeuta è poi in grado di dare “compiti per casa” al soggetto, per velocizzare il suo processo e favorirne l’autonomia (approccio cognitivo-comportamentale)?

È in grado di andare persino contro la sua scuola di pensiero di provenienza, e i protocolli appresi, se reputa utile farlo?

È in grado di lavorare sullo stile di respirazione del cliente, sul rilassamento, sulle tecniche di matrice corporea e bioenergetica, può insegnarli a fare training autogeno o altre tecniche? Conosce queste tecniche? O la sua scuola glielo impedisce? È in grado di “far provare” nuovi comportamenti, prima che il cliente li provi sul campo (tecniche teatrali)? Sa creare role-playing e psicodrammi? Sa lavorare con questi strumenti? O è chiuso nella sua “verità” monodisciplinare?

Ci fermiamo qui, ma potremmo proseguire con altre addizioni di strumenti, dall’Analisi Transazionale alla supplementazione alimentare mirata, per poi rituffarci nella Analisi della Conversazione (Conversation Analysis) e nella semiotica, e vedere che contributi possono portare per risolvere il problema del cliente.

Il meta-problema è la quantità di strumenti che il terapeuta sa mettere in atto (repertorio registico) e la sua capacità di coordinarli alla luce della situazione del cliente, facendoli diventare un flusso registico.

È difficile trovare terapeuti aperti alla multidisciplinarietà, esperti in più metodi, o qualcuno che non si chiuda in una sola visione del problema, o non si faccia limitare dalla sua scuola di provenienza – qualcuno in grado di predisporre un intervento multi-livello, concreto e allo stesso tempo ben fondato scientificamente[3].

Attorno al tema delle regie si ripresenta in tutta la sua forza il bisogno di un approccio olistico-pragmatico: Olistico: aperto al tutto, e Pragmatico, dagli effetti tangibili, concreto, pratico. Una preoccupazione che sta alla base del metodo ALM sin dal primo volume.


[1] Anche per gli interventi condotti secondo la scuola psicoterapeutica rogersiana, tipicamente non direttiva, è possibile predisporre delle regie estremamente sofisticate andando a stimolare aree di esplorazione psicologica tramite domande mirate, o integrando la terapia rogersiana con altri interventi comportamentali o con metodi di altre scuole, o con interventi di tipo farmacologico, o persino alimentare.

 

[2] Per approfondire i principi dell’approccio di Carl Rogers, vedi testi citati in bibliografia.

[3] Mi è capitato personalmente di chiedere ad una psicologa di un centro per l’handicap – partecipante ad un corso sulle performance organizzative – se siano state utilizzate tecniche di rilassamento e bioenergetica nei programmi per il recupero dell’handicap. La risposta: “no perché sono una terapeuta sistemico-relazionale” evidenzia una centratura sul T-mondo (il mondo del terapeuta) e non sul C-Mondo (il mondo del Cliente e i suoi bisogni). La risposta corretta e meno ipocrita sarebbe stata “No, non li conosco, non so quando e come usarli all’interno di un intervento, la mia scuola non li prevede”.

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Dal volume di Trevisani, Daniele (2007), Regie di Cambiamento. Approcci integrati alle risorse umane, allo sviluppo personale e organizzativo, e al coaching. FrancoAngeli, Milano. Diritti di riproduzione riservati. Sono possibili gli utilizzi per fini formativi, didattici e di ricerca, previa citazione dell’autore e della fonte. Altri materiali inerenti le Regie al sito www.studiotrevisani.it/hpm1


Per una formazione vera, centrata sugli effetti

Cosa significa realmente “fare formazione centrata sugli effetti”

La formazione centrata sugli effetti vuole ottenere cambiamenti ed effetti reali, dimostrabili

Centrarsi sugli effetti significa fare corsi in cui – al termine – deve essersi prodotto un cambiamento vero, sostanziale, positivo. Il nostro metodo privilegia le esercitazioni pratiche di sviluppo delle abilità di analisi, di comunicazione e di progettualità. Questo atteggiamento di fondo va oltre i corsi marketing e la formazione marketing in senso teorico, o la formazione per la leadership o per la comunicazione. Toccano soprattutto aree delicate come la formazione per la negoziazione, la formazione formatori, la decisione, la comunicazione persuasiva e la comunicazione nei team.

Segnali di corsi condotti e mal progettati: da cosa stare alla larga. Proponiamo 3 categorie specifiche, per partire, i cui segnali, anche contrastanti, possono denotare una scarsa centratura sugli effetti:

1.      Abbuffata di slides: esito: “mi sono annoiato”, si tratta di un risultato negativo, in quanto probabilmente il partecipante non avrà vissuto reali situazioni di sfida, sarà rimasto “alla superficie” delle cose, senza mai entrarvi. Non si impara a nuotare con slides sul nuoto, quindi è determinante correlare gli stimoli didattici agli obiettivi da produrre. Poiché gli stimoli didattici e formativi sono stati insufficienti se rimangono sul piano teorico, diminuiscono la motivazione; i corsi devono anche far scoprire ai partecipanti elementi su cui lavorare, creare dubbi, stimolare al cambiamento, far sperimentare.

2.      Diverimentificio. Il partecipante commenta “mi sono divertito”, cui fa seguito un “nulla totale” in termini di cambiamento prodotto dal corso, una ricaduta-zero sulle azioni quotidiane. E’ un risultato tipico di tanta formazione “da giochetti formativi” che puntano al divertimento puro del partecipante e non al cambiamento da indurre, formazione mal progettata, fine a se stessa. L’investimento in formazione non si misura in semplice divertimento o intrattenimento. Creare un buon clima di apprendimento è importante, produrre un clima positivo altrettanto, ma questi sono solo aspetti di facilitazione, non i veri obiettivi finali per cui si investe in formazione.

3.      Accademia snob. Altro caso drammatico è l’intervento degli “accademici che parlano dall’alto”. Questa categoria contiene professori stipendiati dalle università, che combinano entrate in formazione “una tantum” contando sulla base sicura dello stipendio pubblico. Questo produce in genere un atteggiamento di superiorità. Da notare, che in diversi ambienti universitari la consulenza esterna viene amichevolmente denominata “marchetta”, con tono spregiativo, la dove invece in altri paesi (es, USA), è un denotatore fondamentale di capacità applicativa. In Italia il baronato è riuscito ad isolarsi talmente tanto dal mondo reale da generare un appellativo contaminato di “prostituzione” alla consulenza in azienda. Oltretutto, se non bastasse, mancano a molti le esperienze vere, lo “sporcarsi nel fango”, es: senza avere esperienza diretta e continuativa di vendita è difficile capire cosa significa realmente vendere e fare marketing, e insegnare a farlo, e questo vale in tanti altri campi: chi non ha diretto team con il rischio di fallire (non team di cui non paga gli insuccessi in prima persona) ha ben poca esperienza per poter parlare di leadership. Per compensare la scarsa capacità pratica, l’accademia “pompa” il linguaggio, lo rende ostico, lo “ingrassa” e lo complica per darsi un tono, con il risultato di non farsi capire. L’ingresso in azienda di persone specializzate nel parlare senza avere sperimentato, nel propinare slides teoriche, abituate a osservare i problemi da lontano, senza pratica diretta di ciò che propone, porta a teorizzare di massimi sistemi astratti, disinteressandosi allo stesso tempo, completamente, delle applicazioni concrete, delle problematiche pratiche, dell’assorbimento dei concetti, e di chi si ha di fronte.

Qualsiasi sia il tipo di risultato che vogliamo ottenere, questo tipo di formazione non ci interessa.

Quello che serve nella formazione è chiedersi (e chiarire bene con la committenza) (1) quali effetti vogliamo produrre, (2) in chi, (3) in quanto tempo, e (4) costruire una regia di stimoli (formazione, letture, esperienze, e qualsiasi altro stimolo efficace) che generi veramente l’effetto da produrre.

Daniele Trevisani

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Nota

Un approfondimento del metodo delle “Regie di Formazione” è visionabile al link www.studiotrevisani.it/alm1