1.13. Agire nella pienezza e ricercare la potenza

1.13.    Agire nella pienezza e ricercare la potenza

Potenziare se stessi e gli altri è una volontà non solo del coaching ma anche di ogni serio insegnante, terapeuta, formatore e leader.

Chi nella vita vuole produrre risultati e performance non può che lavorare sodo per essere il massimo di ciò che la genetica, la natura e la storia gli consentiranno entro la sua vita limitata, il suo soffio nell’universo.

Puntare al minimo, decidere di vivere soffrendo, sprecarla, autocastrarsi, o accettare i sistemi oppressivi, è un’offesa alla vita. Se una persona ha la possibilità di essere un atleta, lo deve essere, ci deve provare. Se può essere uno scienziato, lo deve essere, o ci deve provare. Se può essere uno che aiuta gli altri, li deve aiutare. Se ama insegnare, deve ambire ad insegnare.

Un buon coach saprà anche aiutare la persona a capire se il suo volere è veramente quello o non stia solo copiando qualche modello proposto dai media, o seguendo ciecamente le aspettative sociali, e questo è un lavoro delicato.

Come sostiene la riflessione di Williamson[1]:

 

La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati.

La nostra paura più profonda, è di essere potenti oltre ogni limite.

È la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più.

Ci domandiamo: “Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso?”

 In realtà chi sei tu per NON esserlo?

Siamo figli di Dio.

Il nostro giocare in piccolo, non serve al mondo.

Non c’è nulla di illuminato nello sminuire se stessi

cosicché gli altri non si sentano insicuri intorno a noi.

Siamo tutti nati per risplendere, come fanno i bambini.

Siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi.

Non solo in alcuni di noi: è in ognuno di noi.

E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere,

inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso.

E quando ci liberiamo dalle nostre paure,

la nostra presenza automaticamente libera gli altri.

 

Molta parte dei sistemi educativi e delle religioni non aiutano le persone a sviluppare, ma piuttosto a soffocare, le aspirazioni più profonde di crescita personale, condannandole come egoismi.

Dobbiamo odiare con il più profondo del cuore i sistemi di pensiero che mettono le persone in condizioni di spegnere le loro aspirazioni e le loro energie. Aiutare le persone a risplendere, ed essere sinceri, richiede coraggio.

Molto più comodo sarebbe dire che tutto va bene, anche se non è vero.

L’essenziale è lanciarsi in un viaggio di scoperta di se, nello sport, nella vita, nel lavoro, dovunque sia, non importa dove. È iniziare e poi cambiare strada facendo, se i risultati non arrivano, o se le strade sono chiuse, ma non bisogna stare fermi. I possibili campi di espressione sono enormi.

E dietro ogni fallimento si può nascondere una lezione, non un semaforo rosso a vita. Anche un incidente di percorso può insegnare qualcosa.

I fallimenti non sono sufficienti a bloccare un’ambi­zione, sono invece casi importanti da analizzare e da cui apprendere per sostenere future sfide con più preparazione. I fallimenti devono essere esaminati e diventare lezioni apprese (lessons learned).

Il senso delle performance è agire nella luce, il senso del potenziale umano è squarciare il buio delle paure immotivate e dell’auto-riduzionismo letargico. Questo sia nell’individuo, in noi stessi, che nelle imprese, e persino nei sistemi estesi come le nazioni, o per l’intera razza umana.

Il senso profondo del coaching e dei progetti di sviluppo è di permettere alla luce altrui di risplendere, aiutare le persone a produrre squarci di luce nei propri orizzonti, liberare il potenziale. Questi sono i tratti di una psicologia positiva delle performance.

La ricerca della potenza da obbligo di elevazione del “guerriero” è diventata – in tempi di buonismo – cosa cattiva. Un errore madornale.

I performer e i cercatori del potenziale umano vanno in cerca di potenza, e non si devono vergognare di questo.

Dalle sue energie l’uomo trae linfa, e una società di persone spente non fa comodo a nessuno, se non a chi vuole governare persone spente, impaurite.

A seconda del suo stato vitale, l’uomo, questo strano essere, si impegna per compiere imprese incredibili così come per trascinarsi giorno dopo giorno nell’esistenza. Una psicologia negativa, che coltiva soprattutto la disistima in sè, il depotenziamento, ha paura di ciò che una persona emancipata può fare, genera il collettivismo forzato, soffoca l’individuo.

Il bisogno di silenziare la pulsione a crescere, mettere i paraocchi rispetto a ciò che sono le vere opzioni della vita, oscurare orizzonti, è malvagità. Impedire, silenziare e depotenziare, anziché stimolare la forza e creatività individuale, può solo uccidere le persone e le loro performance nel loro senso più profondo e umano, quello di atti di liberazione.

Coaching, training e formazione, nella nostra visione, sono attività che devono portare l’essere umano (da solo o in gruppo) ad aumentare la sua potenza, a compiere nuove imprese, dare strumenti per realizzare ciò che può diventare, per se stessi, per l’organizzazione per cui si lavora, per le squadre in cui si agisce, ma soprattutto e prima di tutto per rispettare un impegno sacro: rendere onore al fatto di essere pienamente vivi, e non vivi a metà.

Per farlo, il lavoro sul potenziale e sulle performance deve, in linea di massima, lavorare su due piani: (1) riconoscere e liberare le incrostazioni e “sassi nello zaino”, stili di pensiero negativi, errori comportamentali e mentali, e (2) far entrare il nuovo, imparare concetti e atteggiamenti, abilità, formarsi, prepararsi, abituarsi anche a pensare con abiti mentali mai indossati prima. Il ruolo di un coach serio, di un formatore impegnato, di un consulente, o di un insegnante, dovrebbero essere impregnati di questo spirito vitale.

Va da se che una persona che sia stata in grado di accedere a tutto il suo potenziale, potrà dare a sé e agli altri contributi eccezionali. La potenza è energia pura, va solo direzionata per fini positivi.


[1] Brano tratto da Williamson, Marianne (1992) Return to Love, Harper Collins. Vedi http://en.wikiquote.org/wiki/Marianne_Williamson.  

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Copyright, dal Volume: “Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

1.12. Mettere in moto le energie

1.12.     Mettere in moto le energie

Il bisogno forte verso il quale muoviamo è mettere in moto le energie delle persone verso fini importanti.

Rantolare nel dolore non è bene. Adagiarsi su quanto ricevuto da altri non è bene. Il bene è cercare un progresso, sia esso un progresso interiore (ricerca spirituale) o tecnico (innovazione) o una performance.

Questo lavoro non tocca solo gli “altri”, ma chiunque, anche noi direttamente. Come sostiene Sant’Agostino, ci stupiamo spesso per i fenomeni naturali e la loro bellezza, viaggiamo per cercarli, ma a volte non consideriamo noi stessi mete degne di altrettanta attenzione ed esplorazione.

Quando una persona si limita a fare su se stessa poco più dell’ordinaria manutenzione, vive senza passioni, con energie ridotte rispetto a ciò che potrebbe essere. Probabilmente in cielo qualcuno soffre per questo.

Dare fuoco alle passioni è invece importante, credere in una causa, trovarla, volere un progetto, desiderare di dare un contributo, evolvere, progredire, migliorarsi.

Non è banale pensare che chi agisce per aiutare le persone a produrre risultati e crescere – come un coach, un formatore, un insegnante, un terapeuta, un consulente, un manager, ma anche un padre, una madre, un fratello – sia eroico, sia guerriero di una causa giusta.

Serve uno sforzo per fare sinergia tra i messaggi ispirativi, evocativi, le esperienze dirette, i dati delle ricerche e quelli che derivano dall’accademia.

Se siamo sufficientemente aperti, i messaggi portati da persone diverse non faranno paura ma aiuteranno solo a riflettere, sebbene possano provenire da religioni che non ci piacciono, da persone che non apprezziamo, da scuole accademiche o sistemi di pensiero a noi antitetici o lontani.

Impariamo ad osservarli comunque come stimoli su cui riflettere, tracce di pensiero di altre menti con cui abbiamo la fortuna di confrontarci liberamente, mantenendo la nostra autonomia di giudizio. Per questo, quanto più varie sono le fonti, tanto maggiore diventa la possibilità di un confronto ricco e produttivo.

Proponiamo questo messaggio che deve far riflettere sulla pienezza del potenziale umano e sul vero senso delle performance.

 

Inno alla vita

di Madre Teresa di Calcutta

 

Vivi la vita

La vita è un’opportunità, coglila.

La vita è bellezza, ammirala.

La vita è beatitudine, assaporala.

La vita è un sogno, fanne una realtà.

La vita è una sfida, affrontala.

La vita è un dovere, compilo.

La vita è un gioco, giocalo.

La vita è preziosa, abbine cura.

La vita è ricchezza, conservala.

La vita è amore, godine.

La vita è un mistero, scoprilo.

La vita è promessa, adempila.

La vita è tristezza, superala.

La vita è un inno, cantalo.

La vita è una lotta, accettala.

La vita è un’avventura, rischiala.

La vita è felicità, meritala.

La vita è la vita, difendila.

 

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Copyright, dal Volume: “Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Età fisica ed età mentale

Si avvicina l’uscita del volume Il Potenziale Umano, e nel frattempo volevo condividere e ragionare assieme su una idea di base, che inserirò nel prossimo libro: L’età mentale diversa dall’età fisica. Non è una novità, ma serve qualche approfondimento.

Una persona mentalmente giovane coltiva sogni e aspirazioni, una persona mentalmente vecchia (al di la del suo corpo) ha smesso di sognare e volare con la fantasia, il suo fuoco si sta estinguendo. E questo non solo nell’individuo, ma addirittura in intere aziende o – più su – in intere nazioni.

Una società vecchia vive del passato e nella burocrazia, è ammantata da emozioni negative (paura, sarcasmo, cinismo), difende i propri piccoli spazi di potere ma non guarda oltre. Compie performance difensive, e non proattive. Una società giovane si pone senza paura dei traguardi e ha la forza di emozionarsi per essi. Osserva il mondo in modo attivo, desidera darvi un contributo, non sta seduta a guardarne lo sfacelo e non si intimidisce di fronte alle sfide. Non ha pura di ciò che non conosce ma lo vuole studiare, sperimentare.

Lo stesso accade nelle aziende e nei team sportivi.

Diventa quindi molto interessante per ogni ricercatore vero e per chiunque di noi avere un modello che ci aiuti a rimetterci in moto (per fini personali), o aiutare un team ad ottenere le performance che desidera (per un coach), o ancora lavorare sul funzionamento ottimale delle persone, per scopo terapeutico e di qualità della vita, al di la delle performance che possono ottenere.

La performance come benessere, ascesa, salita, esplorazione: viaggio verso l’Optimal Functioning Il funzionamento ottimale (Optimal Functioning) è la connessione tra aree di ricerca sui problemi (la patologia, l’area negativa) e aree di ricerca sulle performance (le aree dei goals, o positive). Questo nesso è indispensabile per far luce sui metodi che lavorano sul potenziale dell’uomo e dei team (sia sportivi che aziendali).

Ho potuto osservare con grande frequenza che raramente una persona o un team che “funzionano male”, internamente e psicologicamente, offrono prestazioni esterne positive, o se lo fanno questo non dura a lungo.

Dovendo studiare il funzionamento ottimale dell’uomo impegnato in una performance, e lavorando come formatore per migliorare la condizione che di volta in volta trovavo, sono emerse anche interessanti riflessioni sul funzionamento “sbagliato”, sulle patologie e sugli errori che le persone compiono, consapevolmente o meno. Esempi di errori comuni:

1 • l’utilizzo di un archetipo sbagliato; es, per un venditore, considerare se stesso come un “forzatore di acquisti”, anzichè un problem-solver. Questo impedisce di attivare il potere della relazione di aiuto che fornisce energie utili per vendere. Il problema vale anche per uno sportivo, che entri in campo con la voce interiore “non posso assolutamente sbagliare”, anziché “voglio divertirmi e dare il meglio di me”;

2 • il mancato esame dei propri apprendimenti: chi mi ha insegnato a fare le cose come le faccio ora? Da chi ho appreso? Siamo sicuri che vada tutto bene così? Cosa devo disimparare se voglio crescere?

3 • Sè negati: che ruolo vorrei giocare, in campo o nella vita? Sto giocando il ruolo che desidero, o mi sto auto-castrando? Posso provarci? Mi sto auto-impedendo? Sto rispondendo alle aspettative degli altri o do ascolto anche alle mie?

Queste e altre osservazioni possono dare luce ad una nuova forma di scienza di confine, che non sia esattamente nè una scienza dello sport, nè una scienza psicologica, nè un primato delle patologie (es: psicoterapia o medicina), nè una scienza dell’educazione e della formazione, ma una scienza della condizione ottimale dell’essere umano e dei team. In pratica, una scienza che cerchi il denominatore comune del funzionamento positivo umano.

Qualcosa di simile (uscire dal confine ristretto dello studio sulle “patologie”, e da una visione di “malattia”) sta cercando di fare anche la “psicologia positiva” , nuova area di studio della psicologia che studia fenomeni come la felicità, il benessere, la fiducia, la tenacia – area il cui interesse primario è tuttavia verso il funzionamento psicologico, e non per l’intera sfera delle performance umane.

Una scienza delle energie umane e delle performance non è ancora stata realizzata e sviluppata in modo compiuto: ogni disciplina, nel proprio recinto, ne sfiora una parte, ma risulta per tutti difficile cogliere l’unità del senso.

La fatica, le frustrazioni, le cadute, fanno quindi parte del percorso, anche del mio. È parte del gioco. Anche del mio…

Ps…. Sapere di non essere soli in un percorso di ricerca aiuta!

Psicologia strategica e concentrazione

Tante persone e tante aziende sprecano denaro e risorse per nulla. Gettano al vento ore, persone, soldi, senza raggiungere obiettivi o effetti. Due grandi problemi da risolvere sono: 1 – la concentrazione sugli obiettivi (capire bene quali sono i veri obiettivi e depurare il quadro da falsi obiettivi, sia a livello personale che aziendale) 2 – le operazioni da avviare per raggiungere gli obiettivi. La psicologia strategica deve occuparsi di entrambi i fronti. Tuttavia, il contributo essenziale sta nella capacità di depurare il quadro da falsi obiettivi e chiarificare gli effetti che vogliamo produrre e le condizioni di arrivo che vogliamo generare.

Un breve esercizio di concentrazione: con gli occhi chiusi, immaginiamo di voler passare in rassegna tutti i problemi (personali o aziendali) che vorremmo fossero risolti. Man mano che le idee o immagini mentali si materializzano o prendono forma, invece di fissarsi su di esse, immaginiamole volare via, e lasciare spazio a qualche altra immagine o problema. Andiamo avanti sinchè sentiamo che i problemi principali siano stati localizzati. Al termine, lasciamo che la mente vaghi in un luogo immaginario positivo, es, un luogo della natura, per alcuni minuti, come se volessimo riposarci. Finito, riapriamo gli occhi, e scriviamo la lista dei problemi individuati (come punti elenco). Tra un mese ripetiamo la stessa operazione e confrontiamo i due fogli. Dove si è spostata la concentrazione? Quali nuovi problemi entrano? Quali escono? Quali sono solo “autoprodotti”?