Il Coaching Psicologico per le Arti Marziali e gli Sport da Ring

Il Coaching Psicologico per le arti marziali

Allenare la Mente, e costruire il ponte verso i nostri ideali

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Immagine di sé (Self-image), identità e ruoli, conflitti in­te­rio­ri, pulizia mentale

Dobbiamo costruire un modello di noi stessi verso il quale tendere. Un prototipo, un concetto, un’immagine visiva, un modo di essere, che consideriamo un miglioramento, un’aspirazione da raggiungere. Senza aspirazioni, senza riferimenti, senza ideali, l’uomo muore (Daniele Trevisani)

L’immagine di sé corrisponde a ciò che noi pensiamo di noi stessi. Costituisce una forma di auto-percezione, di auto-immagine, con la quale ci misuriamo costantemente.

Risponde in pratica alla domanda “cosa penso davvero di me?”, “come mi vedo?”. La “fotografia di noi stessi” può piacerci o meno, ed in genere, quanto più e bassa tanto più diminuiscono le energie mentali. Con alcune importanti eccezioni da esaminare.

In genere le energie mentali crescono quanto meglio riusciamo a sentirci con noi stessi, accettarci, piacerci.

L’importante eccezione è la seguente: le situazioni in cui non ci sentiamo bene con noi stessi possono svolgere funzione positiva quando questa insoddisfazione si trasforma in un piano di lavoro e azioni concrete di cambiamento. In altre parole, non piacersi e macerarsi in questo stato è distruttivo per le energie mentali, mentre non piacersi, ma trovare una strada di miglioramento e praticarla, è un modo efficace per generare energie.

Uno dei compiti essenziali del coaching, sul piano etico, è quello di determinare se il “non piacersi” sia su variabili importanti e “giuste” o su aspetti di vita pericolosamente sbagliati, o assorbiti da modelli altrui improduttivi, mode effimere, esempi esposti dai media, il cui perseguimento finirebbe per fare danni elevati alla persona.

Ad esempio, molte modelle non si piacciono e vorrebbero vedersi sempre più magre, diventando anoressiche, con casi accertati di morti per anoressia.

Un coach (LifeCoach o FitCoach, o un consulente, o un medico) che aiuti questa persona ad essere tanto magra al punto di morire non è un coach ma un perfetto idiota e un delinquente. Aiutare le persone a perseguire obiettivi distruttivi è moralmente sbagliato. L’aiuto ha sempre uno sfondo etico.

Nessun problema invece per un coaching in cui una persona non sia soddisfatta delle proprie capacità di comunicazione, di negoziazione, o di leadership, o di vendita, e voglia migliorarle, o ancora non accetti un corpo evidentemente fuori forma, flaccido, e voglia essere tonico e sano, o ancora sia in perfetta forma ma voglia trovare una condizione agonistica di picco.

Trasformare gli stati di insoddisfazione in azioni positive quindi è uno dei compiti fonda­mentali del coaching.

Su quali temi può lavorare un coaching profondo?

Le forme specifiche di autoimmagini possono essere numerose e provenire da diversi angoli di osservazione.

Distinguiamo alcuni piani di osservazione o analisi:

Ü Self-image intellettuale: l’immagine di noi stessi sul fronte dell’intelligenza che ci attribuiamo, della capacità di interagire con le persone su un piano culturale, di usare la mente in modo raffinato;

Ü Self-image dello spessore umano e morale: il nostro auto-giudizio su co­­me applichiamo alcuni valori in cui crediamo, il nostro valore morale. Comprende il giudizio su alcune delle scelte fatte in passato, il gradimento o rifiuto che abbiamo per noi e il valore morale che ci attribuiamo. Sul piano del coaching, è essenziale che il coach riesca ad isolare i fallimenti passati e ripulirli da giudizi errati sul proprio spessore umano e morale (au­toflagellazione improduttiva), per inquadrarne invece le reali condizioni, situazioni e difficoltà incontrate;

Ü Self-image di ruolo professionale attuale: analisi limitata al piano della per­cezione di sé sul lavoro, come professionisti, lavoratori, o comunque nell’occupazione attuale;

Ü Self-image dei ruoli e identità del passato personale: autovalutazione e gradimento di chi e come eravamo in diversi momenti della nostra vita passata;

Ü Self-image bloccata nell’evento: un’immagine di sé negativa legata ad un evento critico (critical incident), es., una perdita, un fallimento, un atto spiacevole compiuto – che non viene accettata, superata, metabolizzata;

Ü Self-image relazionale: l’immagine che abbiamo delle nostre abilità di re­lazione con gli altri. All’interno, ancora più in profondità, possiamo trovare altri piani sempre più analitici, alcuni dei quali citati di seguito;

Ü Self-image della seduttività: l’immagine che abbiamo di noi come seduttori, amatori, comunicatori efficaci, sino alle relazioni sessuali;

Ü Self-image agonistica: l’immagine di ruolo che abbiamo di noi come lottatori, sia in azioni proattive (di “attacco” a problemi e situazioni) che difensive, quando qualcuno attacca il nostro territorio fisico o psicologico. La ricerca del prototipo interiore può assumere le sfumature di guerriero fisico, di mediatore, o di soggetto abile nelle sfide verbali, di chi “non si lascia pestare i piedi”, o ancora di chi “preferisce sempre parlarne”, o di uno con cui “è meglio lasciare perdere”, o del “perdente”, e altre;

Ü Self-image di ruolo genitoriale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni (o cattivi) padri o madri, reali o potenziali;

Ü Self-image di ruolo filiale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni o cattivi figli, rispetto ai doveri sociali introiettati e attivi in noi;

Ü Self-image corporea: l’immagine che abbiamo del nostro corpo, anch’es­sa connessa al gradimento o rifiuto che proviamo per essa (self-sa­tisfaction corporea);

Ü Self-image complessiva: la sommatoria di auto-immagini, il quadro com­ples­sivo della nostra auto-percezione.

Il quadro delle percezioni è spesso confuso e dissonante. Possiamo trovarci a nostro agio con una delle nostre auto-immagini ma non con un’altra.

Ogni autoimmagine non accettata può produrre

–          un calo delle energie mentali, quando emerge la rassegnazione verso lo stato negativo (da non confondere con auto-accettazione dei propri limiti), o si scatena senso di colpa e frustrazione associati a senso di impotenza, o

–          incremento delle energie mentali, quando la consapevolezza di un tratto negativo stimola il senso di orgoglio e la volontà di lavorarvi sopra, e viene individuato un percorso concreto nella direzione voluta. Anche piccolissimi passi possono sbloccare la situazione.

Per questo motivo, l’immagine di sé va chiarita sui diversi distretti psicologici e non solo in termini generali.

Un buon modo di partire è porsi la domanda (o porla, per i coach, formatori, terapeuti, educatori e counselor): In cosa sei diverso da come vorresti essere?… per poi entrare nello specifico.. es. Che tipo di manager vorresti essere, e in quali situazioni non si senti come vorresti? Ed ancora: Che tipo di professionista vorresti essere? Dove, in cosa, con chi non riesci ad essere come vorresti? Cosa ti piace e non ti piace fare in particolare?  Con chi non ottieni i risultati che vorresti? Quando accade? Esaminiamo in dettaglio come ti muovi: cosa ti succede quando…? Dove invece ti senti funzionare al meglio? In quali situazioni? Facciamo qualche esempio…

Un coaching psicologico si distingue ampiamente da un coaching strettamente sportivo proprio perché riesce a diventare il “ponte” che aiuta le persone ad avvicinarsi ai propri ideali non solo come atleti o praticanti, ma soprattutto come esseri umani che vivono a pieno la loro vita.

Vivere a pieno o vivere a metà? Molti atleti e praticanti agiscono e migliorano solo nel corpo e nelle tecniche, ma non nella maturità mentale e morale.

Chi riesce a generare questa relazione d’aiuto forte, deve essere fiero di sé come istruttore, come Maestro, al di là di qualsiasi aspetto legato all’agonismo, alla forza o alla potenza che possiamo generare nelle persone.

Nulla ha senso in una vita che ha perso di senso. Il coaching psicologico è quindi un motore di motivazione, uno stimolo a migliorarsi da qualsiasi condizione o stato siamo, uno stimolo ad accettarsi per poi tendere verso un piano superiore di ricerca.

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano e Psicologia, coach e formatore presso www.studiotrevisani.itwww.studiotrevisani.com e Direttore di www.medialab-research.com –  Insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.

Noia, routine, dinamismo, passione, ossessione: 5 zone di lavoro per chi vive le arti marziali e gli sport di combattimento

Eccellenza vs Perfezione – l’accettazione dell’imperfezione, la lotta alla noia e alla mediocrità

Concentrarsi su quello che conta davvero

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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I diversi piani di lavoro per chi ama davvero le arti marziali e gli sport di combattimento

Chi si occupa di performance è spesso portato a confondere due piani distinti di una prestazione: la perfezione e l’eccellenza.

Una prestazione eccellente è quella che offre contributi significativi a chi ne deve fruire, mentre una prestazione perfetta è spesso autoreferenziale, forzatamente ed esasperatamente sovraccarica di attenzione, anche nei dettagli nei quali nessuno può percepire un contributo in più o vantaggi ulteriori veri.

La vera eccellenza si misura sul valore vero prodotto o dell’azione, non in finezze snob.

I performer non possono essere danneggiati dalla ricerca della perfezione ma devono essere stimolati dalla ricerca dell’eccellenza. Si tratta di una differenza sottile ma importante.

Perfezionismo e ricerca dell’eccellenza sono atteggiamenti diversi. Il perfezionismo assorbe energie in modo maniacale anche oltre il livello in cui un contributo diventa significativo. Consuma energie inutilmente.

Le attività dei cercatori di perfezione non sono mai finite, mai terminate, mai perfette, esiste sempre una ragione per non completarle o non essere soddisfatti di sè.

L’eccellenza richiede che le energie vengano investite là dove un contributo produce effetti, e sino al livello in cui un miglioramento è reale, percepibile, dotato di senso, creatore di valore buono, e non oltre.

Il perfezionismo non aumenta il successo delle persone, è uno stato di maniacalità. Il successo è determinato dal talento, energia, impegno, non dal perfezionismo o testardaggine verso i dettagli inutili. Il successo avviene nonostante il perfezionismo, non a causa di esso. Come evidenzia Greenspon[1], il perfezionismo è una sorta di malattia:

 

“Il perfezionismo non è fare del proprio meglio, o ricercare l’eccellenza. È una convinzione emotiva sul fatto che la perfezione sia la sola via all’accettazione personale. È la convinzione emotiva che solo essendo perfetti uno sarà finalmente accettato come persona”.

 

Un coaching efficace dovrà aiutare il cliente o team ad identificare le soglie di valutazione corrette nelle proprie attività, evitando sia le performance scadenti che quelle dotate di attenzioni maniacali non necessarie.

5 zone di lavoro

In qualsiasi allenamento o in qualsiasi forma di lavoro e di pratica possiamo osservare diversi “modi di agire” che poi diventano, alla lunga, “modi di essere”. Ho isolato, per semplificazione, 5 diversi stadi:

 

Fig.  – Zone di lavoro

 

 

 

 

 

 

 

In sintesi:

  • Allenamento dopo allenamento, se dominano noia e mediocrità, arriveremo a svuotare di energie i praticanti.
  • Allenamento dopo allenamento, se domina la routine e non inseriamo variazioni didattiche, non daremo mai stimoli al cambiamento, e le persone giustamente le cercheranno al di fuori.
  • Allenamento, dopo allenamento, se si ricerca la qualità e il dinamismo, porteremo le persone a divertirsi e ad appassionarsi.
  • Allenamento dopo allenamento, se ci concentriamo sui fattori che generano qualità in ogni sua fase (qualità di un riscaldamento, qualità di un esercizio, qualità dello stretching, qualità delle forme, qualità dello sparring, etc…) e applichiamo passione pura, verranno fuori risultati enormi in chi è predisposto, mentre verrà allo scoperto chi è invece semplicemente un perditempo.
  • Allenamento dopo allenamento, se massacriamo ossessivamente le persone su dettagli esecutivi perdendo magari di vista la loro psicologia e la loro motivazione, se guardiamo alla posizione del mignolo e non cogliamo la persona nel suo complesso e la ricchezza del suo repertorio complessivo, la porteremo a lasciare. Non è questo che vogliamo. Sono pochi, pochissimi e rari, gli atleti con i quali ricercare la perfezione maniacale, e durerà comunque per poco tempo.

 

Localizzare dove si situino le varie attività dell’individuo o del team in questa scala, è fondamentale. Specificamente, localizzare la differenza tra il perfezionismo inutile e l’eccellenza è particolarmente importante nel metodo HPM, vista la presenza della cella “micro-competenze”, che stimola proprio ad andare alla ricerca dei dettagli significativi su cui lavorare. Essa – ricordiamo – non è da non confondere con l’ossessione maniacale sull’inutile e sulla superficie.

Una delle funzioni fondamentali del coaching e della formazione consulenziale consiste proprio nell’aiutare le persone a capire su quali aree è bene investire e su quali invece sia inutile farlo ora, o non valga la pena in quanto il livello raggiunto è già sufficientemente buono.

Le persone non riescono, da sole, il più delle volte, a percepire se stesse con lucidità, a fissare bene i propri scopi, ancora meno a raggiungerli o sviluppare performance ottimali. Esiste una coltre di nebbia che offusca la visione di noi stessi e i nostri veri obiettivi. Guardare oltre non è facile, e anche una sfida, per definizione, non è semplice.

Il coaching, la formazione, la consulenza, la Maestria, la guida di un Maestro, sono aree di una relazione di aiuto forte, che – quando fatte con passione e serietà – lavorano sul dare supporto individuale, o a una squadra o intera organizzazione, per aiutarla a percepirsi correttamente, senza lenti sfuocate, a fissare veri obiettivi e fare piazza pulita di falsi obiettivi o presupposti fuorvianti, evolvere e andare verso nuove sfide, crescere, progredire. Perché il senso dell’uomo è questo: la ricerca.

Rispetto alle variabili del modello HPM, ciascuna può essere osservata come uno spazio di crescita con territori in parte conosciuti e raggiunti, ed altri ancora da conquistare ed esplorare.

La domanda non diventa se andare avanti, ma come. Il fatto di andare avanti deve diventare un atteggiamento di fondo, forza di volontà costante.

Un’ultima convinzione e riflessione: l’eccellenza non è materia solo tecnica. L’eccellenza si raggiunge quando si crede in qualcosa.

I puri di cuore, e coloro che lavorano per una causa, fanno quasi sempre cose eccellenti, poiché vi mettono passione.

La tecnica e la formazione ci possono solo aiutare a trasformare la purezza del cuore e la volontà in progetti reali, tangibili e utili.

 

Vivere, essere puri di cuore, e morire

Per rendere immortale il nostro spirito.

Gustavo Adolfo Rol (1903-1994)

 

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Note sull’autore:

 

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching in www.studiotrevisani.itwww.studiotrevisani.com – insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

 

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

 

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.


[1] Greenspon, T. (2008), The Courage to be Imperfect: Tom Greenspon on Perfectionism, Northwestern University, Center for Talent Development.

 

Speed Drills 1 – Tecniche per la velocità negli spostamenti

Speed Drills: esercizi per la velocità negli spostamenti. Possono essere applicati con opportune variazioni ad ogni disciplina praticata in piedi o nella fase “in piedi” di diversi sport di combattimento e arti marziali.

ESERCIZI  PER GLI SPOSTAMENTI IN LATERALE
-speed drills in laterale 1: posizionare un bastone al centro della propria guarda, poi saltellare a destra e sinistra mantenendo la guardia, senza dare colpi
-speed drills in laterale 2: posizionare un bastone al centro della propria guarda, poi saltellare a destra e sinistra mantenendo la guardia, in ogni posizione fare una serie di colpi prima del saltello successivo
-speed drills in laterale 3: in posizione di guardia, un aiutante deve far passare un bastone sotto le gambe, ad altezza caviglie, e bisogna evitare di farsi prendere dal bastone

ESERCIZI PER LA VELOCITA’ NEGLI SPOSTAMENTI SULL’ASSE FRONTALE
-speed drills frontale 1: posizionare un bastone davanti al piede avanzato della propria guarda, poi saltellare avanti e indietro mantenendo la guardia, senza dare colpi
-speed drills frontale 2: posizionare un bastone davanti al piede avanzato della propria guardia poi saltellare avanti e indietro mantenendo la guardia, in ogni posizione fare una serie di colpi prima del saltello successivo (saltello più colpi in avanzamento, poi saltello indietro e colpi in arretramento)
-speed drills frontale 3: in posizione di guardia, praticare shadow boxing o forme, in posizione (senza muoversi dal proprio raggio di azione), al primo fischio scarica con spostamento rapido in avanti e colpi, al secondo fischio rallentare e stare in posizione, al terzo fischio scarica veloce con colpi in arretramento, al quarto fischio rallentare e tornare alla shadow boxing o forme eseguite lentamente.

ALCUNI ESERCIZI AVANZATI
Chambara 1: Esecuzione di sparring a vuoto con parate su colpi eseguiti da un aiutante che utilizza Chambara di gomma per aumentare la distanza delle schivate e spostamenti (costringe ad aumentare il raggio di spostamento e di schivata in tutte le direzioni)

Chambara 2: Esecuzione di sparring a vuoto con parate su colpi eseguiti da 2 aiutanti che utilizzano Chambara di gomma, con 2 angoli diversi in continuo spostamento, per aumentare la distanza delle schivate e spostamenti (costringe ad aumentare il raggio di spostamento e di schivata in tutte le direzioni) e aumentare la capacità di percezione laterale.

Speed Flip 1 : rapida serie di cambi di guardia finalizzata a creare confusione tattica nell’avversario, i piedi sfiorano solo il terreno ma non si fermano mai a contatto completo

Speed Flip 2 : rapida serie di cambi di guardia finalizzata a creare confusione tattica nell’avversario, i piedi sfiorano solo il terreno ma non si fermano mai a contatto completo, cui si aggiungono finte realizzate con le spalle e gli spostamenti del busto.

 

… altre tecniche in un prossimo articolo, intanto con queste si possono fare avanzamenti significativi.
un saluto Daniele

On Becoming a Trainer… Formare i Formatori – 20 passi per crescere

Formare i formatori per le arti marziali, gli sport di combattimento… e ben oltre…

20 linee guida per avere formatori, allenatori e istruttori preparati

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Nessuno è immune dal bisogno di formazione e preparazione.

Anche – e soprattutto – allenatori, istruttori e Maestri – devono considerarsi in costante stato di apprendistato verso un punto di arrivo che – nelle arti marziali – non esiste, una via infinita di scoperte, una via a volte senza molta luce e piena di buche.

Per aiutare a fare un po’ di luce, può essere utile fare un elenco di linee guida, inquadrare quali sono alcune questioni fondamentali della preparazione degli istruttori, allenatori e Maestri:

  1. capacità decisionali (non dilazionare le decisioni che vanno prese, affrontare le problematiche, capire quando arriva il decision time); es: capire quando un atleta va fermato o rallentato perché a rischio di lesioni – e farlo senza tentennamenti.
  2. capacità di ragionamento logico; es: fare ragionare i propri allievi su quali sono i principi di una buona preparazione (costanza di allenamento, qualità dell’allenamento, concentrazione, alimentazione, etc)
  3. capacità di ragionamento creativo; saper inventare nuovi modi per allenarsi, più divertenti, più efficaci, o anche solo diversi dal solito.
  4. atteggiamenti di problem-setting (voler inquadrare i problemi veri e non accontentarsi di falsi problemi o problemi mal formulati); es: chiedersi quali sono le “radici” dei problemi anziché cercare le colpe nelle singole persone.
  5. saggezza decisionale; es: sapere quando arriva il momento di farsi da parte e iniziare a delegare davvero ai propri allievi migliori, farli diventare istruttori, smettere di voler essere al centro di tutto.
  6. distacco situazionale; saper vivere i momenti negativi come momenti e non come un dramma assoluto, far capire che un trauma passa, che le cose possono migliorare, che ci si può allenare anche senza essere campioni-
  7. capacità empatiche; capire lo stato d’animo dell’allievo, voler capire la persona ancora prima dell’atleta
  8. variabili della personalità, es.: introversione vs. estroversione; lavorare sul miglioramento della propria personalità, sui punti deboli.
  9. gestione emotiva; riconoscere e gestire stati emotivi normali e speciali, ad esempio far si che un atleta o praticante sia “attivato” ma non “ansioso” prima di una gara o prestazione, saperlo tranquillizzare.

10.  spirito di ricerca; visitare altri stili e imparare da chi pratica stili e tecniche diverse

11.  locus of control (localizzazione corretta della propria sfera di controllo e responsabilizzazione); capire dove sono i confini della propria responsabilitò

12.  propensione al rischio, valutazione del rischio e atteggiamenti corretti; es: far in modo che i ragazzi e ragazze si allenino senza infortunarsi, che escano dall’allenamento integri, far usare le protezioni, e ogni accorgimento per evitare i traumi inutili dovuti a superficialità degli allievi.

13.  crisis management e capacità di lavorare in stato di crisi; sapere cosa fare in caso di situazioni difficili, es, svenimenti, traumi, crisi personali, persone che diventano aggressive o altri momenti critici che possono accadere

14.  capacità aumentate di apprendimento dall’esperienza (lessons learned); per ogni errore, ricavare una lezione appresa, e non solo vederlo come errore

15.  capacità di autocritica, autoanalisi, spirito di umiltà; sapere di essere i primi a voler migliorare

16.  capacità di rimproverare correttamente e costruttivamente, riprendere ove necessario, dare feedback; dire alle persone come stanno andando, cosa ci piace o non ci piace, avere una comunicazione aperta e sincera

17.  capacità di gratificare, localizzare momenti e tempi in cui farlo; ogni praticante ha bisogno di rinforzi psicologici positivi, darli è un dovere

18.  analisi situazionale e percezione aumentata; stare attenti ai dettagli senza perdere di vista l’insieme

19.  rimozione di manierismi e atteggiamenti di facciata inutili, senza intaccare la cortesia e la correttezza nei rapporti. L’allenatore, istruttore o Maestro che sa farsi rispettare o sa far crescere le persone non otterrà mai questo risultato solo per quanto scritto su un diploma, ma per come riesce a dare esempio personale.

20.  Credere. Credere nel valore sociale di quanto facciamo, credere fermamente nel fatto che stiamo aiutando ragazzi e ragazze a crescere, a migliorare, ad avere un senso nella vita, a riempire di significato le nostre e altrui esistenze. Senza questo, saremmo solo dei meccanici.

Per ogni profilo di formatore esistono esigenze di preparazione diversa.

È importante quindi stendere una precisa wish-list (lista dei desideri) rispetto ai tratti importanti per i profili chiave dei formatori e allenatori in cui un club o gruppo sportivo gioca la sua partita sul territorio. Sbagliare e inquadrare male questi profili professionali dal punto di vista psicologico è drammaticamente dannoso.

È fondamentale anche inquadrare immediatamente chi ha le possibilità di diventare istruttore e inserirlo in un piano di formazione-formatori, per poter contare al più presto sul suo aiuto.

Nessuno di noi da solo riuscirà mai a trascinare una montagna. Ma tanti istruttori, allenatori, e Maestri, possono cambiare le cose lavorando assieme.

La nostra prima preoccupazione deve essere il bisogno di formare dei formatori.

Questo bisogno si estende anche sul piano delle abilità relazionali in palestra, nel Dojo e fuori. Un allenatore preparato sui temi tecnici del proprio stile ma debole nelle capacità necessarie a condurre relazioni umane finisce per allontanare i praticanti, avrà poca strada avanti a se, così come un atleta fisicamente forte ma emotivamente molto fragile.

Dott. Daniele Trevisani

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching in www.studiotrevisani.it – insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.

Formare i Formatori – 20 passi per crescere

Formare i formatori per le arti marziali e gli sport di combattimento

20 linee guida per avere allenatori e istruttori preparati

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Nessuno è immune dal bisogno di formazione e preparazione.

Anche – e soprattutto – allenatori, istruttori e Maestri – devono considerarsi in costante stato di apprendistato verso un punto di arrivo che – nelle arti marziali – non esiste, una via infinita di scoperte, una via a volte senza molta luce e piena di buche.

Per aiutare a fare un po’ di luce, può essere utile fare un elenco di linee guida, inquadrare quali sono alcune questioni fondamentali della preparazione degli istruttori, allenatori e Maestri:

  1. capacità decisionali (non dilazionare le decisioni che vanno prese, affrontare le problematiche, capire quando arriva il decision time); es: capire quando un atleta va fermato o rallentato perché a rischio di lesioni – e farlo senza tentennamenti.
  2. capacità di ragionamento logico; es: fare ragionare i propri allievi su quali sono i principi di una buona preparazione (costanza di allenamento, qualità dell’allenamento, concentrazione, alimentazione, etc)
  3. capacità di ragionamento creativo; saper inventare nuovi modi per allenarsi, più divertenti, più efficaci, o anche solo diversi dal solito.
  4. atteggiamenti di problem-setting (voler inquadrare i problemi veri e non accontentarsi di falsi problemi o problemi mal formulati); es: chiedersi quali sono le “radici” dei problemi anziché cercare le colpe nelle singole persone.
  5. saggezza decisionale; es: sapere quando arriva il momento di farsi da parte e iniziare a delegare davvero ai propri allievi migliori, farli diventare istruttori, smettere di voler essere al centro di tutto.
  6. distacco situazionale; saper vivere i momenti negativi come momenti e non come un dramma assoluto, far capire che un trauma passa, che le cose possono migliorare, che ci si può allenare anche senza essere campioni-
  7. capacità empatiche; capire lo stato d’animo dell’allievo, voler capire la persona ancora prima dell’atleta
  8. variabili della personalità, es.: introversione vs. estroversione; lavorare sul miglioramento della propria personalità, sui punti deboli.
  9. gestione emotiva; riconoscere e gestire stati emotivi normali e speciali, ad esempio far si che un atleta o praticante sia “attivato” ma non “ansioso” prima di una gara o prestazione, saperlo tranquillizzare.

10.  spirito di ricerca; visitare altri stili e imparare da chi pratica stili e tecniche diverse

11.  locus of control (localizzazione corretta della propria sfera di controllo e responsabilizzazione); capire dove sono i confini della propria responsabilitò

12.  propensione al rischio, valutazione del rischio e atteggiamenti corretti; es: far in modo che i ragazzi e ragazze si allenino senza infortunarsi, che escano dall’allenamento integri, far usare le protezioni, e ogni accorgimento per evitare i traumi inutili dovuti a superficialità degli allievi.

13.  crisis management e capacità di lavorare in stato di crisi; sapere cosa fare in caso di situazioni difficili, es, svenimenti, traumi, crisi personali, persone che diventano aggressive o altri momenti critici che possono accadere

14.  capacità aumentate di apprendimento dall’esperienza (lessons learned); per ogni errore, ricavare una lezione appresa, e non solo vederlo come errore

15.  capacità di autocritica, autoanalisi, spirito di umiltà; sapere di essere i primi a voler migliorare

16.  capacità di rimproverare correttamente e costruttivamente, riprendere ove necessario, dare feedback; dire alle persone come stanno andando, cosa ci piace o non ci piace, avere una comunicazione aperta e sincera

17.  capacità di gratificare, localizzare momenti e tempi in cui farlo; ogni praticante ha bisogno di rinforzi psicologici positivi, darli è un dovere

18.  analisi situazionale e percezione aumentata; stare attenti ai dettagli senza perdere di vista l’insieme

19.  rimozione di manierismi e atteggiamenti di facciata inutili, senza intaccare la cortesia e la correttezza nei rapporti. L’allenatore, istruttore o Maestro che sa farsi rispettare o sa far crescere le persone non otterrà mai questo risultato solo per quanto scritto su un diploma, ma per come riesce a dare esempio personale.

20.  Credere. Credere nel valore sociale di quanto facciamo, credere fermamente nel fatto che stiamo aiutando ragazzi e ragazze a crescere, a migliorare, ad avere un senso nella vita, a riempire di significato le nostre e altrui esistenze. Senza questo, saremmo solo dei meccanici.

Per ogni profilo di formatore esistono esigenze di preparazione diversa.

È importante quindi stendere una precisa wish-list (lista dei desideri) rispetto ai tratti importanti per i profili chiave dei formatori e allenatori in cui un club o gruppo sportivo gioca la sua partita sul territorio. Sbagliare e inquadrare male questi profili professionali dal punto di vista psicologico è drammaticamente dannoso.

È fondamentale anche inquadrare immediatamente chi ha le possibilità di diventare istruttore e inserirlo in un piano di formazione-formatori, per poter contare al più presto sul suo aiuto.

Nessuno di noi da solo riuscirà mai a trascinare una montagna. Ma tanti istruttori, allenatori, e Maestri, possono cambiare le cose lavorando assieme.

La nostra prima preoccupazione deve essere il bisogno di formare dei formatori.

Questo bisogno si estende anche sul piano delle abilità relazionali in palestra, nel Dojo e fuori. Un allenatore preparato sui temi tecnici del proprio stile ma debole nelle capacità necessarie a condurre relazioni umane finisce per allontanare i praticanti, avrà poca strada avanti a se, così come un atleta fisicamente forte ma emotivamente molto fragile.

Dott. Daniele Trevisani

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching in www.studiotrevisani.it – insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.

La Guerra dei Memi

La vera battaglia abbia inizio: la guerra dei Memi

Il valore educativo delle Arti Marziali consiste nella sua possibilità di avviare una “trasmissione memetica”, termine inusuale ma che per noi artisti marziali e fighter può essere davvero utile. Di cosa si tratta?

I “memi” sono le tracce mentali che ciascun essere umano ha nella propria coscienza.

E’ indubbio che noi, oggi, abbiamo alcune tracce mentali che abbiamo ereditato da ogni maestro che ci ha preceduto, e da qualsiasi insegnamento abbiamo tratto. Abbiamo assorbito “memi” buoni e “memi” cattivi lungo il nostro percorso, fango e oro si sono mescolati in un’amalgama unica in ogni essere umano.

Abbiamo assistito tutti ad esempi che non vorremmo si riproducessero, ad atteggiamenti sbagliati, ma anche a momenti formativi di valore assoluto, che trascendono qualsiasi gesto tecnico e vanno nel profondo della formazione del Potenziale Umano di ogni praticante.

Il nostro compito primario, la nostra vera responsabilità sociale, è di accettare in pieno questo onere e questo onore, il fatto di essere “trasmissori di memi” alle future generazioni.

Con questo in mente, ciascuno di noi può contribuire alla creazione di un mondo migliore, partendo da ogni piccolo “meme” sbagliato che riusciremo a sradicare anche in in una sola persona, e piano piano – in un gruppo, e ai “memi” buoni che riusciremo ad inserire, ciascuno di noi, giorno dopo giorno, generazione dopo generazione, in una trasmissione che rende il nostro lavoro immortale.

Penso ad esempio al “meme egoista” che si agita nelle arti marziali e da ring, e dice, più o meno, “vali tanto più quanto sei forte fisicamente e quanto più sei aggressivo con gli altri e picchi forte”, per sostituirlo con un meme ben più umile, che dice “vali come persona e per quello che saprai apprendere lungo il tuo percorso e nella tua ricerca, una ricerca che non ha fine, e il tuo valore si misura in quanto sei riuscito ad essere un esempio positivo per gli altri”.

Questa “battaglia memetica” è una guerra difficile, ma come artisti marziali e Maestri, non ci tireremo indietro. Non possiamo farlo. Non vogliamo farlo.

Si dimostra il proprio coraggio soprattutto quando si affrontano giganti, e questa guerra memetica tra memi e tracce mentali sarà davvero una battaglia epica.

articolo di: Dott. Daniele Trevisani, esperto in Potenziale Umano www.studiotrevisani.com

Trasformarsi in un’arma

Trasformarsi in un’arma

Di Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it – Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano, Psicologia e Formazione. Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2

Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

Tecniche delle energie mentali e della motivazione: potenziare la mente nelle arti marziali e sport di combattimento, e il senso del “trasformarsi in un’arma”

La mente è il nostro organo più debole e forte allo stesso tempo. Può essere il migliore alleato di chi vuole vivere a pieno il suo viaggio nelle arti marziali e negli sport di combattimento. Ma occorre un metodo anche per coltivare le abilità mentali, e la coscienza profonda di cosa significa trasformarsi in un’arma

Esistono “tecniche” molto precise per il potenziamento delle facoltà mentali.

Queste tecniche – derise dagli ignoranti – vengono utilizzate da millenni nelle arti marziali e in diverse religioni, ma paradossalmente, proprio dalle arti marziali moderne sono via via sempre più dimenticate, per non parlare degli sport da ring dove vengono considerate superflue, salvo poi scoprire che un atleta ben preparato perde quasi sempre per motivi soprattutto psicologici e tattici, e non di forza muscolare.

Queste tecniche sono invece praticate al massimo livello dalla stragrande maggioranza dei vincitori olimpici in ogni disciplina. Ci sarà un motivo o no?

Caricare la mente

L’area più importante di analisi della psicoenergetica è la carica psicoenergetica. Sentirsi psicologicamente carichi è fondamentale.

L’aggettivo “psicoenergetico” si riferisce a ciò che nasce puramente da processi mentali o emozionali, e non da processi unicamente fisiologici.

Si tratta quindi di isolare l’energia autoctona dello spirito vitale, cercando di distinguerla da quella delle energie fisiche e biologiche. Un lavoro pionieristico e complesso su cui le conoscenze sono in fase davvero embrionale, lavoro difficile, ma per questo affascinante.

La carica psicoenergetica si riferisce alle energie psichiche che il soggetto riesce a produrre, separatamente dallo stato biologico e fisiologico.

Le energie mentali possono certamente essere condizionate dallo stato bioenergetico – ciascuno di noi può subire il condizionamento negativo che deriva dalla stanchezza, da un dolore fisico, dalla fame o sete, da uno squilibrio corporeo. Tuttavia, quando il corpo si trova in condizione di omeostasi, di relativa quiete, la componente mentale non è ferma. Essa può comunque trovarsi a fluttuare tra stati di carica energetica (positiva) o di mancanza di energia.

Il compito della psicoenergetica è di isolare i fattori che determinano queste fluttuazioni nella carica mentale, al di là del piano fisico. È necessario capire a quali fattori esistenziali si associano ai diversi livelli umorali, analizzare come ci si sente interiormente e come questo incide sulle nostre energie mentali.

Dobbiamo quindi analizzare prima di tutto i fattori di natura il più possibile isolata dalla condizione organismica fisica, quali l’autostima (ci sentiamo meglio o peggio ne vederci come artisti marziali o fighter?), l’autorealizzazione (ho un ideale di me stesso a cui puntare?), il desiderio di riscatto personale e di riscatto sociale (nelle arti marziali e sport di combattimento trovo la possibilità di esprimere ciò che in altri campi della vita non mi è possibile fare o non sono riuscito a fare?).

Quando – durante un anno di allenamento, o una giornata – ci si sente realizzati, motivati, sicuri di sé o piuttosto afflitti e avviliti? Quanto spesso demotivati, frustrati, o invece grintosi e forti? Questo incide certamente sulle energie totali dell’individuo e su questo punto si gioca larga parte dello sviluppo del potenziale umano.

Fissare come vorremmo essere: il sé aspirazionale come motore del nostro potenziamento

Un esercizio fondamentale di visualizzazione, che pratico con alcuni praticanti selezionati, è un esercizio di visualizzazione mentale. Iniziare a “vedere” mentalmente se stessi “come se fossimo e ci muovessimo nel modo che rappresenta davvero il mio ideale…”. Una variante, è visualizzare lo stato di forma fisica, una “fotografia mentale” di come vorremmo essere fisicamente, che funge da ancoraggio mentale per i nostri sforzi e il nostro impegno. Una variante ulteriore, è “vedersi in movimento” mentre si svolge una forma o un combattimento, sia nel modo peggiore possibile, che nel modo migliore possibile, poi discutere in gruppo che cosa esattamente c’è di diverso tra la variante “negativa” e goffa, e quella “positiva” o ideale.

Molto spesso in questi esercizi viene veramente fuori qualcosa di fondamentale: i punti specifici sui quali dover lavorare per migliorarsi.

Sul piano fisico, se riusciamo a fissare con forza, con estrema forza, un’immagine mentale fisica (il sé aspirazionale fisico), che rappresenta un nostro ideale, e fissarlo con decisione come un punto di arrivo, questo diventerà un “motore psicologico” fortissimo.

Sul piano mentale, se riusciamo a fissare con forza, con estrema forza, un’immagine mentale di come vorremmo sentirci, in allenamento o in gara (il sé aspirazionale psicologico), e fissarlo con decisione come un punto di arrivo, questo diventerà un “motore psicologico” fortissimo per allenarsi e “tendere” verso quello stato. Naturalmente questo deve essere uno stato positivo, qualcosa che ci faccia sentire bene.

A quel punto il dubbio se andare o non andare in palestra o nel Dojo la sera, o quando siamo stanchi, troverà un nemico potentissimo, l’immagine mentale “aspirazionale” che abbiamo di noi stessi e a cui vogliamo tendere. Questo fatto, oltretutto, è nemico mortale di un pericolo altrettanto mortale: la perdita di senso e di motivazione. Quando abbiamo fissato cosa vogliamo diventare, e verso cosa tendere, questa immagine mentale riempie di senso ogni nostra giornata, o ogni nostra attesa del prossimo allentamento, che diventa un “traghetto” verso quello stato ideale.

Sul “Trasformarsi in armi”

Esiste poi un altro punto fondamentale: noi non giochiamo a calcetto o a bocce. Impariamo arti che – senza tanti giri di parole – sono nate storicamente o per uccidere, o per difendersi, o per difendere altri.

Facciamo di queste arti un percorso di crescita personale, cerchiamo la componente mistica, trascendentale, e filosofica di questo percorso, e senza questa saremmo solo degli animali, ma non dobbiamo mai dimenticare l’origine vera del mondo marziale: combattere, diventare armi.

Su questo, vorrei esprimere il pensiero di un Samurai Naganuma Muneyoshi (1635-1690), che ha espresso molto meglio di quanto riuscirò mai a fare io, la sua opinione su questo fatto, del “trasformarsi in armi”.

Le armi sono strumenti di sventura.

La guerra è una faccenda pericolosa.

Se viene usata per risolvere i problemi del mondo ed eliminare la sofferenza della popolazione, è una guerra giusta.

Attaccare città che non si sono macchiate di alcuna colpa e uccidere persone innocenti è una guerra di rapina.

I predoni non vedono l’ora di mobilitarsi, mentre gli uomini nobili lo fanno solo quando è inevitabile.

Credo che sia chiara la coscienza che nessuno deve mai fare del male gratuitamente, il bullismo di chi si sente forte perché artista marziale o fighter è da ignoranti e va punito e perseguito come una piaga sociale, ma per i puri di cuore le armi sono strumenti di bene, non vanno usate se non come risorsa ultima, e solo per cause davvero nobili.

Credo che il senso del tutto sia sapere quanto e quando sia positivo diventare un arma che – pur nella nostra limitatezza di singole persone – può dare un contributo a risolvere i problemi del mondo e lottare contro la sofferenza, e mai si scaglierà contro bersagli sbagliati o innocenti.

Un arma che si tiene affilata, lubrificata, preparata, pur sapendo e sperando di non essere mai usata, ma che se occorresse, e – come sostiene Muneyoshi – solo quando è inevitabile, saprà fare ciò per cui si allena, e non si girerà dall’altra parte.

Dott. Daniele Trevisani

Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching in www.studiotrevisani.it – insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.

Le abilità emotive nelle Arti Marziali e Sport di Combattimento. Capacità sottili, impatti forti


Di Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it – Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano, Psicologia e Formazione per le Arti Marziali e di Combattimento. Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2

Questo articolo può essere copiato e riprodotto in qualsiasi sito web, purché sia mantenuta la citazione dell’autore come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

Energie mentali e umore, le nuove competenze (mood awareness, mood labeling, mood monitoring, cognitive labeling)

Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.

(Jacques Prévert)

La più forte capacità di un artista marziale serio o fighter di alto livello è quella di riconoscere gli stati emotivi che si vivono, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, allenamento dopo allenamento, farli propri, e imparare a vivere una dimensione che è sconosciuta ai più: il momento in cui incontri e impari il tuo limite, in un combattimento, in una forma, o nel come funziona la tua mente.

E quando lo incontri, sai che da li inizia un nuovo viaggio che, volendolo davvero, non avrà fine.

L’emozione è uno stato fisiologico che sperimentiamo continuamente. In ogni allenamento, in ogni forma, in ogni combattimento o sparring, il mondo marziale è una vera miniera di “varietà emotive” che poche altre discipline sanno offrire, rispetto all’enormità di tipologiche che si possono incontrare.

Possiamo passare dalla sensazione di sentirci soffocare da uno strangolamento, al bisogno di trattenere una tecnica che vorremmo affondare, sino alla rabbia per aver perso uno sparring che volevamo assolutamente vincere, alla sorpresa per aver fatto qualcosa che non ci era mai riuscito, sino allo stupore e sbalordimento nel vedere una tecnica stupenda portata come vorremmo farla noi… o la sensazione di provare una forma in solitudine, e una enormità di altre sensazioni emotive.

Chi gareggia poi, ha occasioni costanti di confrontarsi con tutte le possibili forme di gioia, di ansia da prestazione, e con il panico, con la rabbia, con quanto di più nascosto abbiamo dentro, e che – per fortuna – i nostri sport e discipline sanno far emergere a nostro vantaggio, “scoperchiando il pentolone” di chi siamo come poche altre cosa sanno fare nella vita. Più ci conosciamo, più sappiamo come funzioniamo, più siamo forti e coscienti.

L’umore è uno degli elementi più esplicitamente correlati alle energie mentali, e dalle forti capacità “contagiose”, in bene e in male.

Un umore è una condizione emotiva di maggiore durata rispetto all’emozione istantanea, e meno collegata ad un singolo evento scatenante.

I tipi di personalità sono invece tratti più duraturi che predispongono a tipi di umore specifici. Lottare contro l’eredità umorale appresa è una sfida nobile.

Secondo Thayer, l’umore è un prodotto di due dimensioni, l’energia e la tensione[1]. Gli umori positivi avvengono in zone di energie elevate e stato di calma, mentre ci sentiamo peggio quando siamo in condizione di basse energie fisiche accompagnate a tensione emotiva.

Quanti di noi si sono sentiti meglio dopo un allenamento? E quando accade che ci si senta peggio, perché accade? Dobbiamo investigare attentamente questo, perché nella risposta a queste domande si trovano grandi scoperte.

Bassi livelli di energie mentali sono in genere accompagnati da condizioni umorali negative, tristezza, depressione, mentre alti livelli sono accompagnati da stati positivi, dal rilassamento sino alla gioia e all’euforia. Un Maestro che sappia condurre un allievo verso la gioia di allenarsi è un Maestro nobile.

Ciò che ci interessa maggiormente in termini di coaching analitico è il concetto di mood awareness[2], la consapevolezza dello stato umorale, una capacità specifica ed allenabile, composta da mood labeling (saper etichettare lo stato emotivo in corso) e mood monitoring (saper monitorare l’andamento del proprio umore, coscientemente, tener traccia delle variazioni).

Il labeling, in particolare, rappresenta il ponte essenziale tra il sentimento interno e la possibilità di comunicarlo.

Comunicare ad altri come ci si sente è importantissimo, ed è tema di cui si occupano molte ricerche, che giungono a inquadrare il concetto di empatia interna[3], o la capacità di capirsi. Questa dipende anche dalla capacità di trovare etichette (verbali) per gli stati cognitivi e per i sentimenti vissuti.

Conoscere i propri stati e non negarli è essenziale, ma poi serve la capacità di descriverli e – soprattutto –  l’occasione fisica, vera, di parlarne a qualcuno che ci ascolti.

Quanti sono i Maestri o formatori che sanno ascoltare gli allievi, anche solo con uno sguardo? Quanti sono quelli che invece se ne fregano, sostanzialmente?

Trovare oggi chi sia in grado da farci da contenitore emotivo è qualcosa di estremamente raro, ma non è su questo che mi voglio soffermare ora. Il fattore tecnico è che anche quando questa occasione di ascolto accade, non siamo sufficientemente capaci di esprimere i nostri veri sentimenti con precisione. Di questo ogni coach, leader o psicologo dovrebbe tenere conto.

Più in generale, la capacità di riuscire a dare nome e descrizione ai processi mentali in corso (cognitive labeling skills) permette di crescere psicologicamente.

Far crescere psicologicamente un allievo è l’obiettivo primario di ogni Maestro serio.

Infatti, non è per nulla scontato incidere su come un allievo vive l’arte marziale, sapere come ci si sente, riuscire a riflettervi sopra analiticamente, o riuscire a comunicarlo, prima che gli umori di una delusione diventino distruttivi. Molti subiscono lo stato umorale passivamente, o non riescono a condividerlo, o essere ascoltati, e in questo modo non arrivano a scardinare i meccanismi che lo generano, o replicare stati positivi.

Le energie mentali producono specifici stati umorali. Nella fig. 2 vediamo diverse tipologie.

La domanda primaria rispetto allo schema evidenziato è “come ti senti?”, nel fare una forma, nel combattere, nell’allenarti… L’attività di scavo deve riguardare invece il “perché ti senti così?”

All’interno delle risposte devono essere notati e scoperti i meccanismi di ragionamento che depotenziano e corrodono l’umore, le azioni e stili di vita che avvizziscono la persona, gli stili cognitivi disfunzionali, le aree su cui lavorare, e tutte le azioni invece positive da consolidare e rinforzare.

La psicoenergetica nel metodo HPM si occupa dei fattori psicologici che producono tali stati soggettivi o livelli di umore.

Figura 1 – Ruota degli stati umorali[4]

Purtroppo, quando combattevo, nessuno mi ha mai insegnato a conoscere le mie emozioni e gestirle. Le mie competenze emotive erano a zero, come sono a zero le competenze di tantissimi ragazzi di oggi, incapaci di metabolizzare le sfide. Le delusioni e la rabbia, le gioie e le vittorie, mi hanno insegnato molto, ma ho pagato un prezzo alto. In ogni caso, non ho mai mollato.

Ora, per quanto mi è possibile, cerco di aiutare gli altri ad accellerare i propri processi di crescita. Questo non significa evitare agli allievi momenti di eventuale fatica, ansie, frustrazione e rabbia, che possono far anche crescere, ma aiutarli a metabolizzare le emozioni ed avere le emozioni come alleate e non come nemiche.

Così come il grounding bioenergetico costituisce la base fisica su cui poggia la prestazione, il grounding psicoenergetico crea il fondamento delle energie psicologiche, dando corpo alla volontà, al senso di potercela fare, alla voglia di andare avanti.

Ogni atto di volontà richiede una carica interiore.

I buoni maestri sono coloro i quali sanno scavare nell’animo degli allievi sino a scoprire il giacimento della carica interiore, sanno capire se esiste, sanno riconoscerne la portata, e si preoccupano di fare qualsiasi cosa in loro potere per tirare fuori il potenziale di un allievo.

I cattivi maestri sono quelli che, invece, spremono i ragazzi come limoni, portandoli presto ad abbandonare… di questo un giorno – qualcuno, fosse anche solo la loro coscienza – chiederà conto.

Dott. Daniele Trevisani

Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano, nella formazione di manager, di istruttori e trainer per le discipline marziali e di combattimento.


[1] Thayer, R. E. (1989), The biopsychology of mood and arousal, Oxford University Press, New York, NY.

Thayer, R. E. (1996), The origin of everyday moods: Managing energy, tension and stress, Oxford University Press, New York, NY.

Thayer, R. E. (2001), Calm Energy, Oxford University Press, New York, NY.

[2] Woodhouse, S. S., Gelso, C.J. (2008), Volunteer Client Adult Attachment, Memory for In-Session Emotion, and Mood Awareness: An Affect Regulation Perspective, Journal of Counseling Psychology, v. 55, n. 2, pp. 197-208, Apr.

[3] Jackson, E. (1986), Internal Empathy, Cognitive Labeling, and Demonstrated Empathy, Journal of Humanistic Education and Development, v. 24, n. 3, pp. 104-115, Mar.

[4] Grafico riprodotto con modifiche da: Dossier speciale a cura di Amelia Beltramini, in Focus, Aprile 2004. Il grafico originario non presenta la riproduzione delle linee relative agli assi.

La motivazione del fare Arti Marziali e Sport di Combattimento

Di Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it – Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano, Psicologia e Formazione per le Arti Marziali e di Combattimento. Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano”

Questo articolo può essere liberamente copiato e riprodotto in qualsiasi sito web, purché sia mantenuta la citazione dell’autore come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it

(ps. per non alterarne i contenuti, non sono ammesse modifiche di contenuto al testo).

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Perché lo facciamo?

Devo costruire una visione chiara di cosa vorrei essere o diventare.

Posso sviluppare una progettualità.

Mi impegno a fissare i miei traguardi.

E voglio vivere ogni minuto di allenamento come un dono.

Non ho un’altra vita per farlo.

Daniele Trevisani

A prima vista, chi osserva dall’esterno un praticante di arti marziali o sport di combattimento allenarsi, vedrà dei movimenti. Penserà di essere di fronte ad uno sport.

Forse per qualcuno sarà davvero così. Ma chi vive queste arti fino in fondo, sa bene che il motore della motivazione è una ricerca infinita, una ricerca sul piano psicologico e fisico, una ricerca anche spirituale. Imparare a difendersi e difendere gli altri è una causa che fa “entrare in contatto” con le nostre discipline, ma ben presto, se si hanno i Maestri giusti, si capisce che c’è dell’altro…

La psicologia clinica evidenzia che uno dei motivi di maggiore preoccupazione per giovani e adulti di oggi è la progressiva “mancanza di senso” nella vita, non capire più perché si vive. Un praticante di arti marziali e sport di combattimento che prenda sul serio la propria disciplina ha mille motivi per vivere, fosse anche solo il senso del vedersi migliorare e crescere.

In altre parole, le nostre discipline sono un antidoto contro la malattia della “mancanza di senso”.

Il tema esistenziale (meaninglessness vs. ricerca dei significati) è centrale non solo per il fronte psicoenergetico, ma anche per la costruzione di una Vision e di una progettualità.

Perché questo? Perché la mancanza di un senso può produrre effetti devastanti, dalla carenza di scopi personali al senso di inutilità dell’agire, sino a bloccare la ricerca di nuovi orizzonti esterni (ricerca esteriore) o interni (ricerca interiore). La mancanza di senso produce il limitarsi delle energie mentali alla pura sopravvivenza, e spesso nemmeno a quella.

Kinnier e altri autori individuano dieci credenze dominanti che fungono da ancoraggi o interpretazioni della vita[1]:

1. La vita è gioire della vita e vivere l’esperienza della vita

2. la vita è amare, aiutare, servire gli altri

3. La vita è un mistero

4. La vita è senza significato

5. La vita è servire Dio e prepararsi all’aldilà

6. La vita è fatica

7. La vita è contribuire a qualcosa più grande di noi stessi

8. La vita è auto-realizzarsi

9. Ognuno deve creare da solo un senso personale della vita

10. La vita è assurda o è uno scherzo.

Ciascuno di questi driver (motori profondi) interagisce con la cultura individuale e con la propria personalità.

In un soggetto possono scatenare una forte produzione psicoenergetica alcuni di questi (es.: 1, 2, 7, 8) mentre altri sono in grado di distruggere o minare la sua voglia di vivere (10, 6, 4), e per ciascuno esistono sfumature diverse. Naturalmente, ogni analisi vale nel tempo in cui è svolta, e il quadro può cambiare, anzi, deve cambiare in seguito ad un buon coaching o ad una formazione di qualità, in cui la revisione di priorità è risultato positivo e ricercato. Purtroppo, sul piano della relazione con se stessi, non conoscere quali sono i driver che ci attivano, è una lacuna gigantesca.

Se non so perché pratico Karate e faccio solo dei “movimenti”, non sto praticando Karate. Se non so perché colpisco migliaia di volte un sacco, e penso solo che sia per picchiare più forte e non per scavare in chi sono, non sono davvero un pugile. E questo vale per ogni disciplina.

Ogni coach professionale deve localizzare quali sono i driver del praticante, del cliente o del team in grado di accrescerne le energie mentali, e riuscire inoltre nell’operazione difficoltosa di inserire nuovi driver all’interno dei costrutti mentali già esistenti.

Questa operazione di arricchimento delle fonti di energia psicologica e motivazionale è di straordinario interesse e notevole complessità tecnica.

Operazioni di arricchimento sono possibili su più piani.

Es.: Per un atleta… tu non gareggi più solo per i soldi che guadagni ma anche per… un contributo ad una causa, per scoprire i tuoi limiti, per dimostrare chi sei, per riscattarti da quello che eri…

Per un praticante di fitness… tu non ti alleni più per dimagrire, il grasso e la pancia sono i falsi nemici, il tuo nemico vero è la noia, l’apatia, la tristezza, la vita dimezzata di uno che vive in catalessi nella pigrizia…

Per un operatore sociale… tu non stai accudendo un anziano, stai dando un senso alla tua esistenza…

Per un agonista…voglio che quando esci dal campo tu sia orgoglioso di come hai giocato, non dei punti che hai fatto…

Per un manager… voglio che, quando qualcuno ti chiede cosa hai fatto quest’anno nella tua zona, tu possa dire “ho costruito una buona squadra, ne sono orgoglioso”…

Per un ricercatore… tu scrivi, ma ricordati… non stai facendo una pubblicazione, a nessuno frega niente della tua pubblicazione, se non stai facendo qualcosa che serve veramente agli altri più che a te, stai sprecando tempo… se non è qualcosa di cui essere orgoglioso fai a meno… allora, cosa vuoi fare…?

Siamo al mondo per uno scopo, tra i miliardi di creature non nate, qualche fattore ha deciso che proprio noi dovevamo nascere. Questo scopo va scoperto e riscoperto ad ogni allenamento, ad ogni risveglio.

Vorrei concludere con una citazione da un capo indiano, che sento molto mia, e della quale vorrei davvero riuscire ad assimilare il messaggio, un messaggio che contiene il senso più profondo del nostro essere praticanti. L’ho già esposto in un articolo precedente, ma qui assume ancora più significato:

“Oh Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento,

il cui respiro dà vita a tutte le cose.

Ascoltami; io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza,

lasciami camminare nella bellezza,

e fa che i miei occhi sempre guardino il rosso e purpureo tramonto.

Fa che le mie mani rispettino la natura in ogni sua forma

e che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua voce.

Fa che sia saggio e che possa capire le cose che hai pensato per il mio popolo.

Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a tutti quelli che verranno contro di me.

Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto in ogni foglia ed in ogni roccia.

Aiutami a trovare azioni e pensieri puri per poter aiutare gli altri.

Aiutami a trovare la compassione

senza la opprimente contemplazione di me stesso.

Io cerco la forza, non per essere più grande del mio fratello,

ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso.

Fammi sempre essere pronto a venire da te con mani pulite e sguardo alto.

Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto,

il mio spirito possa venire a te senza vergogna”.

Preghiera per il Grande Spirito,

Tatanka Mani (Bisonte che Cammina) (1871-1967)

Dott. Daniele Trevisani

Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano, nella formazione di manager, di istruttori e trainer per le discipline marziali e di combattimento.


[1] Kinnier, Richard T., Kernes, Jerry L., Tribbensee, N., Van Puymbroeck, Ch. M. (2003), What Eminent People Have Said About The Meaning Of Life, Journal of Humanistic Psychology, Vol. 43, No. 1, Winter.

Liberarsi dall’apnea psicologica – la preparazione psicologica in chi pratica arti marziali e sport di combattimento

Liberarsi dall’apnea psicologica: attivare e potenziare le energie mentali, agire sullo stato psicoenergetico e la preparazione psicologica in chi pratica arti marziali e sport di combattimento

Di Daniele Trevisani www.danieletrevisani.com – Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano, Psicologia e Formazione per le Arti Marziali e di Combattimento. Sensei 8° Dan Sistema Daoshi http://daoshi.wordpress.com/ – Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2

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© Daniele Trevisani

Jules: Per me è troppo stare insieme a te!

Hilary: Fammi capire… stare con me è troppo cosa?

È… troppo divertente? O troppo intenso? Troppo bello?

Jules: Richiede troppa energia.

Dal film: A time for dancing, di Peter Gilbert

Ricordo perfettamente gare di Karate full contact negli “Open Tournaments” negli USA ad inizio anni 90. Molto simili ai tornei che si vedono nei film di “Karate Kid”, tanto per dare un’idea. In quella gabbia di matti, potevi incontrare chiunque, di qualsiasi disciplina, di qualsiasi livello tecnico, c’erano persone che vivevano e dormivano in palestra, li ho incontrati davvero. Eccitante, emozionante, sfidante… ma… c’è un “ma” che spesso tendiamo a nascondere, e adesso voglio parlare proprio di quel “ma…” quel “ma…” che è diventata per me una missione di studio e di insegnamento…

Facevo sia Full che Taekwondo (stile Moo Duk Kwan a contatto pieno) all’epoca, avevo già 2 cinture nere, e la mia specialità erano i calci alti e girati, ero tra i migliori davvero, in allenamento, in riscaldamento, nell’insegnamento nel piccolo club di emarginati in cui insegnavo ai ragazzi cubani, nella cittadina calda e sudata di Gainesville, Florida.

Piccolo e assurdo problema: in combattimento non tiravo calci. Sembrava che mi avessero amputato le gambe, uscivano solo colpi di braccia. E tutti a dire… ma perché non tiri i tuoi calci? La risposta…  non l’avevo neanch’io…. Semplicemente, non uscivano. Davvero, avevo i  piedi incollati al suolo… da un colla che non capivo… una colla in combattimento, un’apnea mentale che mi impediva di respirare a pieni polmoni la gioia di quei momenti speciali.

In quegli istanti di contatto con la vita, che non tornano più, se hai la mente libera puoi toccare il cielo con un dito, anche se perdi, non importa. Hai vissuto qualcosa, hai incontrato te stesso e le tue possibilità, ti sei misurato con lealtà… sei stato vivo… ma se seri annebbiato e la mente si fa confusa, questa magia svanisce. Le mie 2 cinture nere, le mie 4 ore di allenamento al giorno, non valevano più niente, se la mente non era libera…

I miei precedenti preparatori non mi avevano mai parlato del concetto di training mentale, e di allenamento psicoenergetico. Semplicemente, pensavano che più colpi tiravo in allenamento più sarei riuscito a tirarne in gara. Bugia, estrema bugia, detta non volontariamente, ma per mancanza di conoscenza.

Oggi, dopo 20 anni, so una cosa, e di questo voglio fare partecipi tutti.

Raggiungere il proprio potenziale non è solo materia muscolare o di sviluppo fisico. Anzi, vi sono attività nelle quali il supporto biologico e fisico è soprattutto latente, agisce in background, e predomina ampiamente la presenza di energia mentale e motivazionale, oltre alla la capacità di ripulirsi dai rumori di fondo psicologici che ci ostacolano nell’essere ciò che possiamo essere.

Durante le mie gare, e soprattutto prima, ero sopraffatto da rumori di fondo psicologici che mi assorbivano completamente, impedendomi di essere me stesso. Per dare 100 in gara, dovevo prepararmi per 1000. … Intanto, i calci che sapevo benissimo di poter fare, non uscivano lo stesso.

Come abbia fatto a vincere comunque dei tornei risiede solo nel fatto di essere arrivato ad allenarsi 365 giorni l’anno per oltre 10 anni, ma è come usare un Caterpillar per sollevare una pianticella in giardino.

Oggi nessuno deve più vivere nel regno dell’ignoranza, della materia fisica dimenticando quella spirituale. Le conoscenze devono uscire allo scoperto. E non vale solo per le Arti Marziali e gli sport di combattimento. La preparazione mentale vale per tutte le arti.

Tra queste, le professioni prettamente intellettuali, o la prestazione didattica-educativa, o ancora le micro-prestazioni quali gestire una riunione tra manager, o l’atto dell’ascoltare un cliente, un collega, un familiare. In tutte queste situazioni, e in molte altre, le energie mentali sono fondamentali.

Anche nelle prestazioni più prettamente fisiche, come correre, lottare, combattere, o saltare, il grado di motivazione e le energie mentali addizionali, ma soprattutto la pulizia mentale, possono fare la differenza tra una prestazione standard e una prestazione eccellente. La voglia di fare è più potente di qualsiasi integratore.

La capacità di tenere fuori i rumori psicologici è più potente di qualsiasi sostanza.

Le energie mentali si attivano ampiamente sul fronte delle relazioni interpersonali. Anche stare con una persona richiede energie. Nei rapporti umani vi sono storie che logorano e consumano energie, altre che ne danno, altri ancora che innescano forti flussi di scambio reciproco, e numerose sfumature intermedie. Servono energie anche per incontrare le persone.

In ogni attività umana la componente fisica rimane importante ma comunque il supporto biologico non è condizione sufficiente ad esprimere performance: è una condizione necessaria, ma non l’unica parte della ricetta.

Le attivazioni fisiche sono diverse, impegnando maggiormente il sistema cognitivo e relazionale nell’attività manageriale, e il sistema muscolare e respiratorio nel caso di azioni ad alta fisicità. Tuttavia, nessun manager può permettersi di non respirare, e nessun pugile può permettersi di non pensare. Sono dati di fatto. Corpo e mente funzionano bene solo in sinergia.

Mentre il supporto bioenergetico è decisamente variabile, il supporto motivazionale deve essere presente in ogni situazione nella quale si richieda sforzo, impegno, dedizione, presenza mentale.

Il senso della psicoenergetica è quindi orientato a cogliere la componente non fisica della performance e del wellness.

La prestazione umana è ampiamente condizionata dal fatto di sentirsi “su di morale” o “giù di morale”, pieni di “voglia di fare” oppure svuotati, “carichi” o “scarichi”. Una scarsa condizione psicoenergetica si traduce in senso di stanchezza psicologica, apatia, perdita di vitalità, incapacità di reagire o di fare.

Si nota anche nella riduzione di performance tra il “fare tranquillo” e il “fare in condizioni di stress”, dove non ci riconosciamo più.

Esistono certamente collegamenti importanti tra energie biologiche e energie mentali. Ad esempio, la condizione di insufficienza di zuccheri e di ossigeno nel sangue conduce ad una diminuzione della capacità di ragionamento. Il nutrimento biologico della mente è indispensabile per farla funzionare. Ma se la benzina è di scarsa qualità, il motore andrà male.

I tentativi goffi di accrescimento delle energie mentali agendo esclusivamente tramite la via biochimica, dimenticando il lato esistenziale, sono distruttivi. Gli interventi chimici vanno distinti da quelli esistenziali.

Curare l’infelicità con le medicine, o generare motivazione o tranquillità mentale con una pillola non sono lo scopo di una via umanistica per le performance e il potenziale.

Ridurre tutto a chimica e fisica (riduzionismo psicofisiologico), impedisce di ragionare seriamente sul piano spirituale della vita. Negare un livello di valutazione esistenziale e filosofica dell’essere umano impoverisce l’analisi.

I rimedi farmaceutici finalizzati a risolvere il fattore “energie mentali” su un piano puramente biologico (sostanze psicoattive e psicofarmaci) sono da tempo considerati approcci insufficienti. Sono utili a spegnere incendi, non a creare felicità vera, lavorano sul sintomo e non sulla radice esistenziale di un disagio o della motivazione. E nemmeno possono durare a lungo.

Come evidenzia Jung, è molto riduttivo accettare una concezione materialistica…

secondo la quale la psiche sarebbe il prodotto delle secrezioni del cervello, come la bile lo è del fegato. Una psicologia che concepisca ciò che è psichico come un epifenomeno farebbe meglio a chiamarsi “fisiologia cerebrale” e ad accontentarsi dei modestissimi risultati che offre una psicofisiologia del genere[1].

Un’eccellente condizione psicoenergetica vede la persona lucida, “su di morale”, carica di energia, capace di tenere fuori dal campo l’ansia da prestazione, e – nel campo professionale – creativa, concentrata, produttiva, più saggia, meno vittima degli umori, e, nel campo fisico, desiderosa di esprimere tutto il suo corpo nell’azione, vogliosa di fare, di sudare, di correre, saltare, lottare, muoversi, e di amare.

Le stesse attività che possono dare gioia (es.: correre, nuotare, giocare, fare una vacanza, stare con amici) diventano fonte di dolore se affrontate con livelli di energie mentali basse e in condizioni di umore negativo.

Per me il tempo che precedeva la gara anziché diventare piacere era dolore, e questo dolore consumava tutto quello che potevo dare. Ero in apnea psicologica e tornavo a respirare solo dopo la gara. Nessuno mi aveva insegnato a gestire questo dolore e questa apnea psicologica e a capire da dove veniva.

Oggi, con i miei agonisti, pratico tecniche di Training Mentale e riduzione dello stress psicologico sia in allenamento, che nel pre-gara, ricorrendo soprattutto alle tecniche di visualizzazione (Visual Imagery), alla respirazione Pranayama, e alla bioenergetica.

Ma per conoscerle, sono dovuto uscire dal territorio in cui mi muovevo, ho dovuto muovermi in territori a me prima sconosciuti. Ho dovuto imparare a capire concetti come “ansia di stato” e “ansia di tratto” che si studiano in genere solo in campo clinico, mentre solo dopo ho capito quanto fossero importanti per chi si applica nei nostri sport. E non basta conoscerli, bisogna poi lavorarvi sopra, e non è facile. E poi.. visto che di apnea mentale si trattava..

..ho iniziato davvero a studiare cosa fanno gli apneisti prima di immergersi.

Ho contattato e lavorato, su di me, con l’allenatore della Nazionale Italiana di Apnea, Prof Lorenzo Manfredini, psicologo e psicoterapeuta, che ha allenato tra l’altro il Campione del Mondo Umberto Pellizari, e che dal 2001 (e stiamo ancora continuando = non si finisce mai di imparare) mi ha insegnato tecniche che ora pratico con i miei allievi e insegno nei miei seminari anche ad ufficiali dell’Esercito. Non è un caso se ora lui è nel comitato scientifico del Daoshi, la disciplina di insegnamento marziale che racchiude tutto ciò che ho appreso in questi 25 annni, così come lo sono persone che non praticano Arti Marziali, come un Comandante di Marina che insegna ai miei istruttori Leadership. Dobbiamo aprirci agli altri mondi, in caso contrario, predichiamo apertura e pratichiamo chiusura.

E allora? che implicazioni ci sono per chi insegna Arti Marziali o sport da Ring?

Sviluppare energie mentali elevate e addestrare la mente diventa il nostro obiettivo primario, ancora più sfidante rispetto al piano di lavoro delle energie fisiche, poiché lo stato di avanzamento delle conoscenze scientifiche sul funzionamento della mente è meno evoluto rispetto a quello sul corpo.

Il lavoro sulle energie mentali può essere avviato in un coaching ma diventa poi responsabilità della persona farlo diventare normalità, con un impegno essenzialmente quotidiano, continuativo, determinato dalla volontà di una progressione. Come evidenzia un classico di Jung:

Per progressione s’intende anzitutto l’avanzamento quotidiano del processo psicologico di adattamento. Come è noto, l’adattamento non si raggiunge mai una volta per tutte…[2].

Jung affronta, già nel 1928[3], i problemi dell’energia mentale, cercando (almeno concettualmente) di distinguere l’energia vitale dalla forza vitale. Secondo Jung l’energia vitale rappresenta un concetto soprattutto biologico, mentre la forza vitale sarebbe una specificazione di un’energia universale.

Possiamo o meno essere d’accordo, tuttavia il lavoro pionieristico di Jung avanza temi di frontiera e pone domande ancora non risposte, sulle connessioni tra energie biologiche e mentali, e su come accrescere l’“energia vitale”.

Ciò che sappiamo è che le energie mentali elevate non sono analizzabili in modo riduzionistico (solo biologicamente): esiste il tema delle condizioni esistenziali (e non solo biologiche), ad esempio una buona autostima e la fiducia in sé, il supporto degli altri, avere vicino persone sincere che ci apprezzano anche nei nostri difetti e non ci giudicano in continuazione, o il giocare un ruolo che si sente a pieno come proprio, tratti che non vogliamo esaminare solo sotto il profilo biochimico ma richiedono un intervento di analisi esistenziale.

Dobbiamo quindi comprendere che lo sviluppo delle energie mentali richiede il frutto congiunto di una analisi fisica delle condizioni biologiche dell’organismo (condizione bioenergetica) abbinata ad una analisi esistenziale dell’individuo.

Non insegniamo solo tecniche, non trattiamo solo con carne e muscoli. Il nostro lavoro sulla mente dei ragazzi, il nostro aiutarli a diventare pienamente sereni, creativi, generosi, buoni, ottimisti, persone non schiave del sistema e che pensano da sole… liberi di essere il massimo che possono essere, è una sfida al tempo stesso enorme, entusiasmante ed eroica, perché lavora sul cuore pulsante dell’uomo, la liberazione dalle catene che ci impediscono di essere ciò che potremmo.

Dal più profondo del mio animo, spero di essere con voi in questo sforzo eroico.

Dott. Daniele Treviani

Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano, nella formazione di manager, di istruttori e trainer per le discipline marziali e di combattimento.


[1] Jung, C. G. (1928), Energetica Psichica, Boringhieri, Torino, p. 48 (traduzione italiana, edizione 1970), p. 20.

[2] Ivi, p. 48.

[3] Ibidem.