Il Potenziale Umano nelle Arti Marziali e negli Sport di Combattimento

Il Potenziale Umano nelle Arti Marziali e negli Sport di Combattimento

Di Daniele Trevisani www.danieletrevisani.com – Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano, Psicologia e Formazione per le Arti Marziali e di Combattimento. Sensei 8° Dan Sistema Daoshi http://daoshi.wordpress.com/ – Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

____________

© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2

____________

© Daniele Trevisani

Come agire sul potenziale umano per chi pratica arti marziali e sport di combattimento

Ogni Maestro o Istruttore che insegni a “tirare una tecnica” sta cogliendo solo una frazione infinitesimale di quello che veramente facciamo. Non siamo qui per insegnare alle persone a dare pugni, o fare leve e proiezioni, o tagliare bambù, e qualsiasi altra azione fisica intraprendiamo.

Siamo qui per dare acqua alla radice della “pianta” che è la persona, e veder crescere un bel bosco, un bosco di alberi sani e forti, un gruppo di persone che andranno in giro nella società a dare dei contributi. Persone capaci di risolvere problemi, persone capaci di affrontare la vita con spirito marziale e da combattenti. Questo non significa formare degli arroganti, anzi. Significa formare e plasmare la parte più nobile delle persone: la loro anima, il loro cuore.

Il messaggio che volevo lanciare è tutto qui.

Solo per chi insegna a livello professionale, passiamo ad esaminare gli aspetti tecnici di un lavoro serio sul potenziale umano.

Le azioni di sviluppo del potenziale umano si dividono in:

–  sviluppo bioenergetico: si prefigge di accrescere le energie del corpo, le forze fisiche, lo stato di salute, forze su cui poggiano tutti gli altri sistemi; vengono individuate sia azioni globali (es.: migliorare lo stato di forma fisico) che azioni localizzate su specifici micro-obiettivi, es.: aumentare la resistenza aerobica, migliorare la postura, rivedere l’alimentazione. Gli interventi si dividono in azioni (1) di riparazione (terapeutiche) o (2) di potenziamento; esse riguardano (a) economie dei distretti locali del corpo e (b) azioni centrate sull’economia corporea complessiva;

…sull’atleta o artista marziale, questo significa sviluppare il corpo e i distretti muscolari, le capacità biofisiche quali forza, elasticità, coordinamento etc.

–  sviluppo psicoenergetico: crescita delle energie psichiche, motivazione, volontà, spinta interiore ad agire e a progredire; rimozione di blocchi psicologici e stili di pensiero che impediscono di raggiungere il potenziale, individuazione delle auto-limitazioni, irrigidimenti cognitivi, credenze culturali autolimitanti o dannose per sé e per il team; lavoro di consapevolezza dei potenziali, riduzione dello stress negativo, incremento di autostima, lucidità decisionale, chiarezza delle proprie risorse interiori; il lavoro è sia sull’economia cognitiva generale (es.: ridurre l’ansia generalizzata, aumentare l’autoefficacia generale) che su economie di specifiche aree psicologiche in azione, es.: lavorare sull’ansia in un public speaking, o l’ansia pre-gara, o la visualizzazione mentale dell’evento;

…sull’atleta o artista marziale, questo significa sviluppare resilienza (capacità di rialzarsi dopo uno stress o caduta), motivazione, capacità di gestire lo stress che precede una gara o una competizione, ma anche vivere rimuovendo l’ansia generale ed aumentando il piacere di ogni singolo allenamento, come forma di “alimentazione dell’anima” e non solo somma di gesti atletici etc.

–  sviluppo delle micro-competenze: è un lavoro specifico, inteso come innestato all’interno di una matrice di obiettivi legati al ruolo. Richiede di individuare fattori che creano differenza tra un’esecuzione (1) scarsa, (2) normale o media, (3) un’esecuzione di alto livello (il nostro obiettivo finale). Gli esempi possono essere tanti. Es.: localizzare i dettagli che differenziano una vendita da principiante vs. una vendita di alto livello (dove sono esattamente le differenze?); capire le “distintività” (azioni, dettagli, micro-atteggiamenti, micro-comportamenti) che mette in campo un combattente professionista rispetto ad un dilettante, nella preparazione, e durante un incontro. O la differenza che c’è tra un rigore tirato bene e un rigore tirato male, o tra una riformulazione corretta e una sbagliata (per un terapeuta), o per un cuoco, il tempo ottimale di cottura e uno leggermente peggiore. La ricerca di dettagli delle performance può essere applicata in ogni campo. Possiamo localizzare le micro-competenze di un direttore, di un venditore, di un atleta, di un medico, di uno psicologo, di un negoziatore, di un educatore. Il lavoro sulle micro-competenze richiede sia una fase di riconoscimento (detection aumentata, stimolo della capacità di percezione e localizzazione) che una fase di formazione (lavorare sulle variabili prima isolate); produce inoltre un forte incremento della sensibilità ai dettagli, dell’attenzione, della capacità di trovare “cose concrete su cui lavorare”;

…sull’atleta o artista marziale, questo significa sviluppare i dettagli di esecuzione, es, lavorare su come viene portata una singola tecnica, sull’appoggio al suolo (grounding…) e mille altri dettagli.

– sviluppo delle macro-competenze: le macro-competenze sono la connessione tra (1) il repertorio globale di abilità della persona e (2) il ruolo che quella persona vuole ricoprire. Le due sfere possono di fatto collimare perfettamente, o invece essere scollegate o ridotte (il che mette la persona in sicura difficoltà). Possono anche essere sovrabbondanti e anticipatorie dei futuri cambiamenti (creando agio e una condizione di maggiore elasticità e sicurezza). Prevedono l’esame del ruolo, delle aspirazioni, delle traiettorie, la rilevazione di gaps (lacune) e incoerenze professionali, analisi di bisogni di revisione o cambiamento significativo del proprio lavoro o della posizione professionale, dei ruoli giocati in campo; richiede valutazione e anticipazione dei mutamenti organizzativi cui dare risposta; sviluppo di una coerenza tra proprio profilo professionale e propri obiettivi di vita o obiettivi aziendali da raggiungere, tra le proprie aspirazioni e le opzioni reali dell’azienda e del team, ricerca di spazi nuovi di espressione;

…sull’atleta o artista marziale, questo significa aiutarlo a costruirsi un bagaglio culturale ampio, con la conoscenza di altre discipline marziali e di combattimento, così come di alre conoscenze indispensabili come alimentazione e dietetica, elementi di fisiologia etc.

– sviluppo della vision e del piano morale: localizzazione degli ancoraggi morali forti, dare spessore morale e senso alla vita e all’azione, costruzione e revisione di un piano di lungo periodo, costruire una linea di tendenza ideale, sognare e idealizzare una traiettoria di crescita positiva; coltivare saggezza nelle scelte, cercare un ancoraggio a valori guida, revisione della mappa di credenze morali e consolidamento di una filosofia di vita positiva. Comprende la ricerca di nuovi stimoli all’autorealizzazione, connessione a valori umani positivi e forti, senso pieno del fare e dell’esistenza, ricerca di un senso profondo dei progetti, trovare motivi e direzioni per cui vale la pena impegnarsi; e persino nuove aree di obiettivi esistenziali o/o professionali che diano sapore e senso alla vita, idee e pensieri ispirativi sui quali la persona non aveva ancora riflettuto.

…sull’atleta o artista marziale, questo significa sviluppare la connessione con valori ancestrali, il senso di quello che facciamo e del come lo facciamo quali atti d’amore verso la vita, scoprire le arti marziali e sport di combattimento come forme di espressioni spirituali, e costruire persone più solide nelle loro radici morali.

–  sviluppo di mete, traguardi, goal e progettualità necessaria: definizione di obiettivi precisi da raggiungere, misurabili, tempificabili; progettualità su risultati concretamente raggiungibili; sviluppo della capacità di gestione di tempi (time management) e progetti (project management), gestione efficace delle proprie risorse, capacità di concretizzazione, di realizzazione, abilità nel calare nella realtà un concetto o un obiettivo, trasformare una visione d’insieme in to-do-list (lista delle cose da fare); capacità di tradurre un ideale o un proprio valore in un piano di azione.

…sull’atleta o artista marziale, questo significa la capacità di creare programmi allenati, dividere lo studio in cicli e fasi, ciascuna delle quali ha propri obiettivi, stimolare il raggiungimento di alcuni obiettivi focalizzati, non lasciare che le persone si fermino e si considerino arrivate, ma procedano in un percorso di espolorazione continua di cioò che ancora possono apprendere, e aiutari a scorgere le prossime mete.

Meccanismi di diffusione e drenaggio di energie

I meccanismi energetici nel modello HPM (Human Potential Modeling) sono molteplici, ma per ora osserviamo due meccanismi in particolare:

  • le diffusioni energetiche: le immissioni di energia in un’area hanno implicazioni positive (fanno bene) anche alle altre aree;
  • i drenaggi energetici: i cali o blocchi di energia in un’area danneggiano anche le altre aree.

Le implicazioni per lo sviluppo personale sono numerose, ma soprattutto:

– è possibile realizzare una strategia di immissione selettiva di energie in un’area, per poi utilizzarla come perno per lo sviluppo di altre aree. Ad esempio, creare grounding bioenergetico, il che significa lavorare principalmente sulle energie del corpo per poi poter “fare leva” su un corpo energeticamente carico, su un fisico forte, pronto ad assumersi impegni psicologicamente rilevanti, anche gravosi, goal e obiettivi sfidanti;

–  è possibile realizzare una strategia di immissione multipla di energie ricercando una crescita su più livelli e stadi. Ad esempio, lavorare sistematicamente e contemporaneamente su tutte le aree del modello HPM.

In generale, un lavoro su un’area è possibile solo se i livelli energetici di base dell’area toccata sono a livello sufficiente per supportare carichi superiori. Se non vi sono condizioni minime, occorre trovare strade alternative.

Ad esempio, in campo manageriale è completamente inutile realizzare un intervento dalle grandi ambizioni  (job enrichment, job enlargement, role-modeling, e altri), attaccando lo strato delle macro-competenze, se le micro-competenze di supporto sono insufficienti. Se una persona non sa nemmeno gestire una riunione di un piccolo gruppo di lavoro, inutile passare a temi ancora più complessi che poggiano su competenze che ancora non ci sono.

…sull’atleta o artista marziale, è come pensare che un atleta possa sostenere gare a contatto pieno senza avere mai fatto sparring a contatto limitato, o possa compiere uno stage duro senza essere allenato in modo costante e continuativo.

Altrettanto inutile è riempire di competenze (skills) un manager o un atleta se mancano le energie motivazionali (volontà) necessarie a mettersi in gioco.

Inutile studiare nuovi progetti creativi se l’intero team è in stato di demotivazione cronica o affaticamento. Una persona disabilitata nelle energie mentali non va da nessuna parte, non porta avanti nemmeno se stessa, e tantomeno il progetto più ambizioso che qualsiasi mente possa partorire.

In generale, in mancanza di energie, il “nuovo” non viene affrontato. Sem­plicemente non ci sono le forze per affrontare il cambiamento.

L’area psicoenergetica assieme a quella bioenergetica sono quindi ancoraggi forti di lavoro per un coaching e una formazione seria e analitica.

Saltarli piè pari e passare subito alle competenze applicative è inutile. Così come costruire progetti che richiedono presenza di energie che non ci sono.

In sostanza, il nostro lavoro sul Potenziale Umano nelle Arti Marziali e Sport di Combattimento – se condotto secondo lo spirito adeguato – punta più a far crescere le energie fisiche, mentali e morali delle persone che non a riempirle di tecniche. Punta più a osservare un seme, o un alberello, con il piacere e l’intento di dare un contributo a farla diventare, un giorno, una grande quercia.

Questo da valore e senso non solo a chi cresce, ma anche e soprattutto un senso alla nostra esistenza di Maestri o Educatori che aiutano le persone a crescere. Crescere  fuori, nel corpo, e crescre dentro, nello spirito, nell’anima, in quello spazio immateriale di sogni e di valori che rende il nostro lavoro più nobile e tanto più difficile quanto più ci proponiamo di essere educatori veri e non solo “ammaestratori”.

______

Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano, nella formazione di manager, di istruttori e trainer per le discipline marziali e di combattimento.

I 9 Segreti di Musashi e lo spirito dei Samurai per la vita di ogni giorno

… quando si pensa ad un Segreto…  spesso è qualcosa di molto semplice

Di: dott. Daniele Trevisani  – Fulbright Scholar, Formatore Aziendale esperto in Potenziale Umano. Maestro ed esperto in Psicologia e Formazione per le Arti Marziali e di Combattimento. Sensei 8° Dan Sistema Daoshi – Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

____________

© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2

____________

 

© Daniele Trevisani

I Segreti Semplici nascosti nel Libro dei 5 Anelli

Musashi era un Samurai. In Giappone è considerato il più grande di tutti i Samurai mai vissuti. Ha avuto il suo primo combattimento per la vita e la morte a 13 anni, un Samurai esperto voleva vendicarsi e ucciderlo.

Vendicarsi di cosa, su un 13enne? Vendicarsi, per una disputa avuta con il padre di Musashi, uccidendo il figlio. A lui non gli rimase che combattere.

Musashi uccise il Samurai esperto con un bastone trovato lungo la strada. Un bastone contro una spada, usato da un ragazzino, contro un Samurai esperto.

Da allora ebbe decine e decine di duelli, tutti per la vita, e mai per gioco, duelli nei quali venne affrontato anche da 10 persone contemporaneamente, che volevano sfidarlo per diventare famose o alle quali la sua presenza dava fastidio. Li uccise sempre tutti, senza nemmeno guardarli, e senza vantarsene, proseguendo per la sua strada.

Nonostante quello che i benpensanti possono rapidamente pensare e giudicare, non era un violento, non fu mai né aggressivo né prepotente con nessuno, ma semplicemente, come Ronin (Samurai senza padrone), difendeva la sua libertà da chi lo voleva uccidere, in un momento del Giappone Medioevale nel quale non vi erano scelte: nei combattimenti, o si uccideva o si veniva uccisi. Quelle erano le regole. Fu tra l’altro uno dei più grandi pittori Giapponesi…

Per noi, oggi risulta difficile pensare che un pugile professionista, un kickboxer o un karateka possa essere anche Poeta o Filosof, ma in realtà il “viaggio” vero di ricerca di un praticante Marziale non è mai limitato, se interpretato in modo corretto, e si estende ad ogni campo e disciplina…

Musashi ne è un esempio per tutti, e per sempre.

Il suo segreto era un abito mentale. Quandos i considerò vecchio, si ritirò in una grotta e scrisse i suoi Segreti. Nove segreti semplici, assieme ad un libretto di qualche decina di pagine “Il Libro dei 5 Anelli”, affinché si tramandassero.

Ne vorrei parlare perché oggi – di fronte alle sfide e ai problemi veri del pianeta –  di fronte alle ingiustizie e prepotenze, alle arroganze, alle cattiverie – molti non reagiscono, come fece Musashi, ma si nascondono da vigliacchi, sperando che qualcun altro, in un futuro non determinato, se ne faccia carico. Non si rendono conto che i problemi non affrontati oggi ricadranno sui nostri figli entro poco tempo.

Allora, è bene parlare di chi si impegna oggi, per produrre un contributo nelle attività umane, nello sport e fuori dallo sport, nella arti marziali ma anche nella vita, nella società, nel dare un futuro ai ragazzi, nell’insegnare qualcosa dentro e fuori le palestre.

L’insegnamento deve assumere un preciso abito mentale.

È l’assetto del guerriero, del Samurai, del combattente, del ricercatore concentrato, del missionario che crede in una causa. Di chi non si lascia distrarre dalle cose futili e dai valori di plastica.

È l’atteggiamento focalizzato di chi desidera ottenere qualcosa che reputa importante e – durante l’esecuzione – non si lascia distrarre da altro. Di chi ha un valore e lotta per esso. Di chi fa della causa una parte di sé.

Non riguarda solo  enormi imprese, ma anche e soprattutto la vita di ogni giorno. Il più grande Samurai di ogni tempo, Musashi[1], così descrive l’abito mentale di chi vuole intraprendere la vita del Samurai: si tratta di segreti davvero semplici, ma per questo assolutamente attuali:

Chi voglia intraprendere la via dell’Hejò (strategia)

tenga a mente i seguenti precetti.

  • Primo: Non coltivare cattivi pensieri.
  • Secondo: Esercitati con dedizione.
  • Terzo: Studia tutte le arti.
  • Quarto: Conosci anche gli altri mestieri.
  • Quinto: Distingui l’utile dall’inutile.
  • Sesto: Riconosci il vero dal falso.
  • Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi.
  • Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie.
  • Nono: Non abbandonarti in attività futili[2].

Se li rileggiamo, e vi chiedo di farlo adesso… a caldo…  noterete, una cosa: è qualcosa di tremendamente attuale, di tremendamente semplice. E’ soprattutto, di una pulizia assoluta.

Per questo motivo, ho deciso come sviluppatore del Sistema Marziale DaoShi, di mettere questi principi alla base di chiunque pretenda un giorno di definirsi insegnante di Arti Marziali o di Sport di Combattimento nel Sistema Daoshi. Chi insegna solo a menare le mani e non fa crescere le menti non è degno di essere chiamato Maestro e nemmeno di insegnare nel mio nome…. E’ una posizione radicale ma almeno è chiara. 

Ma torniamo a Musashi.

È eccezionale notare come anche oggi questo abito mentale sia dotato di enorme suggestività per chi intende sviluppare il proprio potenziale. Ci parla, infatti, di un atteggiamento di fondo.

  • È l’atteggiamento di serietà con cui un calciatore professionista rimane persona umile, cura alimentazione e riposo, rispetto al divo del calcio che assume atteggiamenti da star e si presenta tardi agli allenamenti.
  • È lo spirito di una ragazza che decide di sputare (esatto, sputare) sul modello proposto dai media di cosa sia una ragazza “arrivata” (fotomodella,  star televisiva, protagonista di reality show, anoressica, o bambola da chirurgo plastico) e piuttosto si impegna nello studio, in una professione utile, o in campo sociale, mandando a quel paese il modello che fa coincidere carriera con arcata dentale, natiche e scollatura.
  • È il coraggio di un ricercatore che intraprende vie di ricerca e sperimentazione inusuali ma dalle quali pensa di poter dare una aiuto al mondo, piccolo o grande, anche andando contro i baroni accademici e lo status quo.
  • È la saggezza del lottatore che cura attentamente il suo recupero prima di gettarsi in una nuova battaglia, consapevole del fatto che se non avrà riposato abbastanza non potrà sostenere molte battaglie e si brucerà.
  • È la passione di chi si impegna per una causa, fatica, fa rinunce ma non le rimpiange, e si sacrifica per qualcosa di cui forse non vedrà nemmeno i frutti in vita.

Ma non tutto è solo sacrificio. Le performance sono anche contribuzione, gioia, celebrazione, divertimento, piacere, il gusto di fare qualcosa di importante, essere parte di qualcosa, di lasciare un segno, di compiere imprese assieme a qualcuno e fare team. O la voglia di essere ciò che possiamo essere.

I veri performer sanno anche celebrare i propri risultati e vivere a pieno.

Ciascun precetto di Musashi si riferisce anche oggi ad una o più aree della psicologia delle performance e mantiene una validità assoluta:

Un approfondimento e una riflessione sui 9 Segreti Semplici di Musashi

Primo: Non coltivare cattivi pensieri. L’esercizio di un atteggiamento mentale positivo, il pensiero positivo, la concentrazione su ciò che di buono e utile vogliamo ottenere, allontanarsi da pensieri negativi o dal male; la ricerca di quello che oggi chiamiamo uno “stile cognitivo” efficace.

Secondo: Esercitati con dedizione. Oggi chiamato training, formazione, tecniche di allenamento e addestramento, e soprattutto, la necessità del performer di applicarsi in un active training, cioè in esercitazioni attive e non solo analisi teorica, e farlo con dedizione, nel tempo, e con continuità.

Terzo: Studia tutte le arti. L’approccio enciclopedico, la contaminazione positiva che deriva dall’andare fuori dai propri recinti e studiare le cose più disparate, interessarsi anche di ciò che altre discipline indagano, il contrario della chiusura in un recinto professionale o disciplinare, male odierno, il contrario delle sette, e della cultura dell’egoismo.

Quarto: Conosci anche gli altri mestieri. La capacità di muoversi ed agire anche in campi esterni, l’allargamento del proprio repertorio professionale, sapersi muovere anche fuori dal proprio campo di azione limitato, essere capaci anche in altre abilità e professioni, spaziare, non chiudersi.

Quinto: Distingui l’utile dall’inutile. Concetto similare a quello che nel sistema HPM chiamiamo Retargeting Mental Energy, o ricentraggio delle energie mentali, ciò che permette alle persone di capire veramente cosa merita il proprio impegno e cosa non lo merita, dove centrarsi o ricentrarsi nel proprio focus di attenzione, e quindi verso cosa direzionare le energie personali.

Sesto: Riconosci il vero dal falso. Coltivare le capacità di analisi, la percezione pura e decontaminata da preconcetti e distorsioni, il bisogno di verità, il bisogno di pulizia psicologica, il bisogno di sviluppare le capacità di riconoscimento (detection) indispensabile ad esempio in chi svolge il mestiere di negoziatore o di comunicatore, o in chi guida le persone (leader) o in chi lavora in gruppo (team working). Ed ancora, il bisogno di distinguere fatti da opinioni, teorie accertate da ipotesi, affermazioni personali da idee condivise.

Settimo: Percepisci anche quello che non vedi con gli occhi. La percezione è il fenomeno oggi più centrale in molte forme di psicologia, e comprende sia la propriocezione (capacità di percepire se stessi), che la percezione ambientale. Il settimo precetto di Musashi indirizza verso abilità di percezione aumentata, disambiguamento dalle illusioni percettive, sviluppo della sensibilità umana e sensoriale, ricerca di significati e quadri di analisi (Gestalt), e il potenziamento delle facoltà di osservazione. Tratta quindi di una “percezione allargata”, opposta ad una chiusura percettiva.

Ottavo: Non essere trascurato neppure nelle minuzie. Il bisogno di entrare nelle micro-competenze, la ricerca dell’eccellenza, l’abbandono di un atteggiamento di pressapochismo e banalizzazione. Attenzione ai dettagli che contano, assunzione di un atteggiamento di amore per quello che si fa e per come lo si fa.

Nono: Non abbandonarti in attività futili. Capire che il tempo è prezioso, e dobbiamo veramente decidere se abbandonarci ad uno squallido clone del modo con cui le persone comuni usano il tempo (copiare il mainstream), lasciarsi andare come bastoni sul corso di un fiume di qualunquismo, assecondare la piattezza di ciò che tutti gli altri fanno, o assertivamente prendere in mano il nostro tempo e decidere di farne qualcosa, allenarci, studiare, intraprendere, esplorare, scrivere, condividere, sperimentare nuove conoscenze; ed ancora, capire che esistono diversi macro-tempi, quello della produttività, dello studio, dell’auto-organizzazione, delle relazioni sociali, e quello del recupero, della meditazione, del relax, ma non esistono i tempi delle relazioni obbligate, lo spreco di tempo con persone piatte o arroganti o prepotenti, e vanno riconosciute e rimosse le attività di pura abulia o distruzione di sé.

Le lezioni di Musashi vengono da un performer che ha passato la vita a sfidare la morte, e hanno un significato odierno assoluto.

È ancora più incredibile notare come già nel 1600 Musashi concentrasse tutta la sua analisi su aspetti di enorme attualità: sinergia tra corpo e mente, correlazione tra preparazione fisica e mentale, il fatto che la preparazione o una vittoria sia una conquista personale e non un diritto da pretendere, e che prima si debba cercare un approccio mentale e strategico valido, e solo dopo vengono i dettegli operativi. Una lezione che nel terzo millennio moltissimi sportivi e manager devono ancora imparare.

Quando si dedicano assiduamente tutte le proprie energie all’Hejò e si cerca con costanza la verità è possibile battere chiunque e ovviamente raggiungere la supremazia, sia perché si ha il pieno controllo del proprio corpo, grazie all’esercizio fisico, e sia perché si è padroni della mente, per merito della disciplina spirituale. Chi ha raggiunto questo livello di preparazione non può essere sconfitto[3].

Dobbiamo oggi riflettere sul significato profondo che queste parole assumono: dedizione, ricerca della verità, pulizia spirituale, sono il vero messaggio di fondo. La ricerca della supremazia e della vittoria appartengono ad una realtà medioevale, vengono dall’essere nati in un certo momento storico dove questo significava vivere o morire. Se, in una mattina del 1600, qualcuno si fosse presentato a noi con una spada per ucciderci, sarebbero state drammaticamente importanti anche per noi.

Oggi i nemici veri non portano spade ma, là fuori, si aggirano ringhiando.

Si chiamano miseria, ignoranza, ipocrisia, prepotenza, arroganza, dolore esistenziale, fame, violenza, bambini che soffrono, nepotismi, corruzione, sistemi clientelari – e soprattutto- fonte di ogni male, l’incomunicabilità.

I nemici possono essere anche dentro: presunzione, chiusura mentale, perdita di senso, perdita di stima in sè, perdita di valori, perdita di orizzonti, chiusura verso nuovi concetti, auto-castrazione, smettere di sognare o credere in qualcosa, chiusura della propria prospettiva temporale in orizzonti sempre più brevi e limitati, vivere solo per se stessi.

Contro questi nemici gli insegnamenti di Musashi, e lo spirito guerriero che li anima, hanno ancora enorme senso e validità.

 

Respirare ogni giorno a pieni polmoni uno spirito guerriero per fini positivi è un abito mentale. Alzarsi con questo spirito, andare a dormire con questo spirito, risvegliare gli archetipi guerrieri e direzionarli per costruire, è una sfida nuova, entusiasmante, che fa onore al dono di esistere.

© Daniele Trevisani, articolo elaborato con modifiche dal volume “Il Potenziale Umano” (Franco Angeli editore)

___

Ps.   Per chi desidera acquistare il libro di Musashi in Italiano, “Il Libro dei 5 Anelli”, è disponibile anche online sul sito IBS Italia, cliccando qui

Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano, nella formazione di manager, di istruttori e trainer per le discipline marziali e di combattimento.


[1] Miyamoto Musashi, 1584-1645, giapponese, considerato nelle arti marziali come il più grande Samurai vissuto in ogni tempo. Ebbe il primo duello mortale a 13 anni, e vinse. Vagò per il Giappone come Ronin (guerriero errante) per anni, battendosi per sessanta volte ottenendo sempre la vittoria, lottando anche contro più avversari contemporaneamente o superando imboscate e duelli con decine di avversari. A 50 anni si ritirò per dedicarsi allo studio, alla letteratura e ad altre discipline artistiche risultando un maestro in molte di esse. Nel­la pittura, nella calligrafia, le sue opere oggi fanno parte del patrimonio artistico giapponese. A 60 anni si ritirò in una grotta per scrivere il suo Manuale. In Giappone oggi è leggenda.

[2] Musashi, Myamoto (1644), Il libro dei cinque anelli (Gorin No Sho), edizione italiana Mediterranee, Roma, 1985, ristampa 2005, p. 61.

[3] Ivi, p. 62.

Sulla differenza tra Arti Marziali e Sport di Combattimento

Arte Marziale e Sport

Contributo del Maestro Samuel Onofri

Direttore Didattico e fondatore del Kihon Aikibudo – http://www.kihon.it/

______________

Pubblico volentieri questo contributo del collega M° Onofri, su un tema caldo, che trovo raramente dibattuto, e penso sia una stimolo di riflessione straordinario, al di la di qualsiasi sia il proprio punto di vista personale. Un augurio di buona lettura, Dott. Daniele Trevisani www.studiotrevisani.com

Dopo aver dato un rapido sguardo su quelle che potremmo definire come le spinte originarie che hanno portato alla creazione delle principali Arti Marziali, è’ arrivato ora il momento di calarci nella realtà di oggi e di analizzare come si è evoluto e come viene percepito attualmente il concetto di Arte Marziale. Focalizzeremo soprattutto la nostra attenzione sulla differenza sostanziale che intercorre tra Sport e Arte Marziale, tentando di chiarificarne i caratteri distintivi.

Generalmente oggi siamo abituati ad associare qualsiasi attività che implichi un confronto fisico, o comunque lo studio di tecniche finalizzate allo stesso, come forme più o meno moderne di arte marziale. Che esse siano riconosciute come sport olimpici o che siano combattute in una gabbia piuttosto che su un ring o un tappeto; che vengano studiate in un tempio o in una palestra di aerobica, mettiamo tutto nel grande calderone delle Arti Marziali. Effettivamente vi è molta confusione in proposito, e sono cosciente del fatto che quello che sto per dire può disorientare o suscitare risentimento. Vorrei sottolineare quindi subito una cosa. Le considerazioni qui esposte non sono minimamente volte a sminuire in qualche modo ciò che non troverete definito come “arte marziale”, bensì mirano a fare chiarezza sul tema utilizzando dei dati di fatto scaturiti dall’applicazione pratica.

Iniziamo subito con il fare una distinzione tra attività che prevedono gare e non.

Tutto ciò che trova la sua finalizzazione in una gara necessita di regole ben precise, concepite al fine di evitare il più possibile incidenti, e consentire nel contempo la definizione di chi sia il vincitore. Quando si parla di combattimenti il tutto si traduce nell’utilizzo di diversi espedienti quali:

  • Utilizzo di protezioni
  • Tecniche consentite e proibite
  • Arbitraggi
  • Attribuzione di punteggi in base alla tecnica che si ritiene abbia raggiunto il bersaglio
  • Controlli sullo stato di salute dei combattenti, ecc.

Le arti marziali di contro sono nate, se vogliamo definire forse la motivazione primaria, dall’esigenza squisitamente pratica di sopravvivere ad uno scontro.

Nella sua accezione più cruda e senza considerare gli aspetti filosofici che ne scaturirono a posteriori, possiamo affermare che l’arte marziale era una ricerca continua di tecniche utili a restare vivi, il che coincideva sì con la vittoria ma, dal punto di vista individuale doveva essere, per ovvie ragioni, secondario. Nelle arti marziali originarie quindi non vi erano regole o arbitri, o considerazioni del tipo “oggi non mi sento di combattere e mi ritiro dal torneo…”, o “la giuria mi ha penalizzato perché era di parte..” , o “ ho la gamba che mi fa male, meglio rinunciare alle nazionali per prepararmi alle olimpiadi..” ecc. Ogni colpo era buono, ogni momento era buono, ogni contesto era buono e non c’era giusto o sbagliato, né corretto o scorretto, c’era solo vita o morte.

Con questo non voglio dire che le attività agonistiche siano meno “toste” di un’arte marziale definita tale. Anzi, come vedremo in seguito, sotto un certo punto di vista, ed allo stato attuale, potremmo dire il contrario, ma credo che sia importante non confondere le due cose.

Per approfondire e nel contempo rendere più chiari i concetti sopra esposti, credo che sia utile vedere le differenze dal punto di vista pratico facendo l’esempio del Karate e provando a comparare gli stessi momenti di un combattimento analizzati dal punto di vista marziale e da quello agonistico.

Momento Combattimento agonistico Combattimento marziale
Incontro I due contendenti si salutano vicendevolmente e rispettosamente davanti ad una giuria. Entrambi sanno perché sono lì e probabilmente già si sono visti altre volte, o almeno si conoscono sotto gli aspetti tecnici avendo assistito l’uno a gli incontri dell’altro. Il loro scopo è strappare punti e vincere. Due uomini si incontrano. Nessuno sa nulla dell’altro. Non sanno nemmeno se vi sarà uno scontro oppure si saluteranno con cortesia per poi non rivedersi mai più. In ogni caso, entrambe sono pronti a mettersi in guardia e si tengono a debita distanza.
Inizio L’arbitro, appurato che i due contendenti sono pronti ed in posizione, grida : “Ajime!”. Ha inizio il combattimento. Accennando un saluto di cortesia uno dei due uomini si avvicina all’altro accennando ad un inchino. L’altro risponde con la medesima attenta cortesia. Nell’attimo esatto in cui china la testa, però l’altro lo attacca furiosamente con un coltello mirando dritto al collo.
La guardia I due si muovono saltellando sul tatami, attenti a non uscire dal quadrato. L’attenzione dell’uno è completamente focalizzata sull’altro, e i loro movimenti sono sciolti. Sanno che qualunque cosa succeda vi sono ben tre arbitri, medici, pronto soccorso e protezioni, ma soprattutto sono certi di chi e dove sia il loro avversario, e che l’incontro ha una durata fissa, per la quale si sono allenati. L’uomo schiva il fendente allontanandosi e si mette in guardia stabile. Immediatamente la sua attenzione scandaglia la situazione esaminando vari aspetti in poche frazioni di secondo:

  1. Il luogo.
    Controlla cosa vi sia intorno a lui e se potrebbero esserci le condizioni per essere attaccati alle spalle da altre persone.
  2. Il terreno.
    Controlla se la superficie su cui si trova è irregolare o scivolosa, o vi siano ostacoli che gli possano impedire dei movimenti.
  3. Il sole.
    Controlla dove sia il Sole in quel momento. In base a quello deciderà dove muoversi onde evitare di ritrovarselo in faccia.

La sua attenzione non può essere focalizzata solo sul suo avversario perché sa che ce ne potrebbero essere degli altri, e le sue energie le risparmia perché non ha la minima idea di quanto durerà quella assurda situazione.

Scopo Vincere la medaglia, il titolo, il torneo, la coppa ecc. Uscirne vivo.
Obbiettivi tecnici. Ottenere dei punti entrando con dei colpi nella guardia dell’avversario, ma senza affondare, né toccare mai il viso (pena la squalifica). Se non andrà bene la prima tecnica, durante il combattimento ci sarà tempo e modo di rifarsi. Entrambe i combattenti sanno che non basterà entrare con dei colpi, che siano dati con il coltello o a mani nude. I corpi di entrambe sono inondati di adrenalina e non sentiranno né dolore né potenza. Se il colpo non viene portato in punti vitali, l’azione dell’altro non si arresterà ed il combattimento andrà avanti. E’ anche possibile che pur colpendo in un punto vitale, l’altro prima di cadere possa colpire a sua volta e ferire a morte (soprattutto se ha un’arma). Quindi bisognerà colpire con precisione chirurgica punti vitali e, nel contempo, stare molto attenti alla posizione nella quale ci si trova all’atto dell’esecuzione della tecnica e possibilmente allontanandosi immediatamente dopo il colpo.

In ogni caso il combattimento deve essere risolto il prima possibile.

Strumenti Per evitare incidenti, in ambito agonistico, si è deciso di eliminare i colpi più letali e pericolosi e conseguentemente, la rosa delle tecniche consentite è necessariamente limitata. Generalmente nei combattimenti agonistici di karate raramente si va oltre un paio di tecniche di braccia (che di solito sono giakutzuki e uraken) e tre o quattro tecniche di gambe (maegeri, mawashigeri, yokogeri, ushirogeri). Se si va a terra, l’arbitro interverrà, facendo riprendere dalla posizione iniziale, quindi non c’è bisogno di studiare particolari tecniche di caduta (ukemi) o tecniche di combattimento a terra (o da terra). In ambito marziale tutto è consentito, e quindi da tutto bisogna imparare a difendersi. Ogni tecnica può essere utilizzata e ogni strumento può servire a realizzarla, dal coltello al bastone, dal sasso alla polvere. In più i due combattenti, non conoscendosi, non hanno la minima idea del bagaglio tecnico dell’altro. Per sopravvivere bisogna padroneggiare ogni situazione.

Probabilmente nessuno li vedrà e in ogni caso raramente interverrà (onde evitare danni alla sua persona).

Le tecniche utilizzate non avranno nulla di spettacolare, ma saranno portate nella maniera più efficace possibile e nell’ottica del massimo risparmio di energie.

Questo piccolo esempio già ci propone una visione diversa della faccenda. Ovviamente le considerazioni di cui sopra possono essere applicate ad ogni combattimento agonistico, anche i famosi combattimenti senza regole, che apparentemente ci sembrano così veritieri, alla fine si svolgono sulle loro brave superfici piane e delimitate, hanno i loro assistenti, i loro arbitri ecc.

Vista così sembra che tutto fili e che sia lecito pensare che un’arte marziale propriamente detta, studi di fatto, aspetti infinitamente più complicati di uno sport da combattimento, e che sia dunque più difficile e rivolta a pochi “pazzi” eletti.

Ma, proprio in virtu del detto cinese:“ quando sei certo di un punto di vista, quello è il momento in cui lo devi cambiare”,le cose non stanno proprio così.

Il concetto è molto semplice. Un’Arte Marziale, per essere studiata con i presupposti che abbiamo appena espresso, non può prevedere combattimenti veri e propri in sede di allenamento. O meglio può prevedere surrogati che si avvicinano più possibile alla realtà, ma che non arriveranno mai, per ovvie ragioni, alla completa, cruda verità del combattimento per la vita e per la morte. Questa limitazione, in tempo di guerra, era ampiamente compensata dalle battaglie e dai duelli, nei quali si aveva modo di mettere alla prova “veramente” tutto lo studio e gli estenuanti allenamenti a cui si sottoponeva la classe guerriera. Con l’avvento dei periodi di pace, e ringraziamo il cielo per questo, questo genere di test estremi è venuto a mancare; al quesito che metteva in dubbio se fosse o no opportuno il continuare a studiare vecchi sistemi di combattimento, si aggiungeva, come se non bastasse, anche la questione di come continuare a studiare “veramente” l’arte marziale. Le risposte sono state molteplici. Molti, come abbiamo detto, hanno preferito buttarsi nell’agonismo, ritenendo indispensabile una qualche forma di scontro diretto, mediante il quale si potesse, effettivamente mettere alla prova la propria crescita tecnica, se pur consapevoli delle limitazioni a cui sarebbero andati incontro (vedi sopra). Altri hanno preferito una soluzione mista continuando a studiare kata e tecniche tradizionali, ma mettendosi comunque in gioco in qualche gara; altri ancora, in fine hanno scelto di continuare con il metodo tradizionale, aborrendo l’agonismo e coltivando la disciplina come anticamente veniva fatto. Per le prime due categorie vi erano dunque delle prove da affrontare contro avversari che certamente non avevano nessuna intenzione di soccombere o perdere, mentre le scuole che avevano scelto la terza opzione, non dovendosi “scontrare” con nessuno se non con membri della propria scuola, potevano, per così dire, stabilire le proprie regole e le proprie limitazioni in maniera del tutto indipendente ed autonoma. Sostanzialmente era il Maestro che stabiliva quale fosse la didattica per lui più conveniente e produttiva. Insomma il Maestro di una scuola tradizionale, rappresentava, per i suoi studenti, la Legge insindacabile.

Si ponevano a quel punto due problemi di fondamentale importanza. Il primo era che tale legge non poteva essere messa alla prova, dato che non erano previsti confronti con altre scuole (e altre leggi). Al massimo ci si incontrava, come succede tuttora, per dei seminari o degli allenamenti collettivi nei quali ci si scambiano tecniche e sudore evitando accuratamente critiche e confronti.

Il secondo, ma non ultimo, era che elementi come veridicità dei messaggi, efficacia delle tecniche, valore della didattica in termini di crescita degli studenti, interpretazione del messaggio originale della disciplina ecc., erano interamente affidati ad un singolo individuo: il Maestro appunto. Ora… fin quando il Maestro può considerarsi veramente tale (ed in seguito parleremo ampiamente anche su questo tema) tutto fila; i problemi si possono verificare quando la persona che insegna non possiede quel bagaglio di esperienza tale da poter affrontare certi temi con cognizione e con perizia, e va avanti per supposizioni o, peggio ancora per teorie lette o dette senza essersi preoccupato di testarle sulla propria pelle, il che è già pericoloso quando si tratta di tecniche, figuriamoci quando la materia in questione è l’etica o peggio le interpretazioni filosofiche di ciò che si sta studiando.

Anni fa lessi in un libro, di cui volutamente non cito né titolo né autore, un concetto singolare. L’autore affermava in sostanza che, dato che un particolare attacco circolare poteva essere parato in un certo modo, quella era la maniera più indicata di fronteggiare qualsiasi altro tipo di attacco circolare. Sulla carta tutto fila, dato che in termini di linee e di forze non apparivano grosse differenze, peccato che se poi si tentava di mettere in pratica la lezione, si finiva subito in infermeria. Con tutta probabilità l’autore, di cui, a parte queste piccole defaillance riconosco però il valore come scrittore, come storico e come ricercatore, aveva “dedotto”, in maniera teorica e logica, delle azioni che custodivano invece, nel loro svolgimento reale, molte sfumature e variabili che solo la pratica poteva evidenziare.

Di esempi del genere se ne potrebbero fare all’infinito, e in ogni caso torneremo sulla questione più avanti. Per il momento, tornando alla tema principale di questo paragrafo, mi sembra che ora possiamo essere nella condizione di affermare che non sempre, un’arte marziale studiata in maniera tradizionale e senza agonismo o incontri, possa effettivamente essere studiata in maniera seria ed esauriente, in quanto la sua didattica dipende essenzialmente da un solo Maestro e non può essere, di fatto messa alla prova in senso realistico. Ne consegue quindi che, di fatto a tutt’oggi si trovano molto più spesso elementi realistici e vicini alla tecnica originale in una competizione sportiva, che in una dimostrazione di uno stile tradizionale. Di contro l’agonismo esige anch’esso il suo scotto da pagare limitando per forza di cose le azioni e le tecniche originarie trasformandole ed adattandole alle finalità della vittoria, ben diversa (lo abbiamo detto) da quella della sopravvivenza. In proposito cito ancora un esempio che a mio parere può rendere chiaro il concetto. Tempo fa fu organizzata in Tailandia un confronto tra studenti di Kung Fu e Combattenti di Thai Box. Ora.. se andiamo ad analizzare singolarmente i due metodi di combattimento, risulta fin troppo chiaro che il Kung Fu sia estremamente più raffinato e complesso. Ricco di tecniche e sfumature, di stili che si intersecano e di escamotages, inganni e strategie. La Thai Boxe, di contro appare come uno stile rozzo, anche abbastanza grossolano nelle tecniche e nelle guardie. Bhe, volete sapere come è andata?….. Gli studenti di Kung Fu furono letteralmente massacrati dagli atleti di Thai Boxe. Il bello è che i praticanti di Kung Fu furono totalmente spiazzati dalla cosa e non si riuscivano a spiegare il perché di tale catastrofico esito. La risposta era semplice quanto potente: gli atleti di Thai Boxe avevano sì una tecnica più rozza, ma erano abituati a metterla in pratica veramente. Per loro un calcio preso era naturale come respirare, il sangue era pane quotidiano, la fatica la loro vita, la violenza la loro compagna. Gli studenti di Kung Fu, al contrario, pur avendo anni di allenamento durissimo anche loro alle spalle, avevano studiato con avversari immaginari o magari con bersagli inerti, senza mai cimentarsi veramente in un combattimento reale e dove i colpi si scambiavano senza sconti. La cosa incredibile è che, dopo quella manifestazione, tutti sono convinti che la Thai Boxe sia più efficace del Kung Fu, il che non è vero affatto. Il problema di quell’incontro, sono convinto che sia stato che agli studenti di Kung Fu siano stati consegnati nelle mani strumenti estremamente raffinati da subito, senza farli passare attraverso percorsi più semplici e diretti. In più i metodi insegnati loro, erano frutto di interpretazioni di tecniche e concetti, a loro volta interpretati da altri attraverso i secoli (sempre in tempo di pace) e, soprattutto, senza che nessuno li mettesse mai realmente alla prova. Tecniche che anticamente si erano dimostrate in battaglia armi micidiali, si erano trasformate, nel tempo, in movimenti eleganti ed armonici, ricchi di volteggi e pose plastiche veramente belli da vedere, ma completamente inefficaci se utilizzati in una situazione reale. Gli atleti di Thai Boxe, al contrario avevano strumenti più grossolani, ma continuamente messi alla prova sul ring e senza complimenti. Potremmo dire senza difficoltà che la Thai Boxe non si è scontrata con il vero Kung Fu, ma con un suo surrogato addolcito dal tempo.

Del resto, dove viene a mancare la sostanza, cresce la forma, e questo non è solo un problema che ha a che fare con le arti marziali, ma con tutte le cose che, non più applicate realmente, tendono ad essere eccessivamente teorizzate.

Attenzione però, non è assolutamente certo che i Thai Boxers tailandesi uscirebbero vivi da una situazione di reale pericolo, condita magari di coltelli e armi varie. Non preoccupatevi, una soluzione possibile c’è, ma ne parleremo in seguito, per ora continuiamo nell’analisi dell’Aikido seguendo il metodo Kihon.

DaoShi® e senso della missione: essere veri formatori nella Kickboxing ed MMA puntando al Potenziale Umano

Riprendo l’articolo pubblicato da “La Nuova Ferrara” che testimonia i risultati di tanto sforzo e impegno di tutti. Volevo raccontare qualche aneddoto. Per far capire qualcosa a chi sta seguendo i nostri sforzi, atleti e coach prima di tutto.

Lo spirito del DaoSi® Bushido (o “la via del Maestro”, il sistema che ho brevettato e sto portando avanti, centrato sul Potenziale Umano e sulle tecniche di psicologia scientifica e militare) si concretizza nella capacità di formare trainer, allenatori, coach, ancora prima che nel risultato degli atleti. E’ una sfida non da poco. Non è facile nè automatico saper insegnare o saper formare le persone nel loro pieno potenziale.

Sto usando lo stesso metodo nel preparare Ufficiali nell’Esercito. Quando lo Stato Maggiore della Difesa affida ad un professionista la formazione di propri ufficiali prima che partano in missione, credo che questo sia un riconoscimento che vale più di ogni carta e attestato formale. Se poi – come mi è accaduto – devo arrivare a formare Generali e alti ufficiali  prima che partano in missione per l’estero (e non in una accademia teorica), questo oltre che essere un onore diventa una responsabilità fondamentale verso il Paese e verso le migliaia di persone che avranno benefici da quello che potrò insegnare loro. Sulla vita delle persone non si scherza.

Lo stesso vale nel nostro sport.

Un atleta può eccellere o perdere, non importa, ciò che conta è che abbia continuità. Ciò che conta è che sappia di poter contare su un Maestro, su dei Trainer, su un gruppo, su dei Coach che fanno il massimo affinchè egli si possa esprimere.

La persona, per noi, viene prima dell’atleta. Questo è il nostro credo. La Formazione di un atleta è qualcosa che non finisce dopo la doccia, ma tocca tutta la sua vita.

Come Daoshi® Sensei per me è un orgoglio non solo aver contribuito alla preparazione dei ragazzi direttamente (ma credetemi, in piccola parte, i veri protagonisti sono stati i loro coach e Maestri), ma soprattutto avere dato una responsabilità dirigenziale così importante al Maestro Alfonso De Vito, quella di dirigere il team agonistico della Kick e di collaborare con il Maestro Paolo Gherardi (che non smetto di ringraziare per l’enorme sforzo e bravura), e vederlo portare una squadra al successo…

Mi sia permessa qualche immagine visiva…

… la storia non si cancella… conservo le foto nelle quali ero allievo del Maestro Branchini (allievo tra i prediletti, devo dire… visto che mi faceva fare tutte le esibizioni in discoteca, decine e decine, oltre alle gare, assieme agli amici Stefano Pola e Davide Navarra, e Pacchiella, Sergio Aironi, una vera “vecchia guardia”, e non erano certo “morbidi”, garantisco)… ricordo ancora quando Giorgio mi diede la sua Lancia Thema per andare ad uno stage perchè voleva che facessi bella figura quando arrivavamo nel parcheggio del palazzetto (avevo una Dyane senza riscaldamento a quel tempo…)…Giorgio Branchini aveva tanti difetti ma un cuore più grande di lui e lo si vedeva anche in questi dettagli…

… poi ricordo la mia esperienza negli USA a combattere nei tornei da solo, senza un coach all’angolo, con campioni di ogni disciplina, sono esperienze che ti forgiano e se non trovi le risorse dentro quando non hai nessuno ad aiutarti, non le troverai mai… e ricordo ancora il mio club in Florida, di ragazzi cubani partiti dal Taekwondo che istruivo nel Full Contact, e non mi volevano lasciare tornare in Italia, ho imparato lo spagnolo con loro sul tatami di una palestra piccola e sudata… ricordi indimenticabili…

…poi ricordo gli anni dei primi corsi che ho avviato a Ferrara e in provincia, aver portato la Kickboxing a Portomaggiore, ad Argenta, a Mirabello, e li aver visto partire con me circa 20 anni fa Alfonso (non ricordo neanche davvero quanti aveva, ma non aveva ancora la patente…) e vederlo sbattersi ogni giorno, e piano piano lasciargli tenere piccoli pezzi di lezione, poi intere lezioni, poi un suo corso… per non dire tutto quello che ha fatto da solo e senza il mio aiuto con enorme autonomia (ci vorrebbe un libro ma qui non ho tempo adesso)… e adesso vederlo maturo al punto di gestire un intero team agonistico e portarlo a risultati importanti (l’ha già fatto tante volte nel club precedente, ma stavolta è una storia nuova e molto diversa… ). Le  sue qualità di preparatore e trascinatore, e la sua grinta sono stati fattori determinanti. E la sua serietà fondamentale.

E queste sono le cose che un Maestro deve trasmettere. Esiste un termine scientifico che voglio condividere, la “trasmissione memetica” (riproduzione delle tracce mentali da persona a persone) – è il fulcro dell’insegnamento. i Memi, o tracce mentali, sono l’equivalente dei Geni (e della genetica) in una analisi applicata sul piano del pensiero e della trasmissione di valori e comportamenti da generazione a generazione, da formatore ad allievo. Un Maestro vero deve soprattutto diffondere e trasmettere Memi sani e riconoscere ed espellere Memi sbagliati, dannosi, e pericolosi per la crescita di un atleta e di una persona.

Noi siamo mortali ma non il nostro spirito e non i nostri insegnamenti.

Forse un pezzo di quello che è Alfonso oggi viene da quello che sono riuscito a trasmettergli all’inizio, e forse un pezzo di quello che saranno i nostri ragazzi di oggi, tra 20 anni, sarà venuto fuori da qualche brano di lezione che stiamo tenendo oggi. Questo tramandarsi tra generazioni non è tanto di “sterili tecniche” ma di un modo di essere…. un modo di Saper Essere persone d’onore ancora prima che Saper Fare a tirare pugni o calci…

Saper Essere e Saper Fare sono due cose diverse.

E non dimentichiamo il ruolo fondamentale del nostro grandissimo Coach Andrea Forlani, gettato nella mischia del coaching e subito arrivato al succeso 2 volte di fila (giuro… porta fortuna averlo all’angolo… chi vuole prenotarsi dovrà mettersi in coda)… il suo lavoro certosino, ogni mercoledì, per preparare i ragazzi sul piano psicomotorio e della preparazione alla forza veloce e alla resistenza è stato grande.. con l’aiuto di Cristiano e di Nicola… e Andrea è tra l’altro un Preparatore Atletico ipercertificato, dirige una palestra come Direttore Tecnico, ha oltre15 anni di esperienza nell’allenare la crescita muscolare e psicomotoria delle persone, e questo vuol dire molto. Non sto a citare tanto, ma Cristiano e Nicola con il loro contributo di assistenti li porterà certamente verso la strada del diventare coach e Maestri. Ne sono sicuro.

Il mio ruolo, da vecchio Maestro (— vecchio anagraficamente… ma non nello spirito), è quello di Sensei , di Daoshi e di Ronin (e spiegheremo alla prossima puntata cosa vuol dire, e da dove derivano questi termini)— e non tanto di spaccasassi che deve essere più forte degli altri… il ruolo di un Maestro credo si inquadri nel coltivare nel potenziale umano, lasciare spazio agli altri, individuare gli High Potentials (i ragazzi con un potenziale e volontà) e portarli sulla strada maestra dello sport come faro di una vita sana.

Noi siamo li per farli diventare tutto quello che possono diventare nella vita o almeno essergli a fianco per qualche tratto di questo viaggio.

Dopo ahime 40 anni di agonismo iniziati nel calcio, nella pallavolo, e 25 dei quali trascorsi nelle arti marziali, lasciare un segno per me si misura nel numero di coach, trainer e Maestri che riuscirò a formare finchè avrò respiro, e nel loro spessore umano ancora prima che sportivo. Questa è la mia sfida.

Un saluto da Daniele Trevisani, e gustatevi l’articolo:

(tratto da http://ricerca.gelocal.it/lanuovaferrara/archivio/lanuovaferrara/2010/04/13/US5PO_US504.html)

Fighters Team verso le finali assolute

la Nuova Ferrara — 13 aprile 2010   pagina 53   sezione: SPORT

FERRARA. Domenica scorsa si è svolta a Selvazzano, in provincia di Padova, la penultima tappa del campionato italiano di kick boxing per le federazioni Iaksa-Iska-Wka. La Fighters Team-Zio Kick di Ferrara si è presentata all’appuntamento diretta dai maestri Paolo Gherardi, Mauro de Marchi e Thomas Civolani, pronta come sempre. Ed i risultati infatti non si sono fatti attendere.  Dapprima Giulia Carino ha trionfato nella sua categoria di light contact seniores, per poi vincere un argento nella categoria di peso superiore, arrivando così a concorrere seriamente per il titolo italiano alle finali assolute di Roma.  Poi, i principianti del light contact, nella categoria -70kg, hanno portato a casa il quinto posto di Lorenzo Farinelli, il secondo di Nicola Massari e il primo di Giuseppina Scicchitano. Federica Stella ha invece vinto il bronzo nel light contact -60kg.  Nel settore del kick light, capitanato dal maestro Alfonso De Vito, ottimi i risultati di Nicola Ferrari (bronzo nei pesi leggeri) e Cristiano Zucco che è giunto primo nel -85kg.  Peccato invece per Niky Riccardi, che è stato beffato nella kick light dalla pressione di dover ben figurare e nel light contact da un verdetto arbitrale discutibile. Di conseguenza Riccardi si è fermato ai quarti di finale in entrambe le specialità. L’atleta di Occhiobello rimane comunque in testa nelle classifiche di categoria.  A concludere la spedizione ferrarese è stato Sergio de Marchi, che ha prevalso nuovamente nella categoria -85kg di light contact seniores aggiudicandosi l’oro. Tutti gli atleti del gruppo hanno voluto dedicare il loro risultato all’amico e neodiplomato allenatore cintura nera Iº dan Achille Di Giuseppe.  Grande soddisfazione quindi per la Fighters Team-Zio Kick, che dimostra ancora una volta di viaggiare ad alti livelli nazionali e che può presentarsi fiduciosa alle finali assolute di Roma che sono state messe in calendario il 16 maggio.
—-