Il modello è stato sviluppato per prevedere i comportamenti nei quali il soggetto non dispone del completo controllo volitivo, perché qualche barriera interna od esterna si frappone all’azione.[1]
La teoria prevede che anche un compito difficile può essere tentato, se la percezione di potercela fare è alta (del tipo “potrei persino lanciarmi da un grattacielo, se penso di aver gli strumenti per atterrare bene”).
Viceversa, anche azioni semplici non verranno attuate, se l’individuo percepisce barriere tali (interne o esterne) che lo possano bloccare (Es: “non ce la farò mai a parlare a quella persona, sono troppo timido”).
Queste percezioni partono dall’esperienza passata, da un analisi del proprio stato attuale, e dall’anticipazione di circostanze future (credenze sul futuro).
Uno dei contributi importanti fornito dalla T.P.B. consiste nel far emergere l’importanza delle credenze del soggetto come principali determinanti del suo comportamento: credenze soggettive, e non realtà oggettive.
Le credenze, come tali, possono essere anche profondamente errate, dovute a disinformazione, o scarsa conoscenza di stati reali, situazioni oggettive e dati di fatto.
Nel modello osserviamo infatti che:
- sono le credenze sugli esiti dei comportamenti a creare l’atteggiamento verso l’intraprendere o meno un’azione (non le prove reali sugli esiti dimostrabili del comportamento);
- sono le credenze su come gli altri reagiranno, a creare la percezione di doversi adattare alle aspettative altrui (non la conoscenza reale di come gli altri reagiranno, ma una pura ipotesi anticipativa di tale reazione);
- sono le credenze del soggetto rispetto a ciò che egli può o riesce a fare, e non le sue reali capacità, a limitare il campo del fattibile.
1.1.1. Behavioral Beliefs: le credenze comportamentali
Le credenze comportamentali collegano il comportamento target ai suoi esiti previsti. Es: “credo che per avere maggiore forma fisica si debbano assumere molte vitamine”. Questo pensiero rappresenta una pura credenza, che in alcuni casi non trova riscontro nella realtà. Infatti l’assunzione di vitamine, da sola, non è sufficiente a creare forma fisica, e in alcuni casi di sovradosaggio può anzi danneggiare l’organismo. In sintesi:
- Una credenza comportamentale è la probabilità percepita che il comportamento target produca un certo risultato (outcome), un risultato che potrà essere positivo o negativo.
- La somma delle credenze possedute dall’individuo forma l’atteggiamento verso il comportamento.
Poniamo il caso di un consumatore di fronte alla scelta di acquistare cerchi in lega leggera per la propria auto. Una delle pulsioni verso l’acquisto nasce dalla credenza che il cerchio in lega sia più leggero e riduca gli spazi di frenata dell’auto. Se questo risultato (outcome) è valutato molto positivamente (il cliente è molto sensibile al discorso “sicurezza”), la credenza inciderà positivamente sulla propensione specifica all’acquisto.
La propensione d’acquisto tuttavia è influenza da tutto l’insieme di credenze del cliente. Se una credenza ulteriore è che i cerchi in lega possano arrugginire facilmente, prima dei cerchi tradizionali (un outcome negativo), avremo una fonte di credenze che riduce la propensione all’acquisto.
La scelta si farà più difficile in quanto due credenze diverse, dai risultati attesi opposti (uno positivo, l’altro negativo), sono in conflitto, creando dissonanza cognitiva nel cliente.
Compito di chi vende o agisce nel marketing è quindi scoprire:
- quante e quali sono le credenze “attive” nel soggetto;
- quante e quali sono positive, negative, e con che intensità;
- come le credenze si rapportano tra loro (decostruzione della mappa mentale delle credenze o belief-system);
- quali credenze sono tra di loro in antitesi, creando dissonanza palese o latente;
- quali credenze possono essere create per modificare lo stato attuale;
- su quali credenze è più agevole agire per modificarne la direzione o intensità;
- quali sono determinate da valutazioni d’esperienza personale, e quali sono basate su fonti non validate.
1.1.2. Normative Beliefs: le credenze normative
Le credenze normative si riferiscono alle aspettative comportamentali percepite nei referenti importanti per l’individuo (persone o gruppi), quali la moglie o marito, famiglia, amici, colleghi, collaboratori o capi, clienti, partner, concorrenti o fornitori, e altri che assumono funzione di referenti in relazione al ruolo ricoperto e al comportamento in esame.
Le credenze normative (ciò che pensiamo gli altri vorrebbero noi facessimo o non facessimo), in combinazione con le motivazione ad adattarsi alle aspettative altrui, formano la “norma soggettiva”.
In termini psicanalitici, dobbiamo ricordare che il modello TRA non include soggetti importanti che possono anche non essere presenti, ma fungono comunque da “altri soggetti di riferimento”. Gli “altri latenti” o “referenti latenti” sono soggetti cui l’individuo guarda mentalmente per capire se questi sarebbero contenti o meno dell’azione che sta per intraprendere. Vediamo da una nostra trascrizione d’intervista in profondità come questo fenomeno degli “altri latenti” sia presente in modo marcato:
Quando sto per fare qualcosa di importante penso sempre se mia nonna avrebbe voluto o no, lei si che sapeva come si stava al mondo…. era una persona eccezionale. Mi ha cresciuto lei.
I “referenti latenti” possono essere anche figure istituzionali cui l’individuo si ispira per analizzare la bontà di un suo comportamento: Padre Pio, Che Guevara, il Papa, un leader politico ammirato, il collega di tanti anni fa che ha svolto da mentore e ispiratore, un docente carismatico, e altri.
Gli “altri rilevanti reali” sono invece soggetti presenti fisicamente nella vita del soggetto, soggetti con i quali ha realmente a che fare. Questi soggetti sono spesso multipli, nel senso che in molte scelte l’individuo deve render conto a numerose persone e gruppi Es: scegliere un abito ha un’influenza sia sulla famiglia che sul gruppo di persone con cui si lavora. Le loro “opinioni latenti” sulla bontà dell’acquisto agiscono in background sulla scelta.
Anche in questo caso dobbiamo notare che si tratta comunque di credenze: un cliente potrebbe rifiutare un acquisto gradito, nell’ipotesi che la mogli abbia una reazione negativa, o un buyer potrebbe evitare di svolgere un acquisto di soluzioni informatiche per un motivo simile (timore di ripercussioni da parte di colleghi che non apprezzeranno la scelta).
Questo rappresenta un problema dal momento in cui non si tratta di certezze ma di credenze, e come tali suscettibili di errore e percezioni distorte della realtà.
In termini di marketing, il lavoro sulla norma soggettiva richiede al venditore la capacità di modificare la percezione del rapporto individuo-gruppi, in due direzioni:
- direzione A: emancipando l’individuo dalla pressione percepita dei gruppi, o,
- direzione B: facilitando l’acquirente a vendere egli stesso l’idea della soluzione ai propri gruppi di riferimento, fornendogli argomentazioni adeguate.
Bisogna, in altre parole, ridurre le pressioni sociali percepite verso il non-acquisto ed eliminare la fonte di obiezione “quelli che contano per me non vorrebbero questo acquisto”.
Nel caso delle opinioni latenti negative sull’acquisto di un prodotto informatico
“se fosse vero, dati alla mano, che questa soluzione fa risparmiare all’azienda 50.000 euro all’anno, a parità di risultato rispetto alla situazione attuale, può essere per Lei interessante parlarne al suo Amministratore Delegato? Come pensa reagirà? Quali sono i dubbi che potrebbe avere? Che reazione avrebbe?”
Questi casi si inseriscono all’interno dell’ampia gamma delle riflessioni guidate indirizzanti, la cui tecnica verrà ulteriormente ampliata nei prossimi lavori di ricerca del metodo ALM.
1.1.3. Control Beliefs: credenze sulle proprie capacità di controllo della situazione
Le credenze sul controllo degli eventi e sulle proprie capacità di azione sono al centro dell’intenzione di fare o no fare, agire o non agire, acquistare o non acquistare. “Sarò in grado di far digerire questo acquisto a mia moglie?” può chiedersi un marito. “È bello, ma sarò in grado di rendere realmente funzionante il nuovo sistema informatico?”, potrebbe chiedersi il buyer di un’azienda? “Sarò in grado di affermarmi anche se dovessi incontrare atteggiamenti ostili?” “Ho il controllo della situazione?” “Ce la posso fare?” sono altre domande inerenti le credenze sul controllo.
Il controllo comportamentale percepito si riferisce alla riflessione del soggetto rispetto alla sua abilità di “performare” un certo comportamento[1].
Le credenze sul controllo hanno a che fare con le presenza percepita di fattori che possono facilitare o impedire la prestazione o comportamento. Poniamo il caso di un manager che debba affrontare un discorso in pubblico: se anticipa tra gli uditori la presenza di elementi ostili, ma si ritiene in grado di dominarli, andrà tranquillamente verso la prestazione. Se non ritiene di avere le energie sufficienti per farlo, cercherà di evitare la situazione.
Il problema dei control beliefs non dipende solo dalla forza delle sfide esterne, ma anche e soprattutto dalla capacità interna che l’individuo sente di possedere, in relazione alle sfide (stato bio-energetico e psico-energetico dell’organismo)[2].
Anche sfide banali possono apparire gigantesche se i control beliefs sono negativi. Al contrario, il soggetto che sente di possedere grado elevato di autostima, sicurezza di sé, autocontrollo, e livelli energetici elevati, percepirà le condizioni per realizzare una buona prestazione, sia essa comunicativa, o in qualsiasi altro contesto comportamentale.
Relativamente all’acquisto, il cliente basa le sue credenze di controllo sulla base di passate esperienze, e giungere alla conclusione che “sì, sono in grado di gestire questa situazione, quindi procedo verso l’acquisto”, oppure “no, non ce la posso fare, è troppo difficile per me far passare la cosa, non sono in grado, non ce la faccio”, e quindi non procedere all’acquisto.
Le credenze sul controllo sono assolutamente diverse dal reale controllo che l’individuo possiede. Il controllo comportamentale reale si riferisce alle reali abilità, capacità e strumenti e altri prerequisiti posseduti, necessari per produrre un certo risultato o azione. Il controllo percepito si basa invece sulle credenze.
1.1.3.1. La percezione di disponibilità economica, fattibilità e finanziabilità dell’investimento come leve facilitanti
La T.P.B. è in grado di spiegare numerose scelte del consumatore. I campi di applicazione di questo modello comportamentale sono vasti, e spaziano dal marketing finanziario al marketing turistico, dai comportamenti di consumo individuale agli acquisti aziendali. Ad esempio, nel marketing sportivo diverse ricerche evidenziano che la scelta di uno sport si basa spesso su percezioni errate di ciò che si è o meno in grado di fare. Queste credenze – errate – influenzano comunque la gamma di sport che si scelgono[3] (es: “non ce la farò mai a fare karatè” – profezia autoavverante che si ripercuote sull’atto di scelta).
La credenza “non ce la posso fare” caratterizza anche gli aspetti finanziari di molti acquisti.
Tra le cause che possono (1) bloccare o (2) fornire un “lasciapassare” all’acquisto, si inserisce un importante elemento del control belief: la percezione di poter finanziare l’investimento, di essere o non essere economicamente all’altezza della spesa.
Esistono infatti acquisti o investimenti aziendali che (a) sono personalmente ritenuti utili (= atteggiamento positivo), (b) non trovano barriere all’acquisto da parte dei gruppi di riferimento (= lasciapassare normativo), ma (c) sono percepite come troppo onerose in relazione alle disponibilità personali o aziendali (= blocco sul senso di controllo dell’investimento).
Nel metodo ALM è necessario porre attenzione sia ai dati oggettivi (es: il fatturato aziendale, la disponibilità economica misurabile) che al sistema di credenze dell’individuo.
I blocchi d’acquisto non partono solo da reali condizioni finanziarie o da vera indisponibilità ma anche da barriere mentali.
La percezione di non poter finanziare un investimento deriva spesso, nella nostra esperienza, da una errata allocazione dei budget mentali: casi in cui le risorse finanziarie esistono, ma sono mal distribuite.
In questi casi alcuni budget di spesa improduttivi sono sovrafinanziati, mentre nuove possibilità di investimento, più produttive, non hanno ancora trovato “canali mentali” aperti nel cliente[4]. Il caso tipico è dato dalla carenza di budget per la formazione. La formazione aziendale, se ben condotta, produce in realtà un ROI (Return on Investment) molto elevato, rispetto a spese in investimenti materiali che rimangono spesso inutilizzati.
Il venditore consulenziale dovrà quindi sapersi muovere su diversi fronti:
- Aiutare il cliente a dirottare budget mentali da spese improduttive a nuove forme di investimento più produttivo. Il lavoro sui budget mentali implica un processo consulenziale e pedagogico sul modo di gestire le risorse del cliente, un’attività di che richiede grande professionalità.
- Saper gestire la dilazione nel tempo dell’investimento (es: rateizzazione)-
- Saper suggerire soluzioni di finanziamento dell’investimento tramite fonti diverse (da fonti pubbliche, quali i finanziamenti agevolati, a fonti private di credito).
- Saper creare messaggi e comunicazione centrata sul ritorno dell’investimento (creare credenze positive su come l’investimento metterà il soggetto in grado di produrre più utile e fatturato, e quindi di ripagare abbondantemente la spesa).
Il supporto professionale del venditore/consulente consiste quindi nel creare maggiore percezione di controllo sulla finanziabilità, fattibilità e ritorno dell’investimento (messaggio: “anche tu puoi farlo”), sino a dirottare risorse da budget improduttivi ad altri budget (consulenza sui budget mentali).
Il consulente d’acquisto che agisce sui control beliefs si trova quindi ad agire non solo come consulente “di risultato” (cosa otterrai dall’investimento) ma anche come consulente sul metodo di finanziamento, là dove esistono barriere mentali dovute a credenze errate da parte del cliente sul fatto che l’investimento non sia alla sua portata.
Il consulente che intende agire sui control beliefs deve creare una relazione di aiuto nei riguardi del cliente, relativa al come implementare la soluzione. Questo significa accompagnare il cliente nel processo di cambiamento.
Ad esempio, una soluzione informatica costosa, ma gradita e produttiva, può trovare barriere dovute ai control beliefs quando il cliente pensa di non essere in grado di gestire la transizione al nuovo sistema informatico (difficoltà di migrazione).
Il consulente che offra un servizio di accompagnamento, tutoraggio e coaching nella transizione/migrazione al nuovo sistema rimuoverà in questo modo diverse barriere legate alla percezione “non ce la posso fare”, che caratterizza i control beliefs negativi. Questo significa vendere qualcosa di ben superiore al prodotto/servizio: la capacità di “vendere sicurezza”.
[1] Performare (to perform) è il verbo utilizzato dagli autori della TPB, e questo esprime il senso più profondo della sensazione di capacità nel fornire una prestazione.
[2] Fonte: Ricerche dell’autore (in corso) sulle relazioni tra sistemi energetici e prestazioni comunicative. Per ottenere informazioni sullo stato di avanzamento e prossime pubblicazioni inerenti il tema, inviare una mail a dt@studiotrevisani.it
[3] Bryan, A. D. e Rocheleau, C. A. (2002). “Predicting Aerobic Versus Resistance Exercise Using the Theory of Planned Behavior”. American Journal of Health Behavior, Volume 26 Number 2, March/April 2002.
[4] Per un approfondimento sulle teorie dei budget mentali, vedi capitolo 8 (“Budget Mentali e psicologia economica”) nel volume Psicologia di Marketing e Comunicazione. Milano, FrancoAngeli, 2002.
[1] Vedi Ajzen, I. (1991). “The theory of planned behavior”. Organizational Behavior and Human Decision Processes, 50, 179-211.
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Copyright, Articolo di Daniele Trevisani, Studio Trevisani, sintesi didattica al volume “Comportamento d’acquisto e comunicazione strategica”, Franco Angeli editore, Milano.