Reti, benessere relazionale e supporto relazionale

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Le energie relazionali

Le relazioni umane possono assorbire (drenare) o dare e donare energie. Ogni dirigente di un gruppo può facilmente produrre una lista di membri del grup­po e chiedersi, per ciascuno, se questi stia dando energie o sottraendo e­ner­gie a se stesso e al gruppo. Lo stesso tipo di analisi è applicabile ai membri di una famiglia o comunità, o ai membri di un team sportivo.

Siamo sempre inseriti al centro di una rete di energie relazionali, in cui alcune persone ci ricaricano, e altre ci “assorbono” o scaricano.

Un’analisi importante consiste nel costruire un diagramma delle persone significative con cui abbiamo rapporti in un certo momento della vita, e associare un segno (+ o -) a ciascuno, per indicare se questo legame ci dà energia o ci toglie energie.

Ad un livello più raffinato, potremmo anche inserire segni multipli (es: due + e un -), per indicare che il rapporto con quella persona è sfaccettato, dona energie ma ne toglie anche.

È essenziale che vi sia consapevolezza di come le energie personali sono quotidianamente caricate o scaricate dal contatto con gli altri, e cosa accade nel nostro bilancio energetico personale.

Poter modificare e cambiare la rete di energie relazionali che ci circonda, è un grande atto di assertività. Questo può anche richiedere di tagliare i ponti con alcune persone, o cercare di modificare un rapporto che ci sta consumando o distruggendo, o anche solo una relazione che richiede troppa energia rispetto alle nostre volontà, e non ce ne lascia per altri spazi di vita.

Vediamo un altro esempio grafico di network relazionale nello schema seguente:

Figura 5 – Esempio di rete energetica personale

È facile osservare come il bilancio complessivo possa essere favorevole o sfavorevole per il proprio “conto energetico personale”. Se non si tiene conto di come funziona la propria rete, è facile comprendere come una persona possa uscire svuotata da una giornata o da un tempo speso all’interno di un gruppo nel quale troppe persone drenano energie, e poche ne apportano.

Il benessere relazionale di una società o gruppo proviene anche dalla reciprocità complessiva, per cui è sbagliato interpretare le energie relazionali solo a proprio vantaggio. Nella vita di relazione, e nei team, è produttivo e indispensabile porsi l’obiettivo etico del “dare” energie e non solo riceverle.

Principio 15 – Energie delle reti relazionali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • L’individuo entra in relazione con singoli soggetti o più soggetti con i quali la relazione stessa risulta difficile/sgradevole e assorbe energie;
  • la relazione con soggetti che assorbono energie è prolungata o troppo frequente rispetto alle possibilità di recupero personale;
  • la relazione con soggetti ricaricanti e positivi è assente, ridotta, o infrequente;
  • sono assenti relazioni equilibrate e dotate di reciprocità.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo apprende a staccare o distanziare il proprio rapporto con persone le quali assorbono le proprie energie in modo negativo e distruttivo;
  • l’individuo apprende a costruire reti di relazione selettive con persone la cui frequentazione e rapporto induce ricarica di energie mentali e positività;
  • viene ricercato un buon livello di equilibrio e di reciprocità nelle relazioni;
  • l’individuo riesce a costruire o sviluppare una rete di relazioni entro un gruppo le cui energie sono positive ed elevate (E-Group), traendone linfa vitale ed energia.

Il problema che poniamo qui va oltre quello della reciprocità: si può dare tanto anche a chi non ha nulla da restituire, e non lo restituirà mai (o quantomeno è scorretto farlo per aspettarsi una ricompensa), facendo ad esempio volontariato sociale.

L’appagamento morale può certamente considerarsi una forma di rientro comunque importante. Tuttavia, nelle relazioni interpersonali in azienda e o nello sport agonistico non si sta facendo volontariato, ma si perseguono obiettivi.

In questi contesti è essenziale porsi il problema di chi sta “rubando” energie, e che strategie o astuzie usa, chi sta dando contributi di energie, quante ne rimangano per i propri scopi personali o professionali. I flussi di energie devono avere una loro giustizia.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Lo stato di flusso (flow) e le esperienze di flusso (flow experience)

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

L’esperienza magica dello stato di flusso

Lo stato di flusso (flow) è caratterizzato dal procedere di una azione o serie di azioni che “scorre liscia”, in cui tutto avviene perfettamente (non necessariamente senza ostacoli, ma spesso con ostacoli anche forti che vengono superati), in cui vi è la netta sensazione di controllo sugli eventi ed un senso di euforia e potenza accompagnato da una forte felicità interiore e benessere.

La condizione che ne deriva è simile all’esperienza di qualcosa che scorre bene, un fluire (flow experience) che si deposita in memoria e al quale si può imparare ad attingere per migliorare se stessi, il proprio benessere e le prestazioni/esperienze future.

Lo stato di flusso non è una condizione puramente atletica o prestazionale, ma essenzialmente esistenziale. Può entrare in ogni condizione di vita, negli elementi e momenti più vari, quali l’esperienza di leggere un libro o di vedere un tramonto o di conversare attorno ad un tavolo, sciare, giocare a calcio, combattere, meditare, o nell’insegnamento, o nel sesso. Ogni stato esistenziale può essere vissuto in condizione di flusso.

Lo stato di flow può essere sperimentato dagli atleti durante alcuni allenamenti (non in ogni momento, e non da tutti gli atleti). Può emergere anche nella vita di relazione, in un comunicatore durante un discorso (o docente durante una lezione), nel momento in cui senta che il pensiero fluisce con energia, l’espressività si sblocca, si apre un magnetismo speciale sulla platea e il pubblico lo segue intensamente.

Ancora, può sperimentare lo stato di flusso una coppia, durante atti amorosi o momenti particolarmente romantici, o in atti sessuali vissuti come scambi di emozioni e non come prestazioni ginniche.

Ancora, può sperimentare questo stato un terapeuta che riesca a stabilire una netta empatia con il cliente e a far emergere qualcosa di buono (scoperte, insights), durante la seduta.

In campo sportivo, osserviamo un brano è utile per analizzare come lo stato di flusso sia aiutato da rituali preparatori, e capire quanta “presenza mentale” sia raggiunta dall’atleta in questo stato. Si evidenzia inoltre la grande capacità di “contatto con se stessi”, di auto-percezione:

I Quadricipiti secondo Rühl. Esercizio n. 1: Squat.

Quando sento di essere riscaldato a fondo e sono ansioso di cominciare, vado dritto alla rastrelliera per gli squat, senza pensare ad altro che alla percezione di decine di chili sulla schiena e a contrarre i quadricipiti scendendo fino al pavimento, gonfiandoli fino a farli raddoppiare di volume.

Mi assicuro sempre di controllare bene il movimento, di tenere la schiena dritta e gli addominali tesi. Non mi sbilancio mai in avanti né utilizzo la zona lombare come leva. Salendo e scendendo, spingo il carico sfruttando il perfetto asse di potenza che attraversa il centro del torace, il centro del bacino, il centro dei quadricipiti e il centro dei talloni. Nel primo set cerco di ottenere un forte bruciore muscolare, per assicurarmi di aver stimolato la zona giusta, eseguendo anche 30 ripetizioni se necessario.

Dopo aver allungato e strofinato i muscoli per eliminare in parte l’acido lattico, aggiungo un’altra piastra per lato e ricomincio daccapo, sempre in con una tecnica di esecuzione perfetta, per inondare i quadricipiti di sangue. Nel frattempo, Marc Arnold, mio amico di lunga data e training partner, continua ad urlarmi di rimanere dritto, di tenere i muscoli contratti, di pompare, di fare un’altra ripetizione. Se c’è qualcuno che riesce a darmi la spinta giusta, quello è Marc.

Ora il tempo e i numeri non esistono più. Continuo semplicemente ad aggiungere pesi e a contrarre i quadricipiti, scendendo molto, in modo da sentire la forza sempre più esplosiva nei muscoli interessati. Tra un set e l’altro, me la prendo comoda: non passo al set seguente se prima non riesco a percepire di nuovo i quadricipiti e a sentire che c’è ancora spazio per un nuovo afflusso di sangue. Seguo questo schema per almeno dieci set, spesso dodici, fino a raggiungere il cedimento dopo tre ripetizioni nell’ultimo set. A me piace allenarmi così[1].

[1] Ruhl, M. (2002), Quadricipiti bestiali, Flex, giugno, n. 44, p. 78.

“Ora il tempo e i numeri non esistono più”, sostiene il campione mondiale Rühl, e da quel momento inizia lo stato di flusso.

Questa esperienza di perdita completa del senso del tempo e dello spazio, l’immersione totale nell’esperienza, assume tratti comuni e trasversali sia nelle attività sportive ad alto tasso di “passione e immersività” così come può prodursi in attività lavorative, o in attività creative (dipingere, suonare), sociali (stare assieme, conversare), sentimentali (sognare assieme).

Può riguardare sia attività fisiche in rapido movimento che attività statiche quali l’ingresso in una meditazione profonda e ben riuscita, o attività di modesta entità fisica ma alta passionalità, quali una partita di carte.

Si può sperimentare lo stato di flusso durante la scrittura di un libro o di una lettera, o la stesura di un disegno, quando parole, segni ed idee sembrano uscire da sole senza sforzo. Al contrario, il blocco del flow viene vissuto come la “pagina bianca” (il vuoto da cui non si sa come muoversi) o una “pagina nera”, densa di ansia, di emozioni negative, in cui ogni gesto costa fatiche immense, e persino l’inizio sembra opera ciclopica.

Il flow può essere vissuto anche durante un momento di abbandono completo ad un massaggio, in cui il tempo sembra fermarsi. I pensieri estranei e le ruminazioni mentali che interferiscono con la concentrazione sull’atto, impediscono al flow di manifestarsi. Imparare a bloccarli per vivere a pieno le esperienze è difficile ma può essere appreso. E tutto questo è complicato dal fatto che non si tratta di un apprendimento che si ottiene una volta per tutte. Esso può sparire in determinate condizioni e rilasciare spazio al pensiero invasivo e alla ruminazione mentale che interferisce.

Apprendere a generarlo anche in condizioni difficili è una vera conquista e un percorso umano sacro per il quale le culture occidentali sono decisamente impreparate. È quindi anche una sfida didattica e pedagogica per un’umanità migliore.

Lo stato di flusso è un “momento magico” che rappresenta più l’ecce­zio­ne che la norma. Vi sono persone che non hanno mai sperimentato lo stato di flusso in tutta una vita, altre che non lo vivono da almeno dieci anni, immersi fino al collo in problemi, in disagi esterni e auto-creati, o da uno stile di vita o approccio culturale/cognitivo sbagliato.

Trovare lo stato di flusso spesso, idealmente all’interno di ogni giornata e prestazione fisica o comunicativa, è l’obiettivo di una pratica energetica e professionale seria che non abbia l’unico scopo di “arrivare a sera in qualche modo”.

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Inquadrare e saper affrontare le diverse tipologie di stress

stresspotere personaleenergie mentali

Articolo Copyright. Estratto dal volume Il Potenziale Umano, di Daniele Trevisani – www.studiotrevisani.it – www.danieletrevisani.com

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Lo stress è una relazione dinamica tra (1) compiti, stimoli, carichi, input, situazioni da affrontare, task e (2) livelli di energia (fisica e mentale), associata a competenze, disponibili nell’individuo per fronteggiare questi input.

Nell’accezione comune, lo stress viene rappresentato come un disagio, una fatica difficile da superare serenamente.

Per un soggetto in stato di deprivazione ed energie ridotte, può essere stressante anche alzarsi dal letto per prendere una medicina. Per un soggetto dotato di energie elevate, può essere persino divertente combattere su un ring per due ore consecutive, o svolgere una negoziazione pressante e difficile, vedendola né più né meno come una bellissima occasione di sperimentazione, di esperienza, un esercizio piacevole, un’occasione di apprendimento.

Le energie mentali non sono stimolate ma anzi esaurite dal pensiero stesso di intraprendere azioni che fuoriescono completamente dalle proprie possibilità. Anche negli sport estremi, chi li affronta sa di avere una chance, si allena per fronteggiare l’estremo, si prepara.

Tra le varie forme di stress, lo stress emotivo è tra i più pericolosi in quanto non produce segnali evidenti come lo stress fisico.

La fragilità emotiva, unita a stress emotivo, produce danni enormi

 

Principio  – Stress management ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo intraprendere azioni che superano le proprie energie totali disponibili, per troppo tempo, e senza recupero adeguato;
  • l’individuo non impiega tempo e progetti all’interno della area di sfida, chiudendosi progressivamente;
  • l’individuo non trascorre tempo sufficiente all’interno dell’area di comfort al fine di ricaricarsi e metabolizzare gli stressor;
  • gli stressor sono di natura forte (per intensità, durata e ripetitività) tale da ledere la tenuta e la capacità di recupero, e l’individuo li affronta da solo, senza supporto emotivo e relazionale adeguato.

 

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo intraprende azioni e sforzi correlati alle energie disponibili;
  • vengono avviati progetti e iniziative nell’area di sfida, con spirito positivo;
  • tempo e modalità del recupero e della ricarica di energie sono adeguati;
  • l’individuo ha supporto emotivo e relazionale per affrontare lo stress.

 

Per migliorare l’azione di contrasto e gestione dello stress, in chi vuole sviluppare performance e avanzare nel potenziale personale, è indispensabile localizzare alcuni tipi specifici di stress. Il modello HPM permette di far emergere alcune tipologie specifiche.

Le anticipiamo segnalando già che le tipologie di stress esposte sono approfondite nella pubblicazione specifica

  1. stress fisico bioenergetico: carichi di lavoro fisico che l’organismo, in base al suo livello di energie attuali, non sopporta. Include errori alimentari, stili di vita dannosi, sostanze tossiche, riposo scarso o disturbato
  2. stress psicoenergetico: livelli di stress mentale e ansia cronici, o acuti. Ripetersi costante di giornate dense di preoccupazioni in cui non si vede via di uscita, assenza o impotenza di persone e canali di sfogo e condivisione delle proprie preoccupazioni, ansie, desideri, stati fisici e mentali
  3. stress da micro-competenze insufficienti: mancanza di competenze di dettaglio necessarie per portare a termine con successo un compito
  4. stress da macro-competenze insufficienti: quando il ruolo che si vuole o deve giocare nella vita presenta necessità di conoscenze che non abbiamo e non stiamo facendo il possibile o il dovuto per colmare e anticipare questo divario di competenz<e
  5. stress progettuale: eccesso di iper-strutturazione del tempo, mancanza di progettualità, tanti sogni e pochi o nessuno di essi diventano realtà
  6. stress valoriale: assenza di valori di riferimento, assenza di riferimenti, perdita di senso, non credere più in niente

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Articolo Copyright. Estratto dal volume Il Potenziale Umano, di Daniele Trevisani – www.studiotrevisani.it – www.danieletrevisani.com

Arti Marziali e Combat Sports per la salute fisica e mentale

articolo a cura di Nicola Ferrari, Campione Italiano di Kickboxing Low-Kick-Light Iaksa 2011, Red Belt Sistema Daoshi

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La comunità medica è ormai concorde nel considerare lo stress costante e acuto una delle principali cause di malattie.

come sostenere,quindi, il sempre più stressante stile di vita della moderna società?

Per cercare la miglior risposta a questo quesito ci dobbiamo spostare in oriente,dove affondano le radici delle arti marziali,dei profondi ed antichi valori morali e una concezione dello stile di vita, così  profondamente diversa dalla nostra troppo influenzata dal consumismo e da una moralità sempre più corrotta da falsi valori, venali e materialisti.

Le arti marziali e gli sport da combattimento, infatti, hanno come obiettivo fondamentale il continuo miglioramento dello stato fisico e mentale permettendo così il raggiungimento di un duraturo stato di “benessere”sia fisico che psicologico (oltre alla necessità di autodifesa),almeno questo è quanto gli antichi maestri professavano e quanto viene tramandato di generazione in generazione. È interessante notare come tale obiettivo coincida con la moderna definizione di“salute”, cioè, “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o infermità“. data dall’OMS, organizzazione mondiale della sanità.

A questo punto È inoppugnabile che i praticanti di arti marziali e sport di combattimento abbiano uno scopo assolutamente degno di essere perseguito e ogni individuo possa essere praticante di arti marziali, vista  l’inesistente necessità di prerequisiti.

Vediamo nel dettaglio alcuni dei benefici che ci permettono di sostenere questa tesi.

-benefici fisici ormai provati da molteplici studi scientifici:

le arti marziali e gli sport da combattimento si possono classificare come attività aerobica quindi la pratica costante comporta una serie di positive modifiche al nostro corpo, le più importanti sono:

  1. modifiche biochimiche dei tessuti cellulari,permettendo cosi,l’aumento dell’apporto di ossigeno nei mitocondri (parte della cellula che produce energia) e il conseguente aumento del consumo di carboidrati (i grassi vengono trasformati in carboidrati nel nostro organismo quindi con carboidrati si prendono in considerazione anch’essi) queste modifiche in pratica fanno si che si formino più difficilmente “accumuli di grasso”
  2. modifiche al sistema cardiocircolatorio con conseguente aumento di resistenza e efficienza del cuore e relativo apparato. Questo è sinonimo di prevenzione di malattie cardiovascolari
  3.  Aumento dell’efficienza ventilatoria e Aumento dei volumi polmonari risolvendosi così problemi come ad esempio asma o riniti
  4.  in oltre con la pratica delle arti marziali si ha un aumento della flessibilità e agilità  delle articolazioni. Questo fa si che ne venga preservata l’efficienza sino in età avanzata.

Alcuni benefici psicologici sono:

  1. l’aumento della sicurezza di sé: affrontare molteplici persone di ogni tipo di corporatura aumenta la sicurezza di sé togliendo molte paure. Questo consente di rimanere calmi permettendo la valutazione della situazione in modo più chiaro e   obiettivo permettendo così il raggiungimento di obiettivi che non ci si sarebbe mai aspettato di raggiungere.
  2. si è notata una diminuzione del livello di ostilità, aggressività e ansia in concomitanza con  l’aumento dell’esperienza del praticante di arti marziali.

Tutto questo è sinonimo di grande miglioramento della qualità di vità e significativa riduzione dell’impatto che lo stress esercita sulla nostra salute,permettendoci così di vivere una vita degna di essere vissuta, nonostante tutti gli ostacoli e le situazioni che ci si trova costretti ad affrontare.

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Bibliografia:

  • Dr. Chiara Biondani, L’ATTIVITA’ FISICA:TRA TERAPIA E PREVENZIONE – ISTRUZIONI PER L’USO
  • Gabriele Borello,5 benefici delle arti marziali,  pubblicato in QNM, 11/01/2011
  • Associazione per la Ricerca sulla Depressione ,Dallo stress alla malattia , di S. Di Salvo, S. Cavalitto e G. Cicuto

Il Coaching Psicologico per le Arti Marziali e gli Sport da Ring

Il Coaching Psicologico per le arti marziali

Allenare la Mente, e costruire il ponte verso i nostri ideali

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Immagine di sé (Self-image), identità e ruoli, conflitti in­te­rio­ri, pulizia mentale

Dobbiamo costruire un modello di noi stessi verso il quale tendere. Un prototipo, un concetto, un’immagine visiva, un modo di essere, che consideriamo un miglioramento, un’aspirazione da raggiungere. Senza aspirazioni, senza riferimenti, senza ideali, l’uomo muore (Daniele Trevisani)

L’immagine di sé corrisponde a ciò che noi pensiamo di noi stessi. Costituisce una forma di auto-percezione, di auto-immagine, con la quale ci misuriamo costantemente.

Risponde in pratica alla domanda “cosa penso davvero di me?”, “come mi vedo?”. La “fotografia di noi stessi” può piacerci o meno, ed in genere, quanto più e bassa tanto più diminuiscono le energie mentali. Con alcune importanti eccezioni da esaminare.

In genere le energie mentali crescono quanto meglio riusciamo a sentirci con noi stessi, accettarci, piacerci.

L’importante eccezione è la seguente: le situazioni in cui non ci sentiamo bene con noi stessi possono svolgere funzione positiva quando questa insoddisfazione si trasforma in un piano di lavoro e azioni concrete di cambiamento. In altre parole, non piacersi e macerarsi in questo stato è distruttivo per le energie mentali, mentre non piacersi, ma trovare una strada di miglioramento e praticarla, è un modo efficace per generare energie.

Uno dei compiti essenziali del coaching, sul piano etico, è quello di determinare se il “non piacersi” sia su variabili importanti e “giuste” o su aspetti di vita pericolosamente sbagliati, o assorbiti da modelli altrui improduttivi, mode effimere, esempi esposti dai media, il cui perseguimento finirebbe per fare danni elevati alla persona.

Ad esempio, molte modelle non si piacciono e vorrebbero vedersi sempre più magre, diventando anoressiche, con casi accertati di morti per anoressia.

Un coach (LifeCoach o FitCoach, o un consulente, o un medico) che aiuti questa persona ad essere tanto magra al punto di morire non è un coach ma un perfetto idiota e un delinquente. Aiutare le persone a perseguire obiettivi distruttivi è moralmente sbagliato. L’aiuto ha sempre uno sfondo etico.

Nessun problema invece per un coaching in cui una persona non sia soddisfatta delle proprie capacità di comunicazione, di negoziazione, o di leadership, o di vendita, e voglia migliorarle, o ancora non accetti un corpo evidentemente fuori forma, flaccido, e voglia essere tonico e sano, o ancora sia in perfetta forma ma voglia trovare una condizione agonistica di picco.

Trasformare gli stati di insoddisfazione in azioni positive quindi è uno dei compiti fonda­mentali del coaching.

Su quali temi può lavorare un coaching profondo?

Le forme specifiche di autoimmagini possono essere numerose e provenire da diversi angoli di osservazione.

Distinguiamo alcuni piani di osservazione o analisi:

Ü Self-image intellettuale: l’immagine di noi stessi sul fronte dell’intelligenza che ci attribuiamo, della capacità di interagire con le persone su un piano culturale, di usare la mente in modo raffinato;

Ü Self-image dello spessore umano e morale: il nostro auto-giudizio su co­­me applichiamo alcuni valori in cui crediamo, il nostro valore morale. Comprende il giudizio su alcune delle scelte fatte in passato, il gradimento o rifiuto che abbiamo per noi e il valore morale che ci attribuiamo. Sul piano del coaching, è essenziale che il coach riesca ad isolare i fallimenti passati e ripulirli da giudizi errati sul proprio spessore umano e morale (au­toflagellazione improduttiva), per inquadrarne invece le reali condizioni, situazioni e difficoltà incontrate;

Ü Self-image di ruolo professionale attuale: analisi limitata al piano della per­cezione di sé sul lavoro, come professionisti, lavoratori, o comunque nell’occupazione attuale;

Ü Self-image dei ruoli e identità del passato personale: autovalutazione e gradimento di chi e come eravamo in diversi momenti della nostra vita passata;

Ü Self-image bloccata nell’evento: un’immagine di sé negativa legata ad un evento critico (critical incident), es., una perdita, un fallimento, un atto spiacevole compiuto – che non viene accettata, superata, metabolizzata;

Ü Self-image relazionale: l’immagine che abbiamo delle nostre abilità di re­lazione con gli altri. All’interno, ancora più in profondità, possiamo trovare altri piani sempre più analitici, alcuni dei quali citati di seguito;

Ü Self-image della seduttività: l’immagine che abbiamo di noi come seduttori, amatori, comunicatori efficaci, sino alle relazioni sessuali;

Ü Self-image agonistica: l’immagine di ruolo che abbiamo di noi come lottatori, sia in azioni proattive (di “attacco” a problemi e situazioni) che difensive, quando qualcuno attacca il nostro territorio fisico o psicologico. La ricerca del prototipo interiore può assumere le sfumature di guerriero fisico, di mediatore, o di soggetto abile nelle sfide verbali, di chi “non si lascia pestare i piedi”, o ancora di chi “preferisce sempre parlarne”, o di uno con cui “è meglio lasciare perdere”, o del “perdente”, e altre;

Ü Self-image di ruolo genitoriale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni (o cattivi) padri o madri, reali o potenziali;

Ü Self-image di ruolo filiale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni o cattivi figli, rispetto ai doveri sociali introiettati e attivi in noi;

Ü Self-image corporea: l’immagine che abbiamo del nostro corpo, anch’es­sa connessa al gradimento o rifiuto che proviamo per essa (self-sa­tisfaction corporea);

Ü Self-image complessiva: la sommatoria di auto-immagini, il quadro com­ples­sivo della nostra auto-percezione.

Il quadro delle percezioni è spesso confuso e dissonante. Possiamo trovarci a nostro agio con una delle nostre auto-immagini ma non con un’altra.

Ogni autoimmagine non accettata può produrre

–          un calo delle energie mentali, quando emerge la rassegnazione verso lo stato negativo (da non confondere con auto-accettazione dei propri limiti), o si scatena senso di colpa e frustrazione associati a senso di impotenza, o

–          incremento delle energie mentali, quando la consapevolezza di un tratto negativo stimola il senso di orgoglio e la volontà di lavorarvi sopra, e viene individuato un percorso concreto nella direzione voluta. Anche piccolissimi passi possono sbloccare la situazione.

Per questo motivo, l’immagine di sé va chiarita sui diversi distretti psicologici e non solo in termini generali.

Un buon modo di partire è porsi la domanda (o porla, per i coach, formatori, terapeuti, educatori e counselor): In cosa sei diverso da come vorresti essere?… per poi entrare nello specifico.. es. Che tipo di manager vorresti essere, e in quali situazioni non si senti come vorresti? Ed ancora: Che tipo di professionista vorresti essere? Dove, in cosa, con chi non riesci ad essere come vorresti? Cosa ti piace e non ti piace fare in particolare?  Con chi non ottieni i risultati che vorresti? Quando accade? Esaminiamo in dettaglio come ti muovi: cosa ti succede quando…? Dove invece ti senti funzionare al meglio? In quali situazioni? Facciamo qualche esempio…

Un coaching psicologico si distingue ampiamente da un coaching strettamente sportivo proprio perché riesce a diventare il “ponte” che aiuta le persone ad avvicinarsi ai propri ideali non solo come atleti o praticanti, ma soprattutto come esseri umani che vivono a pieno la loro vita.

Vivere a pieno o vivere a metà? Molti atleti e praticanti agiscono e migliorano solo nel corpo e nelle tecniche, ma non nella maturità mentale e morale.

Chi riesce a generare questa relazione d’aiuto forte, deve essere fiero di sé come istruttore, come Maestro, al di là di qualsiasi aspetto legato all’agonismo, alla forza o alla potenza che possiamo generare nelle persone.

Nulla ha senso in una vita che ha perso di senso. Il coaching psicologico è quindi un motore di motivazione, uno stimolo a migliorarsi da qualsiasi condizione o stato siamo, uno stimolo ad accettarsi per poi tendere verso un piano superiore di ricerca.

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano e Psicologia, coach e formatore presso www.studiotrevisani.itwww.studiotrevisani.com e Direttore di www.medialab-research.com –  Insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.

La rana nella pozzanghera… (storie di ribellione e mancata ribellione)

Articolo di Daniele Trevisani, Copyright 2010, Studio Trevisani. Anticipazione editoriale dal volume Il Potenziale Umano.

… ogni essere umano possiede dentro di sè una energia che tende alla realizzazione di sè, e – dato un clima psicologico adeguato – questa energia può sprigionarsi e produrre benessere sia personale che per l’intero sistema di appartenenza (famiglia, azienda, squadra).

Oltre al clima psicologico favorevole alla crescita, è importante  la possibilità di non essere soli nel percorso e avere compagni di viaggio (condizione 1). Una condizione ulteriore indispensabile (condizione 2) è sapere dove muoversi, verso dove andare, poter accedere ad un modello o teoria che guidi la crescita.

Con questa duplice attenzione, lo sviluppo personale diventa un fatto perseguibile, non più solo un sogno o un desiderio.

Una persona, un’azienda, un atleta, una squadra, sono organismi in evoluzione che spesso anziché evolvere in-volvono, o implodono, si consumano.

Tutti desideriamo la crescita e il benessere ma a volte ci troviamo di fronte a risultati insufficienti (sul lavoro, o nei rapporti di amicizia, o nel nostro percorso di vita) e a stati d’animo correlati di malessere, sfiducia o calo di autostima.

Dunque, bisogna agire. Ma ancora più interessante – prima di affrontare il come agire – è capire quando nasce il bisogno. Alcune domande provocative:

  • Quali sono i limiti inferiori, i segnali che ci informano del fatto che è ora di cambiare, che qualcosa non va, o che vogliamo essere migliori o anche solo diversi? Dobbiamo aspettare di raggiungerli o possiamo agire prima?
  • Quando prendiamo consapevolezza del bisogno di crescere o evolvere?
  • Da cosa siamo “scottati”, quali esperienze o fatti ci portano a voler evolvere? Quali sono i critical incidents che ci segnalano che è ora di una svolta? Dobbiamo attenderli o possiamo anticiparli?

critical incidents possono essere eventi drammatici o invece di piccola portata, ma comunque significativi, come lo svegliarsi male e non capire perché. Può trattarsi di un accadimento che ci ha riguardato e non riusciamo ad interpretare, non riusciamo a capire cosa sia successo. Possono essere casi di vita come la perdita di un lavoro, o una trattativa andata male, una gara persa, un litigio, una relazione che non va, o anche solo la difficoltà a raggiungere i propri obiettivi quotidiani. Può anche trattarsi di una malattia fisica o sofferenza psicologica. In ogni caso, la vita ci presenta continuamente sfide che non riusciamo a vincere, e alcune di queste fanno male.

Spesso rimanere “scottati” (da un’esperienza o stimolo) è indispensabile per acuire lo stato di bisogno, ma – come dimostrano gli studi sulla fisiologia –  l’organismo degli esseri viventi si abitua anche a stati di sofferenza cronica e finisce per considerarli quasi accettabili. Finisce per conviverci.

La metafora della rana nella pozzanghera, vera o falsa che sia, è comunque suggestiva: leggende metropolitane sostengono che una rana che si tuffi in una pozzanghera surriscaldata dal sole reagisca immediatamente e salti via. La rana scappa dall’ambiente inospitale senza bisogno di complicati ragionamenti. D’estate, una rana che sia nella stessa pozzanghera – la quale progressivamente si surriscalda al sole – non subisce lo shock termico istantaneo e può giungere sino alla morte, poiché – grado dopo grado – il peggioramento ambientale procede, in modo lento e costante, e non si innesca lo shock da reazione.

Non ci interessa la biologia delle rane, se la leggenda sia vera o falsa, e nemmeno se questo sia vero per tutte le rane. Interessa il problema dell’abitudine a vivere al di sotto di uno stato ottimale o della rinuncia a crescere, la rinuncia a credere che sia possibile una via di crescita o (nei casi peggiori) una via di fuga o alternativa ad un vivere oppressivo, intossicato, o semplicemente al di sotto dei propri potenziali.

L’abitudine all’ambiente negativo porta ad uno stato di contaminazione e alla mancanza di uno stimo di reazione adeguato. Si finisce per non sentire più il veleno che circola, l’aria viziata o velenosa.

Bene, in certe zone dello spazio-tempo, del vissuto personale, l’aria è ricca di ossigeno, ma in altre, larga parte dell’aria che respiriamo è viziata, e non ce ne rendiamo conto.

In certe aziende, famiglie o gruppi sociali (e persino nazioni), la persona, e la risorsa umana (in termini aziendalistici) assomiglia molto alla rana: può trattarsi di uno stagno visivamente splendido e accogliente, con entrate sontuose e atri luminosi, ma che – vissuto da dentro – diventa una perfida pozza venefica nella quale non si riesce più a “respirare”, e si finisce per soffocare.

Nella vita gli ambienti circostanti mutano ma non sempre con la velocità sufficiente ad innescare lo shock da reazione, e ci si sforza di adattarsi o sopportare. In altre realtà opposte, l’ambiente è invece favorevole e permette all’essere umano di realizzarsi.

Lo sforzo di adattamento produce un adeguamento inferiore, un blocco della tendenza attualizzante: la tendenza ad essere il massimo di ciò che si potrebbe essere, la tendenza a raggiungere i propri potenziali massimi di auto-espressione. Il nostro scopo è invece di perseguire la tendenza autoespressiva ai suoi massimi livelli: la tendenza di ogni essere umano ad essere il massimo di ciò che può essere.

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Articolo di Daniele Trevisani, Copyright 2010, Studio Trevisani


Psicologia della motivazione

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.4. Ricerca dei drivers motivazionali

Come si può notare, il tema esistenziale (meaninglessness vs. ricerca dei significati) è centrale non solo per il fronte psicoenergetico, ma anche per la costruzione di una Vision e di una progettualità.

Perché questo? Perché la mancanza di un senso può produrre effetti devastanti, dalla carenza di scopi personali al senso di inutilità dell’agire, sino a bloccare la ricerca di nuovi orizzonti esterni (ricerca esteriore) o interni (ricerca interiore). La mancanza di senso produce il limitarsi delle energie mentali alla pura sopravvivenza, e spesso nemmeno a quella.

Kinnier e altri autori individuano dieci credenze dominanti che fungono da ancoraggi o interpretazioni della vita[1]:

1. La vita è gioire della vita e vivere l’esperienza della vita

2. la vita è amare, aiutare, servire gli altri

3. La vita è un mistero

4. La vita è senza significato                      

5. La vita è servire Dio e prepararsi all’aldilà

6. La vita è fatica

7. La vita è contribuire a qualcosa più grande di noi stessi

8. La vita è auto-realizzarsi

9. Ognuno deve creare da solo un senso personale della vita

10. La vita è assurda o è uno scherzo.

Ciascuno di questi driver (motori profondi) interagisce con la cultura individuale e con la propria personalità.

In un soggetto possono scatenare una forte produzione psicoenergetica alcuni di questi (es.: 1, 2, 7, 8) mentre altri sono in grado di distruggere o minare la sua voglia di vivere (10, 6, 4), e per ciascuno esistono sfumature diverse. Naturalmente, ogni analisi vale nel tempo in cui è svolta, e il quadro può cambiare, anzi, deve cambiare in seguito ad un buon coaching o ad una formazione di qualità, in cui la revisione di priorità è risultato positivo e ricercato. Purtroppo, sul piano della relazione con se stessi, non conoscere quali sono i driver che ci attivano, è una lacuna gigantesca.

Ogni coach professionale deve localizzare quali sono i driver del cliente o del team in grado di accrescerne le energie mentali, e riuscire inoltre nell’operazione difficoltosa di inserire nuovi driver all’interno dei costrutti mentali già esistenti.

Questa operazione di arricchimento delle fonti di energia psicologica e motivazionale è di straordinario interesse e notevole complessità tecnica.

Operazioni di arricchimento sono possibili su più piani.

Es.: Per un atleta… tu non gareggi più solo per i soldi che guadagni ma anche per… un contributo ad una causa, per scoprire i tuoi limiti, per dimostrare chi sei, per riscattarti da quello che eri…

Per un praticante di fitness… tu non ti alleni più per dimagrire, il grasso e la pancia sono i falsi nemici, il tuo nemico vero è la noia, l’apatia, la tristezza, la vita dimezzata di uno che vive in catalessi nella pigrizia…

Per un operatore sociale… tu non stai accudendo un anziano, stai dando un senso alla tua esistenza…

Per un agonista…voglio che quando esci dal campo tu sia orgoglioso di come hai giocato, non dei punti che hai fatto…

Per un manager… voglio che, quando qualcuno ti chiede cosa hai fatto quest’anno nella tua zona, tu possa dire “ho costruito una buona squadra, ne sono orgoglioso”…

Per un ricercatore… tu scrivi, ma ricordati… non stai facendo una pubblicazione, a nessuno frega niente della tua pubblicazione, se non stai facendo qualcosa che serve veramente agli altri più che a te, stai sprecando tempo… se non è qualcosa di cui essere orgoglioso fai a meno… allora, cosa vuoi fare…?


[1] Kinnier, Richard T., Kernes, Jerry L., Tribbensee, N., Van Puymbroeck, Ch. M. (2003), What Eminent People Have Said About The Meaning Of Life, Journal of Humanistic Psychology, Vol. 43, No. 1, Winter.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

Potere personale di agire, di pensare, di provare: la lotta per la liberazione della Semiosfera

Potere personale di agire, di pensare, di provare: la lotta per la liberazione della Semiosfera (autore: Daniele Trevisani)

Certe anime sono come spugne.

Non si riesce a spremerne nulla

se non quello che hanno assorbito dagli altri.

Kahlil Gibran (da Scritti dell’ispirazione, traduzione di E. Dornetti, Feltrinelli)

Se la parola potere personale significa qualcosa, questo non è associabile solo a denaro o materia, oggetti piccoli o grandi, ma ha molto a che fare con il potere di decidere in autonomia cosa pensare, che priorità darsi o non darsi, cosa leggere, come vivere, cosa inserire nel proprio piano di vita. Le aziende e in generale qualsiasi gruppo si “impregnano” di concetti e ne lasciano l’odore sugli abiti di chi vi transita, e si finisce per abituarsi ad osservare non più con i propri occhi.

Provate ad esaminare una vostra giornata, anche quella di oggi o di ieri. Chiedetevi da quali pensieri dominanti ha avuto. Quali preoccupazioni sono state attive e vive in me?. Chiedetevi anche quali enormità di possibili altre idee o pensieri, attività e progetti, non ne sono stati parte. ad esempio: quante ore o minuti avete dedicato alla meditazione? Probabilmente poco o niente, se non abbiamo assorbito dagli altri una sensibilità per la meditazione. Quanto abbiamo dedicato al fare shopping? Quanto a lavorare? Quanto alle relazioni cui veramente teniamo?

Ed ancora: quanto al nostro benessere spirituale? Quanto al nostro benessere fisico e al potenziamento del corpo? Quanto al nostro desiderio di conoscenza?

Quanta parte di questa giornata è stata – chiamiamola così – “amministrativa” (nel senso di amministrare l’esistente), e quanta invece “di ricerca”, dedicata ad esplorare curiosità, idee, progetti, o fermarsi un attimo a chiedersi in che direzione vogliamo vada la vita?

Procedere verso la liberazione del potenziale, significa anche coltivare uno stile di vita diverso, o portare avanti un nostro sogno veramente costruttivo e non obbligato da altri

E allora, quanta attività mentale di questa giornata è frutto di pensiero autonomo?

Quanta materia grigia sprecata… riflettiamoci, quanto spazio neuronale viene occupato da cose che ci sono entrate senza che noi lo volessimo? Se vi dico “Sharon Stone”,  “Microsoft”, “Spider Man”, “Superman”,  “Armani”, “Audi o “BMW”, “Coca Cola”, sapete cosa sono? Avete numerosi neuroni e sinapsi dedicati a memorizzare questi nomi e questi brand, ma siete sicuri di averlo voluto voi? O ne siete stati in qualche modo contagiati?

La Semiosfera (sfera di significati, così definita dalla scienza semiotica)[1] è qualcosa che ci circonda, ci avviluppa. Bene, è venuto il tempo di entrare anche in altre sfere e decidere di quali significati nutrirsi, senza respirare a forza l’aria di una camera chiusa.

Un primo piccolissimo passo fattibile è andare in una biblioteca o libreria, e iniziare a sfogliare o acquistare qualche volume in qualche area che non abbiamo mai coltivato. Poi possiamo provare nuove musiche mai prima ascoltate, musiche etniche di ogni dove, o ancora fare ricerca in internet su concetti partendo da una enciclopedia, finché qualcosa non ci sollecita. Questo tanto per allenarci. Poi – e non è facile ma nemmeno impossibile – possiamo trasferire questa attitudine verso il progetto di rimettere mano allo stile di vita e di pensiero, alla Semiosfera attuale, e costruircene una un pò più nostra, un pò più autonoma, un pò più decisa e meno subìta.

L’autonomia del pensiero libero è qualcosa che va allenato, anche con piccoli atti e gesti.

Il pensiero autonomo è la possibilità di interessarsi e conoscere anche e soprattutto concetti e idee “altri” rispetto a ciò che la cultura (praticamente, o di fatto) obbliga a conoscere. Ad esempio, posso decidere di non voler sapere niente di reality show e loro personaggi, e farmi una cultura comparativa sulle diverse arti marziali, o sulle religioni, o su diverse medicine psicosomatiche e modi di curare il corpo. Posso fare moltissimo, se sviluppo un pensiero autonomo, sempre e comunque rispettando il principio di orientare queste energie verso fini positivi e costruttivi.

Questo pensiero autonomo è largamente dipendente dal monitor interiore.

Migliorando la qualità e precisione del monitor interiore è possibile aumentare il potere personale.

Ricordiamo che il monitor interiore è in sostanza un sistema di autodiagnosi, di lettura di se stessi e di ciò che siamo veramente, del nostro stato e condizione.

Il monitor interiore scansiona in continuazione le nostre capacità fisiche, psicologiche, creative, culturali e professionali, i valori della cultura nella quale siamo inseriti, e li mette a confronto con le nostre aspirazioni. Spesso finisce per reprimerle. Rare volte, lancia un lasciapassare, un semaforo verde. Il problema, come abbiamo notato, è che questo monitor non è preciso. Ci dice se possiamo provare o non provare un’azione o un’idea sulla base di letture distorte, ci dice se e cosa è giusto o sbagliato o verrà accettato o meno dagli altri soprattutto sulla base della cultura dominante (qualsiasi essa sia).

Più siamo in grado di tarare con efficacia questo monitor e ripulirlo da incrostazioni, più siamo in grado di sviluppare il nostro potenziale e il potere individuale. Una provocazione può essere utile. Qual è il tuo VO2 max attuale. Quale potresti invece raggiungere se ti allenassi bene e progressivamente?

Se non sai cosa è il tuo VO2 max, è perché questo concetto è fuori dalla tua Semiosfera. Bene. Questo dato indica la tua capacità aerobica, è “quasi” un indicatore della tua forza vitale fisica, della tua resistenza fisica. Potresti concetti, opinioni e significati associati a “parole” come Obama, Berlusconi, sapere cosa è Google o Nokia, o avere una tua teoria sulla morte di Lady Diana, magari sapere tutto di un certo gruppo musicale, e niente del tuo parametro vitale più importante? Bene, non fartene una colpa. Neanche io lo sapevo. Il tuo e il mio monitor interiore sono stati allenati a conoscere e misurare concetti diversi da quelli che ti servono davvero. I parametri che a te e a me farebbe comodo misurare sono altri. È ora di riprendersi in mano le redini del gioco.

Il VO2 max è solo una piccola provocazione. Potrei chiederti se hai valutato…. se ti sembra dare più benefico in termini di rilassamento… praticare Tai Chi, Pranayama, o Dao-Shi. Tu potresti guardarmi storto. Chiaramente, bisogna che questi ed altri concetti legati alle tecniche del benessere personale siano entrati nella tua Semiosfera, per poter dare una risposta. E non solo. Bisogna che siano diventati azione: essere andati a fare una lezione di prova di tutte e tre le diverse discipline. Ciò che non è nella Semiosfera personale non entra neanche nell’azione personale: non si agisce se non all’interno dei mondi che si conoscono. Più che mai, quindi, la conoscenza diventa libertà di azione.

Ed ancora: se uno ti chiedesse quale è il tuo livello di stress in questo momento della vita, e quanto è vicino o lontano dalla tua soglia ottimale, se sei in fase di overreaching o di stallo, e ti chiedesse un numero tecnico scientifico, non una sola impressione. Cosa gli diresti? Come tutti, non sapresti da che parte sbattere la testa, andresti a tentoni, su un parametro vitale corrispondente ai giri del motore e ai giri massimi che un motore può sopportare. Le lancette del contagiri di una qualsiasi macchina ce l’hanno. Noi no, se non in termini vaghi, impressionistici, imprecisi. Perché?

Un altro indicatore del fatto che la nostra Semiosfera è ricca di porcherie e povera di significati e conoscenza che ci servirebbe veramente.

Il nostro potere personale sta nel riprendere in mano i contenuti della nostra Semiosfera personale, lavorarla, metterci dentro quello che è utile, buttare fuori l’inutile. È ora di lottare, è ora di battersi per questi concetti, per noi e per tutte le persone cui teniamo, e per una umanità più libera e pulita.

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Autore dell’articolo: Daniele Trevisani, Studio Trevisani, Copyright riservato per anteprima editoriale. Articolo riproducibile e divulgabile solo con autorizzazione scritta dell’autore. E’ autorizzato riprodurre parti dell’articolo citando la fonte e il il link dell’indirizzo web dell’articolo



[1] Approfondimento: Il termine venne coniato da Juri Lotman, semiologo russo Jurij Michajlovič Lotman (1922 -1993), capofila della cosiddetta scuola di Tartu, in Estonia, ispirato dai termini di Vernadskij: biosfera e noosfera e propose quello di semiosfera. La nozione si ispira al concetto di biosfera per indicare lo spazio di significati in cui è virtualmente immerso ciascun sistema linguistico. La Semiosfera è il terreno in cui avviene la genesi, lo scambio e la ricezione di ogni informazione, in essa circolano testi, simboli, oggetti di consumo, modi di vestire, di parlare, di pensare..

Vedi anche

Hoffmeyer, Jesper. Signs of Meaning in the Universe. Bloomington: Indiana University Press. (1996)

Kull, Kalevi. “On Semiosis, Umwelt, and Semiosphere”. Semiotica vol. 120(3/4), pp. 299-310. (1998)

Lotman, Yuri M. “O semiosfere”. Sign Systems Studies (Trudy po znakovym sistemam) vol. 17, pp. 5-23. (1984)

Witzany, Guenther. “From Biosphere to Semiosphere to Social Lifeworlds.” In: Guenther Witzany, “The Logos of the Bios 1”, Helsinki, Umweb. (2006)