L’analisi dello stato di forma personale

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Per poter agire efficacemente nei programmi personalizzati è necessario conoscere il punto di partenza della condizione o stato di forma.

L’analisi dello stato di forma bio-energetico può essere svolta tramite:

  • test oggettivi di performance: test e prove che misurano una specifica va­riabile legata ad un distretto del sistema o alla prestazione congiunta di più distretti;
  • test di laboratorio: analizzano aspetti chimici e fisici di diverse aree e si­ste­mi;
  • autovalutazioni soggettive: analisi impressionistica praticata dal sogget­to stesso (spesso distorta da fenomeni di distorsione percettiva e atten­zione selettiva);
  • autovalutazioni guidate da check-list: analisi della presenza di sintomi e segnali correlati agli stati dei diversi sistemi, così come percepiti dal sog­getto stesso;
  • colloqui interpersonali con un coach o specialista (medico, preparatore, consulente, terapeuta), il quale utilizzi specifici modelli di que­stionario o intervista atta ad analizzare il tema, o abbia proprie esperien­ze e sensibilità per cogliere segnali deboli da approfondire successiva­mente.

 I test oggettivi di performance e i test di laboratorio

I test di performance analizzano il risultato complessivo del sistema corpo-mente a fronte di un input.

L’input può essere semplice (es.: ruotare le spalle per verificare la mobilità articolare e la rigidità dei muscoli), o complesso: realizzare un percorso ad ostacoli che richiede differenti abilità (salite, discese, passaggi), o la misura di un tempo di reazione ad uno stimolo.

Poiché vi è la compartecipazione di più apparati è necessario essere consapevoli di quali aree effettivamente vengono ad essere misurate con i test.

Sul piano fisico, prendendo a prestito alcuni parametri di valutazione sportiva, sarà possibile analizzare:

  • la resistenza allo sforzo prolungato (endurance);
  • la forza muscolare (forza massimale, es.: peso spostabile in un certo eser­cizio);
  • forza esplosiva (capacità di generare movimenti rapidi);
  • la flessibilità (articolare e muscolare).

Questi test impegnano soprattutto i sistemi cardiovascolari, muscolari e articolari. Altri test, quali quelli di coordinamento motorio, riguardano invece il funzionamento congiunto dei sistemi muscolari e del sistema nervoso.

Tutte le aree e distretti corporei possono essere monitorati nella funzionalità e nello stato di forma, tramite test opportuni.

I test di laboratorio consentono di misurare aspetti non visibili dello stato di carica di diversi sistemi. Rientrano tra questi tutti gli strumenti di diagnostica medica, tra cui:

  • esami di laboratorio (es.: esami del sangue);
  • test di laboratorio in setting controllato (es.: VO2 max per l’analisi dello stato di forma del sistema aerobico, e altri test);
  • test strutturali, es., la composizione corporea (massa grassa e massa ma­gra).

 Autovalutazioni soggettive

Sono le formule più semplici ma anche più suscettibili di errore, in quanto si basano sulla percezione stessa dell’individuo.

Ogni individuo vive all’interno di una serie di filtri percettivi (percezione selettiva, attenzione selettiva, memoria selettiva) che riducono la sua oggettività e rendono difficile una autovalutazione corretta.

Sono comunque utili per avviare un percorso di autoconoscenza e una prima identificazione delle aree critiche auto-percepite, che hanno comunque importanza sul piano soggettivo e psicologico.

 Autovalutazioni guidate da check-list

Sono basate sulla compilazione di test o di batterie di domande a risposta multipla (check-list) in cui sono presentati sintomi di problemi. Dalle risposte fornite è possibile ricavare una serie di indicazioni rispetto al funzionamento dei sistemi analizzati.

Colloquio interpersonale di coaching

Il colloquio interpersonale può utilizzare strumenti strutturati, come un questionario predisposto, strumenti semi-strutturati, come un questionario con parti libere e parti preconfezionate, o strumenti non strutturati, il colloquio in profondità, il colloquio basato su libere associazioni.

L’essenziale, nel colloquio di coaching, è che – mentre procede la rassegna sui vari temi di analisi – il coach impari ad osservare le espressioni non verbali che accompagnano il tema specifico, i segnali che possono trasmettere stati di disagio o problematiche senza che il soggetto le verbalizzi esplicitamente.

La consapevolezza dello stato corporeo

Nessun disagio, nessuna lacuna o mancanza è realmente grave se sappiamo dove è localizzata, da dove viene, come arrestarla.

Il “problema dei problemi” è invece la mancata conoscenza/consape­volezza dei dettagli di un disagio bioenergetico: la (1) misura, (2) localizzazione, e (3) motivazione (il perché è nato o persiste).

Se si riesce a capire la matrice di lifestyle (lo stile di vita, i comportamenti attuati, le abitudini) e di thinkstyle (stili di pensiero) che generano un disagio fisico o problema, è possibile sradicarlo, rimuoverlo alla radice.

Questo vale su ampia scala, sia esso un problema di alimentazione scorretta appresa, un problema di gestione del tempo per il riposo vs. tempo produttivo vs. tempo per il fitness (gestione dei macro-tempi personali), o ancora un problema dovuto a fattori genetici, o ancora a fattori ambientali.

È essenziale appurare ove si colloca e quale è la radice di un malessere bioenergetico.

Prendiamo una indigestione: cosa la ha generata? È stato il cibo o la combinazione di cibi (problema di scelta degli alimenti e delle associazioni alimentari)? È stato il momento della giornata in cui abbiamo mangiato quel cibo (relazione tra capacità digestiva del momento e assunzione di determinate qualità e quantità)? È stata l’attività svolta subito dopo mangiato (elemento di gestione del proprio stile di vita)? O è uno stato di stress emotivo che rende difficile la digestione? Siamo in grado di capire cosa l’ha provocata e come non farla più accadere?

Se non vengono compresi alla radice i comportamenti che provocano disagio bioenergetico, non sarà possibile fare avanzamenti, gli errori si ripeteranno e si aggraveranno.

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Concetti fondamentali: la visione della persona come sistema energetico

Il metodo HPM per il coaching

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente,  le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

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Allenamento Personalizzato, Personal Training, Personal Coach

L’allenamento personalizzato  o “Personal Training” è un lavoro specifico del Personal Trainer o del Personal Coach. Può riguardare la salute corporea, il livello di fitness, la potenza, la forza, la capacità aerobica, il dimagrimento, l’incremento dello stato di forma, l’aspetto fisico, o l’allenamento funzionale legato ad un sport specifico.

personal training allenamento personalizzato

Il concetto cardine dell’Allenamento Personalizzato è quello di realizzare un “percorso di allenamento centrato sugli obiettivi” con una specifica durata e specifici sotto-obiettivi legati al macro-obiettivo che stiamo perseguendo, e farlo con l’aiuto di un professionista.

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Approfondimenti sull’Allenamento Personalizzato, Personal Training e Personal Coaching con il Dott. Fabio Trevisani, Personal Trainer e Sports Coach certificato Coaching World Federation (CWF)

Coaching World Federation

Di seguito, proponiamo alcune informazioni chiave che è bene sapere quando ci si avvicina al coaching personalizzato, al personal training e all’allenamento personalizzato.

Allenamento sportivo

Materiale con nostre elaborazioni su fonte Wikipedia.
Con il termine allenamento sportivo (in inglese training) si intende il processo di adattamento fisiologico allo sforzo fisico del corpo umano compiuto dall’atleta al fine di migliorare la propria prestazione sportiva ovvero di intervenire, in modo organizzato, verso la pratica sportiva così da poter esprimere le migliori prestazioni nell’ambito di una competizione e/o per benessere psicofisico proprio.

“Mescolando” ingredienti di vari campi (fisiologicobiomeccanicopsicologicopedagogicobiochimico ed anatomico) in un modo tuttavia differente, si è creata una vera e propria “scienza dell’allenamento” a sé stante. Il fondatore di tale pratica è ritenuto L.P. Matveev, scienziato russo, sebbene notevoli contributi teorici: scienziati, questi, che operavano prevalentemente nella capitale russa e a Lipsia (Germania[1]) (memorabile la storia di Bernstein, caduto in disgrazia poiché “oppositore” di Ivan Pavlov; dal punto di vista storico, va invece menzionato l’apporto di Seyle).

Secondo gli obiettivi tramite l’allenamento si avrà dapprima un peggioramento delle capacità e solo dopo un periodo durante il quale avverrà la supercompensazione si avrà una capacità di prestazione migliore rispetto a quella di partenza. Questo sarà seguito da un periodo di relativa stabilizzazione e da un periodo di diminuzione di queste capacità.[non chiaro] L’allenamento prevede le figure della persona che lo pratica (atleta) e della persona che lo dirige (allenatore)

Obiettivi perseguiti

Essenzialmente si possono raggruppare gli obiettivi dell’allenamento in tre aspetti:

  • Prevenzione di inabilità nel movimento
    • Persone che si muovono poco nel lavoro,
    • Scolari,
    • Anziani;
  • Riabilitazione dopo
  • Miglioramento e mantenimento delle capacità motorie del corpo
    • in persone che praticano attività sportiva amatoriale,
    • in atleti professionisti.

Cosa viene allenato

Vengono allenate le capacità condizionali: rapiditàforzaresistenzamobilità articolare, come anche abilità coordinative: equilibrio, capacità di differenziazione, orientamento, anticipazione, capacità di adattamento, di reazione e senso del ritmo. L’allenamento tuttavia, in quanto formazione della persona umana per lo svolgimento di compiti specifici legati alla pratica sportiva nei diversi livelli in cui si attua, presenta sempre una notevole dimensione pedagogica che non deve essere mai trascurata.

Come agisce l’allenamento

Il carico (stimolo allenante) porta a una variazione dell’equilibrio biochimico dell’organismo (variazione dell’omeostasi). Per essere meglio preparato a futuri carichi dello stesso tipo, il corpo reagisce con un adattamento, dal quale risulta un migliore stato funzionale. Un esempio è la supercompensazione delle scorte di glicogeno nei muscoli sottoposti ad un carico di resistenza.

Per controllare correttamente l’allenamento, e quindi organizzare gli stimoli dei carichi in una sequenza che non sovraccarichi l’organismo, è necessaria una esatta conoscenza del carico delle singole unità allenanti (seduta d’allenamento) e dell’effetto della loro sommatoria. Il carico d’allenamento viene valutato in base alle cosiddette normative del carico.

Tipi di allenamento

Allenamento aerobico

Partendo dal presupposto che la scelta della tipologia di allenamento dipende da quelli che sono gli scopi e le capacità del soggetto, l’allenamento di tipo aerobico è tra i più scelti (anche se il più delle volte inconsapevolmente). Come ogni strumento, se non utilizzato correttamente, finisce per non dare i risultati attesi.

Infatti l’allenamento di tipo aerobico è il principale strumento utilizzato dall’utente medio per perdere i chili di troppo, o, in gergo tecnico, mobilitare le riserve lipidiche. La condizione necessaria perché questo avvenga è che l’allenamento sia appunto condotto al di sotto della soglia anaerobica, il che vuol dire che l’atleta non deve mai andare in debito di ossigeno. Per fare un esempio lampante si potrebbe parlare dell’individuo medio che 3 o 4 volte a settimana va a fare un po’ di “Jogging”. Infatti la corsa è un ottimo esercizio per lavorare in aerobiosi, ma, come detto prima, bisogna sapere come correre, a che velocità, per quanto tempo, ecc.

Le tre cose che si devono sempre tener presenti sono:

– Le riserve lipidiche cominciano ad essere mobilitate dopo circa 20 minuti di esercizio aerobico. Fare una “corsetta” di mezz’ora probabilmente non aiuterà se l’obbiettivo è quello di perdere peso (questo perché le prime riserve energetiche mobilitate quando si svolge un esercizio fisico sono prevalentemente quelle del glicogeno e, solo successivamente si inizieranno a mobilitare le riserve lipidiche come combustibile per il nostro esercizio. N.B. Ciò non vuol dire che per i primi 20 minuti si utilizza solo glicogeno e dopo i 20 minuti solo i lipidi, ma le percentuali variano: all’inizio il contributo maggiore è a carico del glicogeno per circa l’80%, mano a mano che si corre queste percentuali cambiano fino a quando il substrato utilizzato all’80% sarà il grasso corporeo).

– La corsa (nel nostro esempio) deve mantenersi sempre in ritmo aerobico, il che vuol dire che non si deve cercare di fare il maggior numero di km nel minor tempo possibile, anzi, più tempo si corre e meglio è. L’andatura ideale è tra i 7 e i 10 km/h. (Ovvio è che ognuno percepisce il modo diverso la fatica, e ciascuno di noi ha soglie anamorfiche differenti, oltre che un grado di allenamento o “fitness” personale).

– Non è vero che più si suda più si dimagrisce! Infatti correre con indumenti non traspiranti come i k-way è un ostacolo alla traspirazione (meccanismo atto a disperdere il calore corporeo generatosi durante l’esercizio fisico). Un cenno lo meriterebbero anche le calzature utilizzate e il modo corretto di correre, ma ci si addentrerebbe in questioni meramente tecniche che poco hanno a che fare con l’allenamento aerobico.

Periodizzazione dell’allenamento o Ciclizzazione

La pianificazione dell’allenamento segue l’organizzazione della stagione agonistica ed è così suddiviso:

  • Macrociclo: Da circa 1 anno a 4 anni, ad esempio nel ciclismo dal 1º novembre al 30 settembre (1 mese di pausa per il recupero), mentre nelle discipline olimpioniche dura 4 anni.
  • Mesociclo: alcune strutture di allenamento vengono organizzate in periodi che durano all’incirca un mese. In altre discipline sportive il periodo annuale è diviso in cicli che durano da due a quattro settimane.
  • Microciclo: corrisponde alla durata di circa una settimana.

Bibliografia

Voci correlate

Personal trainer

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Il personal trainer (anche detto allenatore personale e convenzionalmente indicato dalla sigla PT) è la figura professionale preposta a gestire in maniera individualizzata l’esercizio fisico di coloro che si avvicinano o praticano attività fisica per migliorare il proprio stato di salute o di forma fisica.

Un’altra importante area di intervento del personal trainer è relativa all’educazione a stili di vita salutari e al ruolo di motivatore nell’ambito della pratica dell’attività fisica.

Le quattro skills del Trainer/Leader

“Leader” dal verbo inglese “to lead”, ovvero guidare, condurre, sono termini che ben si sposano con l’operato del personal trainer, che nel suo rapporto col cliente riveste in effetti un ruolo di leader: il cliente stabilisce in qualche modo i suoi obiettivi, funzionali od estetici che siano, ed il trainer lo guida, lo conduce al raggiungimento di questi obiettivi attraverso una serie di competenze e abilità personali. È difficile però assegnare una definizione precisa di leader o leadership, tutti sanno nominare questi termini ma nessuno sa definirli con esattezza e, di fatto, chi tenta di definire la leadership, automaticamente la limita. Questo perché la leadership rappresenta un concetto complesso che racchiude in sé molti valori, capacità, esperienze di vita e il cosiddetto fattore X, ovvero l’unicità che contraddistingue ogni essere umano. In passato la leadership veniva considerata come il risultato di fattori innati e genetici oppure, al contrario, il risultato di fattori ambientali, esperienziali. Ad oggi svariate ricerche hanno evidenziato come la leadership si possa apprendere ed affinare, e come di conseguenza sia da considerare una capacità che noi tutti possediamo almeno a livello potenziale. Durante un interessante seminario sostenuto dal professor Gianfranco Piantoni, affermato formatore in ambito di leadership, presso l’Università Bocconi di Milano , egli elencò le 4 skills principali del vero leader, abilità affiancata alla figura del personal trainer moderno.

“Il vero leader principalmente cosa fa ?” Nell’ordine : 1 rischia; 2 innova; 3 insegna; 4 mobilita;

1. Il trainer/leader rischia

Il trainer nel momento in cui diventa libero professionista o imprenditore, scommette su se stesso e sulla propria capacità di decidere, organizzare, convincere un potenziale cliente. Gli atteggiamenti che assume sono svariati: innanzitutto, ponendosi in una logica di “imprenditore di se stesso”, gioca un ruolo attivo nei confronti del lavoro, visto che sceglie di mettersi in proprio piuttosto che di lavorare alle dipendenze di altri soggetti. Bisogna poi considerare la capacità e la volontà di organizzare il proprio lavoro e quello degli altri, gestendo tutto fin dall’inizio, nella consapevolezza dei fattori di rischio dell’idea imprenditoriale. Le difficoltà sono tante e spesso facilmente superabili se la scelta di mettersi in proprio è fatta con la giusta consapevolezza e se si possiedono le capacità manageriali e professionali necessarie per affrontare le difficoltà gestionali dell’attività. Restano importantissime e fondamentali le competenze tecniche necessarie per la realizzazione e l’erogazione di un servizio valido sotto il profilo della qualità, senza però trascurare le capacità nel raccogliere le fonti di finanziamento per poter avviare l’attività, limitando se possibile il rischio imprenditoriale.

Attenzione! Decidere di avviare un’attività autonoma non significa che questa avrà successo per sempre: i gusti dei consumatori e dei clienti cambiano molto velocemente, condizionati dai media e dalle mode del momento, come assai rapidamente cambiano le condizioni che danno successo ad una impresa.

Il trainer nel suo ruolo di imprenditore è di certo una persona che rischia, consapevole che le sue scelte potrebbero in futuro non essere più coerenti con i bisogni del mercato del fitness, un mercato caratterizzato da un continuo fermento. Chi gestisce un’attività autonoma, chi scontra ogni giorno con tante problematiche e deve essere in grado di gestirle razionalmente, senza ansia e frustrazioni, pianificando e organizzando tutto al meglio.

Il vero leader ha innanzitutto il coraggio di portare avanti le proprie idee con coerenza, anche a costo di attirare su di sé delle critiche. Ma mentre le competenze organizzative e gestionali si possono apprendere e potenziare con validi percorsi formativi, per quanto riguarda valori come coraggio, costanza e coerenza… questi sono valori che non si imparano all’università o a scuola ma ci vengono dall’educazione e dalla disciplina ricevuta in famiglia ed in parte dalle esperienze sociali che ognuno d noi si trova ad affrontare e gestire nell’arco della vita. Per comprendere meglio questa skills basta fare riferimento ad una citazione di John Lasseter, direttore creativo della Pixar(la major cinematografica dei cartoni animati) che caldamente consiglia: “Fate in modo che i vostri sogni infantili si avverino e abbiate il coraggio di correre dei rischi. A costo di lavorare anche di sera, di notte, il sabato, la domenica, nei festivi, ininterrottamente sotto la spinta della passione e dell’entusiasmo per ciò che si fa”.

2. Il trainer/leader innova:

La seconda skills è quella che riguarda gli aspetti più creativi ed innovativi della leadership. Pensiamo solo alle mode che nel fitness cambiano di continuo, ai concorrenti che, sempre più intraprendenti, si affacciano sul mercato; alla nostra pubblicità che da un momento all’altro diventa inefficace. Di fronte a questo tipo di avvenimenti, il trainer deve essere in grado di adeguare il tipo di servizio offerto, di studiare nuove strategie, “nuove nicchie” da servire ed accontentare; il trainer dovrà essere in grado in qualsiasi momento di innovare, cambiare, modificare qualcosa all’interno della propria attività. Un’attività la cui gestione comporta continue relazioni con clienti, collaboratori, partners, banche, enti pubblici, consulenti, ecc.

La buona gestione di queste relazioni è essenziale per il successo dell’attività, nonostante richieda un importante investimento in fatto di tempo ed il possesso di capacità relazionali.

Il trainer/leader in qualche modo inventa, crea la soluzione giusta ed aumenta per mezzo di un contributo diretto “il metabolismo basale della propria attività”, anche attraverso la capacità di sorprendere e di non dare tutto per scontato, trovando un modo unico e speciale di portare avanti la professione o l’impresa, differenziandosi così dalla concorrenza.

3. Il trainer/leader insegna

Questa skills può essere compresa appieno grazie ad un aforisma di Socrate: “L’insegnante mediocre racconta. Il bravo insegnante spiega. L’insegnante eccellente dimostra. Il maestro ispira.”

Il maestro dunque , oltre ad insegnare, racchiude in sé due caratteristiche piuttosto interessanti della leadership: l’essere d’esempio e l’essere d’ispirazione.

Basti pensare ai tantissimi personaggi e professionisti del fitness che da anni vengono presi come esempio non solo da trainer alle prime armi, ma soprattutto da professionisti già avviati che vedono in queste figure di riferimento una fonte di continuo approvvigionamento, di vera e propria ispirazione.

I veri leader e i veri maestri mostrano la via agli altri quasi inconsapevolmente, spinti principalmente dalla forza della passione per l’attività che svolgono, facendo così acquisire conoscenze, fornendo adeguate istruzioni e relative dimostrazioni sul campo ; queste figure ispirano le persone, occupandosi della loro autostima e stimolando la loro capacità di autodeterminarsi. Ma soprattutto sanno comunicare: Winston Churchill, uno tra i personaggi più rilevanti del secolo scorso, sosteneva che:” La differenza fra il semplice management e la leadership è la comunicazione”.

È un dato di fatto: la comunicazione efficace va a braccetto col successo e chi rafforza nel tempo le proprie capacità comunicative, riesce meglio e prima degli altri a plasmare il messaggio, raggiungendo i propri obiettivi in ogni settore della vita.

4. Il trainer/leader mobilita

Il leader non è tanto colui che decide tanto per decidere, è piuttosto qualcuno che sa mobilitare se stesso e gli altri attorno al conseguimento dei risultati, nel nome di un futuro comune per una comunità di protagonisti. È una persona che esercita la propria leadership in quanto al centro di una squadra e non di certo al vertice di una piramide. Si incontrano, numerosi stili di leadership e diversi modi per proporre una leadership, nel fitness e più in generale nel settore della promozione della salute. Esistono numerosi trainers, dalla grande presenza mediatica che godono effettivamente di grande visibilità, così come esistono davvero parecchi, differenti modi di interpretare un determinato aspetto della leadership; tutti col proprio stile, le proprie modalità, e soprattutto la propria unicità. Professionisti che sanno muovere, “mobilitare” intorno a sé, coinvolgere un numero sempre più crescente di ammiratori ed appassionati di fitness.

La definizione di Warren Bennis e Burt Nanus, tratta dal loro libro “Leader, anatomia della leadership” esplica perfettamente questo concetto, i quali sostengono che: ”Non seguiamo le persone perché ci piacciono e non per ciò che sono…ma piuttosto per come ci fanno sentire”.

L’essenza autentica della leadership è la capacità di far star bene le persone , dunque è ciò che svolgono i trainers cercando di far raggiungere, ai singoli clienti, gli obiettivi prefissati da questi ultimi.

Competenze e formazione

Il background culturale di un personal trainer è di tipo interdisciplinare, in continua formazione ed aggiornamento, passa attraverso la fisiologia, l’anatomia funzionale, la psicologia, la medicina dello sport, l’allenamento e la nutrizione.

In generale, la sua attività consiste nell’educare il proprio cliente a stili di vita salutari ed a programmare e realizzare allenamenti finalizzati ad un determinato scopo, sulla base delle esigenze fisiologiche e psicologiche di una persona.

Più in particolare l’attività pratica del Personal Trainer per il proprio cliente si svolge in diverse fasi: l’intervista iniziale, la valutazione antropometrica e funzionale, l’elaborazione e l’esecuzione di un programma di allenamento personalizzato, il controllo dell’efficacia del lavoro programmato.

Ultimamente, seguendo le tendenze del settore fitness, il personal trainer ha affiancato, alla consueta consulenza atletica, anche quella di miglioramento della sfera psicologica e motivazionale, specialmente negli sportivi di alto livello.

In Italia la figura del personal trainer è relativamente recente, tuttavia in discreta espansione, specialmente al centro-nord del Paese. Se i primi personal trainer erano per lo più appassionati del settore, con alle spalle diversi anni di allenamento, attualmente ci si affida spesso a personal trainer con formazione universitaria.

Il corso di laurea in scienze motorie (ex ISEF), nato nel 1999, prevede l’insegnamento di materie medico-scientifiche come l’anatomia umana, la biochimica e la fisiologia, la fisiologia dell’esercizio, la biomeccanica del movimento e i fondamenti della nutrizione. Tutti elementi che è indispensabile conoscere al fine di poter professionalmente intraprendere la carriera di personal trainer.

Chi non sceglie il percorso accademico deve districarsi tra le tante federazioni, associazioni o enti di promozione sportiva, ed aziende private, che svolgono corsi di formazione per poter avere una preparazione adeguata in tale settore.

La brevità di tali corsi, e le loro differenze, sommate all’assenza di pre-requisiti tra i candidati, fa sì che manchi un know-how uniforme, essenziale per una categoria professionale che vorrebbe esistere, ma che di fatto ancora non c’è, in attesa di una regolamentazione delle professioni sportive ancora inesistente nella realtà italiana.

Essendo una professione non regolamentata infatti non si ha bisogno di specifici requisiti o iscrizione ad apposito albo professionale per essere esercitata.

Intervista iniziale – anamnesi

Il primo strumento nelle mani di un personal trainer utile a costruire un programma di esercizio fisico personalizzato è l’intervista iniziale, ovvero il primo colloquio tra il personal trainer e il soggetto da analizzare. Questa prima fase permette di indagare sulla storia medica, sulle caratteristiche psicologiche individuali e sullo stile di vita di una persona. Durante l’intervista iniziale vengono poste domande create appositamente per conoscere in maniera approfondita la persona in tutti i suoi lati: lo stato di salute, la storia medica, il modo in cui si alimenta e in generale tutto ciò che riguarda il corpo e le motivazioni all’esercizio fisico. La seconda parte dell’intervista è dedicata alla determinazione degli obiettivi in relazione alle esigenze o alle necessità di una persona, ai risultati che vorrebbe ottenere, al tempo che ha a disposizione per l’allenamento. Bisogna dunque individuare i possibili traguardi raggiungibili, legati alle caratteristiche fisiche generali del cliente, senza creare false aspettative.[1]

La valutazione antropometrico-funzionale

Pressoché in maniera contestuale vengono svolti dei test di efficienza fisica allo scopo di fornire informazioni fondamentali sui livelli di funzionalità corporea. L’obiettivo di questa fase è avere dei feedback reali che permettano al personal trainer di elaborare un programma adatto ad una persona e alle sue caratteristiche specifiche.

Alla somministrazione di test fisici si accompagna l’analisi antropometrica del soggetto, mediante misurazioni effettuate con strumenti differenti (es.: plicometro, metro flessibile ecc.) che consentono di determinare la struttura ossea, la composizione corporea, ma anche i miglioramenti ottenuti nel corso dell’attività. In alcuni casi è possibile avvalersi anche di strumentazioni più complesse, come i bioimpedenziometri e le analisi computerizzate.

L’elaborazione e l’esecuzione di un programma di allenamento personalizzato e finalizzato

Integrando le considerazioni rilevate con l’intervista iniziale, i valori misurati nell’ambito della valutazione antropometrica, e il risultato dei test di efficienza fisica, il personal trainer elaborerà il programma di allenamento personalizzato e finalizzato per una persona. Questo, per l’individuo che richiede un servizio di personal training, si traduce nell’avere esercizi muscolari e suggerimenti per l’allenamento, adatti alle esigenze personali. La programmazione a medio e lungo termine del lavoro prevederà anche la modifica calibrata degli esercizi e del carico di lavoro, a seconda dei risultati ottenuti e individuati mediante un controllo dell’efficienza fisica con test specifici.[2]

La specializzazione del personal trainer

Considerata la vastità della materia sportiva, dei mezzi di allenamento, della combinazione di strumenti e risultati, della profonda diversità nelle tecniche di allenamento per i due sessi, anche nel settore del personal training è possibile individuare professionisti specializzati in apposite direzioni. Ad esempio PT con una formazione volta prevalentemente all’attività in palestra, o alla preparazione atletica per discipline sportive specifiche, al recupero funzionale (da non confondere con la riabilitazione), al dimagrimento maschile e femminile, all’allenamento femminile (assai più complesso di quello maschile perché con più varianti) ecc.

La scelta del personal trainer

La scelta del personal trainer, considerato quanto possa essere rischioso affidarsi a soggetti che improvvisano tale professione, affascinati soprattutto dal potersi autodefinire PT, è un passaggio fondamentale per ogni cliente che non voglia mettere a repentaglio la propria salute. Gli elementi fondamentali da tenere in considerazione sono: l’iter formativo, preferendo soggetti laureati e/o diplomati che seguono costantemente attività di aggiornamento, le esperienze professionali pregresse, gli eventuali meriti sportivi (ma non quando rappresentano l’unico elemento in mano ad un PT), eventuali extra, relativi ad esperienze di forte spessore da parte del professionista, come ad esempio la pubblicazione di testi ed articoli scientifici. È preferibile scegliere una persona laureata in scienze motorie o perlomeno diplomata, che abbia i mezzi conoscitivi per poter lavorare con il corpo e quindi la salute altrui.[3]

Gli altri personal trainer

La connotazione di PT ha anche accezioni differenti, maggiormente legate all’etimologia della parola. Il PT aziendale, ad esempio, è una figura professionale atta all’accoglimento dei neoassunti ed ha la responsabilità del successo ed integrazione all’interno di un’azienda. Il PT solution è di recente attuazione ed alcune aziende impiegano questa figura professionale per l’orientamento e la motivazione professionale dei neoassunti. La figura si occupa anche della riqualificazione interna attraverso veri e propri interventi di monitoraggio on the job. Il PT è anche impiegato come trait d’union tra le agenzie per il lavoro ed il committente, al fine di seguire risorse ad alti profili (un servizio aggiuntivo già provato in alcune realtà).

Il personal trainer, inteso letteralmente come “istruttore personale”, esiste anche come figura volta all’insegnamento e assistenza nell’impiego di strumenti informatici ed anche come istruttore per le attività di trading online.

Note

Voci correlate

Collegamenti esterni

Bibliografia utile

  • Pierluigi De Pascalis, Personal Trainer, come sceglierlo, come diventarlo, Perugia, Calzetti Mariucci Editore, 2009.
  • Bennis W., Nanus Burt, “Leader, anatomia della leadership” Le quattro chiavi della leadership affettiva, Ed. Franco Angeli, 1993.
  • Capodogli B., Jackson L., “Innovare con il metodo Pixar” Lezioni di business dalla più creativa e giocosa azienda del mondo, Etas libri, 2010.
  • Carnegie D.,”Scopri il leader che è in te” Il nuovo manuale del successo in un mondo che cambia, Tascabili Bompiani, 2006.
  • Cognonato E., “Leader si nasce e si diventa” Manuale di leadership emozionale per motivare se stessi e i collaboratori, Ed. Il Campo Bologna, 2005.
  • Maeda J., “I segreti del leader” La semplicità come risorsa, Ed. Bruno Mondadori, 2011.
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Il Fitness come scienza e come stile di vita

allenarmento per il fitness e la forma fisica

Il termine fitness deriva dall’aggettivo inglese fit («adatto») e viene tradotto in lingua italiana con i termini idoneità, capacità, preparazione fisica e stato di forma fisica.

Dagli anni ’90 questo termine è stato adoperato sempre più frequentemente per definire lo stato di benessere fisico o la forma fisica dell’individuo.

Caratteristiche

Il fitness può essere inteso come:

  • Fitness specifico, cioè la capacità di svolgere un particolare compito motorio, indipendentemente dallo stato di forma fisica del soggetto;
  • Fitness generale, quando viene identificato con lo stato generale di salute, forma fisica e benessere dell’organismo.[1]

L’attività di fitness può essere praticata nelle palestre o all’aria aperta. Qualsiasi attività motoria, adattata alle caratteristiche della persona, può essere un mezzo per fare del fitness.

Nella maggior parte dei casi la persona che pratica del fitness ha obiettivi salutistici/estetici e non di performance.[1] La propria condizione fisica può però essere verificata anche con prove obiettive standardizzate in relazione alla propria età ed al proprio genere.

Note

  1. ^ Salta a:a b Paoli A, Bianco A, Neri M, Palma A. What is Fitness: definition, history and health benefits. JSSL; ISSN 1974-4331 VOL. I, FASC. 3, SEZ. 2, 2008

Voci correlate

Diventare Coach e Personal Trainer con il Metodo HPM

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Approfondimento sul coaching

Coaching

Il coaching (o affiancamento e guida) è una metodologia di sviluppo personale nella quale una persona (detta coach) supporta un cliente o allievo (detto coachee) nel raggiungimento di uno specifico obiettivo personale, professionale o sportivo. Un coach fornisce il suo supporto verso l’acquisizione di un più alto grado di consapevolezza, responsabilità, scelta, fiducia e autonomia.

Uno tra gli aspetti fondamentali del coaching è saper gestire l'”attivazione” (”arousal”) di un individuo nelle fasi che precedono le performance sportive o professionali, mantenendo un’attivazione connotata da emozioni positive e rimuovendo gli sfondi emotivi negativi che possono inficiare l’evento agonistico o la prestazione. Fonte: rielaborazione sintetica del testo pubblicato nel libro “Preparazione Atletica e Riabilitazione. Fondamenti del Movimento Umano, Scienza e traumatologia nello sport. Principi di trattamento riabilitativo”. A cura di Davide Carli e Silvia di Giacomo, CG Edizioni Medico Scientifiche, Torino. P. 369-372

Definizioni e associazioni di coaching

L’International Coach Federation (la più grande associazione mondiale di Coach professionisti, con oltre 30 mila associati in 138 paesi) definisce il Coaching come una partnership con i clienti che, attraverso un processo creativo, stimola la riflessione, ispirandoli a massimizzare il loro potenziale personale e professionale[1].

L’Associazione Coaching Italia, invece, (iscritta nell’elenco delle associazioni professionali che rilasciano l’attestato di qualità e di qualificazione professionale dei servizi del Ministero dello Sviluppo Economico)[2], definisce il coaching una metodologia che si basa su una relazione di partnership paritaria (tra il Coach e il suo Cliente) che, attraverso un rapporto commerciale (di espressa natura contrattuale), mira a riconoscere, sviluppare e valorizzare le strategie, le procedure e le azioni utili al raggiungimento di obiettivi operativi collocati nel futuro del cliente.[3]

Origine: cenni storici e sviluppo

La parola ha origine dal termine francese cochecarrozza o cocchio (derivato a sua volta dall’ungherese Kocsis o dal ceco Koczi). Nel XVI secolo “coche” identificava un mezzo di trasporto trainato da cavalli e condotto da una guida: il cocchiere. Il termine anglosassone, invece, rinvia il coaching all’ambiente sportivo.[4] Nel XIX secolo in Inghilterra gli studenti universitari, verso la fine del loro percorso, utilizzavano il termine coach per indicare i migliori tutor, dando loro titolo rispettoso e autorevole. Negli Stati Uniti, il coach nasce per sviluppare e incrementare la prestazione sportiva; il coach non solo guidava la squadra e la allenava, ma la seguiva dal punto di vista emotivo, la stimolava, creava spirito di gruppo per affrontare gli avversari con maggiore carica e sicurezza. Attraverso la guida costante del coach, i giocatori e il team sviluppavano quelle capacità e competenze che rendevano il gruppo stesso motivato, forte e capace di raggiungere gli obiettivi attesi.

Il contributo più importante al coaching moderno fu dato nella seconda metà degli anni ’70 del Novecento dal californiano W. Timothy Gallwey, allenatore della squadra di tennis dell’Università di Harvard e primo a mettere nero su bianco i suoi principi di base. “C’è sempre un gioco interiore in corso nella nostra mente, non importa in che altro gioco siamo impegnati. Il modo in cui lo affrontiamo è quello che spesso fa la differenza tra il nostro successo e il nostro fallimento“.

I libri pubblicati da Timothy Gallwey propongono l’applicazione del coaching a molti campi: da quello sportivo, come il tennis, il golf, lo sci, alla musica e a quelli lavorativi; le sue indicazioni, poi, sono state applicate anche al campo degli affari, del benessere, dell’educazione.[5]

Insieme a Gallwey, un altro ex sportivo è considerato uno dei padri del coaching: Sir John Henry Douglas Whitmore. Lasciata la carriera di pilota automobilistico, John Whitmore si dedicò allo studio della Psicologia transpersonale. Grazie alla collaborazione con Gallwey, importò il metodo di questi in Gran Bretagna e lo diffuse anche ad ambiti diversi da quello sportivo. John Whitmore è stato l’ideatore di uno dei modelli più impiegati nel coaching, il modello G.R.O.W., utile a definire gli obiettivi e a migliorare la performance.

Grazie all’intuizione di Whitmore, dagli anni novanta la figura del coach compare nelle aziende. Inizialmente, le figure destinatarie dell’intervento del coach furono i manager che, per sviluppare e migliorare le loro capacità umane e professionali, si affidarono a consiglieri di fiducia, quali i coach.[6] Fino ad allora, questa pratica era vista come una novità e una moda nel campo dei direttori della formazione, ma era praticamente sconosciuta alle altre professioni.

Obiettivi e metodologia

Il coaching è una relazione processuale fondata sulla scoperta e lo sviluppo delle potenzialità personali. Il metodo offre al cliente strumenti che permettano loro di elaborare e identificare i loro obiettivi e rafforzare efficacia e prestazione personali. Presupposto di partenza è che ogni persona abbia delle potenzialità latenti; l’obiettivo del coach è di scoprirle e insegnare al cliente come utilizzarle. Sul piano metodologico, il modello più usato è il G.R.O.W. model di Whitmore. Il coaching non può essere utilizzato come terapia sostitutiva in caso di patologie psichiche o legate a disturbi della personalità.

Il coaching si rivolge a persone che vogliano vivere con maggiore soddisfazione la loro vita e raggiungere obiettivi significativi, a genitori, adolescenti, imprenditori, manager, insegnanti, atleti e a tutti coloro che desiderino migliorare le performance e raggiungere obiettivi particolarmente impegnativi. In un rapporto di coaching, l’allenamento e la valorizzazione delle potenzialità personali permette di inquadrare l’essenza stessa del coaching: accompagnare la persona verso il massimo rendimento attraverso un processo autonomo di apprendimento.

L’attività di coaching

L’attività di coaching si occupa dell’intervento sulla crescita personale dell’individuo.[7] Il coaching prevede un’attività professionale specialistica che ha come finalità il raggiungimento degli obiettivi del cliente, in armonia con il mandato istituzionale. L’attività di coaching è spesso affiancata da un termine che ne identifica l’ambito, per esempio: il business coaching, il life coaching, il relationship coaching, il parent coaching, il leadership coaching, l’executive coaching, il team coaching e lo health coaching.

Il coaching è un processo relazionale avente l’obiettivo di aiutare una persona o un gruppo di persone ad acquisire una maggiore consapevolezza e responsabilità personali e/o a superare barriere che ostacolano il miglioramento della performance. Tale intervento si basa su approcci che lo differenziano dall’ambito psicoterapeutico, in quanto il coach, ispirandosi alla Psicologia Positiva, anziché soffermarsi sui deficit dell’individuo, aiuta il cliente a individuare in modo autonomo i propri obiettivi, a stendere un piano d’azione e a raggiungere l’autorealizzazione, anche grazie alla scoperta e all’impiego delle proprie potenzialità. Dunque, il Coaching cerca di raggiungere risultati non di tipo clinico, ma utili all’accrescimento personale, professionale, relazionale.

La parola “coach” evoca quella di allenatore. Nel caso del life coaching, ad esempio, il coach allena la persona a sviluppare il suo potenziale latente al fine di vivere con più soddisfazione la sua esistenza, a darsi obiettivi concreti allineati ai propri valori personali e a raggiungerli con motivazione. Il lavoro del coach spesso investe il ragionamento e propone essenzialmente di cambiare le abitudini poco funzionali e i comportamenti che ostacolano l’individuo nel raggiungimento di felicità e benessere. Se lavora nell’area business, invece, il coach può essere una persona dell’azienda o un consulente esterno. Nel primo caso, il coaching è meno centrato sulla cultura e sui valori professionali e più sulle competenze tecnico specialistiche. Nel caso del business coach come consulente esterno, l’accento è posto invece sulla prestazione, sul risultato e sul concetto di lavoro di squadra.[8]

Un aspetto distintivo del coaching è che un coach è un facilitatore di processo e non di contenuto, che interviene in modo “neutro” in una relazione: non indirizza, non consiglia, ma facilita il cliente in una scoperta autonoma delle “proprie” soluzioni e verità.

Negli Stati Uniti molte università offrono attualmente programmi di formazione di coaching. Alcuni corsi offrono un “Life Coach Certificate” dopo appena pochi giorni di lezione, frequentabili da chiunque li richieda. Considerando che si acquisisce una abilità professionale solo dopo diverse ore di pratica, tali corsi, sono considerati dei programmi di formazione “à la carte” con i quali “può non essere offerta una formazione di coaching completa dall’inizio alla fine”[non chiaro].

Il coaching (a differenza di altri servizi di supporto alla persona) non è un servizio psicologico, tanto meno è una terapia, ma consiste in una metodologia e in una filosofia di vita che affonda le sue basi nel dialogo socratico. L’apprendimento del “saper fare” e del “saper essere” del coaching avviene imparando e praticando alcune competenze fondamentali (che sono definite dalle associazioni di categoria).

Italia

Il coaching, al pari di tante altre professioni, non è riconosciuto dallo Stato italiano e non è necessaria una formazione obbligatoria statale per chi lo esercita professionalmente. Di fatto, tutte le migliori associazioni di categoria specificano molto bene che il Processo di Coaching, secondo la Norma UNI 11601, non ha nulla a che vedere con pratiche terapeutiche e se ne dissociano completamente.

Il presunto vuoto normativo potrebbe sembrare causa di mancanza di controlli, tanto che, per questa ragione, assumono molta importanza le Associazioni Professionali di Categoria, all’uopo delegate dalla norma stessa per garantire un livello di professionalità adeguato e di tutela al cliente. In Italia, oltre a ICF Italia, ci sono AICP[10] e A.Co.I.[11], inserite nell’Elenco Pubblico del Ministero dello Sviluppo Economico (ex art. 2, comma 7, legge 4/2013), che hanno il ruolo di diffondere e tutelare gli standard etici e professionali del Coaching, di fornire una corretta informazione, di riconoscere i percorsi riferiti alla formazione dei professionisti e di rilasciare un “Attestato di Qualità e di Qualificazione Professionale dei Servizi”.

Si precisa che la suddetta attività professionale non rientra tra quelle relative alla professione di psicologo ai sensi dell’art. 1 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, e che i professionisti iscritti alle associazioni professionali di categoria si impegnano a non svolgere tali attività, salvo che siano dotati del relativo titolo professionale e iscritti all’Ordine degli psicologi.

Note

  1. ^ Cos’è il coaching – ICF Italia, su www.icf-italia.org. URL consultato il 20 aprile 2017 (archiviato dall’url originale il 19 ottobre 2016).
  2. ^ Associazioni che rilasciano attestato di qualità, su www.sviluppoeconomico.gov.it. URL consultato il 25 aprile 2017 (archiviato dall’url originale il 25 febbraio 2017).
  3. ^ Il Coaching secondo l’Associazione Coaching ItaliaURL consultato il 25 aprile 2017.
  4. ^ Angel, Amar 2008, p.22.
  5. ^ Cardani et al 2008, p.25.
  6. ^ Angel, Amar 2008, p.23.
  7. ^ Passmore 2012.
  8. ^ Di Nubila 2005, pp.285-292.
  9. ^ (EN) Elizabeth O’Brien, 10 things life coaches won’t tell you, in MarketWatch. URL consultato il 18 marzo 2017.
  10. ^ Home Page – AICP – Associazione Italiana Coach Professionisti, su AICP – Associazione Italiana Coach Professionisti. URL consultato il 25 aprile 2017.
  11. ^ A.Co.I. Associazione Coaching Italia – Associazione Professionale di Categoria, su www.associazionecoachingitalia.it. URL consultato il 25 aprile 2017.

Bibliografia

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Video sul Coaching – Il Metodo di coaching HPM™ Deep Coaching™

Il Metodo di Coaching HPM™ Deep Coaching™ del. Dott. Daniele Trevisani https://www.studiotrevisani.it

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Le aree di lavoro:

  1. Energie Fisiche e Stato Bioenergetico
  2. Energie Mentali e stato Psicoenergetico
  3. Micro-Competenze e abilità di esecuzione nei dettagli che contano
  4. Macro-Competenze e portfolio professionale
  5. Progettualità, Goals, Obiettivi Misurabili
  6. Vision, Life Mission, Life Purpose, Valori e Spiritualità
  7. L’integrazione delle diverse aree con interventi di coaching olistico e in profondità multilivello, sia di life coaching, che di business coaching, di health coaching o sports coaching

Per approfondimenti, vedi il libro “Il Potenziale Umano” edito da Franco Angeli, Milano, disponibile al seguente link https://amzn.to/3dXtLzi

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Trovare il formato motivazionale che funziona su di sé (o sul cliente, dal punto di vista del coach)

Motivazione al cambiamento positivo

Tra i temi fondamentali da trattare si trova quello della percezione del task da compiere. Ogni task (compito) può avere letture diverse.

Un task può essere demotivante se affrontato con lo spirito sbagliato, e motivante se si trova lo spirito giusto con cui affrontarlo.

Non tutti i tipi di “spirito” o disposizione mentale funzionano nello stesso modo, e ciascuno dovrà trovare in sé o con l’aiuto del coach l’assetto mentale o format che più riesce a motivarlo.

Ad esempio, Victor Martinez, professionista di bodybuilding, afferma:

Io affronto una sfida contro me stesso e sono un gran lavoratore. Quando mi dicono di divertirmi alle gare, io penso che non è affatto così, perché è il mio lavoro. Nessuno dice a uno di andarsi a divertire in ufficio tutti i giorni alle nove di mattina, no? Io faccio il mio lavoro con il massimo impegno, e anche di più[1].

In questa testimonianza notiamo che il format motivazionale operativo, che funziona su questo atleta, è il costruire un concetto di “lavoro serio” nel suo programma di allenamento, una professionalizzazione di quello che per altri è un normale svago o passione (la palestra), facendolo diventare sfida contro se stesso, e non necessariamente un divertimento.

Per altri, questo format può invece essere distruttivo.

Questo atleta ha trovato un formato motivazionale che funziona su di sé, ma lo stesso formato applicato ad un suo collega potrebbe non funzionare o essere invece fonte di frustrazione continua e portare all’abbandono.

Su ogni persona è necessario un grande lavoro di personalizzazione.

Personalizzare la motivazione è un forte lavoro di coaching e formazione.

La motivazione si ritrova per molti nel format della sfida contro altri: per alcuni, il senso della sfida rimanda ad una visione di sé epica, maestosa, leggendaria, ed è il driver interiore più forte quando si tratta di produrre una performance in alcuni campi di battaglia professionale. In altri casi, il format si arricchisce di più strati motivazionali, ad esempio, sfida + contributo.

Nel caso seguente notiamo come si vadano a stratificare il format della sfida contro il nemico assieme al format della sfida contro la lesa maestà (sfida all’immagine di sé). I due motori psicologici, sommati, aumentano l’effetto.

La testimonianza è tratta da un intervista ad un combattente professionista, nella quale possiamo notare come l’energia della sfida, se ben canalizzata, possa produrre un dose supplementare di energie per la preparazione di se stessi:

Intervistatore: Quasi tutti ti davano per spacciato contro Tito Ortiz…

Tutti lo credevano imbattibile, tutti credevano che nessuno lo potesse battere nella categoria dei 93 chili, ma io ero li…. Ero anche pronto ad affrontarlo senza ricompensa, volevo questo titolo. Seriamente, mi ha fatto incazzare essere li e sentirli parlare come se io non rappresentassi la benché minima minaccia per lui.

Ciò ti ha offeso? Ma, non veramente. Ciò mi ha dato ancora più energia, mi ha fatto allenare ancora più intensamente[2].

I format motivazionali non devono essere unicamente o necessariamente mossi dal motore psico-agonistico. Altri possono trovare motivazione su un fronte opposto, nel format della “relazione di aiuto” (aiutare gli altri), o nell’espiazione (impegnarsi per scontare una pena), o nella vendetta (impegnarsi contro), o per una causa in cui credono (impegnarsi per).

In ogni caso, il lavoro del coach deve consistere nel trovare quale format motivazionale possa meglio funzionare sul soggetto, ma anche localizzare e rimuovere i format attivi sbagliati, che agiscono ora come modello errato e possono risultare distruttivi o controproducenti per la persona stessa, sebbene essi possano risultare buoni per altri, o aver funzionato in passato.

Ciò che ha funzionato in passato, in un contesto diverso può non avere più lo stesso effetto, o diventare persino controproducente. L’esame qui deve essere assolutamente situazionale e personalizzato.


[1] Berg, M. (2006), La svolta di Victor, Flex, n. 4, pp. 70-79. Rif. p. 75.

[2] AA.VV. (2004), IceMan Chuck Liddell, Reportage da “Fight Sport”, n. 2, ottobre, p. 30.

Copyright. Articolo estratto dal volume “Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright Franco Angeli editore e Studio Trevisani Coaching & Training.

Dolore al tallone in età giovanile, Apifisite del calcagno. Possibili esercizi di prevenzione e compensazione

Tra le diverse traumatologie dell’età pediatrica una delle più frequenti è l’apofisite del calcagno (Malattia di Sever). Consiste in un’infiammazione dolorosa dell’apofisi del calcagno, nell’inserzione del tendine d’achille. La percezione del dolore può estendersi alla zona plantare, con coinvolgimento dei muscoli flessori plantari.

Possibili cause comprendono la diversa forza tra il tendine d’achille e la debolezza inserzionale dell’apofisi del calcagno, con interessamento dell’osteocondrosi del calcagno (fascia plantare). In età giovanile la crescita muscolare non segue direttamente lo sviluppo osseo-cartilagineo, essendo questi tempi cronologicamente diversi è fondamentale, nel caso di insorgenza del dolore, effettuare un protocollo di lavoro fisico, in seguito alle opportune visite specialistiche.

Esercizi utili per prevenire l’insorgenza della malattia (anche se spesso è di natura genetica e conformazionale) e compensazione comprendono:

-Stretching dei flessori: le 3 squadre di mezieres; flessione del busto mantenendo il bacino in antiversione con supporto per dorsiflessione del piede; mobilità attiva della catena posteriore e anca, coinvolgendo il tensore della fascia lata e glutei. Lavoro distensivo sulla fascia plantare con pallina da tennis o foamroller

-Rinforzo nella dorsiflessione e inversione-eversione del piede, con l’utilizzo di elastici, esercizi propriocettivi, di equilibrio statico e dinamico.

Effetti dell’esercizio fisico sulla perdita di peso

La perdita di peso, in particolare la diminuzione della massa grassa, avviene grazie all’esercizio fisico principalmente con 3 meccanisimi:

Allenamento a medio-bassa intensità e lunga durata. Per determinare il weight loss l’aspetto più modulabile è l’attività fisica, dove si cerca di aumentare la spesa calorica favorendo il consumo di acidi grassi. Lavori aerobici a bassa intensità(minore 50 % VO2Max) attivano la beta-ossidazione e combustione acidi grassi, ma in questo caso il consumo calorico totale è ridotto. Aumentando l’intensità sui 60-65% VO2Max si ha una relazione ottimale tra consumo calorico e di grasso. È fondamentale in questo range di intensità avere un volume di lavoro elevato. Il WHO specifica che per determinare perdita di peso e dimagrire sono necessari più di 250 minuti/settimana, con consumoiv calorico che supera le 2000 kcal/settimana.

Fenomeno del Browning, l’attività fisica causa produzione di catecolamine, soprattutto in esercizi che superano i 150 watt, quindi intensità 65% VO2Max e superiori, con un incremento nella fase iniziale. Le catecolamine hanno effetto sulla trascrizione delle UCP1, proteine ad attività disaccoppiante nei mitocondri che non permettono la fosforilazione ossidativa, quindi formazione ATP, ma causano dispersione di ioni idrogeno sotto forma di calore. Questo fenomeno è tipico del tessuto adiposo Bruno e permette una diminuzione della BMI. L’esercizio fisico può trasformare il tessuto adiposo Bianco (deposito di trigliceridi) in Bruno, aumentando il metabolismo basale.

EPOC, excess post exercise oxigen consumption. Dopo aver svolto attività fisica si osserva un aumento del consumo di ossigeno. Evidenze scientifiche dimostrano che esso dipende da intensità e durata. Si attiva questo meccanismo sia dopo esercizi aerobici moderati, con aumento EPOC in relazione a aumento durata; in esercizi aerobici lattacidi; in esercizi anaerobici di forza. L’EPOC serve per ripristinare gli equilibri ormonali e fisiologici dell’organismo e stimola il consumo calorico anche molte ore dopo l’allenamento.

Una programmazione ottimale per il dimagrimento deve prevedere l’attivazione di questi tre meccanismi, quindi è importante eseguire allenamenti a diverse intensità, ricordando però che in soggetti obesi e sovrappeso raggiungere l’intensità per la soglia di attivazione dell’EPOC non è possibile ed è rischioso, bisogna quindi prima concentrarsi su un lavoro aerobico, creare una base ottimale di capacità aerobiche con stimoli di forza per evitare la sarcopenia, successivamente, dopo 6 mesi-1 anno, incrementare l’intensità.

Equilibri fisiologici nell’atleta femmina

L’attività sportiva nella donna deve essere strutturata seguendo specifiche indicazioni che fanno riferimento a meccanismi fisiologico-ormonali. Viene definita in medicina dello sport la “triade dell’atleta femmina”, cioè una catena di tre processi legati tra loro che influiscono sulla salute, sia in età giovanile, adulta ed in seguito alla menopausa. Questa triade è composta da:

1-Ridotta disponibilità energetica, questo può avvenire principalmente per due motivi: eccesso di attività sportiva non integrata con riposo e alimentazione; inattività e conseguente sarcopenia. Entrambe possono avvenire con o senza disordini alimentari, (anoressia, bulimia nervosa). Gli effetti della ridotta disponibilità energetica si osservano a breve termine con riduzione del metabolismo basale, ipoglicemia, disidratazione, deplezione glicogeno. Gli effetti a medio termine comprendono fratture, anemia, sideropenia. A lungo termine si può avere deficit di estrogeno, demineralizzazione ossea, osteopenia e osteoporosi precoce.

2-Disordini ormonali, la variazione si secrezione ormonale comporta menarca ritardato, amenorrea, oligomenorrea (aumenta il tempo tra due mestruazione).

3-Ridotta densità minerale ossea, con conseguente osteoporosi.

Risulta quindi di fondamentale importanza mantenere i parametri di disponibilità energetica normali, assumendo le giuste calorie giornaliere e attivando i processi insulinici e di sintesi proteica con la corretta attività fisica, che non deve eccedere nell’aerobico, poichè potrebbe causare sarcopenia ed i disturbi ormonali sopra citati. L’unione di esercizio aerobico e anaerobico, con sovraccarichi o movimenti naturali, strutturato in una programmazione che prevede le giuste pause di recupero e progressioni, permette il mantenimento degli equilibri energetico-ormonali. Nel caso in cui l’obiettivo fosse il dimagrimento da una condizione di obesità o sovrappeso, si lavorerà prevalentemente a media intensità aerobica prolungata, con integrazione di esercizi di forza per il mantenimento muscolare e l’aumento del metabolismo basale. Se invece il soggetto è in fase post-menopausa sarà importante concentrarsi su esercizi anaerobici per il mantenimento della densità ossea. Per i giovani atleti bisogna fare attenzione a non eccedere nell’aerobico prolungato, ad esempio in discipline come la maratona, corse oltre i 5-10 km, per evitare di causare i meccanismi della triade.

DNS – Dynamic neuromuscolar stabilization

Un valido metodo per intervenire sulla postura riguarda il DNS, chinesiologia evolutiva con integrazione dei principi neurofisiologici e biomeccanici. Esso si basa su due principi: Regolazione della pressione intra-addominale (IAP) e sistema di stabilizzazione vertebrale integrato della stabilità spinale (ISSS). Quest’ultimo consiste nella co-attivazione dei muscoli profondi cervicali e gli estensori spinali nella regione cervicale e toracica, co-attivazione bilanciata tra diaframma, pavimento pelvico, trasverso dell’addome, obliqui, estensori spinali nella regione toracica e lombare inferiore.
La maggior parte delle disfunzioni comunemente osservate è correlata al SNC, a una disfunzione del controllo motorio e non a una problematica locale delle articolazioni o muscoli. Per intervenire sulla compensazione o dolore si può lavorare sul ripristino del pattern motorio.

È un ri-allenamento della funzione. Può essere svolta con movimenti naturali degli schemi motori, a corpo libero (locomotion exercise, deep squat) o con l’utilizzo di palle mediche o fitball, elastici, ponendo attenzione prima alla stabilizzazione posturale del tronco, successivamente si passa a modelli di movimento controlaterale.
La stabilità neuromuscolare dinamica non viene raggiunta esclusivamente da un’adeguata forza addominale, estensori spinali, glutei, piuttosto avviene attraverso una coordinazione muscolare associata alla regolazione della pressione intra-addominale da parte del sistema nervoso centrale. Viene considerata la globalità delle catene cinetiche con focalizzazione sul recupero del pattern motorio, per una corretta stabilizzazione, movimento e respirazione utilizzando i principi della chinesiologia evolutiva.

Gli esercizi da eseguire sono infiniti, alcuni molto semplici e altri più complessi. In ogni caso sono coinvolte una molteplicità di catene muscolari e questo permette una vera e propria riorganizzazione del movimento, da un punto di vista anatomico e neuro-funzionale.

Sindrome da conflitto femoro-rotulea nel giovane atleta

La sindrome femoro-rotulea è una patologia molto frequente in atleti in età adolescenziale.

Essa provoca dolore cronico con cause multifattoriali, che includono problemi biomeccanici, deficit muscolari e sovraccarico.

Principalmente si osserva uno scorrimento della rotula all’esterno del canale anatomico in cui dovrebbe essere. Questo crea attrito contro il condilo femorale e provoca infiammazione della cartilagine articolare.

Le possibili cause comprendono: -Malalineamento degli arti inferiori (asimmetria punti di repere dx-sx); -Retrazione ischiocrurali, con il tensore della fascia lata; – Debolezza del vasto mediale, con conseguente instabilità rotulea.

Le problematiche muscolari possono essere quindi legate a iperespressione della porzione laterale e debolezza mediale. Il dolore è petcepito in zona esterno-rotula, tra rotula e femore.

Trattamenti possibili:

-Allungamento bicipite femorale e tensore fascia lata, con coinvolgimento della porzione glutea.

-Rinforzo del vasto mediale con contrazioni ad allungamento completo.

Oltre ad allungamento e rinforzo sono molto utili esercizi di “movimento naturale”, presenti nel pilates ma soprattutto in metodologie come il Dns (dinamic neurostabilization) che utilizza movimenti presenti in età evolutiva, come l’affondo completo e su varianti, che permettono una riorganizzazione neuro-muscolare che modifica la struttura anatomica del soggetto, con conseguenze positive in tutti gli ambiti del movimento.