Un modello efficace sul potenziale umano

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano: metodi e tecniche di coaching e training”, Franco Angeli editore, Milano.

 

Chiedersi qual è il proprio potenziale e quanto di esso abbiamo esplorato o raggiunto non è una domanda banale.

Questo accade in alcuni particolari momenti della vita in cui diventa importante per noi realizzare qualcosa, migliorare, ed esprimerci.

Quando questo accade, un sentimento dentro di noi cambia. Dalla realtà esterna iniziamo a spostare l’attenzione verso la realtà interna.

Ci poniamo domande, alcune di queste possono fare male, altre aprire nuovi orizzonti, ma non importa, poiché esse ci mettono positivamente in discussione. Nessuna domanda è inutile quando ragioniamo sul senso e sul significato di chi siamo e cosa vogliamo, quando ci chiediamo se e come vorremmo costruire qualcosa di cui essere fieri (una prestazione, o un contributo agli altri o ad una causa), o semplicemente essere diversi o migliori.

Per molti l’esito di una maggiore attenzione al potenziale personale è il desiderio di esplorarlo, o lasciare un segno, iniziare progetti, potersi guardare alle spalle ed essere fieri di come abbiamo vissuto, di quello che siamo e siamo stati, e dare un messaggio positivo a chi ci seguirà nel viaggio della vita. Per altri invece tutto rimane bloccato in una ruminazione mentale ininterrotta e auto-distruttiva. Le energie bloccate corrodono e distruggono anziché produrre e generare benessere, forza vitale, amore e passione.

La differenza tra i due risultati (crescita e sviluppo vs. ruminazione mentale negativa) sta nell’avere un modello e un supporto che aiuti a individuare meglio i traguardi, e i percorsi da intraprendere per arrivarci.

Insuccessi, cadute, blocchi, errori, fanno parte integrante di questo viaggio, ma il loro accadere non ne sposta minimamente il valore.

Ciò che differenzia un uomo da un sasso è che lo “stare compressi”, sepolti, essere trasportati senza chiedersi dove, o rimanere pressati e immobili, è accettabile per il secondo ma non per il primo.

L’uomo ha un bisogno intrinseco di “volare”, di esprimersi, di “ricercare”, di dare senso alla propria vita, e persino ad ogni propria singola giornata o azione.

Chi nega questo bisogno di espressione e crescita applica uno dei meccanismi psicologici più autodistruttivi che esistono, individuato in letteratura come self-silencing: autosilenziarsi, uccidere le proprie aspirazioni, mettere il tappo ai propri sogni, smettere di credere in qualcosa, pensare che tutto sia inutile, che non valga la pena, che le difficoltà sono troppe, o il mondo in fin dei conti sia sempre andato così.

Bugie. Bugie che ci raccontiamo per non entrare (giusto per usare un altro termine tecnico) in “dissonanza cognitiva”, la condizione di disagio che incontriamo quando ci rendiamo conto che qualcosa nella nostra vita non sta andando come vorremmo, o che potremmo essere migliori o semplicemente diversi. Coltivare il potenziale umano è invece un momento di liberazione.

Esistono implicazioni anche sul piano medico: quando una persona è priva di energie mentali, o non ha più alcun valore o ideale a sorreggerlo, o mancano le competenze per far fronte alla vita, il corpo soffre e può arrivare ad ammalarsi1.

Desiderare di progredire, porsi domande, “chi, cosa, dove, con chi, perché”, è un obiettivo o passaggio inevitabile per ogni anima sensibile.

Dare impulso al viaggio della vita ha sempre senso. Ne può avere sia che si desideri unicamente una propria evoluzione personale, o che invece il percorso sia finalizzato al percorso professionale e aziendale.

Entrambi i viaggi hanno spessore e valore. Ambedue sono degni di attenzione e di supporto, perché una persona ferma e spenta non è utile a nessuno, così come non è utile avere imprese e team incapaci e demotivati.

I team più forti del mondo, e i più grandi campioni di tutti i tempi in ogni disciplina, o i più grandi pensatori della storia, sono tali perchè continuano a porsi domande e non sfuggire” il richiamo della natura”, la pulsione ancestrale che ci parla di evoluzione, che ci spinge a progredire, ad essere migliori.

Senza un modello che ci aiuti a trovare le direzioni di crescita, il nostro sforzo può risultare nobile ma vano. Si corre, ci si affanna, si investono tempi ed energie, ma spesso senza una buon mappa di orientamento. Il risultato è un’enorme dispersione.

Un buon modello, invece, aiuta a trovare più rapidamente la strada. Se un modello non offre stimoli, indirizzi e orientamenti, risulta completamente inutile, come orientarsi in una mappa sbagliata o capovolta.

Un modello del potenziale umano, inoltre, può essere utilizzato in progetti concreti di business coaching, di consulenza, di training aziendale, di coaching sportivo, ma anche nel counseling, nei corsi di leadership, nella formazione.

Da quando esiste, l’uomo si sforza di costruire mappe per orientarsi e non perdersi. Abbiamo mappe degli strati più profondi della terra, dei mari, del cosmo, ma – stranamente – non ci vengono fornite mappe efficaci per orientarci nel nostro sviluppo personale o nei territori inesplorati del potenziale umano. Accompagnare le persone in questo viaggio è, per me, un onore.

1 Una logica conseguenza che non possiamo nascondere è che la medicina dovrebbe quindi occuparsi anche di questi fenomeni, unendosi alla psicologia e ad altre scienze, in un unica disciplina del funzionamento complessivo dell’essere umano.

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La visione della persona come sistema energetico

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano: metodi e tecniche di coaching e training”, Franco Angeli editore, Milano.

 

 

 

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

 

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

 

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

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Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

 

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente, le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

 

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

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Il cambiamento come pulsazione e i segnali deboli

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

Il concetto di cambiamento come “pulsazione” o respirazione vitale è un ancoraggio primordiale cui tornare.

La vita nei suoi ritmi naturali è una pulsazione, un continuo flusso di ingresso e uscita, una respirazione viva, che lascia entrare e venire fuori, un battito che possiamo avvertire sin dal primo respiro di un neonato.

Un consulente esperto o chiunque abbia sensibilità sufficiente, può sentire “il respiro” e i suoi significati. Possiamo concentrarci sul “respiro dell’azienda”, “il respiro di un team”, il “respiro della persona” e capire se il clima è teso o rilassato, positivo o negativo, aperto o chiuso, formale o informale, se sono presenti veleni e blocchi, rigidità e tensioni.

Quando un sistema funziona, inesorabilmente emette segnali che indicano se esiste benessere e motivazione, o invece demoralizzazione, sconforto e rabbia repressa. Possiamo cogliere la presenza di obiettivi o il vuoto. Il “vuoto” si nasconde spesso dietro ad un’azione frenetica, priva di tattica e strategia.

Riflessioni operative:

  • analizzare i “segnali deboli” che indicano se il tipo di “respirazione” del soggetto (sia in senso fisico che metaforico, persona o sistema organizzativo) sia profondo e vitale, o superficiale e carico di tensioni;
  • portare l’analisi al livello delle motivazioni e della storia del soggetto, non limitarsi a suggerimenti rapidi o sintomatici.

Nella psicoterapia corporea, così come nelle scienze sportive, il tipo di respirazione è uno dei temi fondamentali di lavoro, poiché ad essa si correlano numerosissimi aspetti emotivi.

La respirazione sana e salutare non è frenetica e convulsa, ma anzi è profonda e ben riconoscibile. La crisi e sofferenza di chi psicologicamente sente il desiderio di cambiare ma non riesce genera respiro affannoso e contratto. Osservare come respirano le persone, quando parlano di sé o del proprio lavoro, può dire molto rispetto al vissuto emotivo sottostante e allo stato di equilibrio o squilibrio esistente.

Ogni consulenza o azione formativa energica è di per sé una “azione di scossa metabolica” in cui un sistema viene aiutato a ritrovare la propria respirazione ed equilibrio, rimettendo in moto la plasticità ed intervenendo sui tre principi fondamentali: immissione, espulsione, stabilizzazione.

Capire come intervenire volontariamente e con precisione chirurgica sui tre settori del principio metabolico è una sfida fenomenale.

Ogni processo di cambiamento profondo prevede l’esame attento di quali siano le operazioni da compiere sulle tre zone.

Un esame incompleto, l’attenzione ad una sola di queste aree, porterebbe a progetti sbagliati, incompleti, insoddisfacenti per chi li attua e per chi li riceve.

Principio 1 – Principio metabolico

Il cambiamento positivo viene favorito dalle seguenti operazioni:

  • acquisizione: riuscire ad identificare e riconoscere il bisogno di imparare, le acquisizioni importanti, ciò che si deve apprendere, assimilare, far entrare, per avvicinarsi all’obiettivo. L’obiettivo può essere qualsiasi target di cambiamento che si collega all’efficienza o ad un percorso autorealizzativo – immagine di sè ideale, organizzazione ideale o migliore, incremento della serenità o del senso di efficacia, della potenza personale o del sistema, della resistenza o resilienza, della capacità di problem solving, o qualsiasi altro traguardo;
  • consolidamento: è necessario identificare quali sono i punti di ancoraggio (valori, credenze, pensieri, comportamenti) che il soggetto o sistema vuole consolidare e far diventare riferimenti solidi;
  • rimozione: è necessario identificare e riconoscere ciò che sia importante cedere, rimuovere, abbandonare, cosa sia importante eliminare, ripulire, cosa disapprendere, cosa lasciar andare, di cosa disfarsi (identificazione dei cataboliti e degli elementi da espellere dal sistema).

     

    Il cambiamento viene bloccato o ostacolato da:

  • perdita di riferimento o incapacità nel capire cosa si debba acquisire, apprendere, far entrare (mancato riconoscimento dei target, dei “nutrienti” o ingredienti necessari per produrre il cambiamento);
  • focalizzazione sulla sola fase acquisitiva, senza identificare e riconoscere ciò che si deve abbandonare, disapprendere, rinunciare, lasciare dietro di sè (processi mentali, cataboliti mentali o scorie psicologiche, comportamenti, stereotipi, abitudini controproducenti);
  • perdita di ancoraggi fondamentali e indispensabili negli equilibri della persona o dell’organizzazione, mancanza di ancoraggi forti o punti di stabilità.

 

L’analisi riguarda qualsiasi tipo di ruolo o sistema. Posso chiedermi, come padre, cosa potrei fare per migliorare nel mio ruolo di genitore, cosa dovrei imparare, cosa non so fare adesso e dovrei apprendere (zona 3), posso chiedermi anche cosa dovrei smettere di fare per essere un padre migliore (zona 1), posso anche chiedermi cosa vorrei non fosse toccato, ma anzi consolidato, a cosa non vorrei mai rinunciare di me (zona 2).

Un atleta può chiedersi – ad un certo punto della sua carriera – dove vuole arrivare, a quale livello vuole competere, e cosa questa scelta comporta.

Lo stesso tipo di analisi vale per un ruolo aziendale, o per una intera organizzazione. Per un azienda possiamo infatti chiederci:

  • cosa deve apprendere questa organizzazione, chi ne ha bisogno, cosa deve entrare? (zona 3).
  • cosa deve smettere di fare questa organizzazione, cosa deve abbandonare, a cosa deve rinunciare, o di cosa deve sbarazzarsi, quali modi di pensare o di essere sono ora controproducenti o non più validi? (zona 1).
  • a cosa deve ancorarsi, cosa non è opportuno rigettare, ma anzi consolidare? Quali sono gli ancoraggi forti? (zona 2).

I meccanismi di autorealizzazione personale sono basati sulla plasticità del sistema o della persona, la sua apertura verso il cambiare e l’evolvere, l’accettazione che – in quanto esseri viventi – siamo soggetti al cambiamento.

Formarsi caratterialmente e fisicamente è uno degli obiettivi di ogni persona che abbia un senso di autostima sufficiente, e – rivolto ai figli – diventa uno degli obiettivi di ogni genitore sensibile. Come possiamo tradurre questo concetto verso la crescita di una intera azienda o intero team?

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Il principio metabolico e la plasticità del sistema: rimettere in moto il “respiro” della persone, del team o dell’ azienda

© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

Abbiamo identificato tre fasi o operazioni indispensabili attraverso le quali focalizzare il cambiamento: cedere, consolidare, far entrare.

L’alchimia tra le diverse fasi è estremamente delicata. Spesso il fatto stesso di confondere il cambiamento con un apprendimento (es., con una lezione didattica) crea false premesse e false aspettative. Una lezione didattica raramente cambia la sostanza di una persona; “sentire parole” non equivale a capirle, ad assimilarle e ancora meno ad interiorizzarle. Chiunque di noi ha ascoltato docenti noiosi delle cui lezioni non ricorda assolutamente nulla.

L’approccio esperienziale all’apprendimento – e di riflesso al cambiamento – rappresenta una delle poche certezze cui ancorarsi: i cambiamenti efficaci sono quelli in cui le persone sono portate a vivere esperienze impattanti, “scottanti” – vissute e partecipative – e non solo “udite”. Sentir dire che qualcosa scotta non è efficace quanto lo scottarsi direttamente.

L’esperienza vissuta in prima persona è più efficace del semplice “udire” e “entra” con maggiore forza nel sistema target.

Vediamo quindi il box seguente:

Riflessioni operative:

  • non illudersi: per produrre impatto è insufficiente “parlare”, “dire”, “insegnare”, “fare una lezione”, o “mostrare” (approccio one-way): dovremo considerare le innumerevoli resistenze al cambiamento, e il fatto che servono angoli di attacco multipli;
  • prendere in considerazione ove possibile un approccio esperienziale in cui il soggetto possa “far pratica” e vivere il cambiamento (palestra di cambiamento) per interiorizzarlo progressivamente;
  • chiedersi quali esperienze sbloccanti possono scalfire le credenze attive, aprire la porta alla volontà di cambiare e crescere;
  • chiedersi come produrre un approccio esperienziale e partecipativo rispetto ai target di cambiamento e apprendimento.

Se confondiamo il cambiamento con la sola acquisizione o esposizione sbagliamo. Prendiamo come esempio il corpo umano: l’ingresso di nutrienti e sostanze (cibo, acqua, aria) non è di per se sufficiente alla vita. Se il corpo non fosse in grado di metabolizzare ciò che entra – gestire, digerire, espellere – morirebbe in pochi secondi.

Il sistema rigido (persona o team) blocca gli input in ingresso, non accetta messaggi difformi rispetto a quanto egli crede già. Chiude le porte a nutrimenti (let-in) – persone, pensieri e credenze – che rischiano di mettere in crisi ciò che lo sorregge, vede come pericolo ogni forma di estraneità o non conformità.

La poca informazione che entra non è adeguatamente rielaborata. L’output è ridotto, le performance sono scarse.

In un sistema “ingolfato” il flusso di cataboliti e scorie in uscita (let-out) è ostacolato e il sistema finisce per nutrirsi dei propri escrementi. Nulla viene lasciato uscire. Si tratta di una prigione fisica o psicologica tremenda.

Spesso la malattia diventa l’esito inevitabile della rigidità. Possiamo parlare di malattia fisica o del corpo, ma anche di malattia psicologica o patologie dei sistemi organizzati. Anche un piccolo team, come una squadra di calcio o di pallavolo, o un settore aziendale, può vivere queste fasi patologiche e “ammalarsi” di rigidità.

Riflessioni operative:

  • assumere un atteggiamento positivo verso la ricerca di nuovi input, ricercare stimoli, alimentarsi di nuove conoscenze anche trasversali e multidisciplinari (feed-in), permettere a nuovi concetti di entrare (let-in), per poterne esaminare e valutare la validità, la natura e sostanza senza preconcetti;
  • accettare l’eliminazione o rimozione di parti del sistema, come fase indispensabile a qualsiasi mutazione.

Chi ha vissuto un clima che impedisce l’ingresso di input non conformi alla ideologia dominante, o l’espressione esterna, sa cosa significa. Lager, gulag e altre forme di totalitarismo sono casi estremi e riguardano pochi, ma anche – più semplicemente – climi familiari o di coppia asfissianti, gruppi o aziende intossicati da “aria” psicologicamente malata, sono laboratori nefasti di esperienze tristi e dolorose, comuni a tantissime persone.

Il bisogno di cambiamento è diffuso. Riguarda persino il bisogno di una persona di “sfuggire da se stesso”, trasformare tratti di sé con i quali convive faticosamente (es.: ansia, insicurezze, paure, tratti di personalità).

Il cambiamento è al tempo stesso problema e risposta, contiene ambizione e spavento. Le persone vivono la dissonanza costante tra desiderio di evolvere e bisogno di fermarsi a riposare o trovare abitudini e consuetudini in cui rifugiarsi. Il bisogno di riposare è giusto e sano. Diventa malato quando una persona o sistema pensa di potersi riposare su una montagna di rifiuti tossici e continuare ad aspirarne le esalazioni, magari illudendosi di essere al sicuro.

I sistemi che non evolvono finiscono per dare prestazioni (performance) deludenti, prima di tutto su variabili soft o intangibili, poi verso fattori estremamente hard e a volte drammatici. Esempio: in azienda si parte dalla perdita di creatività o sensibilità umana, quindi si sviluppano climi psicologici inquinati e deleteri, successivamente i migliori manager iniziano ad andarsene verso la concorrenza, portando via progetti e clienti.

Ciascuno di noi può farsi dominare dalla frenesia quotidiana, arrivare alla incapacità di concentrazione e rilassamento, poi sopraggiunge l’irrigidimento mentale, quindi le relazioni conflittuali con tutti, quindi l’incomunicabilità e la perdita di affetti, o di lavoro. I primi segnali – come la perdita di vitalità esistenziale – se non colti e presi sul serio, inesorabilmente ricadono verso conseguenze molto tangibili (fallimento, caduta, malattia, depressione, morte).

Riflessioni operative:

  • valutare le performance del soggetto non solo rispetto a parametri classici, ma soprattutto riferendosi a indicatori qualitativi. Es.: in un’azienda, quanto l’amministratore delegato e ogni manager sia in grado di creare un clima di motivazione che riesca a trattenere i talenti in azienda, non solo misurare le vendite nel breve periodo;
  • per un individuo, valutare non solo (e spesso nemmeno considerare) il suo “conto in banca”, ma il suo stato di soddisfazione verso se stesso e l’approccio verso la vita, la sua vitalità esistenziale;
  • valutare l’apertura o rigidità del soggetto verso nuovi concetti o inputs.

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Evoluzione assertiva,verso le Effect-Based Operations

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Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

 

 

 

 

L’evoluzione è un processo che accade. Ogni creatura vivente o sistema organizzativo sono soggetti a mutazione, che lo desiderino o meno. Il vero problema è dirigere le traiettorie di questa evoluzione – decidere attivamente dove il sistema deve finalizzarsi – per creare benessere e performance.

È indispensabile una presa di coscienza sul fatto che le traiettorie evolutive dei sistemi senza governance (governo, direzione) sono spesso degenerative e possono dare esiti pericolosi (malattia, morte, fallimento). I casi di autogoverno efficace esistono, ma si presentano solo in sistemi che siano già maturi e consapevoli, e questi sono rari.

L’evoluzione assertiva prevede che cambiamento e intervento siano mirati agli effetti (centrate sui risultati da produrre) e non fini a se stessi. Cambiare per il gusto di cambiare non è il nostro obiettivo, anzi, ogni cambiamento o intervento che non risponda a criteri strategici è in realtà una diseconomia, una moda e non una necessità.

Cambiare strategicamente significa passare da uno stato X ad uno stato Y.

È essenziale che X e Y siano focalizzati (identificati). La Y (stato di destinazione) corrisponde ad un’evoluzione positiva, ad un migliore stato di adattamento (fit) e di benessere organizzativo, fisico o mentale, o ad una revisione strategica del sistema sul quale si intende agire.

Ogni obiettivo evolutivo è da valutare lungo un ideale asse dei tempi, un “percorso” che separa X da Y.

Gli interventi realmente assertivi generano una mutazione del trend, non “fumo”. Le regie creano “passaggi obbligati” tramite operazioni (operations) centrate sugli effetti da produrre (effect-based operations).

Come costruire le operations o stimoli che vada nella direzione voluta è il problema centrale delle regie.

Riflessioni operative:

  • valutare lo stato attuale del soggetto o sistema (stato X) rispetto agli obiettivi di evoluzione;
  • definire degli ancoraggi ideali futuri, gli stati ottimali cui tendere (stato Y);
  • valutare i passaggi, stimoli o operations che possono portare il soggetto da X a Y, selezionare gli interventi centrandosi sugli effetti (effect-based operations), evitare la dispersione di azione o su risultati non precisati o poco chiari.

Produrre assertivamente cambiamento quando necessario, e non solo facilitarlo quando il bisogno è già sentito, è un problema ulteriore.

Dare acqua a chi sente sete è abbastanza semplice. Offrire acqua a qualcuno che – perso in un’allucinazione sensoriale – non senta il bisogno di bere seppure disidratato è un problema più forte. Ovviamente, la sete riguarda il cambiamento e l’acqua qualsiasi nutrimento (conoscenza, comportamenti, valori, strumenti) o variazione che permetta di dare un contributo all’evoluzione positiva.

Condividere la necessità di avviare un percorso è uno dei passaggi indispensabili in un metodo registico.

Riflessioni operative:

  • sforzarsi di condividere l’esigenza di avviare un percorso;
  • inquadrare le traiettorie del “percorso” scelto per andare da X ad Y;
  • condividere l’analisi dello stato X e dello stato Y, dettagliatamente, affinché la condivisione di obiettivi sia profonda e non solo superficiale;

Altra questione essenziale è la ricerca di un equilibrio tra tecniche direttive e tecniche non direttive. Le tecniche direttive prevedono prescrizioni, modelli, concetti insegnati o distribuiti, regole o struttura, mentre le tecniche non direttive lasciano spazio all’autonomia del soggetto e alla sua personale ricerca di un percorso. Anticipiamo da subito che il modello delle regie propone un mix integrato tra le due, con una prevalenza sostanziale tuttavia (non ideologica, ma metodologica) per le tecniche direttive.

 

Riflessioni operative:

  • definire quali parti di un percorso di cambiamento hanno bisogno di (1) tecniche direttive, strutturazione, regole, protocolli, e (2) quali porzioni del percorso devono lasciare spazio a tecniche non direttive, auto-espressione, autoregolazione del soggetto o del sistema, alla ricerca di una propria strada per il miglioramento;
  • realizzare un mix equilibrato (direttivo/non direttivo) tra le diverse metodiche di intervento.

Desideriamo inoltre avviare una prima definizione e porre altre basi per un metodo registico:

 

Prima definizione: Il cambiamento è un processo di variazione nello stato di un sistema (persona, gruppo, o organizzazione) che prevede la scalata progressiva verso il pieno potenziale e la sua autorealizzazione.

Il meccanismo di cambiamento contiene sia (1) fasi di eliminazione, ripulitura, rifiuto, rimozione o disapprendimento, (2) processi di consolidamento e rafforzamento, (3) meccanismi di acquisizione (entrata) di nuovi concetti, modelli, teorie, atteggiamenti, comportamenti.

Le azioni finalizzate al cambiamento (operations) devono prevedere fin dall’inizio gli effetti da produrre, valutando quali mix di operations serviranno per produrre quali effetti.

 

Ogni singola parola di questa definizione meriterebbe enormi dibattiti e approfondimenti. Ci è sufficiente per ora concentrarsi sul fatto che il cambiamento desiderato è positivo, tocca il sistema dei valori profondi e non solo le azioni visibili, ha a che fare con la ricerca di orizzonti psicologici nuovi (diversi modi di essere, nuovi modi di “stare” nel mondo), mette in discussione lo stato attuale, impatta i temi del potenziale, della performance, e dell’espressione di se stessi verso una autorealizzazione profonda. In ultimo prende in considerazione gli effetti come parametro finale, definitivo punto di arrivo di qualsiasi processo assertivo e di qualsiasi investimento mirato.

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©Copyright. Vietata la copia o riproduzione non autorizzata. Per contatti. Altri approfondimenti sul volume sono disponibili alla sezione dedicata alla Psicologia, Formazione e Coaching sul sito Studiotrevisani e sul blog Formazione Aziendale, risorse per la Formazione e Risorse Umane.

 

Artur Kyshenko e il volume “Regie di Cambiamento” di Daniele Trevisani, tradotto in Russo

In occasione del Grand Gala di Kickboxing e Thai Boxe ThaiBoxing Mania organizzato dal Maestro Carlo Barbuto, ho avuto l’onore di allenare nel Training Mentale gli atleti del Team Barbuto nei giorni precedenti il match. Nell’occasione, ho dato in omaggio al grande campione Ucraino Artur Kyshenko il mio volume “Regie di Cambiamento” (nel link, in versione Italiana), nella specifica versione tradotta in Russo. Artur ha decisamente apprezzato lo sforzo di traduzione nella sua lingua originale e spero, come nella filosofia del Daoshi (la Via della Conoscenza) che la lettura gli offra altri spunti per la sua ulteriore crescita personale e sportiva.

Miracolo

Ci sono rare persone, rarissime, che leggono per leggere tra le righe senza fermarsi alle parole. La maggior parte delle persone non legge.

Tra i pochi che leggono, la stragrande maggioranza non ha strumenti per capire, abituata oramai al linguaggio delle immagini anestetiche della tv, si limita a ingurgitare paragrafi senza capire niente. O meglio. Fa prima. Legge solo i titoli dei giornali e le prime righe se va bene.

Una ristrettissima parte, davvero limitata a pochi esseri umani, non solo legge libri, ma si chiede cosa sta leggendo e quali sono i messaggi nascosti nel testo. Oggi, che vanno di moda i corsi di “lettura veloce” (puttanata atomica). Oggi, che nelle università insegnano la tecnica dello “skimming books” (scorrere un testo di qua e di la per farsi un’idea). Oggi, periodo in cui se un insegnante vuole punire uno studente gli da qualcosa da leggere.

Bene, quando qualcuno legge per capire i significati profondi, al contrario, è una assoluta rarità. Quando questo succede possiamo parlare di un Miracolo.

Onore e merito a chi sta coltivando l’antica arte della lettura e soprattutto della meta-lettura, la ricerca dei messaggi profondi o nascosti in un testo.  Ricordo che per l’esame di Semiotica all’Università di Bologna, per capire davvero il significato del “Trattato di Semiotica Generale” di Umberto Eco ho dovuto leggerlo 3 volte, e tutte le volte scoprivo qualcosa di nuovo, qualche messaggio nascosto, qualche passaggio che mi era sfuggito.

Gian Paolo Doretti è praticante di Arti Marziali ma soprattutto una persona curiosa di capire e di conoscere. Consiglio a tutti di legggere la sua recensione del primo capitolo del volume “Il Potenziale Umano”.

Quello che mi stupisce è la concordanza con quello che penso. Parole che escono dal cuore, senza filtro, soprattutto sulla parte negativa della medaglia. Riporto le parole di Gian Paolo, riferite al variegato mondo del coaching.

… nell’universo, ambiguo oserei dire, dei vari training-coach,life-coach, team-coach e nun-so-de-che-coach ho guardato sempre con sospetto il materiale di questi pseudo-liberatori delle coscienze altrui, spacciatori di sogni di potenza verso la realizzazione dei desideri primari (di un primate): successo (fama, notorietà), soldi (potere) e appagamento (quindi sesso).
Queste righe sono incredibili perchè sembrano uscite dalla mia tastiera, ma non le ho scritte io!! Ma come? Io approvo queste parole e poi sono un coach e formatore? Assolutamente si. Perchè esistono due modi sostanzialmente diversi nel farlo. Come ricercatori, studiosi, e formatori che hanno dedicato una vita allo studio, oppure come ciarlatani e venditori di promesse, di facilità, di magie.
Ci sono persone che prendono un titolo sul quale si legge “Master” in un weekend. Il mio Master, dopo la laurea in Italia, è durato 2 anni di full-immersion negli Stati Uniti, 12 ore al giorno di studio ininterrotto, 6 giorni su 7,  2 anni in cui ho dormito per terra dovendo scegliere tra pagare le rate universitarie o arredare l’appartamento.
E so quanto ancora ho io stesso da imparare. Per questo, la gente che promette magie e facilità, gli imbonitori, mi fanno schifo.
Mi occupo di coaching e formazione da 24 anni, dedicata ad ogni tipo di pubblico, imprese, militari, atleti, manager, e persone normalissime, so quanto sia difficile non cadere nella trappola della manipolazione, diventare spacciatore di sogni, ma invece aiutare concretamente le persone, uno ad uno, o in piccoli gruppi.
So che occorre cercare di rimanere con i piedi per terra, non illudere la gente sulla facilità e le magie e dirgli la verità, dirgli che serve parecchio lavoro e impegno per cambiare e formarsi, occorre rimanere umili e lavorare su se stessi come si lavora in palestra.
Non ho mai visto qualcuno diventare cintura nera in 1 anno, e se così fosse, non sarebbe nè meritata nè vera. Lo stesso vale per il coaching sul Potenziale Umano. Al contrario, molti formatori motivazionali illudono le persone di poterle “resettare” in un weekend. Bugie tremende.

Ma leggiamole dal vivo le parole di queste persone. Anthony Robbins, così come una intera generazione di adepti della PNL, scrive: Cosa ti farebbe sentire più vivo e “abbondante” oggi? Non domani? non tra 10 anni. Non in qualche giorno del futuro-oggi!. – testo originale dal sito: What would make you feel more alive and abundant today? Not tomorrow. Not 10 years from now. Not some day in the future—today.

Non esiste… mi dispiace per tutti quelli cadono nella trappola della promessa di facilità. Non credete a chi promette ricette magiche. Per cambiare profondamente, per crescere, servono “percorsi” e non “iniezioni rapide”. La cultura della rapidità del successo, promossa dai Guru motivazionali americani e loro adepti, è l’opposto della tradizione orientale, latina e greca che promuovono l’analisi profonda e l’introspezione. Questa è una vera battaglia culturale, non solo una differenza tra scuole.

Il Daoshi, la disciplina che ho fondato, significa “la via della conoscenza”, la via dei Maestri”, e prevede lo studio di 14 discipline diverse (fisiche) e variegate discipline di training mentale e bioenergetica. Si diventa efficaci nel difendersi dopo 3-4 mesi, ma servono 30 o 40 anni per pensare di essere arrivati da qualche parte nel proprio viaggio di conoscenza.
Il metodo HPM, altrettanto, propone 6 aree di lavoro entro le quali la ricerca e l’esplorazione non possono mai avere fine, perchè non esiste un vero punto di arrivo, ma un continuo viaggio di scoperta.
Spero che le persone tornino a leggere, tornino a saper leggere, tornino a distinguere quando stanno leggendo tra spazzatura, bugie, e qualcosa che contiene valori o suggerisce strade “antiche” che parlano di impegno e sudore anche quando questo non sia più di moda.
Me lo auguro con tutto il cuore, per tutti i ragazzi che oggi non leggono.
Daniele Trevisani, www.danieletrevisani.com

Il tema dominante del nostro pensiero

Il tema dominante di tutto il nostro pensiero va ricentrato, e presto.

Articolo copyright dott. Daniele Trevisani  Studio Trevisani, Consulenza, Coaching, Formazione

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Dobbiamo spostarlo dal baratro infetto di banalità in cui il pensiero comune, la televisione, i media commerciali, le letture stupide, e la cultura mediana cercano continuamente di spingerci per non farci pensare.

Dobbiamo mettere al centro la sacralità dell’essere umano e il forte bisogno di non sprecare nemmeno una vita, nemmeno un giorno, nemmeno un minuto, in qualcosa che non sia legato ad una visione positiva, di emancipazione e di crescita.

E, per crescere o reindirizzare il pensiero, le buone intenzioni non sono sufficienti. Un metodo serve e aiuta a canalizzare questo sforzo positivo.

Le sei aree primarie del metodo HPM (divise in tre macro aree: energie, competenze, direzionalità) valgono sia per le prestazioni fisiche che per quelle mentali o intellettuali. Ed inoltre, si prestano ad una analisi delle performance sia individuali che di gruppo.

Vorrei esprimere un concentrato di senso in una frase su cui discutere:

Le performance sono un grande banco di prova per la condizione umana…

ci parlano dell’anelito umano a crescere,

esplorare nuovi orizzonti, ricercare.. capire chi sei…

 

Ogni gara o competizione mette in moto i principi delle performance, ogni sfida aziendale, sportiva, o personale, ogni progetto sociale, ci costringe a valutare il nostro stato di preparazione e le nostre energie.

Le buone intenzioni valgono poco se non diventano un progetto.

Il viaggio verso la crescita delle energie umane, fisiche e mentali, è un percorso di esplorazione appena iniziato.

Ognuno può progredire partendo da qualsiasi stato o condizione.

Una persona depressa può iniziare a vedere una luce, e questo è già progresso, tanto quanto il miglioramento di un record mondiale.

Una persona immatura può maturare… chi si sente inadeguato in un lavoro può cambiare, ri-orientarsi, formarsi…

Un’impresa in crisi può generare nuove idee o trovare nuove strade, così come un’impresa vincente può fare da traino ad intere nuove aziende e diventare fonte di utilità sociale per tutti.

Qualsiasi sia la condizione di partenza, non smettere di credere in se stessi, nella possibilità di crescere, di migliorare, di fare dei salti in avanti, è la sfida primaria.

Il miracolo della vita è talmente grande che va celebrato e non sprecato, e come sottolinea Einstein:

Ci sono solo due modi di vivere la propria vita: uno come se niente fosse un miracolo; l’altro come se tutto fosse un miracolo.

Albert Einstein (citato in Michael J. Gelb, Il Genio che c’è in te).

Ogni volta che alleni il tuo corpo o la tua mente, rendi omaggio al miracolo che in quel giorno ti sei potuto allenare e formare, mentre altri più sfortunati, non possono.

Ogni giorno che incontri un pensiero buono, ringrazia e fallo tuo.

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copyright dott. Daniele Trevisani  Studio Trevisani, Consulenza, Coaching, Formazione

La Motivazione

Il bisogno di Essere, il bisogno di Vivere, il bisogno di Agire… Trovare le strade che funzionano nel nostro viaggio personale

Di: dott. Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano, Formatore Aziendale e Personal Coach di Manager e Imprenditori presso www.studiotrevisani.it – Sensei 8° Dan del Sistema Daoshi

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2   –

Chi è interessato a riprodurre o citare l’articolo deve chiederne autorizzazione scritta all’autore, via email. L’indirizzo di email è visibiile sul sito www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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In ogni individuo esistono, in vari momenti della vita, necessità non risolte, desideri, ambizioni, ma anche urgenze cui dare risposta, come:

  1. il bisogno di sentire un’immagine di sé positiva,
  2. l’orgoglio per qualcosa che abbiamo fatto o vorremmo fare, in grado di motivarci,
  3. il bisogno di avere amici, amici veri, con cui parlare in profondità e non stare alla superficie delle cose
  4. il bisogno di status interiore (es, essere uno che lavora su qualcosa e non ha mollato i propri sogni)

Esistono tanti diversi modi per motivarsi: il bisogno di riscatto, il bisogno di esplorazione o superamento dei limiti personali, o bisogni economici e materiali. Ma esistono anche bisogni spirituali e trascendentali.

Il bisogno di chiedersi chi siamo, di sentire un senso superiore nella vita, che non sia comprare l’ultimo modello di cellulare.

Se se tali stati di insoddisfazione o aspirazione vengono canalizzati verso obiettivi o goal positivi, fattibili, può scattare un’attivazione sana. In caso contrario, tutto ciò che non riusciamo a canalizzare in energie positive ci distrugge da dentro, come una bomba inesplosa che perda il proprio liquido corrosivo.

Le necessità o bisogni hanno un doppio effetto (sia negativo che positivo) sulle energie mentali. Ad esempio, il bisogno di riscatto può produrre energie e mobilitare all’azione (voglia di emergere, voglia di “far vedere chi sono” o “far vedere cosa valgo”, “dimostrare che ce l’ho fatta”), ma allo stesso tempo la sua eliminazione può liberare energie prima racchiuse e concentrate in quel drive e renderla utilizzabile per altri obiettivi. E’ la stessa cosa che succede

quando finisce una relazione che non funzionava più. Improvvisamente si scopre il vuoto, e il vuoto fa paura, ma permette anche di correre meglio.

Il problema è quindi se il drive motivazionale assorba la giusta dose di energie e ne lasci altre disponibili. Il concetto di Self-Leadership Motivazionale, riguarda la capacità del soggetto nel liberarsi dalla “frenesia di risultato” e trovare motori profondi per i propri obiettivi, gestendoli senza farsi gestire da essi.

 Trovare il formato motivazionale che funziona

Tra i temi fondamentali da trattare si trova quello della percezione del task da compiere. Ogni task (compito) può avere letture diverse. Fare una ripresa di combattimento può essere un compito che carica di energie che fa paura nella sua stessa sola idea. Può caricare o distruggere, motivare o demotivare.

Un task può essere demotivante se affrontato con lo spirito sbagliato, e motivante se si trova lo spirito giusto con cui affrontarlo.

Non tutti i tipi di “spirito” o disposizione mentale funzionano nello stesso modo, e ciascuno dovrà trovare in sé o con l’aiuto del coach l’assetto mentale o format che più riesce a motivarlo.

Ad esempio, Victor Martinez, professionista di bodybuilding, afferma:

 

Io affronto una sfida contro me stesso e sono un gran lavoratore. Quando mi dicono di divertirmi alle gare, io penso che non è affatto così, perché è il mio lavoro. Nessuno dice a uno di andarsi a divertire in ufficio tutti i giorni alle nove di mattina, no? Io faccio il mio lavoro con il massimo impegno, e anche di più[1].

 

In questa testimonianza notiamo che il format motivazionale operativo, che funziona su questo atleta, è il costruire un concetto di “lavoro serio” nel suo programma di allenamento, una professionalizzazione di quello che per altri è un normale svago o passione (la palestra), facendolo diventare sfida contro se stesso, e non necessariamente un divertimento.

Per altri, questo format può invece essere distruttivo.

Questo atleta ha trovato un formato motivazionale che funziona su di sé, ma lo stesso formato applicato ad un suo collega potrebbe non funzionare o essere invece fonte di frustrazione continua e portare all’abbandono.

Su ogni persona è necessario un grande lavoro di personalizzazione.

Personalizzare la motivazione è un forte lavoro di coaching e formazione.

La motivazione si ritrova per molti nel format della sfida contro altri: per alcuni, il senso della sfida rimanda ad una visione di sé epica, maestosa, leggendaria, ed è il driver interiore più forte quando si tratta di produrre una performance in alcuni campi di battaglia professionale. In altri casi, il format si arricchisce di più strati motivazionali, ad esempio, sfida + contributo.

Nel caso seguente notiamo come si vadano a stratificare il format della sfida contro il nemico assieme al format della sfida contro la lesa maestà (sfida all’immagine di sé). I due motori psicologici, sommati, aumentano l’effetto.

La testimonianza è tratta da un intervista ad un combattente professionista, nella quale possiamo notare come l’energia della sfida, se ben canalizzata, possa produrre un dose supplementare di energie per la preparazione di se stessi:

 

Intervistatore: Quasi tutti ti davano per spacciato contro Tito Ortiz…

Tutti lo credevano imbattibile, tutti credevano che nessuno lo potesse battere nella categoria dei 93 chili, ma io ero li…. Ero anche pronto ad affrontarlo senza ricompensa, volevo questo titolo. Seriamente, mi ha fatto incazzare essere li e sen

tirli parlare come se io non rappresentassi la benché minima minaccia per lui.

Ciò ti ha offeso? Ma, non veramente. Ciò mi ha dato ancora più energia, mi ha fatto allenare ancora più intensamente[2].

 

I format motivazionali non devono essere unicamente o necessariamente mossi dal motore psico-agonistico. Altri possono trovare motivazione su un fronte opposto, nel format della “relazione di aiuto” (aiutare gli altri), o nell’espiazione (impegnarsi per scontare una pena), o nella vendetta (impegnarsi contro), o per una causa in cui credono (impegnarsi per).

In ogni caso, il lavoro del coach deve consistere nel trovare quale format motivazionale possa meglio funzionare sul soggetto, ma anche localizzare e rimuovere i format attivi sbagliati, che agiscono ora come modello errato e possono risultare distruttivi o controproducenti per la persona stessa, sebbene essi possano risultare buoni per altri, o aver funzionato in passato.

Ciò che ha funzionato in passato, in un contesto diverso può non avere più lo stesso effetto, o diventare persino controproducente. L’esame qui deve essere assolutamente situazionale e personalizzato.

In ogni sfida che ci attende, chiediamoci se stiamo cercando la componente del “divertimento” che può attenderci, la componente della “scoperta”, del “superamento” di un nostro limite. Proviamo a respirare a pieni polmoni l’aria di questo modo di vivere le cose, ci farà bene.

 

Dott. Daniele Trevisani

 

 

Note sull’autore:

 

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

 

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei 8° Dan Sistema DaoShi® Bushido www.daoshi.it  – formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, MMA, Kickboxing, Karate  (Kumite), Taekwondo, Full Contact, Sanda, K1, Autodifesa. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile e campione universitario USA alla University of Florida.


[1] Berg, M. (2006), La svolta di Victor, Flex, n. 4, pp. 70-79. Rif. p. 75.

[2] AA.VV. (2004), IceMan Chuck Liddell, Reportage da “Fight Sport”, n. 2, ottobre, p. 30.