Energie psichiche e identità multiple. Le forze interiori di chi pratica Arti Marziali e Sport di Combattimento

Vivere a pieno. La consapevolezza di chi siamo veramente

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo.

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Sintesi

Se le arti marziali e gli sport da ring hanno qualche valore, questo valore va ricercato nella loro capacità di dare una identità solida alla persona, un radicamento forte nel sentirsi “guerrieri ricercatori” e portare questa attitudine con sé nella vita, con umiltà, con spirito di curiosità e di apprendimento.

Questo ancoraggio forte rimarrà valido ad ogni età, in ogni condizione fisica, in ogni momento della vita. Diventerà un porto sicuro in cui rifugiarsi nei momenti difficili, un luogo dove rigenerarsi. Saranno le fondamenta solide su cui costruire gli edifici della nostra vita, essere buoni amici, buoni padri e madri, e un giorno buoni genitori e, sempre, brave persone.

Quando questo valore sarà entrato nella mente dei nostri allievi, allora, e solo allora, potremo dire di avere avuto successo.

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Prendiamo un qualsiasi atleta o praticante di arti marziali e sport di combattimento. Esaminiamo le sue energie disponibili. Scopriremo presto che possiamo identificare nella persona sia un certo livello di energie fisiche, che un certo grado di energia mentale.

Abbiamo quindi 4 macrotipi di atleta o praticante:

Estremi positivi ed estremi negativi

  1. fisicamente forte, mentalmente forte: stato ottimale. Un praticante che ha fatto del suo corpo un laboratorio di sviluppo, costruendosi anno dopo anno solide basi fisiche (velocità, resistenza, flessibilità, coordinamento). Considera la mente un alleato da nutrire, ha forgiato un carattere in grado di farlo rialzare dopo le cadute di percorso, non vive gli eventi (es. gare) con ansia ma con amore e come occasione di scoperta. Ama intensamente ogni secondo del suo allenamento, aiuta gli altri. Vive la sacralità del suo momento, non è arrogante, e non si considera mai arrivato, sempre pronto ad apprendere qualcosa di nuovo, sente i confronti come occasione di crescita e non come sfida. Pratica diversi stili sentendosi prima di tutto un ricercatore, ha le proprie preferenze ma non è mai identificato in una singola disciplina in modo cieco, in quanto cerca una connessione con un piano di energia superiore. Sa che le arti marziali e gli sport di combattimento possono essere un ponte verso questo piano di energie superiori, e li rispetta per questa loro sacralità
  2. fisicamente debole, mentalmente debole: ha problemi fisici che tende a considerare insuperabili, non si impegna, considera ogni fallimento una dimostrazione della sua incapacità, è incostante. Cerca nelle arti marziali o sport da ring solo tecniche per compensare la sua debolezza, trucchi da applicare, e per questo cade vittima di ciarlatani che lo illudono. Avendo una identità personale debole, è sufficiente uno sparring con una persona tecnicamente superiore per fargli desiderare di abbandonare. La sua unica speranza è trovare un Maestro che non lo tratti come un perdente e gli prepari un percorso di graduale scoperta delle sue potenzialità, e lo aiuti con grande progressione a fare passi in avanti.

Stati intermedi

  1. fisicamente debole, mentalmente forte: non ha grandi potenzialità fisiche, o non le ha ancora sviluppate, ma è costante, ha uno stile di vita positivo, è rispettoso delle regole, cura la sua preparazione, sa lavorare sul lungo periodo, accetta di perdere, cade e si rialza. Con un lavoro sul piano fisico e un coaching adeguato, ha le maggiori probabilità di sviluppare livelli molto elevati.
  2. fisicamente forte, mentalmente debole: ha enormi potenzialità fisiche, ma una mente non ancora preparate. Molto probabilmente alla prima difficoltà si abbatte, o abbandona, non è costante negli allenamenti, tende a distrarsi, non sa bene nemmeno lui cosa vuole. Se è un agonista, la sua prestazione sarà estremamente variabile, potrà perdere malamente o vincere con grande superiorità dallo stesso avversario, al solo variare della sua condizione psicologica.

Le energie psichiche sostengono anche la preparazione fisica. Atleti dal grande potenziale fisico, senza energie psichiche, sono come locomotive potenti ma senza carburante.

Questa realtà ci porta a dover spostare la nostra attenzione sul fronte del grounding (radicamento) delle energie mentali, il radicamento solido della motivazione e della volontà.

Fare i conti con la propria identità: i ruoli multipli

Le autoimmagini pongono il problema dell’identità, il senso profondo di “chi e cosa siamo”. Quando ti senti parte di una comunità di altre persone che amano ciò che fanno, vedrai molto meno le differenze tra gli stili e vedrai molto più la passione comune che unisce tutti. Cercherai di apprendere da tutti. La tua identità smetterà di identificare in una singola disciplina (es, “pugile”, “karateka”, “kickboxer” etc) e diventerà quella del viandante e del ricercatore-guerriero che studia ogni arte e ama ogni disciplina per ciò che gli può insegnare.

La psicologia e la sociologia e fanno emergere la presenza della “molteplicità dei sistemi di appartenenza degli attori sociali”, delle identità multiple, il fenomeno per cui diverse identità e ruoli sono compresenti nell’individuo stesso, e spesso sono in conflitto per la gestione delle risorse (tempo, denaro, attenzioni). Ad esempio, una certa sera, potrei avere “attivo” il ruolo di seduttore e l’identità del “riproduttore”, e “spento” il ruolo di atleta o praticante. Le due identità entrano in conflitto. Solo una grande maturità può portare la persona a darsi una strategia per non mettere in seconda priorità il ruolo di atleta o praticante, e decidere magari di incontrarsi con chi desidera dopo l’allenamento.

Le diverse identità possono convivere (a volte solo apparentemente) ma entrano normalmente in conflitto. Ad esempio, l’identità di padre può richiedere di uscire prima dal lavoro o di non assumere un nuovo incarico (perché già saturi), mentre l’identità di professionista, basata su stereotipi di manager onnipotente, super-efficiente, richiede che un nuovo incarico vada assolutamente accettato e ricercato, non ci si faccia scappare l’occasione. Per scegliere bene e rapidamente dobbiamo sapere bene chi siamo.

Perseguire obiettivi ambiziosi nel percorso di carriera e nell’ascesa professionale può andare in conflitto con l’ambizione di essere un buon padre o madre. Dividere bene “chi siamo” nei vari momenti della giornata, e rispettare i confini tra i diversi ruoli personali, è un’abilità sociale e professionale da non dare per scontata.

Ogni energia e tempo possiedono limiti, ed si possono generare conflitti tra le diverse identità. Le domande interiori sono costanti, ad esempio: dedicarsi alla carriera o alla famiglia (e se ad entrambe, con che equilibri)? Dedicare la prossima serata agli amici o al mio sè intellettuale (lettura)? Dare spazio all’avventuriero o al pantofolaio, nella prossima vacanza? Andare in palestra o stare a casa?

Ogni volta che si presenta una scelta, le identità latenti emergono.

Riuscire a compiere una sintesi tra le diverse identità e ruoli, evitare di disgregarsi, trovare una centratura personale, è fondamentale[1].

Identità e presenza mentale

Finché non si sono “fatti i conti” con i propri sé multipli, e ricercato un equilibrio consapevole tra le identità multiple compresenti in ciascuno di noi, appare difficile trovare una armonia interiore e vi saranno conflitti interni permanenti (dissonanze cognitive).

Queste dissonanze interne porteranno a pensare “sono qui ma dovrei essere là” in ogni occasione: sono qui al mare con la famiglia (identità genitoriale) ma dovrei essere a dedicarmi a quel progetto di lavoro (identità professionale), ma vorrei anche leggere un libro (identità intellettuale), e via così. I conflitti interni non risolti assorbono e consumano energie.

Questi conflitti di identità minano letteralmente la percezione del tempo (time perception), distruggono il vissuto “sano” del tempo, impediscono di vivere a fondo il momento nel quale stiamo vivendo, con la costante sensazione “mi sta sfuggendo qualcosa di importante”.

Per superarli è necessario applicare un training di “cultura dei confini” nel quale il soggetto apprenda a creare barriere mentali tra le attività (da non confondere con il tentativo goffo di dirsi “smetti di pensarci”), tramite una vera ristrutturazione cognitiva dei tempi personali.

Il problema delle identità riguarda anche la sfera del role-fitting (letteralmente: adattamento nel ruolo): sentire il ruolo come proprio, sentirsi adatto al ruolo, ben calato nel ruolo, essere “a pieno nel ruolo” o “forzato entro il ruolo”. Impadronirsi a pieno del ruolo (empowerment) è spesso difficile.

In alcuni rari casi si assiste al miracolo: persone che per un certo periodo di vita riescono a far coincidere una propria passione con la professione. Es.: un pallavolista o calciatore professionista, un ballerino o ballerina che praticano l’attività per professione ma anche per passione, un artista o pittore che amano l’arte, un leader che ama sfide professionali, un medico che ama curare, un formatore o docente che amano davvero insegnare e trasmettere.

Questa coincidenza di identità professionali e passioni non è la norma. E anche quando accade non è permanente.

Un pallavolista o calciatore può trovarsi a convivere con un allenatore che gli è poco simpatico. Un artista o pittore può trovarsi a dover mantenere una famiglia e dover produrre dipinti o opere non più solo per l’arte ma anche e soprattutto per comprare le scarpe ai figli. Un leader può trovarsi improvvisamente con l’azienda per cui lavora fallita o acquistata da un gruppo internazionale, e – se gli va bene – accettare una posizione minore, o essere licenziato. Un medico può anche trovarsi a dover curare una malattia oggi incurabile, o gestire casi più forti delle sue capacità o lavorare in ambienti demotivanti.

Il dilemma “lotta o fuggi” pone domande: puoi permetterti di abbandonare? Hai soldi da parte per vivere tutta la vita? Vivi di rendita? Hai avuto eredità? Riesci a produrre e vivere con passione anche in mezzo ai problemi o in ambienti imperfetti?

Imparare a trovare le energie mentali per vivere anche fuori da un mondo ideale è una competenza utile per ogni persona e per ogni performer. Questa capacità psicoenergetica è la capacità di sostenere imperfezioni e abilità di adeguamento ad ambienti ostili, vivere un mondo difettoso per natura e in situazioni carenti senza che queste lacune facciano soccombere le forze e la volontà. Vivere nell’impossibilità di perfezione è una nuova arte.

Abbiamo detto, tuttavia, che inseguire un sogno è importante, per cui le abilità di adeguamento sono una capacità apprezzabile, ma ancora di più lo è capire quando è ora di cambiare e trovare il coraggio di farlo.

L’analisi complessiva dei fattori di identità e di ruolo permette di scomporre larga parte del disagio esistenziale. Il coaching potrà quindi rimuovere le aspettative su di sé che non possono veramente essere raggiunte. Potrà sostituirle con qualcosa di sfidante ma perseguibile e sano.

Potrà anche supportare i processi utili per trovare un equilibrio forte e fissare nuove mete raggiungibili con le proprie risorse, maggiormente coerenti con un principio di realtà, ripulite da illusioni e modelli proposti dai mass media e dalle aspettative altrui.

Il coach può e deve facilitare l’impegno dell’individuo verso la propria formazione, indipendentemente dal fatto che il risultato venga poi raggiunto o meno, e ristrutturare il concetto di apprendimento, da male necessario a piacere di scoperta.


Principio 1 – Identità, ruoli ed energie mentali

Le energie mentali sono collegate alle capacità di:

  • riconoscere i diversi ruoli giocati ed eliminare le forme di concorrenza interna per le energie disponibili, con aumento di una cultura dei confini tra ruoli;
  • capire bene come distribuire energie e tempi nei diversi ruoli giocati in un certo momento della vita, staccare mentalmente da un ruolo (es. lavorativo) prima di entrare in un ruolo diverso (es.: genitore); evitare trascinamenti e confusioni di ruolo;
  • capire quali priorità dare e saper rinunciare senza rimpianti a pretese di onnipotenza e desiderio di “voler essere dovunque” o “voler essere in troppi ruoli”, capacità di rinuncia serena e consapevole, senza rimpianto;
  • armonizzazione dei sé multipli in una identità sana, coerente, senza dissonanze interne tra i ruoli, ancorata a principi solidi;
  • gustare e assaporare il vissuto del tempo speso in un ruolo e attività connesse senza voler essere contemporaneamente in un ruolo e attività diverse e concorrenti (incremento della presenza mentale);
  • pulizia mentale dalle aspettative sbagliate su di sé, inerenti i ruoli proposti dai media e dalla cultura dominante, e ricerca di una propria identità più vera.

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani, Fulbright Scholar, esperto in Potenziale Umano e Psicologia, coach e formatore presso www.studiotrevisani.itwww.studiotrevisani.com e Direttore di www.medialab-research.com –  Insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione e Psicologia, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Kumite, Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano e formazione.


[1] Va reso omaggio in questo ambito al mirabile lavoro di Roberto Assagioli, che su questo tema ha prodotto numerosi contributi. Il senso stesso del metodo da lui creato, la Psicosintesi, ha un significato simile a quello che stiamo qui proponendo. Vedi Assagioli, R. (1973), Principi e metodi della Psicosintesi terapeutica, Astrolabio, Roma; Assagioli, R. (1977), L’atto di volontà, Astrolabio, Roma; Assagioli, R. (1999), Psicosintesi: per l’armonia della vita, Astrolabio, Roma.

La rana nella pozzanghera… (storie di ribellione e mancata ribellione)

Articolo di Daniele Trevisani, Copyright 2010, Studio Trevisani. Anticipazione editoriale dal volume Il Potenziale Umano.

… ogni essere umano possiede dentro di sè una energia che tende alla realizzazione di sè, e – dato un clima psicologico adeguato – questa energia può sprigionarsi e produrre benessere sia personale che per l’intero sistema di appartenenza (famiglia, azienda, squadra).

Oltre al clima psicologico favorevole alla crescita, è importante  la possibilità di non essere soli nel percorso e avere compagni di viaggio (condizione 1). Una condizione ulteriore indispensabile (condizione 2) è sapere dove muoversi, verso dove andare, poter accedere ad un modello o teoria che guidi la crescita.

Con questa duplice attenzione, lo sviluppo personale diventa un fatto perseguibile, non più solo un sogno o un desiderio.

Una persona, un’azienda, un atleta, una squadra, sono organismi in evoluzione che spesso anziché evolvere in-volvono, o implodono, si consumano.

Tutti desideriamo la crescita e il benessere ma a volte ci troviamo di fronte a risultati insufficienti (sul lavoro, o nei rapporti di amicizia, o nel nostro percorso di vita) e a stati d’animo correlati di malessere, sfiducia o calo di autostima.

Dunque, bisogna agire. Ma ancora più interessante – prima di affrontare il come agire – è capire quando nasce il bisogno. Alcune domande provocative:

  • Quali sono i limiti inferiori, i segnali che ci informano del fatto che è ora di cambiare, che qualcosa non va, o che vogliamo essere migliori o anche solo diversi? Dobbiamo aspettare di raggiungerli o possiamo agire prima?
  • Quando prendiamo consapevolezza del bisogno di crescere o evolvere?
  • Da cosa siamo “scottati”, quali esperienze o fatti ci portano a voler evolvere? Quali sono i critical incidents che ci segnalano che è ora di una svolta? Dobbiamo attenderli o possiamo anticiparli?

critical incidents possono essere eventi drammatici o invece di piccola portata, ma comunque significativi, come lo svegliarsi male e non capire perché. Può trattarsi di un accadimento che ci ha riguardato e non riusciamo ad interpretare, non riusciamo a capire cosa sia successo. Possono essere casi di vita come la perdita di un lavoro, o una trattativa andata male, una gara persa, un litigio, una relazione che non va, o anche solo la difficoltà a raggiungere i propri obiettivi quotidiani. Può anche trattarsi di una malattia fisica o sofferenza psicologica. In ogni caso, la vita ci presenta continuamente sfide che non riusciamo a vincere, e alcune di queste fanno male.

Spesso rimanere “scottati” (da un’esperienza o stimolo) è indispensabile per acuire lo stato di bisogno, ma – come dimostrano gli studi sulla fisiologia –  l’organismo degli esseri viventi si abitua anche a stati di sofferenza cronica e finisce per considerarli quasi accettabili. Finisce per conviverci.

La metafora della rana nella pozzanghera, vera o falsa che sia, è comunque suggestiva: leggende metropolitane sostengono che una rana che si tuffi in una pozzanghera surriscaldata dal sole reagisca immediatamente e salti via. La rana scappa dall’ambiente inospitale senza bisogno di complicati ragionamenti. D’estate, una rana che sia nella stessa pozzanghera – la quale progressivamente si surriscalda al sole – non subisce lo shock termico istantaneo e può giungere sino alla morte, poiché – grado dopo grado – il peggioramento ambientale procede, in modo lento e costante, e non si innesca lo shock da reazione.

Non ci interessa la biologia delle rane, se la leggenda sia vera o falsa, e nemmeno se questo sia vero per tutte le rane. Interessa il problema dell’abitudine a vivere al di sotto di uno stato ottimale o della rinuncia a crescere, la rinuncia a credere che sia possibile una via di crescita o (nei casi peggiori) una via di fuga o alternativa ad un vivere oppressivo, intossicato, o semplicemente al di sotto dei propri potenziali.

L’abitudine all’ambiente negativo porta ad uno stato di contaminazione e alla mancanza di uno stimo di reazione adeguato. Si finisce per non sentire più il veleno che circola, l’aria viziata o velenosa.

Bene, in certe zone dello spazio-tempo, del vissuto personale, l’aria è ricca di ossigeno, ma in altre, larga parte dell’aria che respiriamo è viziata, e non ce ne rendiamo conto.

In certe aziende, famiglie o gruppi sociali (e persino nazioni), la persona, e la risorsa umana (in termini aziendalistici) assomiglia molto alla rana: può trattarsi di uno stagno visivamente splendido e accogliente, con entrate sontuose e atri luminosi, ma che – vissuto da dentro – diventa una perfida pozza venefica nella quale non si riesce più a “respirare”, e si finisce per soffocare.

Nella vita gli ambienti circostanti mutano ma non sempre con la velocità sufficiente ad innescare lo shock da reazione, e ci si sforza di adattarsi o sopportare. In altre realtà opposte, l’ambiente è invece favorevole e permette all’essere umano di realizzarsi.

Lo sforzo di adattamento produce un adeguamento inferiore, un blocco della tendenza attualizzante: la tendenza ad essere il massimo di ciò che si potrebbe essere, la tendenza a raggiungere i propri potenziali massimi di auto-espressione. Il nostro scopo è invece di perseguire la tendenza autoespressiva ai suoi massimi livelli: la tendenza di ogni essere umano ad essere il massimo di ciò che può essere.

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Articolo di Daniele Trevisani, Copyright 2010, Studio Trevisani