Gestire le energie prima, durante e dopo le performance

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

La gestione del budget energetico

Quando una prestazione è impegnativa, è necessario apprendere a gestire le energie, durante ma soprattutto prima il momento della performance.

Tra le tecniche si inseriscono la riduzione del consumo di energie nelle fasi di riposo e nei pre-gara o pre-prestazione, utilizzandole proficuamente e solo per riposare o allenarsi con serenità.

Vi sono attività svolte durante le fasi di riposo che sono in realtà assolutamente assorbenti e consumano, come le pubbliche relazioni sgradevoli e le relazioni sociali obbligate. Entrambe le attività attingono alle energie e risorse relazionali.

Un lavoro fisico (es.: nuotare o correre) non è invece in concorrenza con l’assorbimento di risorse di tipo relazionale, e attinge a risorse da budget energetici diversi. Possiamo quindi immaginare il sistema mente-corpo come un insieme di contenitori energetici che scambiano tra di loro energia, come vasi comunicanti. Alcuni di questi vasi comunicanti sono in genere bloccati, altri sono aperti.

Il training bioenergetico insegna al soggetto a regolare intenzionalmente i flussi energetici, ad esempio recuperare energie per l’auto­con­trol­lo attingendo alle tecniche di respirazione, a costruire momenti di recupero in cui lasciarsi andare, ma anche a bloccare intenzionalmente la dispersione di energie che altrimenti accadrebbe senza consapevolezza.

La pratica può riguardare non solo performance atletiche o manageriali, ma anche il piano sociale. Ogni persona può apprendere a staccare al termine della giornata lavorativa, diventare consapevole di quando il budget energetico per le relazioni umane è esaurito, per far si che la sua condizione di esaurimento non vada a discapito del clima familiare (litigio familiare come trascinamento di attività lavorative e stress professionali), e viceversa.

La persona può apprendere come inserire nel proprio stile di vita attività che lo mettono in grado di ricaricare il budget energetico per le relazioni umane, es.: fare una attività sportiva a basso impegno relazionale e ad alto impegno fisico, prima di rientrare a casa.

Questo è solo un esempio di un problema più generale che non va sottovalutato: la gestione delle proprie energie e dei budget di partenza.

 

Principio 25 – Riduzione ed eliminazione delle interferenze sulle performance

  • La performance richiede che l’organismo non venga sottoposto ad ulteriori fonti di assorbimento energetico concorrenti sullo stesso budget energetico, durante la performance stessa.
  • Nelle fasi precedenti la performance, sono positive per la performance le attività di pre-empting (eliminazione di tensioni fisiche e mentali) in grado di ridurre la componente ansiosa e la tensione emotiva eccessiva.
  • La performance può essere aumentata ricercando la condizione bioenergetica ideale nei momenti che la precedono.
  • Le energie cui attinge un budget non devono essere consumate da attività apparentemente diverse ma che in realtà attingono allo stesso budget.

Ogni performance attinge a specifici tipi di risorsa energetica e budget energetici, per cui l’integrità del budget energetico – il suo non uso in altre attività concorrenti – è essenziale per avere il massimo delle performance.

In applicazione del principio evidenziato, ad esempio, manager chiamati a sostenere impegnativi public speaking o riunioni difficili, potranno trarre danno dal doversi impegnare precedentemente in attività relazionali estenuanti, e benefici da attività sportive praticate nelle ore precedenti, che svuotino di energie la componente ansiosa ed emotiva (attività di pre-empting energetico o svuotamento preventivo).

Le energie post-prestazione sono altrettanto preziose: il loro utilizzo mi­gliore è in attività che comprendono la celebrazione del risultato e dell’im­pe­gno profuso, il recupero, ed inoltre l’apprendimento dall’esperienza a caldo, la sua rivisitazione, la ricerca di cosa quell’esperienza possa dare anche per il futu­ro.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Autorealizzazione

Autorealizzazione: la visione della persona come sistema energetico

Contributo del dott. Daniele Trevisani www.danieletrevisani.it – consulente e formatore aziendale, Counselor, Master of Arts in Mass Communication, University of Florida. Insignito dal governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla comunicazione e potenziale umano.

Copyright Daniele Trevisani, estratto con modifiche originali dell’autore dal testo “Il Potenziale Umano” Franco Angeli editore

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Ricordarci chi siamo ogni tanto fa bene. O meglio. Va “sollecitato”. Altrimenti va nel dimenticatoio, e ci si dimentica, giorno dopo giorno, di fare un lavoro “sacro”. Sacro? Ma come? Cosa vuol dire? Beh, in qualche paragrafo cercherò di spiegare cosa intendo e che benefici derivano per sé e per gli altri dal cogliere la dimensione “sacra” del fatto stesso di lavorare nel fitness e nel wellness, o nello sport, nel coaching o nel counseling.

Il primo fatto è questo. Che lo vogliamo o meno, siamo operatori del Potenziale Umano. Ogni allenatore, istruttore, e in generale chi opera nel mondo, agisce a vari livelli con lo scopo consapevole o del tutto inconsapevole di alimentare le energie personali (fisiche e mentali) di un cliente/partecipante. Diventarne coscienti è un passaggio fondamentale.

L’importanza del lavoro sul corpo nell’autrealizzazione è fondamentale. Il corpo è la nostra casa, è dove abitiamo.

Ogni esperto di fitness, salute, allenatore o Direttore Tecnico si ispira – sapendolo o meno – ad un metodo o scuola di riferimento. Quello che diventa importante per ogni essere umano è capire come fuoriuscire dal metodo di provenienza, non considerarlo una gabbia ma un trampolino per la propria ricerca, e cercare un modello universale, la matrice che ispira il motivo stesso di lavorare e di vivere il corpo.

Possiamo immaginare l’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni. Noi siamo attivi nel fitness sia per una catena di eventi del tutto casuali, ma lo rimaniamo nel tempo e ne facciamo una professione voluta solo quando capiamo la sacralità che si nasconde dietro ogni piccolo gesto che vediamo compiere in una palestra, che sia aiutare qualcuno a far bene una distensione su panca, o vedere una persona entrare cupa e uscire felice e più serena dal nostro centro. Se un istruttore crede in quello che fa, si vede da kilometri di distanza. E i clienti lo sento, lo “percepiscono”. Respirano l’energia del centro fitness e ne escono carichi e motivati. O, al contrario, si annoiano e non torneranno più.

Il metodo che utilizzo per la formazione di trainer, allenatori, istruttori e Maestri di varie discipline, sia nel fitness che nelle arti marziali, individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascun cliente, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire e far progredire qualcuno, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali. Farlo per i clienti significa porsi come coach del loro potenziale, anziché vederli come semplici numeri da casellario.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o team, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Può far diventare il centro fitness un luogo sacro, inteso come luogo dove si persegue una forma di ricerca del proprio potenziale. Non sono davvero convinto che tutti gli operatori colgano questa forma di sacralità. E non cogliendola, non la trasmettono, né ai clienti, né alla reception. E diventano quindi freddi, distaccati, trattando il cliente appunto come un numero.

Non ci meravigliamo quindi se poi un cliente abbandona presto. Ognuno di noi ha avuto voglia di andarsene durante un’omelia o una messa quando ha iniziato a sentire noia. Perché non dovrebbe succedere lo stesso in palestra o in un centro fitness?

Dobbiamo quindi aiutare i clienti a prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli. Questa è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo di un praticante), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o una squadra, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire. La ricerca di un modo diverso di fare fitness parte proprio dalla “sacralità” che ciascuno di noi percepisce nel fare il lavoro che fa, o nel vederlo invece come uno dei tanti possibili lavori.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.  C’è chi crede che esista qualcosa di sacro e per il quale vale la pena battersi, e chi crede che tutto sia inutile. Il metodo si rivolge ai primi.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

 Figura 1 – Esposizione grafica del modello HPM

Ciascun punto riguarda un lato specifico di un cliente, ad esempio

  • Il suo stato di forma fisico, sia generale che nei diversi distretti corporei
  • Il suo stato di motivazione e la sua capacità di essere continuativo nella frequentazione
  • L’ampiezza delle discipline che riesce a padroneggiare (spettro o vastità disciplinare), e che riusciremo quindi a vendere ad un cliente, entro un percorso multidisciplinare di marketing del centro fitness
  • La capacità di andare in profondità nelle tecniche di alcune di esse, sino al punto di far sentire un cliente “padrone” di un certo territorio psicologico e far si che si senta davvero bene
  • I valori che ispirano l’essere praticante di fitness, atleta, coach, istruttore o Maestro, il perché facciamo le cose e il perché pratichiamo fitness
  • La capacità di tradurre una “voglia di migliorare” in un progetto concreto, per se o per i propri allievi e clienti. Questo si traduce in un vero atteggiamento consulenziale, che parte dal desk e deve permeare ogni singolo istruttore, e persino i muri del centro fitness (non come metafora, ma realmente, tramite illustrazioni e figure che aiutino a motivare i cliente all’assiduità e alla frequenza. Ne ho visto esempi pratici nella palestra di una base americana della Nato, e vi assicuro che funzionano).

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale di un cliente è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

È vero Maestro o vero istruttore o fitness trainer colui che sa dare voce a questo potenziale. In caso contrario, saremmo di fronte ad un puro “insegnante di tecniche”, non ad un “formatore” dell’individuo, nostro vero obiettivo.

Nessuno pratica fitness per gettare soldi in abbonamenti se non coglie un senso in ciò che fa, ma ha una motivazione psicologica (non annoiarsi, o una forma di riscatto personale, e mille altre possibili ragioni che formano l’universo motivazionale del cliente). Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale a crescere, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione durante un allenamento, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria per ricordare brani di allenamento positivo, amplificazione sensoriale, vissuti emotivi, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel centro fitness, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organismico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie di esecuzione del gesto, che fanno la differenza in una allenamento buono e produttivo, “sentito”, o invece scadente e noioso. Comprende anche le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente,  le micro-abilità relazionali e di movimento da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un partecipante; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne attivi in una gamma di discipline variegata; questo per noi significa riuscire a collegare il cliente al centro fitness al di la della disciplina praticata ed aiutarlo a cambiare discipline in un percorso variegato, senza perderlo. È una delle sfide che il modello vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); infondere motivazione nel partecipante, generare la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi allenanti e focus sui risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione che si nasconde dietro e dentro al fare fitness, un senso da recuperare assolutamente. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Se sappiamo generare energie e alimentare energie di queste 6 celle avremo fatto al cliente o a noi stessi un dono incredibile, un dono che si collega all’aumento delle sue energie personali come risultato di cui essere fieri.

Copyright Daniele Trevisani, www.danieletrevisani.it estratto con modifiche originali dell’autore dal testo “Il Potenziale Umano” Franco Angeli editore.

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 Video di approfondimento, una visione particolare sul concetto di Autorealizzazione, Eckart Tolle

https://youtu.be/jP_veYfhx4M

1.11. Raggiungere obiettivi

1.11.     Raggiungere obiettivi

Energie e capacità mettono le persone in grado di dirigersi verso i propri obiettivi o scopi, siano essi già inquadrati come progetti con un output preciso, o semplici idee ispiratrici, ancora non definite o ben focalizzate.

I tre grandi piani di lavoro (energie personali, competenze, obiettivi), sono variabili tecniche, ma dietro ad esse si trova uno sfondo umanistico enorme, dalle grandi implicazioni, che vogliamo esaminare.

Ottenere risultati e tagliare i propri traguardi è un tema importante per l’individuo, per un gruppo (team sportivo, team aziendale), e per un’intera organizzazione o azienda, persino per una nazione o l’intera umanità.

La quantità di implicazioni psicologiche che si ritrovano dietro ai risultati, tuttavia, è impressionante. Solo chi li ha faticati in prima persona è consapevole dello sforzo, delle energie mentali e motivazionali spese per attività che apparivano, a prima vista, banali o puramente tecniche.

A volte non sono gli obiettivi ad essere difficili, ma le persone.

Ad esempio, la prestazione in un esame dipende sia dalla conoscenza della materia (aspetto tecnico) ma anche dalla capacità di gestire emozioni, ansia e attesa, essere comunicativi e mentalmente presenti (componente psicologica), e questa è ben più difficile da affrontare che non lo studio di una materia.

Anche nello sport, vincere una partita prevede la capacità di creare un team vincente, lavorare ai climi psicologici del gruppo, sostenere le individualità, creare uno spirito di squadra. Chi dimentica questo perde.

Lo sanno bene le nazionali forti che possono subire sconfitte pesanti e umilianti anche da squadre di paesi semisconosciuti, se affrontano l’impe­gno con “sufficienza”, o si trovano nella condizione psicologica sbagliata, mentre gli avversari sono iper-motivati e affamati di vittoria.

Anche in azienda il fuoco della motivazione e della passione, e le qualità mentali, fanno la differenza: un progetto davvero innovativo prima si pensa, poi vi si investe. La qualità del pensiero viene prima.

Una distinzione fondamentale consiste nel riconoscere che esiste una matrice di obiettivi, e questa parte da risultati molto focalizzati (micro-goal, come rimanere positivi nei vari momenti di un’attività, anche se impegnativa), passa per obiettivi più ampi (es.: gestire bene un progetto cui teniamo), sino a salire agli obiettivi esistenziali (Life Objectives), come il bisogno di vivere a pieno la vita, e la ricerca della felicità.

In ciascuno di questi stadi vi sono catene da spezzare e cose da imparare.

Secondo questa visione, vivere pienamente significa ben più che esistere.

Questo ha ripercussioni non piccole sul concetto stesso di performance e di potenziale umano. Come sostiene Oscar Wilde:

 

La cosa più difficile a questo mondo? Vivere! Molta gente esiste, ecco tutto

(Oscar Wilde).

 

Quindi, fissiamo immediatamente un concetto: si possono ottenere performance senza lavorare sul potenziale umano seriamente (es.: doping, o comprare un risultato) ma questo non ci interessa, non è il nostro fine. Anzi, questi pseudo-risultati sono il polo negativo, il male, le bugie, le false promesse, ciò da cui vogliamo stare lontani.

Il lavoro che ci apprestiamo a fare infatti è quello allenante, preparatorio, formativo, costruttivo, il dare forma (Modeling) al potenziale e alle prestazioni tramite un lavoro serio, fatto di continuità, tecnica, strategia, sudore.

Due elementi fondamentali di una prestazione umana sono: (1) gli scopi (obiettivi) e (2) il loro grado di raggiungimento (nullo, intermedio, totale).

Rispetto agli scopi, ci concentriamo soprattutto su quelle prestazioni o performance che hanno un senso di contributo, di liberazione, di espressione, di emancipazione. In altre parole, le prestazioni non solo meccaniche.

Rispetto al grado di raggiungimento, consideriamo che esso sia una funzione strettamente dipendente dal tipo di potenziale raggiunto (dalla persona, dal team, dall’organizzazione), e che per l’eccellenza bisogna lavorare sulla crescita strutturale più che sui risultati immediati. È la nostra visione.

È più importante insegnare ad un atleta a gestirsi, a non bruciarsi, ad avere una carriera e una vita, a trovare equilibri, che non spremerlo e gettarlo per una singola gara o stagione.

Lo stesso per avere manager e professionisti preparati in azienda: stiamo o no creando un sistema che li formi, una palestra di formazione aziendale? Se non abbiamo un programma serio in merito, non lamentiamoci se dovremo richiamare i pensionati. In ogni squadra seria si coltiva un vivaio e un settore giovanile, e questo vale anche in azienda. Molti vogliono risultati senza investire, e spremono l’azienda, ma non fanno crescere le persone.

Ancora una volta, vogliamo lavorare alle condizioni che permettono di ottenere i risultati quando li desideriamo, senza attendere manna dal cielo o la fortuna.

Il nostro approccio considera le performance vere non solo come atti tecnici, ma espressioni di libertà, applicazioni di una volontà emancipata di andare oltre, di scegliere (Free Will), un concetto che sta entrando finalmente nella letteratura anche manageriale:

 

La libera volontà è l’abilità di un agente di selezionare un’opzione (comportamento, oggetto, etc.) da una serie di alternative[1].

 

Nei capitoli successivi passeremo in rassegna numerosi dettagli tecnici sui quali lavorare per una formazione e coaching analitici e in profondità.

Non dimentichiamo però lo spirito di fondo, che è sempre quello di un messaggio positivo, ciò che un padre vuole trasmettere ad una figlia, o figlio, o al prossimo, rispetto alle energie e alla vita: ogni volta che ti svegli, pensa positivamente a cosa fare di buono oggi. Ogni volta che vai a dormire, rivedi le cose buone accadute, sensazioni positive che avresti dato per scontato. Poi, pensa a cosa ti piacerebbe fare di buono domani, cosa ti renderà felice, che contributo puoi dare a te e agli altri, in cosa puoi applicarti bene. Fai cose che ti daranno energie, riduci quelle che ti impoveriranno spiritualmente e fisicamente.

Non lasciarti spegnere. Ogni volta che sei triste chiediti se la tristezza ti merita o se puoi dirottare le tue energie verso qualcosa di positivo.

Ogni volta che guardi avanti cerca il bene, e quando ti guarderai indietro sarai orgogliosa di te. Questo è rendere omaggio al dono di esistere.

Agire, provarci, in modo da potersi guardare indietro con senso dell’onore, è luce, un bisogno che traspare in ogni storia vera, in ogni cultura umanistica e spirituale, come si intravede bene in questa testimonianza dagli Indiani d’America:

 

“Oh Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento,

il cui respiro dà vita a tutte le cose.

Ascoltami; io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza,

lasciami camminare nella bellezza,

e fa che i miei occhi sempre guardino il rosso e purpureo tramonto.

 

Fa che le mie mani rispettino la natura in ogni sua forma

e che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua voce.

Fa che sia saggio e che possa capire le cose che hai pensato per il mio popolo.

Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a tutti quelli che verranno contro di me.

Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto in ogni foglia ed in ogni roccia.

Aiutami a trovare azioni e pensieri puri per poter aiutare gli altri.

Aiutami a trovare la compassione

senza la opprimente contemplazione di me stesso.

 

Io cerco la forza, non per essere più grande del mio fratello,

ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso.

Fammi sempre essere pronto a venire da te con mani pulite e sguardo alto.

Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto,

il mio spirito possa venire a te senza vergogna”.

 

Preghiera per il Grande Spirito,

Tatanka Mani (Bisonte che Cammina) (1871-1967)


[1] Mick, D. Glen (2008), Degrees of Freedom of Will: An Essential Endless Question in Consumer Behavior, Journal of Consumer Psychology, 18 (1), 17-21.

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Copyright, dal Volume: “Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

1.3. Economie energetiche: lavorare sui distretti locali e sulle energie complessive

L’essere umano ha una propria economia energetica globale, un insieme di equilibri delicati dal quale emerge il suo grado di “potenza” complessiva, la capacità di affrontare casi, azioni, sfide, problemi piccoli, grandi, semplici o complessi, dominandoli, o – in caso contrario – essendone schiacciati.

L’alchimia delle intere energie personali è decisamente complessa.

 Anche i distretti locali del sistema umano hanno una propria economia locale. Possiamo esaminare non solo il tutto, ma anche specifiche parti.

 

L’economia energetica riguarda sia i macro-distretti (es.: fisico e mentale) sino, scendendo di scala, a toccare micro-economie molto specifiche.

Esistono economie locali nei distretti fisici, come una spalla, un ginocchio, lo stomaco, e ogni altro organo.

 

Lo stesso per le economie legate alle competenze mentali, come la concentrazione o la lucidità decisionale. La mente ha proprie economie generali che la portano a funzionare bene o male, così come economie in specifiche aree cognitive, es., la creatività. Ciascun distretto (sia corporeo che cerebrale) è inoltre un sistema aperto, e risente dei distretti con cui interagisce. Il complesso delle energie individuali è quindi articolato e si connette alle performance che la persona può o meno generare.

 

Ogni organo vive di risorse esauribili, ha proprie capacità di tenuta e propri punti di stress e di rottura, che non possono essere ignorati. Ad esempio, in reumatologia si studia il concetto di “economia articolare”, cioè l’“economia dell’articolazione” . Ogni zona del corpo, come un ginocchio, ha una sua economia locale, e possiamo chiederci quanto una persona può correre senza infiammarlo, che attività fisiche lo irrobustiscono o invece lo danneggiano, che tipo di nutrienti servono per tenerne in buono stato la cartilagine, e ancora come alzare un oggetto pesante senza danneggiarlo.

 

Chiedere alle persone di dare performance senza studiare (1) lo stato delle economie energetiche complessive, e, (2) le economie locali più direttamente coinvolte nella specifica prestazione, è come chiedere ad un cavallo di correre senza controllare se ha mangiato o se ha gli zoccoli. Vuol dire fregarsene e spremerlo per poi gettarlo, e questa non è la nostra filosofia.

Non siamo nemmeno dell’idea che sia bene massaggiare il cavallo per un anno in attesa che abbia voglia di correre (buonismo inutile), ma non riteniamo nemmeno utile o giusto frustarlo per spremere sino all’ultima energia di riserva. Ciò che serve è strategia allenante attenta.

 

L’approccio è quello del rimuovere (1) ipocrisie e buonismo, (2) aggressività inutili, e (3) improvvisazione.

Per lavorare tecnicamente alle performance attese, dobbiamo coltivare lo sviluppo personale e la condizione energetica, rispettando sia la sacralità della persona che la sacralità dell’obiettivo.

 

Cambiare comportamenti, studiare attentamente lo stato di un distretto fisico e/o mentale, tenerne conto nel proprio stile di vita, permette di gestire meglio le energie e la condizione sia del distretto che dell’intera attività personale.

Ottimizzare  l’“economia specifica” dei distretti fisici, ridurre al minimo traumi o danni, permette di ampliare la possibilità operativa delle persone. Specifiche ricerche dimostrano come tenendo conto delle economie locali e ottimizzando i gesti e comportamenti sia possibile permettere di tornare a lavorare o ad allenarsi anche per chi ha avuto traumi. Questa attenzione alle energie ed economie, locali e complessive, va estesa ben oltre il fronte della malattia.

 

Lo stesso ragionamento “per distretti” tocca anche le economie del funzionamento mentale e cognitivo. Ad esempio, abbiamo una “economia delle capacità decisionali”, una “economia dell’ansia”, e ancora una “economia dell’attenzione”, o una “economia delle capacità relazionali”. Se parliamo tanto e forzatamente per lavoro, ci accorgiamo di non avere più voglia di parlare di lavoro magari in pausa, e vorremmo evitare altre attività relazionali obbligate. Questo ne è un esempio.

 

Tocchiamo con mano i livelli energetici ogni volta che una variabile viene chiamata in azione, ad esempio, per l’economia dell’attenzione, ne constatiamo l’esistenza ogni volta che un relatore sale sul palco o un docente insegna, e notiamo per quanto riusciamo a rimanere attenti.

Se non abbiamo dormito da giorni o abbiamo un forte mal di denti, o mal di testa, non avremo capacità di attenzione, la nostra economia ne sarà stata deprivata, le nostre energie saranno svuotate o assorbite da altro.

Ed ancora, incideranno le abilità del docente, l’interesse per il tema, in un rapporto mutevole e con equilibrio dipendente da molte variabili.

 

Il messaggio finale, anche in un contesto introduttivo come questo, è che – per lavorare seriamente al potenziale umano e delle organizzazioni – occorre la capacità di spostare il livello di analisi dal micro al macro, e viceversa, con una forte capacità di zoom, uno stretching mentale che è esso stesso lavoro allenante e formativo.

  


Vedi ad esempio lo studio di Pasqui, F., Mastrodonato, L., Ceccarelli, F., Scrivo, R., Magrini, L., Riccieri, V., Di Franco, M., Gentili, M., Valesini, G., Spadaro, A., (2006), La terapia occupazionale nell’artrite reumatoide: studio prospettico a breve termine in pazienti in trattamento con farmaci anti-TNF-alfa. Occupational therapy in rheumatoid arthritis: short term prospective study in patients treated with anti-TNF-alpha drugs, Reumatismo, 58 (3), pp. 191-198.

 

 

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Copyright, dal Volume: “Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

 

 

 

Lavorare sui risultati personali, dei team, delle organizzazioni: Il metodo HPM (Human Performance & Potential Modeling)

Le persone viaggiano per stupirsi

delle montagne, dei mari, dei fiumi, delle stelle

e passano a fianco a se stesse senza meravigliarsi

Sant’Agostino

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Articolo di: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Copyright

 

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, e quindi plasmare, costruire, supportare la crescita.

Dirige l’attenzione verso due diversi ambiti o sfere di applicazione:

1.      crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling,

2.      sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Le due aree sono strettamente collegate, e hanno al centro un tratto comune, la concezione dell’uomo come articolazione di energie (fisiche e mentali), competenze (skills, abilità), e direzionalità (obiettivi e valori).

Modello HPM

Il metodo HPM considera tutti i fattori evidenziati nel modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) come aspetti allenabili, aumentabili, e su cui si può agire.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  1.  il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  2. il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  3. le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente,  le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  4. le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  5. goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  6. visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

 

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Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Copyright.  
Pubblicato per concessione dell'autore da www.studiotrevisani.it. 
E' consentita la riproduzione solo con citazione dell'autore e del volume originario.

Alchimie tra forze contrapposte: la lotta tra pulsioni di assimilazione, stabilità, rimozione

1.1.       Alchimie tra forze contrapposte: la lotta tra pulsioni di assimilazione, stabilità, rimozione

Il cambiamento positivo è il motore dell’evoluzione e riguarda ogni persona e ogni organizzazione. Il propulsore psicologico può essere un obiettivo da raggiungere, l’orgoglio, volontà, sogni e aspirazioni (motori psicologici positivi), o invece bisogno, sofferenza, necessità di rimuovere uno stato di disagio (motori psicologici negativi).

Chiunque desidera progredire deve mettere in conto un investimento concreto, fatto soprattutto di tempo ed energie mentali, e deve apprendere a ricentrarsi verso le priorità strategiche (azioni di ricentraggio).

Rimanere aperti a nuovi input riguarda indifferentemente la crescita personale, lo sviluppo delle aziende e delle organizzazioni, il mondo del business o quello dello sport. Nelle arti marziali, un Maestro afferma che:

…il praticante deve cercare sempre lo sviluppo delle sue conoscenze e perfezionarle nel corso della sua evoluzione… deve vivere in una perpetua situazione di apprendistato durante la sua esistenza, perché le situazioni e i metodi evolvono costantemente[1].

Secondo questa visione, il cambiamento non è quindi un “atto finito”, ma un “atteggiamento di fondo”, un “amore” verso un percorso fatto di ricerca, di curiosità per il nuovo, di attenzione al nuovo, che mette in atto un meccanismo evolutivo costante.

Siamo sempre in qualche forma di “apprendistato” e possiamo sempre imparare qualcosa di nuovo. Tuttavia, ogni mutamento – volontario o subìto – richiede impegno e presenta un costo (tempo, energie, fatica), e molti non desiderano pagarlo o lo posticipano sino all’ultimo. Le conseguenze in questi casi non tardano ad arrivare.

I “mostri” contro cui lottare sono tanti. Tra questi la regressione verso l’abitudine, un meccanismo involontario che porta le persone a “rintanarsi” e rinchiudersi in riti quotidiani – a volte dannosi. Il “drago” prende anche sembianze di “politico”, attua meccanismi volontari quali il boicottaggio attivo del cambiamento (cercare di bloccare il processo e gli input esterni) e frena l’evoluzione di un sistema, per puro interesse personale.

Abbiamo ancora le resistenze ideologiche, valoriali, o i blocchi che chiunque mette in atto quando sente che altri cercano di attuare un ingresso nel proprio territorio psicologico. Ritroviamo ancora il problema delle energie per cambiare, la cui mancanza può frenare anche le migliori intenzioni. Si presenta inoltre il problema della competenza o incompetenza del consulente o formatore, chiamato ad aiutare il processo evolutivo.

Gli ostacoli possono essere tanti. Questa è solo una breve e incompleta rassegna delle sfide che ci attendono.


[1] Cohen, Alain (2007), Principi I.D.S. Krav Maga, in Budo International, 1/2007.

 

Articolo tratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, FrancoAngeli editore, Milano (2007). Copyright, materiale pubblicato su concessione dell’autore www.studiotrevisani.it – utilizzabile solo previa citazione della fonte

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