Micro-video con concetti base sugli stili comunicativi, e applicazioni alle riunioni aziendali e altri contesti lavorativi

dr. Daniele Trevisani, www.danieletrevisani.com – micro-video  riassuntivo di alcuni concetti per una buona comunicazione:

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=xm5SxIyEsJE]

Per fare della formazione seria sulla comunicazione vera in azienda riflettiamo su diversi punti. Ne segnalo alcuni tra i tantissimi:

– è inutile investire tanto in comunicazione esterna (es: pubblicità) e non curare le comunicazioni vere di ogni giorno. Quando le comunicazioni interne reali (email, telefonate, incontri, colloqui, riunioni), tra persone, tra manager, e nei team, e coi clienti, sono inefficaci, l’azienda ne soffre ogni giorno. Le decisioni sono rallentate, le persone perdono tempo e motivazione, e ogni azione aziendale diventa lenta e faticosa e persino dannosa. Chi vuole risultati deve smettere di considerare la comunicazione come “pubblicità esterna” ed entrare nella mentalità della attenzione alla qualità in ogni micro-comunicazione quotidiana, sia interna che verso il cliente, in ogni contatto quotidiano.

– ogni comunicazione è caratterizzata da contenuti (il “cosa”) e da uno stile comunicativo (es: poetico, assertivo, pessimista, ottimista, prolisso, burocratico, decisionista, politichese, etc).

precisione e chiarezza del linguaggio sono fondamentali per non perdere tempo in azienda. Per ogni situazione occorre saper utilizzare stili diversi, es: poetico-visionario in una apertura motivazionale, concreto e pratico nella fase operativa

– per trasferire bene le informazioni occorre applicare concetti di “economia della comunicazione” (quante risorse uso, per ottenere cosa) – quanto impegno le mie risorse e le risorse altrui, e con che effetti

– dobbiamo distinguere i messaggi di tipo emotivo (che richiedono tempi diversi ed economie diverse) dai messaggi di tipo strettamente informativo, chiarire se vogliamo fare un colloquio in profondità con un collaboratore, o dare un semplice imput

aziendalese e politichese diventano non solo linguaggi, ma abiti mentali e atteggiamenti in cui le persone si nascondono per “fare altro”, esibirsi, o “fare melina”, anzichè preoccuparsi di trasmettere informazioni o condividere messaggi veri

– nelle riunioni aziendali notiamo spesso “diseconomie della comunicazione”, caratterizzati da uscite di tema frequenti, divagazioni, invasioni di atteggiamenti e temi improduttivi, in cui si impiegano 4 ore in chiacchiere inutili e auto-rappresentazioni, monologhi e show personali, per prendere decisioni o fare analisi che richiederebbero 20 minuti.

Vedi altre info e risorse in:

http://www.studiotrevisani.it (sito istituzionale in Italiano)

http://www.medialab-research.com/rivista.htm (iscrizione alla rivista gratuita di comunicazione Communication Research)

http://studiotrevisani.wordpress.com – blog con video, schede e risorse per la psicologia della comunicazione, formazione e management

Recensione del volume “Regie di Cambiamento”

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In questo volume edito da Franco Angeli, Daniele Trevisani affronta come la formazione possa diventare strumento di cambiamento reale, incisivo, opposto ad una visione burocratica o “debole” del concetto di formazione aziendale.

Il tema delle Regie Formative e delle Regie di Cambiamento, concetto creato e sviluppato dall’autore stesso, viene esplicitato e reso chiaro attraverso una grande varietà di casi ed esempi, che spaziano dall’impresa al mondo militare, dal sociale al management.

Secondo Trevisani, Il cambiamento positivo è il motore dell’evoluzione e riguarda ogni persona e ogni organizzazione. Il propulsore psicologico può essere un obiettivo da raggiungere, l’orgoglio, volontà, sogni e aspirazioni (motori psicologici positivi), o invece bisogno, sofferenza, necessità di rimuovere uno stato di disagio (motori psicologici negativi).

Chiunque desidera progredire deve mettere in conto un investimento concreto, fatto soprattutto di tempo ed energie mentali, e deve apprendere a ricentrarsi verso le priorità strategiche (azioni di ricentraggio).
Rimanere aperti a nuovi input riguarda indifferentemente la crescita personale, lo sviluppo delle aziende e delle organizzazioni, il mondo del business o quello dello sport. Nelle arti marziali, un Maestro afferma che:

…il praticante deve cercare sempre lo sviluppo delle sue conoscenze e perfezionarle nel corso della sua evoluzione… deve vivere in una perpetua situazione di apprendistato durante la sua esistenza, perché le situazioni e i metodi evolvono costantemente .

Secondo questa visione, il cambiamento non è quindi un “atto finito”, ma un “atteggiamento di fondo”, un “amore” verso un percorso fatto di ricerca, di curiosità per il nuovo, di attenzione al nuovo, che mette in atto un meccanismo evolutivo costante.
Siamo sempre in qualche forma di “apprendistato” e possiamo sempre imparare qualcosa di nuovo. Tuttavia, ogni mutamento – volontario o subìto – richiede impegno e presenta un costo (tempo, energie, fatica), e molti non desiderano pagarlo o lo posticipano sino all’ultimo. Le conseguenze in questi casi non tardano ad arrivare.

I “mostri” contro cui lottare sono tanti. Tra questi la regressione verso l’abitudine, un meccanismo involontario che porta le persone a “rintanarsi” e rinchiudersi in riti quotidiani – a volte dannosi. Il “drago” prende anche sembianze di “politico”, attua meccanismi volontari quali il boicottaggio attivo del cambiamento (cercare di bloccare il processo e gli input esterni) e frena l’evoluzione di un sistema, per puro interesse personale.
Abbiamo ancora le resistenze ideologiche, valoriali, o i blocchi che chiunque mette in atto quando sente che altri cercano di attuare un ingresso nel proprio territorio psicologico. Ritroviamo ancora il problema delle energie per cambiare, la cui mancanza può frenare anche le migliori intenzioni. Si presenta inoltre il problema della competenza o incompetenza del consulente o formatore, chiamato ad aiutare il processo evolutivo.

Gli ostacoli possono essere tanti. Questa è solo una breve e incompleta rassegna delle sfide che ci attendono.
Nonostante le avversità che incontriamo, l’evoluzione è – e rimane – un fattore di sopravvivenza. In un certo senso siamo tutti “forzati del cambiamento”, costretti dall’ambiente a non fermarci, ad adattarci, a mutare, poiché il territorio fisico e sociale attorno a noi – e quello psicologico dentro di noi – cambia, è in costante evoluzione. Il movimento del terreno sul quale una persona poggia permette solo due cose: cadere, o trovare nuovi assetti ed equilibri.
Noi ci rivolgiamo a quelli che vogliono farsi trovare pronti nelle sfide, ricercano il grounding (radicamento, sentirsi fisicamente e psicologicamente ancorati) e allo stesso tempo possiedono spirito di ricerca e si sentono diretti verso un fronte positivo, un orizzonte, e amano lottare per questo.

Il “metodo registico” intende offrire strumenti e concetti utili a chi si occupa di cambiamento positivo e “formazione” nel suo senso più vasto, ma anche di evoluzione assertiva (guidata da principi), trasformazioni del modo di essere, di sistemi di apprendimento e di sviluppo organizzativo, e ancora di potenziale individuale, human potential e human performance, crescita e maturazione individuale o delle imprese.

I tre soggetti-tipo cui si indirizza il metodo sono (1) chi desidera praticare un percorso di evoluzione personale con maggiore consapevolezza dei meccanismi che lo governano; (2) i clienti e ruoli istituzionali strategici coinvolti in progetti sul cambiamento, sviluppo e formazione (dirigenti, leader e manager); (3) i professionisti esterni (consulenti organizzativi, formatori, coach, allenatori e direttori di team, aziendali e sportivi) chiamati a supportare e produrre performance, ad avviare relazioni di aiuto per “cambiare le cose” e “far crescere” (una persona, una squadra, un sistema).
Ognuna di queste persone deve essere aiutata ad acquisire le abilità e capacità fondamentali (key-learning) per far fronte a nuove sfide prioritarie (key-challenges). Cambiare e formarsi serve anche per poter affrontare le sfide.

La realtà ci presenta (nei casi migliori) organizzazioni e persone già pronte ad un cambiamento, anche forte. Ci offre anche organizzazioni e persone restie, o persino contrarie, e che tuttavia hanno bisogno di variare il proprio assetto perché non più adeguato. Nell’uno e nell’altro caso, dobbiamo capire come poter procedere, quale strategia adottare, e come muoverci per essere efficaci.
Nei box “cosa fare” – esposti durante il testo – evidenziamo alcuni suggerimenti operativi su vari temi che riguardano il facilitare il cambiamento, connessi agli argomenti trattati. Vediamo quindi il box seguente:

Riflessioni operative:
• analizzare se e quanto un soggetto (persona o sistema) possa permettersi di non cambiare, alla luce delle sfide ambientali e sociali che lo attendono, o sia invece nella necessità di dover migliorare o progredire;
• inquadrare i key-learning (apprendimenti chiave) in risposta alle key-challenges (sfide prioritarie) che attendono la persona (o sistema organizzativo);
• valutare quanto il soggetto (persona o sistema) sia intenzionato ad impegnarsi in un percorso di cambiamento;
• capire quali sono i blocchi verso il cambiamento;
• creare un clima positivo verso il percorso di cambiamento, legato ai benefits che il percorso può produrre.

Può esistere quindi un metodo per inquadrare i bisogni di evoluzione in modo assertivo, mirato e finalizzato ad obiettivi strategici? Il volume tratta questo tema offrendo nuove prospettive a chi vede la formazione come strumento strategico e non come optional da realizzare “una tantum”.

Copyright Studio Trevisani www.studiotrevisani.it e Franco Angeli editore, Milano

1.11. Raggiungere obiettivi

1.11.     Raggiungere obiettivi

Energie e capacità mettono le persone in grado di dirigersi verso i propri obiettivi o scopi, siano essi già inquadrati come progetti con un output preciso, o semplici idee ispiratrici, ancora non definite o ben focalizzate.

I tre grandi piani di lavoro (energie personali, competenze, obiettivi), sono variabili tecniche, ma dietro ad esse si trova uno sfondo umanistico enorme, dalle grandi implicazioni, che vogliamo esaminare.

Ottenere risultati e tagliare i propri traguardi è un tema importante per l’individuo, per un gruppo (team sportivo, team aziendale), e per un’intera organizzazione o azienda, persino per una nazione o l’intera umanità.

La quantità di implicazioni psicologiche che si ritrovano dietro ai risultati, tuttavia, è impressionante. Solo chi li ha faticati in prima persona è consapevole dello sforzo, delle energie mentali e motivazionali spese per attività che apparivano, a prima vista, banali o puramente tecniche.

A volte non sono gli obiettivi ad essere difficili, ma le persone.

Ad esempio, la prestazione in un esame dipende sia dalla conoscenza della materia (aspetto tecnico) ma anche dalla capacità di gestire emozioni, ansia e attesa, essere comunicativi e mentalmente presenti (componente psicologica), e questa è ben più difficile da affrontare che non lo studio di una materia.

Anche nello sport, vincere una partita prevede la capacità di creare un team vincente, lavorare ai climi psicologici del gruppo, sostenere le individualità, creare uno spirito di squadra. Chi dimentica questo perde.

Lo sanno bene le nazionali forti che possono subire sconfitte pesanti e umilianti anche da squadre di paesi semisconosciuti, se affrontano l’impe­gno con “sufficienza”, o si trovano nella condizione psicologica sbagliata, mentre gli avversari sono iper-motivati e affamati di vittoria.

Anche in azienda il fuoco della motivazione e della passione, e le qualità mentali, fanno la differenza: un progetto davvero innovativo prima si pensa, poi vi si investe. La qualità del pensiero viene prima.

Una distinzione fondamentale consiste nel riconoscere che esiste una matrice di obiettivi, e questa parte da risultati molto focalizzati (micro-goal, come rimanere positivi nei vari momenti di un’attività, anche se impegnativa), passa per obiettivi più ampi (es.: gestire bene un progetto cui teniamo), sino a salire agli obiettivi esistenziali (Life Objectives), come il bisogno di vivere a pieno la vita, e la ricerca della felicità.

In ciascuno di questi stadi vi sono catene da spezzare e cose da imparare.

Secondo questa visione, vivere pienamente significa ben più che esistere.

Questo ha ripercussioni non piccole sul concetto stesso di performance e di potenziale umano. Come sostiene Oscar Wilde:

 

La cosa più difficile a questo mondo? Vivere! Molta gente esiste, ecco tutto

(Oscar Wilde).

 

Quindi, fissiamo immediatamente un concetto: si possono ottenere performance senza lavorare sul potenziale umano seriamente (es.: doping, o comprare un risultato) ma questo non ci interessa, non è il nostro fine. Anzi, questi pseudo-risultati sono il polo negativo, il male, le bugie, le false promesse, ciò da cui vogliamo stare lontani.

Il lavoro che ci apprestiamo a fare infatti è quello allenante, preparatorio, formativo, costruttivo, il dare forma (Modeling) al potenziale e alle prestazioni tramite un lavoro serio, fatto di continuità, tecnica, strategia, sudore.

Due elementi fondamentali di una prestazione umana sono: (1) gli scopi (obiettivi) e (2) il loro grado di raggiungimento (nullo, intermedio, totale).

Rispetto agli scopi, ci concentriamo soprattutto su quelle prestazioni o performance che hanno un senso di contributo, di liberazione, di espressione, di emancipazione. In altre parole, le prestazioni non solo meccaniche.

Rispetto al grado di raggiungimento, consideriamo che esso sia una funzione strettamente dipendente dal tipo di potenziale raggiunto (dalla persona, dal team, dall’organizzazione), e che per l’eccellenza bisogna lavorare sulla crescita strutturale più che sui risultati immediati. È la nostra visione.

È più importante insegnare ad un atleta a gestirsi, a non bruciarsi, ad avere una carriera e una vita, a trovare equilibri, che non spremerlo e gettarlo per una singola gara o stagione.

Lo stesso per avere manager e professionisti preparati in azienda: stiamo o no creando un sistema che li formi, una palestra di formazione aziendale? Se non abbiamo un programma serio in merito, non lamentiamoci se dovremo richiamare i pensionati. In ogni squadra seria si coltiva un vivaio e un settore giovanile, e questo vale anche in azienda. Molti vogliono risultati senza investire, e spremono l’azienda, ma non fanno crescere le persone.

Ancora una volta, vogliamo lavorare alle condizioni che permettono di ottenere i risultati quando li desideriamo, senza attendere manna dal cielo o la fortuna.

Il nostro approccio considera le performance vere non solo come atti tecnici, ma espressioni di libertà, applicazioni di una volontà emancipata di andare oltre, di scegliere (Free Will), un concetto che sta entrando finalmente nella letteratura anche manageriale:

 

La libera volontà è l’abilità di un agente di selezionare un’opzione (comportamento, oggetto, etc.) da una serie di alternative[1].

 

Nei capitoli successivi passeremo in rassegna numerosi dettagli tecnici sui quali lavorare per una formazione e coaching analitici e in profondità.

Non dimentichiamo però lo spirito di fondo, che è sempre quello di un messaggio positivo, ciò che un padre vuole trasmettere ad una figlia, o figlio, o al prossimo, rispetto alle energie e alla vita: ogni volta che ti svegli, pensa positivamente a cosa fare di buono oggi. Ogni volta che vai a dormire, rivedi le cose buone accadute, sensazioni positive che avresti dato per scontato. Poi, pensa a cosa ti piacerebbe fare di buono domani, cosa ti renderà felice, che contributo puoi dare a te e agli altri, in cosa puoi applicarti bene. Fai cose che ti daranno energie, riduci quelle che ti impoveriranno spiritualmente e fisicamente.

Non lasciarti spegnere. Ogni volta che sei triste chiediti se la tristezza ti merita o se puoi dirottare le tue energie verso qualcosa di positivo.

Ogni volta che guardi avanti cerca il bene, e quando ti guarderai indietro sarai orgogliosa di te. Questo è rendere omaggio al dono di esistere.

Agire, provarci, in modo da potersi guardare indietro con senso dell’onore, è luce, un bisogno che traspare in ogni storia vera, in ogni cultura umanistica e spirituale, come si intravede bene in questa testimonianza dagli Indiani d’America:

 

“Oh Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento,

il cui respiro dà vita a tutte le cose.

Ascoltami; io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza,

lasciami camminare nella bellezza,

e fa che i miei occhi sempre guardino il rosso e purpureo tramonto.

 

Fa che le mie mani rispettino la natura in ogni sua forma

e che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua voce.

Fa che sia saggio e che possa capire le cose che hai pensato per il mio popolo.

Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a tutti quelli che verranno contro di me.

Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto in ogni foglia ed in ogni roccia.

Aiutami a trovare azioni e pensieri puri per poter aiutare gli altri.

Aiutami a trovare la compassione

senza la opprimente contemplazione di me stesso.

 

Io cerco la forza, non per essere più grande del mio fratello,

ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso.

Fammi sempre essere pronto a venire da te con mani pulite e sguardo alto.

Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto,

il mio spirito possa venire a te senza vergogna”.

 

Preghiera per il Grande Spirito,

Tatanka Mani (Bisonte che Cammina) (1871-1967)


[1] Mick, D. Glen (2008), Degrees of Freedom of Will: An Essential Endless Question in Consumer Behavior, Journal of Consumer Psychology, 18 (1), 17-21.

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Copyright, dal Volume: “Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Per una formazione vera, centrata sugli effetti

Cosa significa realmente “fare formazione centrata sugli effetti”

La formazione centrata sugli effetti vuole ottenere cambiamenti ed effetti reali, dimostrabili

Centrarsi sugli effetti significa fare corsi in cui – al termine – deve essersi prodotto un cambiamento vero, sostanziale, positivo. Il nostro metodo privilegia le esercitazioni pratiche di sviluppo delle abilità di analisi, di comunicazione e di progettualità. Questo atteggiamento di fondo va oltre i corsi marketing e la formazione marketing in senso teorico, o la formazione per la leadership o per la comunicazione. Toccano soprattutto aree delicate come la formazione per la negoziazione, la formazione formatori, la decisione, la comunicazione persuasiva e la comunicazione nei team.

Segnali di corsi condotti e mal progettati: da cosa stare alla larga. Proponiamo 3 categorie specifiche, per partire, i cui segnali, anche contrastanti, possono denotare una scarsa centratura sugli effetti:

1.      Abbuffata di slides: esito: “mi sono annoiato”, si tratta di un risultato negativo, in quanto probabilmente il partecipante non avrà vissuto reali situazioni di sfida, sarà rimasto “alla superficie” delle cose, senza mai entrarvi. Non si impara a nuotare con slides sul nuoto, quindi è determinante correlare gli stimoli didattici agli obiettivi da produrre. Poiché gli stimoli didattici e formativi sono stati insufficienti se rimangono sul piano teorico, diminuiscono la motivazione; i corsi devono anche far scoprire ai partecipanti elementi su cui lavorare, creare dubbi, stimolare al cambiamento, far sperimentare.

2.      Diverimentificio. Il partecipante commenta “mi sono divertito”, cui fa seguito un “nulla totale” in termini di cambiamento prodotto dal corso, una ricaduta-zero sulle azioni quotidiane. E’ un risultato tipico di tanta formazione “da giochetti formativi” che puntano al divertimento puro del partecipante e non al cambiamento da indurre, formazione mal progettata, fine a se stessa. L’investimento in formazione non si misura in semplice divertimento o intrattenimento. Creare un buon clima di apprendimento è importante, produrre un clima positivo altrettanto, ma questi sono solo aspetti di facilitazione, non i veri obiettivi finali per cui si investe in formazione.

3.      Accademia snob. Altro caso drammatico è l’intervento degli “accademici che parlano dall’alto”. Questa categoria contiene professori stipendiati dalle università, che combinano entrate in formazione “una tantum” contando sulla base sicura dello stipendio pubblico. Questo produce in genere un atteggiamento di superiorità. Da notare, che in diversi ambienti universitari la consulenza esterna viene amichevolmente denominata “marchetta”, con tono spregiativo, la dove invece in altri paesi (es, USA), è un denotatore fondamentale di capacità applicativa. In Italia il baronato è riuscito ad isolarsi talmente tanto dal mondo reale da generare un appellativo contaminato di “prostituzione” alla consulenza in azienda. Oltretutto, se non bastasse, mancano a molti le esperienze vere, lo “sporcarsi nel fango”, es: senza avere esperienza diretta e continuativa di vendita è difficile capire cosa significa realmente vendere e fare marketing, e insegnare a farlo, e questo vale in tanti altri campi: chi non ha diretto team con il rischio di fallire (non team di cui non paga gli insuccessi in prima persona) ha ben poca esperienza per poter parlare di leadership. Per compensare la scarsa capacità pratica, l’accademia “pompa” il linguaggio, lo rende ostico, lo “ingrassa” e lo complica per darsi un tono, con il risultato di non farsi capire. L’ingresso in azienda di persone specializzate nel parlare senza avere sperimentato, nel propinare slides teoriche, abituate a osservare i problemi da lontano, senza pratica diretta di ciò che propone, porta a teorizzare di massimi sistemi astratti, disinteressandosi allo stesso tempo, completamente, delle applicazioni concrete, delle problematiche pratiche, dell’assorbimento dei concetti, e di chi si ha di fronte.

Qualsiasi sia il tipo di risultato che vogliamo ottenere, questo tipo di formazione non ci interessa.

Quello che serve nella formazione è chiedersi (e chiarire bene con la committenza) (1) quali effetti vogliamo produrre, (2) in chi, (3) in quanto tempo, e (4) costruire una regia di stimoli (formazione, letture, esperienze, e qualsiasi altro stimolo efficace) che generi veramente l’effetto da produrre.

Daniele Trevisani

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Nota

Un approfondimento del metodo delle “Regie di Formazione” è visionabile al link www.studiotrevisani.it/alm1

X-Y vs. formazione pic-indolor, spettacolo e burattini

La formazione a volte perde di vista il suo motivo di esistere, viene trattata da clienti e partecipanti come se fosse uno spettacolo, un intrattenimento… partecipanti che valutano i professionisti su cose che non conoscono, terrore dei formatori verso le schede di valutazione, corsi brevi sempre più brevi, effetto pic-indolor… la punturina formativa che non fa ne bene ne male… quasi un ritocco, un lieve maquillage, una iniezione antirughe, un lifting estetico che non deve toccare altro che la superficie…

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Anche il linguaggio aziendale non è più corretto: “corso” può significare di tutto, da un corso di excel a un corso di leadership… da un lavoro serio accompagnato da una seria analisi ad un lavoro superficiale fatto per sopportazione o per obbligo normativo…

il potere contrattuale è nelle mani di chi ha poca o nessuna conoscenza della materia formativa, e pretende di decidere come farla… nessuna continuità… guai dare da leggere qualcosa fuori, tutto deve essere svolto in una giornata o poco più… andare contro tutto questo è una missione in sè… nessun medico serio tratterebbe un malato in modo superficiale con n. 1 pastiglia magica, non esistono pastiglie magiche. Anche nello sport, nessun preparatore atletico serio accetterebbe di portare qualcuno alle olimpiadi con un training di 1 giorno… La vera rivoluzione sarà il passaggio dai corsi alle Regie Formative, ho dedicato un intero libro a questo, 2 anni di lavoro, e se anche una sola impresa o una sola persona ne traesse beneficio – e riuscisse a produrre qualcosa di utile per il genere umano – non sarebbero stati anni  sprecati – su questo metodo ho messo diverse schede scaricabili al sito http://www.studiotrevisani.it/hpm1/     

 

Da: Regie di Cambiamento, FrancoAngeli editore
Da: Regie di Cambiamento, FrancoAngeli editore

 

 

…la serietà di chi acquista e di chi fornisce formazione e coaching sta anche e soprattutto nell’analisi: fare un ragionamento serio sul divario tra X (come sono le cose ora) e Y (come vorrebbe il cliente che diventassero dopo). Poi, mettere in campo risorse serie (professionsti preparati, coach, formatori, regole aziendali, sistemi di organizzazione efficaci) nel passaggio da X a Y, è (quasi) tutto qui…

 

Daniele Trevisani – www.studiotrevisani.it 

I 2 coraggi, storie di capi, PNL e formazione – formazione vera vs. powerpoint e guru

Ci sono persone responsabili delle vite di tante famiglie. La loro responsabilità gli impone di imparare, il massimo, da chiunque, perchè i loro errori possonono fare danni enormi a catena, mentre le loro decisioni giuste fanno bene a tantissimi. Non si impara quindi solo per sè, ma anche e soprattutto per dare qualcosa agli altri. Allora parliamo un pò di partecipazione “vera” a “corsi veri”, da parte dei decisori. In 20 anni di lavoro “ho visto cose che voi umani neanche immaginate”, per rendere un omaggio a Blade Runner, e voi stessi ne avete viste forse anche di più.

Avrete notato come molti manager di altissimo livello tendono più a “mandare qualcuno” ai corsi e “farsi raccontare cosa è successo”, magari in 5 minuti (perchè “loro” hanno da fare, sempre, incondizionatamente, cose più importanti, mentre voi sapete benissmo che non è così). Anzi, il mestiere di un manager dovrebbe soprattutto essere acquisire conoscenza, competenze, e meditare sulle decisioni, non si perde tempo se si sta riflettendo, se si analizzano scenari, se ci si chiede dove andare, quello non è tempo perso.

Non tutto è nero, lo dico subito. Io di persona ho tenuto corsi a Generali e Ufficiali dell’Esercito disposti a mettersi al pari di una recluta e imparare da me qualcosa di nuovo, e li ho aprezzati soprattutto per questo, come persone, per la loro umiltà e spirito di crescita, il “fuoco sacro” dell’apprendimento e della ricerca. Ho avuto in workshop di ogni tipo Amministratori Delegati e top-managers desiderosi di ripensare completamente al loro futuro e rimettere in modo la vita e le aziende, e li ho aiutati. Ma la maggior parte non è così. I più, tocca dirlo, sono boriosi di uno status spesso non guadagnato col sudore, non danno alla formazione un valore superiore a quello di una “gita”, e al massimo vanno a delle sottospecie di conferenze autocelebrative promosse da associazioni o enti, dove ascoltano un qualche fesso, amico di qualcuno, un furbetto del quartierino, che spara minchiate, e si rassicurano di essere “già a posto”, escono precisi identici a come sono entrati. E’ incredibile, ma certe persone odiano chi li fa pensare e amano chi li ruffiana…

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E se il corsetto (scusatemi, il “workshop”) dura meno di due ore (ed è di venerdì pomeriggio), è anche meglio… sai, “noi dobbiamo lavorare, mica possiamo perdere tempo ai corsi”… (un mio amico ha commentato… bravo stronzo, poi ci chiediamo perchè le nostre aziende se le comprano gli stranieri)

La formazione deformata è la norma, è indolore, è una suppostina piccola piccola, bella lubrificata, e si scioglie subito, non la senti neanche.

E’ quella che confonde un paio d’ore di “aggiornamenti sulla 626” o altro obbligo di legge, con un ragionamento serio su dove guardare al futuro.

La formazione vera è un’altra cosa. Non è un “corso” ma un “percorso. La formazione vera è quella che ti fa riflettere e sperimentare, ti fa uscire diverso da come sei entrato, è quella che ti fa nascere qualche dubbio sulla correttezza di come agisci, ti fa incuriosire verso nuovi modi di gestire, ti offre nuove visioni che ti allargano la mente, spunti che fanno bene a te e alla tua azienda…, e ti aiuta a capire dove sbagli. Non sempre è solo seriosa teoria, possono esserci momenti divertenti, ma il succo del discorso deve andare alla radice di come pensi e di come ti comporti.

Un resoconto recentissimo parla del grande successo di una formatrice americana che in una convention ha fatto alzare tutti e ballare… che cazzo c’entra? Cosa hanno imparato? La sopresa non è tanto nel comportamento della formatrice americana “alla Robbins” o alla PNL-maniera, quanto nel fatto che uno non si senta sufficientemente idiota nel ballare in un corso… a meno che (caso rarissimo) non si tratti di un momento di ingegneria formativa in un percorso più ampio (questo può capitare, ma nel caso specifico, la sessione consisteva appunto nel ballare al suono di “we are the champions”, panzoni sfigati che si dicono di essere campioni, è stupendo, surreale, è una apoteosi della lobotomia).

Poi, la formazione vera ti fa sperimentare ciò di cui si parla, non si limita a raccontare. Se fai formazione sulla leadership, devi fare esercizi concreti che ti permettano di testare le tue capacità e capire dove puoi migliorare, non solo leggere le “regolette da un minuto” sparate da qualche povero imbecille americano, inglese, francese, manager americano da un minuto, o da dove cavolo viene.

Un mio cliente aveva letto tutto sulla leadership, e anche di più, e questo mi ha insospettito. Ho deciso di fare pratica. Abbiamo simulato alcuni colloqui con i suoi collaboratori, e nei fatti non aveva alcuna capacità di “ricentrare” gli argomenti di conversazione, se non ricorrendo al bastone del capo (la strategia conversazionale è ben altra cosa), o “facendosi fottere senza accorgersene” (prassi abituale). Nei fatti,  non aveva mai praticato esercizi di “leadership conversazionale applicata”, per quanto piena fosse la sua biblioteca… con esercizi mirati ha capito dove sbagliava, e dal giorno dopo ha iniziato ad applicare… poi in altri incontri ha perfezionato la tecnica, e in altri ancora abbiamo affrontato nuove tecniche e nuove aree, in un crescendo di apprendimento… (una fatica da bestia, giuro, non fare una semplice lezione e cavarsela così)… ma i furbetti del quartierino che circolavano in azienda sono stati smascherati, ed è solo l’inizio di una scoperta che non ha fine, non si finisce mai di imparare. E’ un atteggiamento di fondo di apprendimento permanente, e vale anche per me.

Altra differenza tra la formazione vera è le “porcate formative”. Un mio cliente mi racconta di essere stato avvicinato da un certo personaggio, il quale sosteneva che in 1 settimana di coaching “lo avrebbe smontato e rimontato”, scardinando tutte le sue credenze limitanti, e sostituendole con quelle potenzianti. Era un praticante di PNL, ex assicuratore, convertito alla formazione.

La PNL a mio parere può essere:

(a) una tecnica sopraffina: in mano a pochi, selezionati, seri ricercatori e professionisti, che la usano in modo integrato (ripeto – integrato con altre tecniche, le quali, tutte, richiedono anni e anni di pratica e studio, non 2gg di corso che ti certificano come “esperto”). Così considerata, è  un tassello importantissimo, rispetto ad un panorama di tecniche più ampio: un elemento utilissimo, ma non il solo, di un repertorio di tecniche psicologiche più vasto – ripeto – più ampio della sola PNL. La PNL è una risorsa ma è solo una delle tante discipline utili,  ma non è la sola, non è la risposta a tutto, non ha, ad esempio, molto a che fare con la ricostruzione esistenziale delle persone (approccio Rogersiano) che costituisce parte essenziale del bagaglio formativo del formatore umanistico. Ma la PNL può esssere anche:

(b) una accozzaglia di puttanate da orgia dell’imbecillità, praticate da persone che si autoproclamano esperti e non lo sono, “magia” per poveri creduloni, praticata da improvvisatori, sfigatissimi discepoli di sfigatissimi guru motivazionali che “hanno capito tutto” mentre il resto del mondo “non ha ancora capito niente”, una accozzaglia di tecniche “magiche”, che funzionano in 5 minuti la dove migliaia e migliaia di serissimi ricercatori e psicologi si fanno il culo inutilmente, lei, la magica PNL, arriva e risolve tutto, dall’alto delle sue manipolazioni di modalità e submodalità. Diciamocelo seriamente: nessuno di noi vorrebbe avere a che fare con PNListi di tipo B, mentre incontrare quelli di tipo A sarebbe decisamente una grande fortuna.

Parlo ai PNListi: è obbligo morale e vantaggio professionale andare assolutamente a rivedere o recuperare i testi dello psichiatra Roberto Assagioli (ideatore della Psicosintesi), da cui tutto è partito, e di Maxwell Maltz (Psicocibernetica), per capire veramente da dove viene la PNL, non credete a niente di quello che vi dicono sulla PNL, nemmeno i fondatori, finchè non avete letto questi testi sull’utilizzo delle immagini mentali: tutti i testi di Roberto Assagioli, e Maxwell Maltz, tra i primi.

Ora, diciamocelo chiaramente: le persone non sono macchinette da smontare e rimontare, non esistono “magie” e “maghi” contro uno stuolo di imbecili psicologi ed sperti in scienze della comunicazione che hanno perso 20 anni a studiare per niente… non credete a queste palle… 20 anni di studio sono il minimo per capire qualcosa su come funziona la mente umana e come potere dare un contributo esistenziale serio…  non è un caso se esistono Senior e Junior, non è inutile lo studio. La formazione vera deve avere un approccio più umile, “centrato sulla persona”, o Rogersiano, deve essere una consulenza di processo, una contribuzione, non abbiamo davanti a noi imbecilli mentre noi formatori siamo guru da venerare, spesso siamo più ignoranti di loro, la vera differenza sta nel nostro voler aiutare sinceramente, non nel fare i “meccanici saccenti”, questi non servono a niente.

La formazione vera non “smonta e rimonta” ma fa “provare e riflettere”, e rispetta le persone (esclusi gli imbecilli). Questa è la formazione vera, non i powerpoint sparati a raffica…., non i modelli preconfezionati e le verità predigerite, i “managerialesi incravattati”, il club del golf, i “minchiotronici” guru motivazionali che ti dicono che avrai successo se solo lo vuoi, che sei un perdente, che il tuo valore si misura in base a quanto hai guadagnato, i calvinisti del successo, che pensano di sapere tutto non ti insegnano niente… fare formazione vera richiede

1 – il coraggio del formatore di far sperimentare alle persone come agiscono nella “verità” della loro azione quotidiana e fargli scoprire come migliorare… sapendo che questo li espone in prima persona (dis-anestetizzare le pesone dalle abitudini e apatie non è sempre indolore) e

2 – il coraggio di chi partecipa di mettersi in discussione…

…due coraggi estremamente rari….

Daniele Trevisani

ps… per chi ne vuole sapere altre o dire la propria ( io ne ho altre da dire e immagino anche tu), ho messo un gruppo su Facebook inerente i temi di formazione e potenziale umano http://www.facebook.com/group.php?gid=44520376739 in cui scambiarsi di tutto, da sfoghi a opinioni bananli ad articoli serissimi e link a risorse che ci piacciono. Un pezzo sulla polemica tra formazione vera e falsa esce nel prossimo numero della rivista CR (gratuita completamente e autofinanziata = senza bavaglio, chi non è già iscritto la può vedere al link http://www.medialab-research.com/rivista.htm ) . Il punto sulla formazione deformata non finisce qui, dite la vostra, esprimetevi, questo è solo l’inizio…

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E’ possibile da oggi iscriversi al gruppo Facebook sul Potenziale Umano, disponibile al link

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Per condividere risorse e temi utili per chiunque si occupi di sviluppo delle persone e delle organizzazioni: psicologi, coach, formatori, istruttori sportivi, formatori aziendali, manager, leader d’impresa, leader politici, professionisti, dirigenti, responsabili aziendali e della pubblica amministrazione, dirigenti di club e associazioni… utile per chiunque opera per costruire team ad alte prestazioni, sviluppare elevate performance, o dare contributi ai settori del counseling, psicoterapia, sviluppo personale, psicologia positiva, coaching di team, e non ultimo, per chiunque sia interessato a risorse per il proprio sviluppo personale

Pensiero positivo, non solo problem solving

piccola riflessione ….

….se ci si focalizza solo sulle cose che non vanno, drammi e tragedie piccole o grandi, o problemi – si atrofizza, dentro –  la capacità di pensare positivo…

… la mente è come un muscolo, a seconda di quali parti si allenano, essa risponde sviluppando le aree allenate, o atrofizzando le aree non utilizzate

.. credo molto nel fatto che i problemi non vadano nascosti (essere ipocriti con se stessi non serve), ma abbiamo il dovere di coltivare la progettualità positiva. Il dovere di pensare a soluzioni, di dare contributo a se e agli altri.

La capacità di costruire va tenuta allenata anche e soprattutto nei momenti di difficoltà, e in ogni attimo della vita, per non parlare poi della formazione aziendale, che va tenuta costruttiva: le persone possono essere invitate non solo a risolvere problemi ma a generare qualcosa…  

….ogni sforzo e tentativo prodotto nel generare speranza e qualcosa di positivo, rafforza le strutture mentali che alimentano la creatività e le emozioni positive (corteccia prefrontale sinistra) e  indebolisce la rete neurale negativa (la corteccia prefrontale destra)…

.. serve allenamento anche in questo, la mente è un organo estremamente sensibile e saperla usare è una nuova arte e una nuova scienza,una frontiera  possibile, attiva, produttiva…

1.6. Radicamento solido (grounding) e ali per volare

 1.6. Radicamento solido (grounding) e ali per volare

Le persone hanno bisogno di tante cose: cibo, acqua, amore, denaro oggetti, ma, ancora di più, hanno bisogno di radici su cui poggiare (grounding) e ali per volare, strumenti per raggiungere i propri scopi, sogni, aspirazioni, e non spegnersi.

Lavorare su entrambi i piani è il nostro credo fondamentale. È un lavoro diretto ad un potenziamento generale della persona, ad un suo radicamento solido, un ancoraggio su piattaforme salde, per poi poter guardare in alto.

È un rafforzamento indispensabile, necessità sulla quale non è bene chiudere gli occhi.

Questo bisogno è mosso da due grandi classi di motivi: (1) potenziarsi per il desiderio di raggiungere obiettivi che solo con energie elevate possiamo toccare, (2) sviluppare la resistenza esistenziale, saper incassare, farsi forti e assorbire i colpi che arrivano con forza, quanto più la vita si fa complessa e competitiva, e centrano l’individuo da ogni lato (fisico, psicologico, economico, esistenziale). Colpi a volte durissimi e imprevisti.

Gli unici a non subirli sono coloro i quali hanno abbandonato, sono protetti, o possono permettersi di non avere obiettivi. Anche per loro tuttavia, quando la situazione cambia, farsi trovare forti e preparati piuttosto che deboli e impreparati farà la differenza.

Per tutti gli altri, la giostra è aperta qui ed ora, non è possibile scendere, ma solo imparare a potenziarsi, capire cosa succede, prendere coscienza, smontare i meccanismi del gioco, prendere in mano qualche leva di comando, e governare il timone dell’imbarcazione che ci conduce.

Prepararsi e potenziarsi ha senso non solo peri l’oggi ma anche per un domani in cui vogliamo farci trovar pronti rispetto alle sfide che ancora non possiamo prevedere, l’imprevisto. E, come evidenzia l’umanista e scrittore francese Rabelais, verso il futuro è meglio essere preparati.

 

Bevo per la sete che è da venire

François Rabelais (1494-1553)

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Copyright, dal Volume:

“Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance