Solitudine esistenziale vs. condivisione umana pro­fon­da

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Il Deep Expression Rate

Il viaggio dell’eroe è spesso solitario. Questo vale anche per i cercatori di prestazioni, gli innovatori, o per chi vuole andare oltre i limiti e confini abitudinari. Gli apripista sono i primi ad incontrare sia i tesori che le buche.

Nel parlare di performance, torniamo alla metafora dell’eroe, del viandante, del ricercatore o dell’esploratore. Pochi capiscono i suoi sforzi, e le sue ambizioni. Non importa, in ogni caso, essere eroi per sperimentare il senso di solitudine esistenziale, talmente questo è comune o frequente nelle persone e in alcuni brani della vita.

La solitudine esistenziale è da distinguere dalla solitudine fisica.

La solitudine fisica ha a che fare con la rarefazione dei contatti umani, come il trovarsi soli in una casa o su una montagna. La solitudine esistenziale riguarda invece la rarefazione o scomparsa del dialogo profondo umano, l’impossibilità di condividere con qualcuno i livelli più intimi della propria esperienza. Il dialogo di superficie non è sufficiente.

Sentire che qualcuno è sinceramente interessato a sapere come e cosa stiamo vivendo, quali sono le nostre idee, le ambizioni, aspirazioni, paure, è un’esperienza umana positiva. Avere qualcuno cui raccontare le proprie sensazioni, è positivo, così come fare da contenitore per quelle altrui.

Sentirsi un’ombra che vaga nella folla, qualcuno che, se non ci fosse più, nessuno rimpiangerebbe, è invece un passo verso la desolazione.

L’ascolto e la condivisione profonda possono prendere molti formati.

Niente è inutile: dall’incontro interpersonale, allo scambio di messaggi anche tramite media e canali elettronici, o un semplice abbraccio sincero.  Il “sapere di essere in contatto” con qualcuno che tiene veramente a noi o al lavoro che stiamo svolgendo è un supporto formidabile per il performer e per qualsiasi essere umano.

Anche il contatto mentale, sapere che qualcuno ci sta pensando, o che siamo in un certo momento del tempo “mentalmente connessi” è uno strumento fondamentale per rompere l’assedio e squarciare le nubi. Non parliamo di strane forme di telepatia, ma semplicemente del fatto di sapere che una persona ci sta pensando in un certo momento, o noi facciamo altrettanto. E non è indispensabile chiamare in causa l’amore, questo fenomeno riguarda anche l’amicizia, o il senso di fratellanza e unione. Sapere o credere che a nessuno importi niente di noi, che quello che facciamo è tutto sommato indifferente, è invece un fattore di demotivazione potentissimo.

Il senso di contatto può essere anche molto forte verso il pensiero di una persona non più in vita, con la quale si condivide tuttavia un’unione forte su un piano di ideali e sul piano spirituale. Questo modo spirituale per tenersi in contatto, ha un senso. Le idee e le essenze più profonde delle persone hanno il potere di travalicare la vita fisica e tramandarsi anche per generazioni, così come hanno fatto le idee di tanti pensatori, leader spirituali e religiosi, o persone comuni che tuttavia hanno lasciato una traccia nello spirito altri.

La vicinanza ad un’idea o ad un concetto può ridurre la solitudine esistenziale. Al contrario, si può essere fisicamente in presenza di migliaia di persone, come in un centro commerciale, o in un cinema, ma sentirsi completamente soli dal punto di vista umano.

La solitudine fisica può essere ben metabolizzata dall’individuo, e non incide in modo deterministico sulle performance, mentre la solitudine esistenziale è corrosiva e danneggia la performance per la maggior parte delle persone. Perché questo succede?  L’uomo è un animale sociale ed evidentemente ha bisogno di trovare significati e motivazioni anche dall’incontro con altre menti, oltre che dal confronto con se stesso.

Chi riesce a trovare motivazione solo da se stesso, a nutrirsi di pura motivazione intrinseca, è certamente meno vincolato dal bisogno di condividere, tuttavia la comunicazione è un bisogno umano basilare, e negarlo è una forma di impoverimento inutile.

Chi produce performance è immerso in varie forme di stress, e il fatto di poter comunicare cosa si sta facendo, a cosa si sta lavorando, come vanno le cose, come ci si sente, quali sono le gioie, quali le soddisfazioni, o condividere un piccolo istante di un’esperienza, è un riduttore basilare dello stress.

Persino in chi sia davvero concentrato sulla performance, il bisogno di condividere in alcuni momento uno stato di avanzamento dei lavori, o avere qualcuno cui poter raccontare una vittoria o una sconfitta, è un fattore positivo.

Gli studi sulla deprivazione da contatto (ad esempio nelle prigioni in cella di isolamento) dimostrano il rapido peggioramento delle condizioni di salute in chi non ha possibilità di dialogare con nessuno.

L’atto stesso del parlare ed esprimersi permette al pensiero stesso di chiarificarsi, ed impedisce o frena una condizione di implosione o delirio che invece si verifica in condizioni di stress associata ad impossibilità di comunicare e condividere qualcosa sul piano umano. Ascoltare permette invece di compiere un costante benchmarking e rimanere accordati con il pensiero altrui.

Lo scambio profondo è quindi importante, sia tra persona e persona, che tra performer e coach, genitori e figli, amici, colleghi.

Nel metodo HPM ho ritenuto utile creare un indicatore specifico (DER – Deep Expression Rate – tasso di condivisione profonda) che ci offre una stima della quantità, qualità e frequenza delle occasioni di contatto esistenziale vero, profondo, con altri esseri umani. Esso misura le occasioni di comunicazione autentica, sincera, il potersi sfogare, il poter dare voce ai propri disagi e ai propri sogni, condividere successi o fallimenti, sentimenti o semplici stati fisici, scambiarsi opinioni su questioni esistenziali che ci toccano, ascoltare profondamente ed essere ascoltati profondamente.

Questo indicatore non deve necessariamente diventare numero (anche se esiste un sistema per numerizzarlo), ma indicarci segnali di qualcosa che non va o può essere migliorato. Il DER evidenzia in ogni caso le opportunità della persona di avere occasioni di scambio profondo sui significati personali interiori, le occasioni di comunicazione vera, non persuasiva o manipolatoria.

La psicoterapia contemporanea spesso diventa l’unico modo per sopperire all’enorme deprivazione e carenza di scambio profondo e ascolto profondo che vige nelle società contemporanee, soprattutto occidentali.

Nelle società democratiche non manca in genere la possibilità di esprimersi, ma nessuno ascolta. L’effetto finale è quindi, comunque, una condizione di impoverimento del livello di qualità nella comunicazione e relazione tra persone. Lo scambio comunicativo sempre più “amministrativo” e sempre meno umanistico è uno dei fattori che fa degenerare i matrimoni e le amicizie, allontana le persone, crea distanza nel gruppo. Le relazioni impoverite sono come ruscelli secchi in cui rimangono solo le pietre.

Man mano che il DER si impoverisce, la persona ha sempre meno occasioni di contatto umano profondo. Meno parliamo di questioni profonde e più ci abituiamo a stare in superficie. Questa regressione e impoverimento della comunicazione fa si che anche se si presentano occasioni per farlo, non sappiamo più nemmeno come si fa.

È un tratto essenziale di chi ama il potenziale umano e le performance stimolare un tasso di espressività profonda tra esseri umani e renderlo abitudine, spezzare l’assedio dell’incomunicabilità, farsi promotore di uno stile di vita sempre meno superficiale e sempre più connotato da calore umano, ascolto, condivisione, partecipazione emotiva.

Nessuna ricchezza economica può sostituire la ricchezza che viene dall’avere relazioni profonde, scambi di comunicazione positiva, occasioni di essere ascoltati ed amati non per interesse ma per pura vicinanza umana.

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Capacità di gestione dell’ansia

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Come riconoscere lo stato ansioso e come gestirlo

L’ansia, uno dei mali più drammatici della società contemporanea, è stret­tamente correlata allo stress.

L’ansia è – nella nostra visione – il prodotto di un incremento di attivazione mentale (arousal) mixato ad emozioni negative (paura, angoscia, timore, apprensione). La sola attivazione mentale, di per se positiva, acquisisce nell’ansia sfumature negative e innesca un dialogo interiore tutto centrato sugli eventi negativi, producendo un “sequestro emotivo” della persona.

L’ansia può essere uno stato permanente o prodursi in relazione ad alcuni eventi scatenanti o trigger (eventi che l’individuo vede come problematici, es, parlare in pubblico, stare in situazioni pubbliche, o prendere un aereo, una galleria, o in ambiti sociali e nella vita di relazione).

Alcuni autori erroneamente espongono il concetto di “ansia positiva”, intesa come fonte di energie. In realtà è corretto trattare come fenomeno ipoteticamente positivo unicamente l’arousal (aumento dell’attivazione mentale), mentre l’ansia – espressa come un correlato tra attivazione ed emozioni negative – porta con sé numerosi rischi dal punto di vista psicoenergetico.

Si distingue nella letteratura tra:

  • ansia di stato (collegata ed eventi specifici, es., prendere l’ascensore)
  • ansia di tratto (componente ansiosa più permanente, insita nella personalità dell’individuo, con componenti che possono essere sia di derivazione genetica che apprese durante la vita).

Il training psicoenergetico adeguato consiste in diverse linee di attacco:

  • eliminare l’arousal connesso agli eventi scatenanti o trigger, tramite tecniche di rilassamento, refraiming cognitivo o ristrutturazione cognitiva; eliminare l’ansia situazionale nei contesti precisi in cui si presenta (es., prima di una lezione, prima di un discorso pubblico);
  • associare gli eventi scatenanti o trigger ad emozioni positive, con una ristrutturazione cognitiva profonda, es. trasformare l’ansia da lezione in gioia per l’essere protagonista di una relazione d’aiuto, gioia del dare e dell’aiutare il prossimo a capire o a crescere; questo richiede smontare la componente competitiva insita nella prestazione didattica (io contro loro) e sostituirla con la componente della relazione di aiuto (io per loro);
  • affrontare la componente ansiosa della personalità e quella appresa (ansia di tratto). Questo può richiedere di andare alla ricerca del disagio trans-generazionale (assorbimento di ansia dai genitori e altri referenti importanti nel passato della persona) e degli schemi mentali appresi che la producono e mantengono in vita. Quando sono stati appresi? Da chi? Come rimangono attivi? Quali relazioni personali e culturali la mantengono elevata? Quali abitudini dobbiamo sradicare? Quali inserire? Un lavoro profondo richiede anche la ricerca dei messaggi genitoriali o sociali assimilati che la alimentano (es.: devi riuscire a qualsiasi costo), delle credenze disfunzionali che vivono nella mente dell’individuo, e come virus mentali la danneggiano, dei prototipi cognitivi personali (relazioni tra valori, credenze, atteggiamenti) che la nutrono (es.: devi sempre essere perfetto altrimenti non vali).

Principio 4 – Ansia ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • si innesca nell’individuo attivazione (arousal) associata ad emozioni negative, rispetto a compiti, situazioni, aspetti della vita o dell’esperienza;
  • l’individuo possiede una componente elevata di ansia di tratto (ansia caratteriale) assimilata durante la crescita o alimentata da prototipi di pensiero e credenze disfunzionali,  da modelli di pensiero assorbiti dai genitori o dalla società non localizzati e schermati;
  • l’individuo subisce ansia situazionale, e non pratica attività di riduzione localizzata tramite tecniche di rilassamento o altre forme di training;
  • l’individuo non affronta il fenomeno della propria ansia di derivazione trans-generazionale (trasmissione del disagio psichico) in modo sistematico;
  • l’individuo non ricerca ed affronta i propri prototipi cognitivi disfunzionali (sistemi di pensiero) produttori di ansia e gli stili di vita che la alimentano.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’attivazione (arousal) per azioni o eventi viene ripulita dalle componenti emotive negative;
  • l’individuo riesce a localizzare e ridurre l’ansia di stato (ansia legata a task specifici e situazioni specifiche);
  • vengono svolti con successo interventi di riduzione dell’ansia di tratto (elemento ansioso della personalità, ansia caratteriale);
  • vengono localizzati e riconfigurati i prototipi di pensiero che alimentano l’ansia e il disagio psichico, anche di fonte traumatica, transgenerazionale o culturale;
  • vengono praticate attività costanti e programmatiche di riduzione dell’ansia, con un programma specifico seguito professionalmente, volto anche alla rivisitazione dello stile di vita.

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Inquadrare e saper affrontare le diverse tipologie di stress

Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Come superare lo stress con il metodo HMP

Lo stress è una relazione dinamica tra (1) compiti, stimoli, carichi, input, situazioni da affrontare, task e (2) livelli di energia (fisica e mentale), associata a competenze, disponibili nell’individuo per fronteggiare questi input.

Nell’accezione comune, lo stress viene rappresentato come un disagio, una fatica difficile da superare serenamente.

Per un soggetto in stato di deprivazione ed energie ridotte, può essere stressante anche alzarsi dal letto per prendere una medicina. Per un soggetto dotato di energie elevate, può essere persino divertente combattere su un ring per due ore consecutive, o svolgere una negoziazione pressante e difficile, vedendola né più né meno come una bellissima occasione di sperimentazione, di esperienza, un esercizio piacevole, un’occasione di apprendimento.

Le energie mentali non sono stimolate ma anzi esaurite dal pensiero stesso di intraprendere azioni che fuoriescono completamente dalle proprie possibilità. Anche negli sport estremi, chi li affronta sa di avere una chance, si allena per fronteggiare l’estremo, si prepara.

Tra le varie forme di stress, lo stress emotivo è tra i più pericolosi in quanto non produce segnali evidenti come lo stress fisico.

La fragilità emotiva, unita a stress emotivo, produce danni enormi.

Principio 3 – Stress management ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo intraprendere azioni che superano le proprie energie totali disponibili, per troppo tempo, e senza recupero adeguato;
  • l’individuo non impiega tempo e progetti all’interno della area di sfida, chiudendosi progressivamente;
  • l’individuo non trascorre tempo sufficiente all’interno dell’area di comfort al fine di ricaricarsi e metabolizzare gli stressor;
  • gli stressor sono di natura forte (per intensità, durata e ripetitività) tale da ledere la tenuta e la capacità di recupero, e l’individuo li affronta da solo, senza supporto emotivo e relazionale adeguato.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo intraprende azioni e sforzi correlati alle energie disponibili;
  • vengono avviati progetti e iniziative nell’area di sfida, con spirito positivo;
  • tempo e modalità del recupero e della ricarica di energie sono adeguati;
  • l’individuo ha supporto emotivo e relazionale per affrontare lo stress.

Per migliorare l’azione di contrasto e gestione dello stress, in chi vuole sviluppare performance e avanzare nel potenziale personale, è indispensabile localizzare alcuni tipi specifici di stress. Il modello HPM permette di far emergere alcune tipologie specifiche.

Fragilità emotiva e stress emotivo

La fragilità emotiva viene individuata nei test specifici di Caprara, Perugini, Barbaranelli e Pastorelli come congiunzione di due tratti:

la scala risulta dall‘integrazione di due scale, quella di Suscettibilità Emotiva, che misura la propensione dell’individuo a porsi in una posizione di difesa, a sperimentare stati di disagio, di inadeguatezza e di vulnerabilità in situazioni, presunte o reali, di pericolo, di offesa e di attacco, e quella di Persecutorietà, che osserva la tendenza dell’individuo a sperimentare sentimenti vissuti di persecuzione e tensione, legati all’anticipazione o alla paura di una punizione incombente[1].

Altri studiosi danno della fragilità emotiva visioni diverse e utilizzano scale e costrutti diversi per misurarla.

Per noi, ciò che conta è riuscire a toccare con mano il problema, aiutare con un coaching professionale le persone a superare le proprie fragilità emotive e andare verso il loro futuro con maggiore serenità e gioia.

Stare lontani dalle proprie paure è inizialmente saggio ma riduce progressivamente il proprio territorio di vita. Nel lungo periodo non è sostenibile.

Correre incontro alle proprie paure è invece un atteggiamento stupendo, un’acquisizione esistenziale, un traguardo in sè, un atteggiamento che può essere conquistato con un training e supporto adeguato. Ma non nascondiamo la realtà: è più facile da dire che da fare. Verissimo. Sacrosanto. Ma non sufficiente a fermarci. Correre verso le nostre paure non è impossibile. Milioni di persone riescono a superare le proprie paure e fragilità e chiunque di noi ha il potenziale per farlo. Occorre solo farlo emergere, trovare un supporto, avere un metodo, e con impegno e dedizione diventa fattibile.

 Stress bioenergetico (stress fisico)

Riguarda la presenza di un compito o stile di vita che risulta troppo gravoso rispetto alle energie organismiche, fisiche, biologiche.

Tra questi: dormire troppo poco rispetto alle esigenze personali, alterare ripetutamente i ritmi sonno-veglia, svolgere lavori che impegnano eccessivamente alcuni apparati senza sufficiente tempo di recupero (es: apparato visivo), intasarsi di sostanze tossiche (fumo, alcool, cibi spazzatura, farmaci, smog e altro) senza valutarne le dosi e/o senza purificarsi o contrastare i “veleni” con sostanze riparanti o curative (integratori, cibo di qualità, aria sana, rigenerazione fisica).

Lo stress bioenergetico eccessivo e cronico emerge sia in casi di fatica acuta, oltre la soglia di riserva, che come forma di affaticamento cronico o fatica cronica, e va ad intaccare negativamente lo stato psicoenergetico, la volontà, la motivazione, e persino la sicurezza di sé, sino a distruggere progressivamente la salute fisica.

 Stress psicoenergetico (energie mentali)

Si verifica ogniqualvolta le risorse mentali necessarie sono superiori a quelle disponibili e attivabili. Tra i casi, citiamo la condizione in cui vi sia un compito da svolgere che richiede energie motivazionali superiori a quelle disponibili, ruoli che il soggetto non sente come propri, o ancora manca la linfa vitale del sostegno del gruppo, o vi sono troppe persone che drenano le energie mentali rispetto a quelle che invece apportano energie all’individuo.

Fanno parte dello stress psicoenergetico anche le crisi di ansia (timore e attivazione negativa, generalizzata o specifica per situazioni) e le crisi di senso (perdita di un riferimento o significati nel proprio orizzonte).

Ad esempio, uno studente di chirurgia che non sopporti la vista del sangue e stia studiando medicina su pressione dei genitori si sta sottoponendo a stress psicoenergetico forte. È stress andare a lavorare in un ruolo che non piace e non si sente proprio. È stress fare nel lavoro ripetutamente un’azione in cui non si crede, ad esempio, per un venditore può essere stress ascoltare il cliente, se non crede fermamente nel valore dell’empatia ai fini della vendita.

È stress psicoenergetico ogni lavoro svolto malvolentieri, ogni relazione obbligata, non voluta o desiderata, forzata, ogni situazione emotiva che non corrisponde ai desideri.

Tali situazioni sono sicuramente comuni, ma la condizione di stress si manifesta proprio nel divario tra risorse energetiche in grado di attivarsi per far fronte (almeno momentaneamente) alla situazione, e il compito stesso.

Le tecniche di training psicoenergetico possono incidere favorevolmente sulla capacità di metabolizzare gli stressor, sulla sopportazione, flessibilità, capacità di straniamento e distanziamento, capacità di contestualizzazione degli eventi, sino alla superiorità esistenziale.

 Micro-stress (gap di micro-competenze)

Ogni task o sfida si correla a precise micro-abilità. Quando diciamo “c’è qualcosa che mi sfugge, ma non so bene cosa” stiamo incontrando un esempio di micro-stress. Lo incontriamo anche sul piano dei gesti meccanici, quando le micro-abilità legate all’esecuzione fisica di un compito non sono sufficientemente possedute e interiorizzate. Quando succede,  l’individuo deve aumentare lo sforzo di esecuzione, consuma e assorbe più energie, a volte nemmeno questo risulta sufficiente e l’azione fallisce.

Le abilità che sono invece completamente possedute si esprimono con naturalezza, richiedono meno sforzo, e producono meno stress.

Lo stress nelle micro-competenze comprende fattori sfuggenti, micro-dettagli, imperfezioni operative, che creano un divario tra esecuzione ottimale di una performance e esecuzione reale.

È spesso il risultato di azioni formative che si fermano troppo presto rispetto alla reale esigenza.

 Macro-stress (stress di ruolo, stress esistenziale)

Consiste in disallineamenti nei profili professionali e di competenze, scostamenti tra proprio portfolio di competenze, ruolo atteso e ruolo ricoperto.

In azienda, si manifesta come crescente difficoltà nel dare una contribuzione reale, nella difficoltà a sviluppare risultati e generare valore.

Possiamo avere un macro-stress di competenze quando il ruolo viene cambiato senza adeguata formazione, o quando lo scenario evolve con una rapidità tale da rendere vecchio il patrimonio di conoscenza acquisito sinora.

Si verifica quindi un’obsolescenza delle competenze quando i nostri saperi diventano pressoché inutili rispetto alle esigenze nuove, attuali, mutate. Questo produce entropia delle competenze, uno stato di disordine o caos nei profili professionali.

Di forte interesse per il coaching è soprattutto individuare e intervenire sulla dinamica di entropia delle competenze, termine da noi fissato per identificare l’erosione di valore e applicabilità del proprio bagaglio professionale, quando non viene svolta “manutenzione professionale” e formazione adeguata. Se gli scenari cambiano e si rimane fermi, questo equivale ad arretrare.

In condizione di entropia, un’organizzazione perde contatto con i fattori che generano il suo valore. Ad esempio, un centro di formazione che non sa fare didattica attiva, uno studio legale che non si aggiorna sulle legislazioni, un medico che non conosce nuove forme di terapia e nuovi farmaci, un’impresa familiare che resiste all’ingresso di un modello di gestione più manageriale anche quando il modello familiare non regge più, una squadra sportiva che non fa preparazione atletica.

 Stress progettuale (stress legato ai goal)

Deriva dal possesso di obiettivi e goal inadeguati, e comprende sia aspetti di ipo-stimolazione che di iper-stimolazione. Gli obiettivi possono essere troppi o troppo pochi, oppure mal definiti e imprecisi. Distinguiamo:

  • stress da iper-stimolazione: deriva da goal eccessivi rispetto alle risorse individuali, goal praticamente irraggiungibili (es.: tre, quattro progetti significativi contemporanei). È spesso il frutto di un coaching poco etico che ripete alla persona messaggi del tipo “puoi dare di più, devi fare di più, tu sei un leader, risveglia il leader che è in te”, e simili, ma non si prende il tempo necessario per formare veramente la persona;
  • stress da ipostimolazione: deriva da goal assenti, insufficienti come numero o grado di sfida, obiettivi di portata non sufficiente per attivare curiosità, interesse o motivazione, o superare la noia;
  • stress da eccesso di varianze temporali nei goal: avviene quando i goal variano troppo rapidamente, “cambiano le carte in tavola”, non consentendo al soggetto di attuare quanto previsto; troppi progetti si aprono e nessuno si chiude, ci si perde, si attivano energie su progetti che poi vengono dimenticati o dispersi nel caos organizzativo;
  • stress da molteplicità nelle definizioni e attese dei referenti: accade quando più persone si attendono goal diversi dalla persona; troppe persone creano attese e pongono richieste, e il soggetto non è in grado di rispondere simultaneamente ai diversi goal, o il rispondere ad un goal crea automaticamente soddisfazione in un referente e contrasto con un altro referente;
  • stress da offuscamento dei confini dei goal: avviene quando un soggetto non ha più chiaro cosa la sua struttura o organizzazione si attenda da lui/lei, cosa costituisca un goal e cosa non lo sia, cosa verrà apprezzato e cosa non sarà apprezzato;
  • stress da mancanza di riconoscenza: deriva dalla mancata gratificazione psicologica verso chi raggiunge il goal, o attua impegno consistenze: la mancanza di riconoscimento demotiva il soggetto sia nel presente che verso l’impegno futuro;
  • stress da difficoltà di canalizzazione: difficoltà a tradurre un ideale (sogno, visione) in una sequenza di azioni concrete, goal pratici, tale che il soggetto continua per lungo tempo ad essere attivato (volontà elevata) ma non riesce a tradurre l’energia in progettualità e azione;
  • stress da dissonanza tra aspettative interne concorrenti: è uno stress psicologico molto forte in cui ci si trova nella condizione di dover rispondere a più input interni ma in modo dissonante, tale che il perseguimento di uno porti al decadimento dell’altro. Si crea una forma di concorrenza nelle aspettative interne quando l’individuo non riesce a risolvere le tensioni psicologiche sottostanti e queste continuano a macerarlo o “torturarlo”. Ad esempio, per un padre di famiglia, il caso in cui le aspettative su di lui siano duplici e contrastanti: dover portare a casa più soldi e contemporaneamente essere più presente in famiglia; per una madre di famiglia: sentire pressioni per essere produttiva e di successo e contemporaneamente più presente come moglie e madre. Per un’azienda, classicamente, dover scegliere tra investimenti e taglio di costi.

Stress legato alla vision e ai valori

Distinguiamo anche in questo campo:

  • stress da hyper-visioning non canalizzato: deriva dalla costruzione di obiettivi di lungo periodo eccessivi rispetto alle risorse individuali, praticamente irraggiungibili. Lo hyper-visioning (sognare e progettare in un orizzonte temporale molto lungo, o su sfide estremamente ambiziose) è una pratica positiva quando attuata entro confini personali e manageriali adeguati, e rappresenta invece una fonte di disagio se si trasforma in “ru­minazione mentale permanente” o insoddisfazione permanente. Sognare lontano e guardare lontano è positivo. Farlo e pretendere che tutto si avveri immediatamente no. La vision parla di sogni e ambizioni, e questo è positivo, ma se non vengono fatti i conti con la realtà essi rischiano di far male. La presenza nella vision di elementi decisamente eccessivi per le risorse individuali, vissuti come castrazione permanente, riduce la motivazione anziché aumentarla; ambizioni irraggiungibili che diventano non più motivatori in back­ground (positivi) ma ossessioni o afflizioni; deve essere chiarito se un tratto di vision si considera sostanzialmente riportabile all’area dei goal (vision raggiungibile) o invece come visione puramente ispirativa;
  • stress da hypo-visioning: un vissuto permeato da una mancanza di “senso delle cose”, o “senso del perché”, mancano desideri e traguardi nobili o significativi per il sistema di valori dell’individuo. La visione del futuro è imprecisa, manca un senso del “tendere a…”, gli obiettivi personali o aziendali sono confusi, o variano continuamente, manca un “faro” nella vita, un ideale cui tendere, viene meno una linea di tendenza e si perde il senso del percorso non capendo più per chi o per cosa affaticarsi, verso cosa tendere, per cosa darsi da fare;
  • stress da incoerenza tra valori individuali e valori dell’organizzazione: il soggetto non sente di poter aderire ai valori che percepisce nella realtà aziendale o del team di cui fa parte. Ed ancora: il soggetto percepisce uno scontro o un divario tra valori iniziali a cui ha aderito nell’entrare in azienda o nell’organizzazione, e i comportamenti reali che osserva in seguito e quotidianamente;
  • stress derivante dal conflitto tra scuole di pensiero, stress da diversità delle scuole metodologiche: spesso le scuole di provenienza portano con se precise visioni dell’uomo e valori di riferimento ben consolidati, cui le persone aderiscono. In ogni organizzazione si creano confronti (positivi) o scontri (conflittuali) tra scuole di provenienza delle varie persone. Si creano anche cordate aziendali, gang, bande interne, tribù, clan, e altre dinamiche di antropologia tribale dell’organizzazione. Lo stress deriva in questo caso dal dover operare entro modelli di valori e visioni che non si sentono propri. Es.: in una clinica, quando i diversi professionisti appartengono a scuole diverse e queste non trovano convergenze, collidono sul da farsi pratico sul paziente, e il medico o terapeuta può trovarsi a dover lavorare con metodi e prassi in cui non crede. Questo accade frequentemente anche nei sistemi educativi, scuola, università, aziende, e in ogni organizzazione.

[1] Caprara, G. V., Perugini, M., Barbaranelli, C., Pastorelli, C. (2008), Scala per la misura della Fragilità Emotiva, Giunti O.S., Firenze.

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I tipi di stress. Riconoscerlo per combatterlo efficacemente. Le 6 tipologie di Stress identificate nel Metodo HPM (dal testo “Il Potenziale Umano”)

Per migliorare l’azione di contrasto e gestione dello stress, in chi vuole sviluppare performance e avanzare nel potenziale personale, è indispensabile localizzare alcuni tipi specifici di stress. Il modello HPM permette di far emergere alcune tipologie specifiche.

Le 6 tipologie di Stress sono ufficialmente citabili, previa citazione della fonte originale. Identificate dal dott. Daniele Trevisani in base a studi specifici su manager e atleti, sono pubblicate nel testo “Il Potenziale Umano” edito da Franco Angeli editore, Milano.

tipologie di stress - i diversi tipi di stress

Stress di tipo 1 – Stress bioenergetico (stress corporeo e fisiologico)

Riguarda la presenza di un compito o stile di vita che risulta troppo gravoso rispetto alle energie organismiche, fisiche, biologiche.

Tra questi: dormire troppo poco rispetto alle esigenze personali, alterare ripetutamente i ritmi sonno-veglia, svolgere lavori che impegnano eccessivamente alcuni apparati senza sufficiente tempo di recupero (es: apparato visivo), intasarsi di sostanze tossiche (fumo, alcool, cibi spazzatura, farmaci, smog e altro) senza valutarne le dosi e/o senza purificarsi o contrastare i “veleni” con sostanze riparanti o curative (integratori, cibo di qualità, aria sana, rigenerazione fisica).

Lo stress bioenergetico eccessivo e cronico emerge sia in casi di fatica acuta, oltre la soglia di riserva, che come forma di affaticamento cronico o fatica cronica, e va ad intaccare negativamente lo stato psicoenergetico, la volontà, la motivazione, e persino la sicurezza di sé, sino a distruggere progressivamente la salute fisica.

Stress di tipo 2 – Stress psicoenergetico (energie mentali)

Si verifica ogniqualvolta le risorse mentali necessarie sono superiori a quelle disponibili e attivabili. Tra i casi, citiamo la condizione in cui vi sia un compito da svolgere che richiede energie motivazionali superiori a quelle disponibili, ruoli che il soggetto non sente come propri, o ancora manca la linfa vitale del sostegno del gruppo, o vi sono troppe persone che drenano le energie mentali rispetto a quelle che invece apportano energie all’individuo.

Fanno parte dello stress psicoenergetico anche le crisi di ansia (timore e attivazione negativa, generalizzata o specifica per situazioni) e le crisi di senso (perdita di un riferimento o significati nel proprio orizzonte).

Ad esempio, uno studente di chirurgia che non sopporti la vista del sangue e stia studiando medicina su pressione dei genitori si sta sottoponendo a stress psicoenergetico forte. È stress andare a lavorare in un ruolo che non piace e non si sente proprio. È stress fare nel lavoro ripetutamente un’azione in cui non si crede, ad esempio, per un venditore può essere stress ascoltare il cliente, se non crede fermamente nel valore dell’empatia ai fini della vendita.

È stress psicoenergetico ogni lavoro svolto malvolentieri, ogni relazione obbligata, non voluta o desiderata, forzata, ogni situazione emotiva che non corrisponde ai desideri.

Tali situazioni sono sicuramente comuni, ma la condizione di stress si manifesta proprio nel divario tra risorse energetiche in grado di attivarsi per far fronte (almeno momentaneamente) alla situazione, e il compito stesso.

Le tecniche di training psicoenergetico possono incidere favorevolmente sulla capacità di metabolizzare gli stressor, sulla sopportazione, flessibilità, capacità di straniamento e distanziamento, capacità di contestualizzazione degli eventi, sino alla superiorità esistenziale.

Stress di tipo 3 – Micro-stress (gap di micro-competenze)

Ogni task o sfida si correla a precise micro-abilità. Quando diciamo “c’è qualcosa che mi sfugge, ma non so bene cosa” stiamo incontrando un esempio di micro-stress. Lo incontriamo anche sul piano dei gesti meccanici, quando le micro-abilità legate all’esecuzione fisica di un compito non sono sufficientemente possedute e interiorizzate. Quando succede,  l’individuo deve aumentare lo sforzo di esecuzione, consuma e assorbe più energie, a volte nemmeno questo risulta sufficiente e l’azione fallisce.

Le abilità che sono invece completamente possedute si esprimono con naturalezza, richiedono meno sforzo, e producono meno stress.

Lo stress nelle micro-competenze comprende fattori sfuggenti, micro-dettagli, imperfezioni operative, che creano un divario tra esecuzione ottimale di una performance e esecuzione reale.

È spesso il risultato di azioni formative che si fermano troppo presto rispetto alla reale esigenza.

Stress di tipo 4 – Macro-stress (stress di ruolo, stress esistenziale)

Consiste in disallineamenti nei profili professionali e di competenze, scostamenti tra proprio portfolio di competenze, ruolo atteso e ruolo ricoperto.

In azienda, si manifesta come crescente difficoltà nel dare una contribuzione reale, nella difficoltà a sviluppare risultati e generare valore.

Possiamo avere un macro-stress di competenze quando il ruolo viene cambiato senza adeguata formazione, o quando lo scenario evolve con una rapidità tale da rendere vecchio il patrimonio di conoscenza acquisito sinora.

Si verifica quindi un’obsolescenza delle competenze quando i nostri saperi diventano pressoché inutili rispetto alle esigenze nuove, attuali, mutate. Questo produce entropia delle competenze, uno stato di disordine o caos nei profili professionali.

Di forte interesse per il coaching è soprattutto individuare e intervenire sulla dinamica di entropia delle competenze, termine da noi fissato per identificare l’erosione di valore e applicabilità del proprio bagaglio professionale, quando non viene svolta “manutenzione professionale” e formazione adeguata. Se gli scenari cambiano e si rimane fermi, questo equivale ad arretrare.

In condizione di entropia, un’organizzazione perde contatto con i fattori che generano il suo valore. Ad esempio, un centro di formazione che non sa fare didattica attiva, uno studio legale che non si aggiorna sulle legislazioni, un medico che non conosce nuove forme di terapia e nuovi farmaci, un’impresa familiare che resiste all’ingresso di un modello di gestione più manageriale anche quando il modello familiare non regge più, una squadra sportiva che non fa preparazione atletica.

Stress di tipo 5 – Stress progettuale (stress legato ai goal)

Deriva dal possesso di obiettivi e goal inadeguati, e comprende sia aspetti di ipo-stimolazione che di iper-stimolazione. Gli obiettivi possono essere troppi o troppo pochi, oppure mal definiti e imprecisi. Distinguiamo:

  • stress da iper-stimolazione: deriva da goal eccessivi rispetto alle risorse individuali, goal praticamente irraggiungibili (es.: tre, quattro progetti significativi contemporanei). È spesso il frutto di un coaching poco etico che ripete alla persona messaggi del tipo “puoi dare di più, devi fare di più, tu sei un leader, risveglia il leader che è in te”, e simili, ma non si prende il tempo necessario per formare veramente la persona;
  • stress da ipostimolazione: deriva da goal assenti, insufficienti come numero o grado di sfida, obiettivi di portata non sufficiente per attivare curiosità, interesse o motivazione, o superare la noia;
  • stress da eccesso di varianze temporali nei goal: avviene quando i goal variano troppo rapidamente, “cambiano le carte in tavola”, non consentendo al soggetto di attuare quanto previsto; troppi progetti si aprono e nessuno si chiude, ci si perde, si attivano energie su progetti che poi vengono dimenticati o dispersi nel caos organizzativo;
  • stress da molteplicità nelle definizioni e attese dei referenti: accade quando più persone si attendono goal diversi dalla persona; troppe persone creano attese e pongono richieste, e il soggetto non è in grado di rispondere simultaneamente ai diversi goal, o il rispondere ad un goal crea automaticamente soddisfazione in un referente e contrasto con un altro referente;
  • stress da offuscamento dei confini dei goal: avviene quando un soggetto non ha più chiaro cosa la sua struttura o organizzazione si attenda da lui/lei, cosa costituisca un goal e cosa non lo sia, cosa verrà apprezzato e cosa non sarà apprezzato;
  • stress da mancanza di riconoscenza: deriva dalla mancata gratificazione psicologica verso chi raggiunge il goal, o attua impegno consistenze: la mancanza di riconoscimento demotiva il soggetto sia nel presente che verso l’impegno futuro;
  • stress da difficoltà di canalizzazione: difficoltà a tradurre un ideale (sogno, visione) in una sequenza di azioni concrete, goal pratici, tale che il soggetto continua per lungo tempo ad essere attivato (volontà elevata) ma non riesce a tradurre l’energia in progettualità e azione;
  • stress da dissonanza tra aspettative interne concorrenti: è uno stress psicologico molto forte in cui ci si trova nella condizione di dover rispondere a più input interni ma in modo dissonante, tale che il perseguimento di uno porti al decadimento dell’altro. Si crea una forma di concorrenza nelle aspettative interne quando l’individuo non riesce a risolvere le tensioni psicologiche sottostanti e queste continuano a macerarlo o “torturarlo”. Ad esempio, per un padre di famiglia, il caso in cui le aspettative su di lui siano duplici e contrastanti: dover portare a casa più soldi e contemporaneamente essere più presente in famiglia; per una madre di famiglia: sentire pressioni per essere produttiva e di successo e contemporaneamente più presente come moglie e madre. Per un’azienda, classicamente, dover scegliere tra investimenti e taglio di costi.

Stress di tipo 6 – Stress legato alla vision e ai valori

Distinguiamo anche in questo campo:

  • stress da hyper-visioning non canalizzato: deriva dalla costruzione di obiettivi di lungo periodo eccessivi rispetto alle risorse individuali, praticamente irraggiungibili. Lo hyper-visioning (sognare e progettare in un orizzonte temporale molto lungo, o su sfide estremamente ambiziose) è una pratica positiva quando attuata entro confini personali e manageriali adeguati, e rappresenta invece una fonte di disagio se si trasforma in “ru­minazione mentale permanente” o insoddisfazione permanente. Sognare lontano e guardare lontano è positivo. Farlo e pretendere che tutto si avveri immediatamente no. La vision parla di sogni e ambizioni, e questo è positivo, ma se non vengono fatti i conti con la realtà essi rischiano di far male. La presenza nella vision di elementi decisamente eccessivi per le risorse individuali, vissuti come castrazione permanente, riduce la motivazione anziché aumentarla; ambizioni irraggiungibili che diventano non più motivatori in back­ground (positivi) ma ossessioni o afflizioni; deve essere chiarito se un tratto di vision si considera sostanzialmente riportabile all’area dei goal (vision raggiungibile) o invece come visione puramente ispirativa;
  • stress da hypo-visioning: un vissuto permeato da una mancanza di “senso delle cose”, o “senso del perché”, mancano desideri e traguardi nobili o significativi per il sistema di valori dell’individuo. La visione del futuro è imprecisa, manca un senso del “tendere a…”, gli obiettivi personali o aziendali sono confusi, o variano continuamente, manca un “faro” nella vita, un ideale cui tendere, viene meno una linea di tendenza e si perde il senso del percorso non capendo più per chi o per cosa affaticarsi, verso cosa tendere, per cosa darsi da fare;
  • stress da incoerenza tra valori individuali e valori dell’organizzazione: il soggetto non sente di poter aderire ai valori che percepisce nella realtà aziendale o del team di cui fa parte. Ed ancora: il soggetto percepisce uno scontro o un divario tra valori iniziali a cui ha aderito nell’entrare in azienda o nell’organizzazione, e i comportamenti reali che osserva in seguito e quotidianamente;
  • stress derivante dal conflitto tra scuole di pensiero, stress da diversità delle scuole metodologiche: spesso le scuole di provenienza portano con se precise visioni dell’uomo e valori di riferimento ben consolidati, cui le persone aderiscono. In ogni organizzazione si creano confronti (positivi) o scontri (conflittuali) tra scuole di provenienza delle varie persone. Si creano anche cordate aziendali, gang, bande interne, tribù, clan, e altre dinamiche di antropologia tribale dell’organizzazione. Lo stress deriva in questo caso dal dover operare entro modelli di valori e visioni che non si sentono propri. Es.: in una clinica, quando i diversi professionisti appartengono a scuole diverse e queste non trovano convergenze, collidono sul da farsi pratico sul paziente, e il medico o terapeuta può trovarsi a dover lavorare con metodi e prassi in cui non crede. Questo accade frequentemente anche nei sistemi educativi, scuola, università, aziende, e in ogni organizzazione.

Copyright, articolo di: Dott. Daniele Trevisani dal testo “Il Potenziale Umano” edito da Franco Angeli editore, Milano.

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Per approfondire, due video di supporto

Nel primo video, un breve commento su uno dei più grandi nemici dello stress: le competenze. Le competenze, professionali, relazionali, emotive, sono un enorme antidoto allo stress, e nel modello HPM si distinguono 2 diversi tipi di competenze, micro e macro competenze. Qui il video

https://www.youtube.com/watch?v=Xsa_iWMeR2A&t=18s

Un secondo grande antidoto allo stress è chiarire la propria “vision”, i propri ancoraggi nei valori, da cui far discendere azioni concrete, progetti reali che ci tengano impegnati nel “fare positivo”.

Qui il video con alcune tracce su questi argomenti, dal metodo HPM

https://www.youtube.com/watch?v=AWkTDqZfFK4

Distinguere le tipologie di stress. Stress bioenergetico e stress psicoenergetico

Estratto con commenti inediti dell’autore dal testo Il Potenziale Umano

Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance, di Daniele Trevisani (Franco Angeli editore)

Lo stress è un fenomeno molto esteso, pervasivo, e colpisce qualsiasi essere vivente. E’ una parte integrante della vita biologica. Essendo così diffuso, viene usato spesso come terminologia “buona per tutto”. Dire “sono stressato” significa tutto e niente, dal punto di vista del capire quale tipologia di stress stia accadendo e cosa in particolare stia colpendo. E’ il caso di imparare a distinguere, nel nostro e altrui interesse

Il contributo del Modello HPM e del capitolo dedicato allo Stress nel libro omonimo, è quello di avere individuato sei specifiche tipologie di stress, ciascuna delle quale ha specifiche caratteristiche.

Lo stress che accusiamo, può quindi essere dovuto ad una sola singola fonte, ad una combinazione di più fonti, fino alla combinazione e interazione di tutte o le fonti individuate dal modello.

La buona notizia, è che una volta individuata la tipologia di stress, possiamo capirla, affrontarla, e smetteremo di cercare colpevoli alternativi. Ci concentreremo su cosa conta davvero. A volte il rimedio può essere cambiare qualcosa di molto tangibile come il cibo. A volte, può riguardare il cambiare qualcosa di molto intangibile, come la nostra spiritualità, i nostri riferimenti, i modelli che prendiamo ad esempio.

Ci concentriamo su questo articolo sui due primi elementi dello stress: quello che colpisce il substrato biologico, e quello che colpisce il substrato psicologico. In pratica, lo stress “basale” della piramide del Modello HPM. Gli altri fattori, altrettanto importanti saranno oggetto di altri approfondimenti.

 Stress bioenergetico (stress fisico)

Riguarda la presenza di un compito o stile di vita che risulta troppo gravoso rispetto alle energie organismiche, fisiche, biologiche.

Tra questi: dormire troppo poco rispetto alle esigenze personali, alterare ripetutamente i ritmi sonno-veglia, svolgere lavori che impegnano eccessivamente alcuni apparati senza sufficiente tempo di recupero (es: apparato visivo), intasarsi di sostanze tossiche (fumo, alcool, cibi spazzatura, farmaci, smog e altro) senza valutarne le dosi e/o senza purificarsi o contrastare i “veleni” con sostanze riparanti o curative (integratori, cibo di qualità, aria sana, rigenerazione fisica).

Lo stress bioenergetico eccessivo e cronico emerge sia in casi di fatica acuta, oltre la soglia di riserva, che come forma di affaticamento cronico o fatica cronica, e va ad intaccare negativamente lo stato psicoenergetico, la volontà, la motivazione, e persino la sicurezza di sé, sino a distruggere progressivamente la salute fisica.

Possiamo essere aggrediti dallo stress da un “atto” o da uno “stile di vita non nostro”. Un’azione può aggredire il nostro corpo in modo acuto (es, fare un trasloco e farsi mal di schiena) o in modo cronico, es deprivarsi dal sonno un poco tutti i giorni. Il nostro corpo non ci parla se non quando siamo in grado di capire i suoi segnali. I segnali ci sono, ma noi non li sentiamo. A volte sono nel respiro che si fa corto o poco profondo, altre volte sono individuabili in tensioni croniche dei trapezi, o degli addominali, altre volte in micro-infiammazioni silenti ma dannose. Imparare ad ascoltare il corpo è una tecnica specifica (focusing) che si può apprendere in specifici corsi di Counseling, Coaching Corporeo, e altre tecniche dedicate.

 Stress psicoenergetico (energie mentali)

Si verifica ogniqualvolta le risorse mentali necessarie sono superiori a quelle disponibili e attivabili. Tra i casi, citiamo la condizione in cui vi sia un compito da svolgere che richiede energie motivazionali superiori a quelle disponibili, ruoli che il soggetto non sente come propri, o ancora manca la linfa vitale del sostegno del gruppo, o vi sono troppe persone che drenano le energie mentali rispetto a quelle che invece apportano energie all’individuo.

Fanno parte dello stress psicoenergetico anche le crisi di ansia (timore e attivazione negativa, generalizzata o specifica per situazioni) e le crisi di senso (perdita di un riferimento o significati nel proprio orizzonte).

Ad esempio, uno studente di chirurgia che non sopporti la vista del sangue e stia studiando medicina su pressione dei genitori si sta sottoponendo a stress psicoenergetico forte. È stress andare a lavorare in un ruolo che non piace e non si sente proprio. È stress fare nel lavoro ripetutamente un’azione in cui non si crede, ad esempio, per un venditore può essere stress ascoltare il cliente, se non crede fermamente nel valore dell’empatia ai fini della vendita.

È stress psicoenergetico ogni lavoro svolto malvolentieri, ogni relazione obbligata, non voluta o desiderata, forzata, ogni situazione emotiva che non corrisponde ai desideri.

Tali situazioni sono sicuramente comuni, ma la condizione di stress si manifesta proprio nel divario tra risorse energetiche in grado di attivarsi per far fronte (almeno momentaneamente) alla situazione, e il compito stesso.

Le tecniche di training psicoenergetico possono incidere favorevolmente sulla capacità di metabolizzare gli stressor, sulla sopportazione, flessibilità, capacità di straniamento e distanziamento, capacità di contestualizzazione degli eventi, sino alla superiorità esistenziale.

Il Principio N. 3 del Potenziale Umano, esposto nel metodo HPM, ci aiuta a sintetizzare questo quadro

Principio 3 – Stress management ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  1. l’individuo intraprendere azioni che superano le proprie energie totali disponibili, per troppo tempo, e senza recupero adeguato;
  2. l’individuo non impiega tempo e progetti all’interno della area di sfida, chiudendosi progressivamente;
  3. l’individuo non trascorre tempo sufficiente all’interno dell’area di comfort al fine di ricaricarsi e metabolizzare gli stressor;
  4. gli stressor sono di natura forte (per intensità, durata e ripetitività) tale da ledere la tenuta e la capacità di recupero, e l’individuo li affronta da solo, senza supporto emotivo e relazionale adeguato.

Le energie mentali aumentano quando:

  1. l’individuo intraprende azioni e sforzi correlati alle energie disponibili
  2. vengono avviati progetti e iniziative nell’area di sfida, con spirito positivo;
  3. tempo e modalità del recupero e della ricarica di energie sono adeguati;
  4. l’individuo ha supporto emotivo e relazionale per affrontare lo stress.

NB. Questo principio funziona come una formula matematica, è possibile fare analisi accurate tenendo in considerazione i fattori esposti, e capire su quali canali intervenire, solo dopo una forte fase di analisi.

Tra tutti, evidenziamo proprio il punto finale: il supporto emotivo e delle relazioni umane. Possiamo affrontare “quasi” qualsiasi cosa nella vita, se abbiamo qualcuno che ci sostiene, se possiamo avere supporto morale, sostegno morale, sostegno emotivo, in caso contrario, gli stressor ci sovrastano, le forze necessarie per imanere in piedi diventano incredibili e molto superiori alle nostre possibilità pratiche di generarle.

Estratto con commenti inediti dell’autore dal testo Il Potenziale Umano

Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance, di Daniele Trevisani (Franco Angeli editore)

 

Telomeri: ridurre lo stress, aumenta la vita

ridurre lo stress, combattere lo stress(c) a cura di: Dott. Daniele Trevisani Formazione e Coaching

Che lo stress faccia male, si sa. Ma che producesse invecchiamento cellulare e riduzione fisica della capacità della cellula di riprodursi è scoperta recente. Per cui, una formazione specifica e personalizzata sulle tecniche di Mindfulness e Riduzione dello Stress diventa non solo benefica per avere una vita emotiva più sana, ma anche una forma di prevenzione della malattia. Il tema dello stress è trattato nel volume Il Potenziale Umano, dove si identicano 6 diversi tipi di stress, che una volta riconosciuti possono essere meno pericolosi. Come dice una frase “se lo conosci lo eviti”, e conoscere le fonti di stress secondo questi studi sta diventando veramente un fattore vitale.

Ma approfondiamo questo tema di confine: il telomero, la salute e la malattia.

Il telomero è la regione terminale del cromosoma, da cui deriva il nome stesso, composta di DNA altamente ripetuto. Si pensava fosse una regione non codificante, ma recenti scoperte hanno dimostrato che produce trascritti detti TERRA, che si ipotizza siano implicati nella regolazione della telomerasi. Il telomero ha un ruolo determinante nell’evitare la perdita di informazioni durante la duplicazione dei cromosomi, poiché la DNA polimerasi non è in grado di replicare il cromosoma fino alla sua terminazione; se non ci fossero i telomeri la replicazione del DNA comporterebbe dopo ogni replicazione una significativa perdita di informazione genetica. Diversi studi hanno dimostrato che il progressivo accorciamento dei telomeri ad ogni ciclo replicativo sia associato all’invecchiamento cellulare (fase di senescenza).

Approfondimento sullo Stress 

Una risposta maladattativa a un evento stressante può determinare l’insorgenza di un quadro patologico. In caso di disturbo psichico, il quadro clinico mimerà, dal punto di vista sintomatologico, l’espressione del disturbo maggiore.

La maladattatività può risultare di interesse clinico qualora consista in sintomi emotivi o comportamentali tali da causare sofferenza soggettiva e una significativa compromissione nel funzionamento sociale e lavorativo del soggetto. Le caratteristiche di fragilità o rigidità del soggetto giocano un ruolo importante nel momento in cui egli deve produrre strategie per rispondere in modo adeguato a una modificazione dell’ambiente.

Le caratteristiche della sindrome da stress sono

  • sintomatologia preceduta da evento stressante identificabile, sia esso positivo o negativo, verificatosi nei tre mesi precedenti allo sviluppo della sintomatologia.
  • questa deve essere più intensa rispetto alle corrispettive reazioni normali e avere tendenza alla risoluzione spontanea entro un periodo di tempo definito (6 mesi)
  • la sindrome non deve rappresentare l’esacerbazione dei sintomi di un disturbo mentale di base, legato o meno all’evento stressante.

Lo stress nella sua forma più acuta può arrivare a provocare la morte per autocoagulazione del sangue (“morte da anatema“).

 

E’ fondamentale imparare a riconoscere le fonti di stress, schermarsene, elaborare una strategia di formazione personalizzata e di coaching per vivere la vita diversamente, qualsiasi sia la nostra condizione. Dopo queste ricerche, possiamo proprio dire che imparare a gestire lo stress e ridurlo è diventata una “faccenda di vita o di morte.”

Inquadrare e saper affrontare le diverse tipologie di stress

stresspotere personaleenergie mentali

Articolo Copyright. Estratto dal volume Il Potenziale Umano, di Daniele Trevisani – www.studiotrevisani.it – www.danieletrevisani.com

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Lo stress è una relazione dinamica tra (1) compiti, stimoli, carichi, input, situazioni da affrontare, task e (2) livelli di energia (fisica e mentale), associata a competenze, disponibili nell’individuo per fronteggiare questi input.

Nell’accezione comune, lo stress viene rappresentato come un disagio, una fatica difficile da superare serenamente.

Per un soggetto in stato di deprivazione ed energie ridotte, può essere stressante anche alzarsi dal letto per prendere una medicina. Per un soggetto dotato di energie elevate, può essere persino divertente combattere su un ring per due ore consecutive, o svolgere una negoziazione pressante e difficile, vedendola né più né meno come una bellissima occasione di sperimentazione, di esperienza, un esercizio piacevole, un’occasione di apprendimento.

Le energie mentali non sono stimolate ma anzi esaurite dal pensiero stesso di intraprendere azioni che fuoriescono completamente dalle proprie possibilità. Anche negli sport estremi, chi li affronta sa di avere una chance, si allena per fronteggiare l’estremo, si prepara.

Tra le varie forme di stress, lo stress emotivo è tra i più pericolosi in quanto non produce segnali evidenti come lo stress fisico.

La fragilità emotiva, unita a stress emotivo, produce danni enormi

 

Principio  – Stress management ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo intraprendere azioni che superano le proprie energie totali disponibili, per troppo tempo, e senza recupero adeguato;
  • l’individuo non impiega tempo e progetti all’interno della area di sfida, chiudendosi progressivamente;
  • l’individuo non trascorre tempo sufficiente all’interno dell’area di comfort al fine di ricaricarsi e metabolizzare gli stressor;
  • gli stressor sono di natura forte (per intensità, durata e ripetitività) tale da ledere la tenuta e la capacità di recupero, e l’individuo li affronta da solo, senza supporto emotivo e relazionale adeguato.

 

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo intraprende azioni e sforzi correlati alle energie disponibili;
  • vengono avviati progetti e iniziative nell’area di sfida, con spirito positivo;
  • tempo e modalità del recupero e della ricarica di energie sono adeguati;
  • l’individuo ha supporto emotivo e relazionale per affrontare lo stress.

 

Per migliorare l’azione di contrasto e gestione dello stress, in chi vuole sviluppare performance e avanzare nel potenziale personale, è indispensabile localizzare alcuni tipi specifici di stress. Il modello HPM permette di far emergere alcune tipologie specifiche.

Le anticipiamo segnalando già che le tipologie di stress esposte sono approfondite nella pubblicazione specifica

  1. stress fisico bioenergetico: carichi di lavoro fisico che l’organismo, in base al suo livello di energie attuali, non sopporta. Include errori alimentari, stili di vita dannosi, sostanze tossiche, riposo scarso o disturbato
  2. stress psicoenergetico: livelli di stress mentale e ansia cronici, o acuti. Ripetersi costante di giornate dense di preoccupazioni in cui non si vede via di uscita, assenza o impotenza di persone e canali di sfogo e condivisione delle proprie preoccupazioni, ansie, desideri, stati fisici e mentali
  3. stress da micro-competenze insufficienti: mancanza di competenze di dettaglio necessarie per portare a termine con successo un compito
  4. stress da macro-competenze insufficienti: quando il ruolo che si vuole o deve giocare nella vita presenta necessità di conoscenze che non abbiamo e non stiamo facendo il possibile o il dovuto per colmare e anticipare questo divario di competenz<e
  5. stress progettuale: eccesso di iper-strutturazione del tempo, mancanza di progettualità, tanti sogni e pochi o nessuno di essi diventano realtà
  6. stress valoriale: assenza di valori di riferimento, assenza di riferimenti, perdita di senso, non credere più in niente

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Articolo Copyright. Estratto dal volume Il Potenziale Umano, di Daniele Trevisani – www.studiotrevisani.it – www.danieletrevisani.com

Le 6 diverse tipologie di stress: conoscerle per migliorare, crescere, e aiutare gli altri a farlo

Di Daniele Trevisani – Fulbright Scholar, Formatore, Sensei 8° Dan Sistema Daoshi, Gruppo Facebook Praticanti di Arti Marziali e Sport di Combattimento in Italia

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© Articolo elaborato dall’autore, con modifiche, dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Approfondimenti del volume originario sono disponibili anche al link www.studiotrevisani.it/hpm2 – Questo articolo può essere copiato e riprodotto su siti web autorizzati, previa richiesta all’autore, purché sia mantenuta la citazione come segue: Articolo a cura di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it – Non sono ammesse modifiche al testo non autorizzate.

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Inquadrare e saper affrontare le diverse tipologie di stress

Chi pratica arti marziali e sport di combattimento è certamente sottoposto a stimoli fisici e mentali che pochi altri conoscono. Questi stimoli intensi e ripetuti – che per altri sarebbero nemmeno immaginabili – diventano per i praticanti una pratica quotidiana, e fonte di nutrimento.

Dobbiamo però capire quando e come uno stimolo sfora nella zona dello stress distruttivo e quando invece fa bene alla crescita.

Lo stress è una relazione dinamica tra (1) compiti, stimoli, carichi, input, situazioni da affrontare, task e (2) livelli di energia (fisica e mentale) disponibili nell’individuo per fronteggiare questi input.

Nell’accezione comune, lo stress viene rappresentato come un disagio, una fatica difficile da superare serenamente.

Per un soggetto in stato di deprivazione ed energie ridotte, può essere stressante anche alzarsi dal letto per prendere una medicina. Per un soggetto dotato di energie elevate, può essere persino divertente combattere su un ring per due ore consecutive, o svolgere una negoziazione pressante e difficile, vedendola né più né meno come una bellissima occasione di sperimentazione, di esperienza, un esercizio piacevole, un’occasione di apprendimento.

Le energie mentali non sono stimolate ma anzi esaurite dal pensiero stesso di intraprendere azioni che fuoriescono completamente dalle proprie possibilità. Anche negli sport estremi, chi li affronta sa di avere una chance, si allena per fronteggiare l’estremo, si prepara.

Tra le varie forme di stress, lo stress emotivo è tra i più pericolosi in quanto non produce segnali evidenti come lo stress fisico.

La fragilità emotiva, unita a stress emotivo, produce danni enormi.

Principio 3 – Stress management ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo intraprendere azioni che superano le proprie energie totali disponibili, per troppo tempo, e senza recupero adeguato;
  • l’individuo non impiega tempo e progetti all’interno della area di sfida, chiudendosi progressivamente;
  • l’individuo non trascorre tempo sufficiente all’interno dell’area di comfort al fine di ricaricarsi e metabolizzare gli stressor;
  • gli stressor sono di natura forte (per intensità, durata e ripetitività) tale da ledere la tenuta e la capacità di recupero, e l’individuo li affronta da solo, senza supporto emotivo e relazionale adeguato.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo intraprende azioni e sforzi correlati alle energie disponibili;
  • vengono avviati progetti e iniziative nell’area di sfida, con spirito positivo;
  • tempo e modalità del recupero e della ricarica di energie sono adeguati;
  • l’individuo ha supporto emotivo e relazionale per affrontare lo stress.

Per migliorare l’azione di contrasto e gestione dello stress, in chi vuole sviluppare performance e avanzare nel potenziale personale, è indispensabile localizzare alcuni tipi specifici di stress. Il modello HPM permette di far emergere alcune tipologie specifiche.

1 – Stress bioenergetico (stress fisico)

Riguarda la presenza di un compito o stile di vita che risulta troppo gravoso rispetto alle energie organismiche, fisiche, biologiche.

Tra questi: dormire troppo poco rispetto alle esigenze personali, alterare ripetutamente i ritmi sonno-veglia, svolgere lavori che impegnano eccessivamente alcuni apparati senza sufficiente tempo di recupero (es: apparato visivo), intasarsi di sostanze tossiche (fumo, alcool, cibi spazzatura, farmaci, smog e altro) senza valutarne le dosi e/o senza purificarsi o contrastare i “veleni” con sostanze riparanti o curative (integratori, cibo di qualità, aria sana, rigenerazione fisica).

Lo stress bioenergetico eccessivo e cronico emerge sia in casi di fatica acuta, oltre la soglia di riserva, che come forma di affaticamento cronico o fatica cronica, e va ad intaccare negativamente lo stato psicoenergetico, la volontà, la motivazione, e persino la sicurezza di sé, sino a distruggere progressivamente la salute fisica.

2 – Stress psicoenergetico (energie mentali)

Si verifica ogniqualvolta le risorse mentali necessarie sono superiori a quelle disponibili e attivabili. Tra i casi, citiamo la condizione in cui vi sia un compito da svolgere che richiede energie motivazionali superiori a quelle disponibili, ruoli che il soggetto non sente come propri, o ancora manca la linfa vitale del sostegno del gruppo, o vi sono troppe persone che drenano le energie mentali rispetto a quelle che invece apportano energie all’individuo.

Fanno parte dello stress psicoenergetico anche le crisi di ansia (timore e attivazione negativa, generalizzata o specifica per situazioni) e le crisi di senso (perdita di un riferimento o significati nel proprio orizzonte).

Ad esempio, uno studente di chirurgia che non sopporti la vista del sangue e stia studiando medicina su pressione dei genitori si sta sottoponendo a stress psicoenergetico forte. È stress andare a lavorare in un ruolo che non piace e non si sente proprio. È stress fare nel lavoro ripetutamente un’azione in cui non si crede, ad esempio, per un venditore può essere stress ascoltare il cliente, se non crede fermamente nel valore dell’empatia ai fini della vendita.

È stress psicoenergetico ogni lavoro svolto malvolentieri, ogni relazione obbligata, non voluta o desiderata, forzata, ogni situazione emotiva che non corrisponde ai desideri.

Tali situazioni sono sicuramente comuni, ma la condizione di stress si manifesta proprio nel divario tra risorse energetiche in grado di attivarsi per far fronte (almeno momentaneamente) alla situazione, e il compito stesso.

Le tecniche di training psicoenergetico possono incidere favorevolmente sulla capacità di metabolizzare gli stressor, sulla sopportazione, flessibilità, capacità di straniamento e distanziamento, capacità di contestualizzazione degli eventi, sino alla superiorità esistenziale.

3 – Micro-stress (gap di micro-competenze)

Ogni task o sfida si correla a precise micro-abilità. Quando diciamo “c’è qualcosa che mi sfugge, ma non so bene cosa” stiamo incontrando un esempio di micro-stress. Lo incontriamo anche sul piano dei gesti meccanici, quando le micro-abilità legate all’esecuzione fisica di un compito non sono sufficientemente possedute e interiorizzate. Quando succede,  l’individuo deve aumentare lo sforzo di esecuzione, consuma e assorbe più energie, a volte nemmeno questo risulta sufficiente e l’azione fallisce.

Le abilità che sono invece completamente possedute si esprimono con naturalezza, richiedono meno sforzo, e producono meno stress.

Lo stress nelle micro-competenze comprende fattori sfuggenti, micro-dettagli, imperfezioni operative, che creano un divario tra esecuzione ottimale di una performance e esecuzione reale.

È spesso il risultato di azioni formative che si fermano troppo presto rispetto alla reale esigenza.

4 – Macro-stress (stress di ruolo, stress esistenziale)

Consiste in disallineamenti nei profili professionali e di competenze, scostamenti tra proprio portfolio di competenze, ruolo atteso e ruolo ricoperto.

In azienda, si manifesta come crescente difficoltà nel dare una contribuzione reale, nella difficoltà a sviluppare risultati e generare valore.

Possiamo avere un macro-stress di competenze quando il ruolo viene cambiato senza adeguata formazione, o quando lo scenario evolve con una rapidità tale da rendere vecchio il patrimonio di conoscenza acquisito sinora.

Si verifica quindi un’obsolescenza delle competenze quando i nostri saperi diventano pressoché inutili rispetto alle esigenze nuove, attuali, mutate. Questo produce entropia delle competenze, uno stato di disordine o caos nei profili professionali.

Di forte interesse per il coaching è soprattutto individuare e intervenire sulla dinamica di entropia delle competenze, termine da noi fissato per identificare l’erosione di valore e applicabilità del proprio bagaglio professionale, quando non viene svolta “manutenzione professionale” e formazione adeguata. Se gli scenari cambiano e si rimane fermi, questo equivale ad arretrare.

In condizione di entropia, un’organizzazione perde contatto con i fattori che generano il suo valore. Ad esempio, un centro di formazione che non sa fare didattica attiva, uno studio legale che non si aggiorna sulle legislazioni, un medico che non conosce nuove forme di terapia e nuovi farmaci, un’impresa familiare che resiste all’ingresso di un modello di gestione più manageriale anche quando il modello familiare non regge più, una squadra sportiva che non fa preparazione atletica.

5 – Stress progettuale (stress legato ai goal)

Deriva dal possesso di obiettivi e goal inadeguati, e comprende sia aspetti di ipo-stimolazione che di iper-stimolazione. Gli obiettivi possono essere troppi o troppo pochi, oppure mal definiti e imprecisi. Distinguiamo:

  • stress da iper-stimolazione: deriva da goal eccessivi rispetto alle risorse individuali, goal praticamente irraggiungibili (es.: tre, quattro progetti significativi contemporanei). È spesso il frutto di un coaching poco etico che ripete alla persona messaggi del tipo “puoi dare di più, devi fare di più, tu sei un leader, risveglia il leader che è in te”, e simili, ma non si prende il tempo necessario per formare veramente la persona;
  • stress da ipostimolazione: deriva da goal assenti, insufficienti come numero o grado di sfida, obiettivi di portata non sufficiente per attivare curiosità, interesse o motivazione, o superare la noia;
  • stress da eccesso di varianze temporali nei goal: avviene quando i goal variano troppo rapidamente, “cambiano le carte in tavola”, non consentendo al soggetto di attuare quanto previsto; troppi progetti si aprono e nessuno si chiude, ci si perde, si attivano energie su progetti che poi vengono dimenticati o dispersi nel caos organizzativo;
  • stress da molteplicità nelle definizioni e attese dei referenti: accade quando più persone si attendono goal diversi dalla persona; troppe persone creano attese e pongono richieste, e il soggetto non è in grado di rispondere simultaneamente ai diversi goal, o il rispondere ad un goal crea automaticamente soddisfazione in un referente e contrasto con un altro referente;
  • stress da offuscamento dei confini dei goal: avviene quando un soggetto non ha più chiaro cosa la sua struttura o organizzazione si attenda da lui/lei, cosa costituisca un goal e cosa non lo sia, cosa verrà apprezzato e cosa non sarà apprezzato;
  • stress da mancanza di riconoscenza: deriva dalla mancata gratificazione psicologica verso chi raggiunge il goal, o attua impegno consistenze: la mancanza di riconoscimento demotiva il soggetto sia nel presente che verso l’impegno futuro;
  • stress da difficoltà di canalizzazione: difficoltà a tradurre un ideale (sogno, visione) in una sequenza di azioni concrete, goal pratici, tale che il soggetto continua per lungo tempo ad essere attivato (volontà elevata) ma non riesce a tradurre l’energia in progettualità e azione;
  • stress da dissonanza tra aspettative interne concorrenti: è uno stress psicologico molto forte in cui ci si trova nella condizione di dover rispondere a più input interni ma in modo dissonante, tale che il perseguimento di uno porti al decadimento dell’altro. Si crea una forma di concorrenza nelle aspettative interne quando l’individuo non riesce a risolvere le tensioni psicologiche sottostanti e queste continuano a macerarlo o “torturarlo”. Ad esempio, per un padre di famiglia, il caso in cui le aspettative su di lui siano duplici e contrastanti: dover portare a casa più soldi e contemporaneamente essere più presente in famiglia; per una madre di famiglia: sentire pressioni per essere produttiva e di successo e contemporaneamente più presente come moglie e madre. Per un’azienda, classicamente, dover scegliere tra investimenti e taglio di costi.

6 – Stress legato alla vision e ai valori

Distinguiamo anche in questo campo:

  • stress da hyper-visioning non canalizzato: deriva dalla costruzione di obiettivi di lungo periodo eccessivi rispetto alle risorse individuali, praticamente irraggiungibili. Lo hyper-visioning (sognare e progettare in un orizzonte temporale molto lungo, o su sfide estremamente ambiziose) è una pratica positiva quando attuata entro confini personali e manageriali adeguati, e rappresenta invece una fonte di disagio se si trasforma in “ru­minazione mentale permanente” o insoddisfazione permanente. Sognare lontano e guardare lontano è positivo. Farlo e pretendere che tutto si avveri immediatamente no. La vision parla di sogni e ambizioni, e questo è positivo, ma se non vengono fatti i conti con la realtà essi rischiano di far male. La presenza nella vision di elementi decisamente eccessivi per le risorse individuali, vissuti come castrazione permanente, riduce la motivazione anziché aumentarla; ambizioni irraggiungibili che diventano non più motivatori in back­ground (positivi) ma ossessioni o afflizioni; deve essere chiarito se un tratto di vision si considera sostanzialmente riportabile all’area dei goal (vision raggiungibile) o invece come visione puramente ispirativa;
  • stress da hypo-visioning: un vissuto permeato da una mancanza di “senso delle cose”, o “senso del perché”, mancano desideri e traguardi nobili o significativi per il sistema di valori dell’individuo. La visione del futuro è imprecisa, manca un senso del “tendere a…”, gli obiettivi personali o aziendali sono confusi, o variano continuamente, manca un “faro” nella vita, un ideale cui tendere, viene meno una linea di tendenza e si perde il senso del percorso non capendo più per chi o per cosa affaticarsi, verso cosa tendere, per cosa darsi da fare;
  • stress da incoerenza tra valori individuali e valori dell’organizzazione: il soggetto non sente di poter aderire ai valori che percepisce nella realtà aziendale o del team di cui fa parte. Ed ancora: il soggetto percepisce uno scontro o un divario tra valori iniziali a cui ha aderito nell’entrare in azienda o nell’organizzazione, e i comportamenti reali che osserva in seguito e quotidianamente;
  • stress derivante dal conflitto tra scuole di pensiero, stress da diversità delle scuole metodologiche: spesso le scuole di provenienza portano con se precise visioni dell’uomo e valori di riferimento ben consolidati, cui le persone aderiscono. In ogni organizzazione si creano confronti (positivi) o scontri (conflittuali) tra scuole di provenienza delle varie persone. Si creano anche cordate aziendali, gang, bande interne, tribù, clan, e altre dinamiche di antropologia tribale dell’organizzazione. Lo stress deriva in questo caso dal dover operare entro modelli di valori e visioni che non si sentono propri. Es.: in una clinica, quando i diversi professionisti appartengono a scuole diverse e queste non trovano convergenze, collidono sul da farsi pratico sul paziente, e il medico o terapeuta può trovarsi a dover lavorare con metodi e prassi in cui non crede. Questo accade frequentemente anche nei sistemi educativi, scuola, università, aziende, e in ogni organizzazione.

articolo di: Dott. Daniele Trevisani

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Note sull’autore:

dott. Daniele Trevisani (www.danieletrevisani.com), Fulbright Scholar, consulente in formazione aziendale e coaching (www.studiotrevisani.it) insignito dal Governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla Comunicazione nel 1990, è Master of Arts in Mass Communication alla University of Florida e tra i principali esperti mondiali in Sviluppo del Potenziale Umano.

In campo marziale e sportivo, è preparatore certificato Federazione Italiana Fitness, praticante di oltre 10 diverse discipline, Maestro di Kickboxing, Sensei (8° Dan DaoShi® Bushido), formatore di atleti e istruttori di Muay Thai, Kickboxing e MMA. E’ stato agonista negli USA nei trofei di Karate Open Interstile.

Formatore e ricercatore in Psicologia e Potenziale Umano, è consulente NATO e dell’Esercito Italiano. Laureato in Dams-Comunicazione, è inoltre specializzato in Psicometria all’Università di Padova.

Ha realizzato docenze in oltre 10 Università Italiane ed estere, ed è il tra i principali esperti italiani nella ricerca sul potenziale umano, nella formazione di manager, di istruttori e trainer per le discipline marziali e di combattimento.

Questioni di Resilienza: sapersi rialzare

Estratti sul tema “Resilienza” dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Studio Trevisani, Franco Angeli editore, Copyright

Dal cap 2

I target delle attività di preparazione psicologica, le variabili su cui agisce, possono essere numerose, citiamo tra queste:

  • resilienza psicologica e resistenza allo stress;
  • forza emotiva e fragilità emotiva;
  • capacità di percezione;
  • capacità propriocettive (percezione dei propri stati interni);
  • capacità di analisi;
  • capacità di concentrazione;
  • capacità di focalizzazione;
  • capacità di rilassamento;
  • capacità di meditazione;
  • capacità relazionali (es.: empatiche e assertive).

Entra in campo quindi un tema fondamentale, quello della costruzione psicologica e dei suoi metodi. In campo sportivo questo tema è stato accettato e riconosciuto dai trainer e coach più evoluti, come nella testimonianza che segue, mentre viene ignorato dai più.

Rimanendo nella metafora sportiva, la testimonianza seguente viene dall’allenatore di una delle più forti squadre al mondo tra le discipline estreme di combattimento, Chute Boxe e Valetudo (una tecnica in cui sono ammessi i colpi e tecniche provenienti da più arti marziali, condotti realmente e sino al ritiro di uno dei contendenti o al KO).

Rudimar Fedrigo conosce gli ingredienti che hanno portato al successo la sua scuola: “la disciplina, il rispetto, l’amicizia, ecco come conduco la mia accademia da 25 anni. Quando si è il leader bisogna essere fermi e anche duri con i propri atleti. Ma questo non impedisce di essere presenti quando loro hanno bisogno, per aiutarli nei loro problemi personali, sentimentali, ecc. Preparare dei combattenti curando solo ed unicamente la parte fisica e tecnica significa prepararli male. L’aspetto psicologico per me, è ugualmente importante se non di più[1].

E quanto più il gioco si fa duro e competitivo, tanto più il fattore psicologico è in grado di fare la differenza. Questo non solo nello sport, ma anche e soprattutto nella vita quotidiana, o manageriale, che nei contesti odierni pone sfide estremamente difficili per chi la vive a pieno, senza ritirarsi né sfuggirla.


[1] AA.VV. (2004), La Chute Boxe sarà più dura, Reportage da “Fight Sport”, n. 2, ottobre 2004, p. 44.

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Estratti sul tema “Resilienza” dal volume “Il Potenziale Umano” di Daniele Trevisani, Studio Trevisani, Franco Angeli editore, Copyright

Stimoli e acquisto – Verso un Marketing Umanistico e Psico-Sensoriale

di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it, copyright

Temi fondamentali:

  • Stimoli nei punti di acquisto
  • Ritmo di Presentazione degli Stimoli (RPS)
  • Attenzione sostenuta: capacità di mantenere l’attenzione su per un considerevole periodo, tenere alta la capacità di selezione, monitoraggio e controllo.
  • Vigilanza:  la capacità di monitorare nel tempo eventi con bassa frequenza d’accadimento.
  • Ergonomia del cliente: tenere in considerazione il funzionamento biologico del cliente durante le fasi di acquisto e il suo affaticamento
  • Marketing Umanistico: attività aziendali che mettono il cliente e i suoi bisogni al centro della progettazione, con forte attenzione alla componente etica, valoriale, esperienziale ed emozionale del cliente stesso

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Se c’è qualcosa che non manca negli spazi di acquisto sono gli stimoli: colori, prezzi, centinaia di articoli e referenze, fotografie, packaging, promoter, pubblicità in-store, visual merchandisng, messaggi acustici, odori, assaggi, suggerimenti altrui, promozioni, e via così… sino a giungere ad un vero e proprio bombardamento di informazioni, di richieste, una condizione di iperstimolazione del cliente. Questo paga sempre? La ricerca dice: non sempre. Ma nemmeno paga una sensazione di vuoto e desolazione, un deserto, un senso di povertà o carenza di stimoli.

Cosa fare quindi? Le strade esistono, vediamo di capire meglio quali poter percorrere… senza pretesa di esaurire l’argomento, ma anzi di aprirne la discussione e avviare un ragionamento per fini positivi e con forti implicazioni pratiche.

Possiamo subito anticipare che si profila un nuovo ruolo per chi gestisce gli spazi di vendita (o meglio, gli spazi di acquisto, vista la centralità del cliente in questo processo): la gestione della psicologia dell’attenzione e le varianze di stimolazione (sia per densità che intensità e varietà), che offrono gli ambienti, le persone, i prodotti, gli spazi e l’insieme di esperienze d’acquisto. Questo mix di attenzioni dà luogo al Marketing Umanistico e al Marketing Percettivo.

Il concetto di base su cui si basa la psicologia dell’attenzione nei punti vendita è semplice: A fare acquisti è un essere umano. Un essere biologico, con tutte le sue esigenze fisiche, e non solo culturali. Un essere fatto di carne, pelle, muscoli, nervi. Un essere che si può affaticare, stancare, persino demotivare verso il fatto stesso di fare la spesa, realizzare acquisti, sino a viverlo come una necessità dolorosa anzichè come un momento piacevole. Nessuna famiglia può esimersi dall’acquistare. Chi è sensibile al tema dell’acquisto non può esserlo solo per il numero finale che appare nei bilanci. Bisogna entrare nel Come avviene l’acquisto, e non basta nemmeno concentrarsi sul Cosa Quanto viene aquistato. Per gli scettici, è sufficiente dire che il Come influenza sia il Cosa che il Quanto (in termini di numeri). Ma non solo: qualifica la distintività, il posizionamento nella mente del consumatore, il Brand stesso.

La mia ricerca in questo campo sta mettendo al centro dell’analisi il tema delle varianze spaziali: alternanze di zone ad alta richiesta attentiva accanto a “zone di recupero”, dove il cliente possa ricaricare i meccanismi attentivi ed avere nel complesso una esperienza di acquisto più utile, produttiva per sè, meno ansiogena, più cosciente, più umana e in ultimo più positiva anche per chi la vive. I metri quadri non cambiano, cambia la loro disposizione. Aumenta la consapevolezza, aumenta la possibilità di vivere l’aquisto con senzazioni piacevoli di benessere e non come fonte di stress. La Consumer Anxiety, del resto, è uno dei temi più forti e recenti della Consumer Research in generale, e dimostra che i clienti che vivono l’acquisto come uno stress lo rifuggono o compiono atti d’acquisto irrazionali persino a loro danno.

Al centro di questo modo di vedere, vi è la concezione etica del cliente come essere umano e non solo come macchina d’acquisto, di cui spingere il “Buy Button” L’ergonomia,  l’attenzione per la persona e i valori, pagano chi riesce a far proprio questo valore, nei fatti, non solo sulla carta.

Per chi gestisce spazi di acquisto, si tratta del prendere coscienza del ruolo giocato dalla Psicologia dell’attenzione e come questo impatta il cliente o fruitore dello spazio, quando l’eccesso di densità informativa e l’eccesso di richieste di attenzione (densità attentiva) saturano l’information space, distruggono anzichè costruire,.

Come creare spazi che rispettino maggiormente la persona e diano esperienze più positive? Esiste un beneficio aziendale evidente nello stimolare il ritorno (fidelizzazione) verso un luogo che ti ha lasciato una esperienza positiva?

In questa prospettiva in corso di studio, i clienti possono essere assimilati a “digestori di stimoli”, e andare incontro a fenomeni di “indigestione” o invece di “ipostimolazione”.

Facciamo un esempio molto pratico sotto forma di metafora, muoviamoci per un attimo su un altro piano. Immaginiamo di essere al ristorante, proviamo a comparare un’esperienza di acquisto ad una esperienza culinaria… notiamo immediatamente molte similitudini. Entriamo in un ristorante, iniziamo ad orientarci, ci sediamo, scegliamo qualcosa, spesso con scelte di fatto diverse dalle aspettative con cui eravamo entrati, a seconda degli stimoli che percepiamo all’interno… poi  arriva il cibo. Mentre mangiamo, il nostro stomaco ci lancia segnali su come sta andando, ci informa su quando è troppo pieno o vuoto, ci dice se “ci sta ancora qualcosa”, o “è meglio fermarsi”, a volte si lascia prendere dal “grappino della casa”…, a volte si ferma all’antipasto, ma in ogni caso sono attivi fenomeni di vigilanza continua e attenzione, che ci portano in genere ad evitare stati di sovralimentazione grave (star male per eccesso di cibo) o ipoalimentazione grave (alzarsi con una fame ancora elevata)…. questo salvo alcuni fenomeni di “cene di fine corso”, “addi al celibato”, e altre evenienze occasionali, in cui il meccanismo di controllo salta… ma questa è altra faccenda… (scientificamente, si tratta di un fenomeno ben noto di allentamento della vigilanza).

Numerosi studi dimostrano che esiste difficoltà a sostenere l’attenzione e vigilanza per lungo periodo. Sia i compiti troppo difficili, che i compiti troppo facili, riducono ancora maggiormente la capacità di attenzione. Anche la ritmicità di presentazione (mono-tonia) e la cadenza invariata per tipo e qualità degli stimoli (forme, luci, colori, suoni, persone) diminuiscono le capacità attentive.

Dobbiamo quindi prestare estrema attenzione al concetto che io chiamo Ritmo di Presentazione degli Stimoli (RPS), un concetto che ho elaborato per valutare le sessioni didattiche e di formazione manageriale che conduco, e si presta molto bene ad essere utilizzato in sede di psicologia dei fenomeni di acquisto. Il conetto prende in considerazione le cosiddette Varianze Zonali o Emergenze (aree che si distinguono da altre per le stimolazioni che offrono). La psicologia del marketing ha già evidenziato che i clienti sono anche e soprattutto cercatori di esperienze positive (positive sensation seekers) e non solo di prodotti. Acquistano un mix di esperienze e prodotti, e se l’esperienza è monotona o negativa cercheranno lo stesso prodotto altrove (approfondimenti al volume Psicologia di Marketing e Comunicazione al link http://www.studiotrevisani.it/alm2/ ).

Troppo spesso le imprese focalizzano le proprie risorse sulla qualità del prodotto, sulle caratteristiche intrinseche del bene o servizio, dimenticando che la qualità complessiva percepita (e quindi la soddisfazione complessiva del consumatore) proviene anche dal canale distributivo, il luogo d’aquisto in sè vale almento quanto il prodotto e il prezzo. E non solo, contano il rapporto personale con l’erogatore del servizio e con la rete di vendita e di assistenza.

Una breve sintesi del concetto è esposta nel volume Psicologia di Marketing http://www.studiotrevisani.it/alm2/interazioni-cs.htm:

…. è necessario distinguere i concetti di customer satisfaction di prodotto (CSP) e customer satisfaction di canale(CSC) o channel satisfaction.

La CSP riguarda le caratteristiche intrinseche del prodotto o servizio (composizione, struttura, performance).

La CSC include: (1) componenti relazionali e (2) componenti logistiche, che sommate producono la qualità complessiva del servizio erogato dal canale distributivo: capacità di rapporto interpersonale, cortesia, tempi di risposta, servizio post-vendita e assistenza, la facilità di accesso al luogo di distribuzione, la facilità di acquisizione del prodotto/servizio, il rispetto dei termini e condizioni di consegna.

E la ricerca prosegue. I contributi delle neuroscienze dicono oggi che nella Channel Satisfaction (la soddisfazione verso il punto di acquisto) rientra oggi anche il rispetto cognitivo, la comprensione del bisogno di rispettare la fisiologia umana e non “spremere” le persone, offrire loro rispetto umano, ambienti d’acquisto positivi, e attenzione a nuovi bisogni.

Nel volume “Il Potenziale Umano” (vedi scheda al link http://www.studiotrevisani.it/hpm2/index.htm) ho potuto iniziare un accenno basato sulle neuroscienze: se vogliamo rispettare la fisiologia umana (e rispettare oltretutto la persona umana, che non è poco) dobbiamo variare gli stimoli che riceve un cliente (utente formativo, o cliente in fase di aquisto) tenendo conto della alternanza tra simolazioni del sistema nervoso parasimpatico e stimolazioni del sistema nervoso simpatico. Questo, ad esempio in campo di formazione manageriale, determina la necessità di alternare:

  1. training centrato sul sistema nervoso simpatico (attività di tipo agonistico, aggressivo, competitivo, ad alta tensione, under pressure) vs.
  2. training centrato sul sistema nervoso parasimpatico (attività di tipo rilassato, calmo, sereno, tranquillo, meditativo, low pressure).

Allo stesso modo avremo in area marketing:

  • spazi e zone di acquisto centrate sul sistema nervoso simpatico (maggiore densità informativa, maggiore richiesta di elaborazione cognitiva e attenzione nel cliente) vs.
  • aree e isole emotive nei punti di acquisto centrate sul sistema nervoso parasimpatico (attività/spazi/ambienti di tipo rilassato, calmo, sereno, tranquillo, meditativo, low pressure), come inserti dispazi verdi,  micro- o macro-aree di rilassamento visivo con stimoli naturali, angoli uditivi e visivi di decompressione (il che non significa ambiti visivi vuoti, ma ambiti con funzione di riduzione dell’arousal, o riduzione dell’attivazione forzata).

La modalità di frazionamento e differenziazione tra attività che interessano il sistema nervoso simpatico (alta attivazione agonistica e attentiva) vs. attività che interessano e stimolano prevalentemente il sistema nervoso parasimpatico (rilassamento e recupero), riguarda indistintamente il lavoro sul corpo (es, medicina psicosomatica) così come la formazione aziendale (corsi di formazione per manager e formazione del personale) il il coaching, l’ingegneria dei momenti di acquisto e l’ingegneria degli spazi di acquisto (consumer engineering)

Come ho potuto segnalare nel volume “Il Potenziale Umano”, nel metodo HPM viene utilizzata in particolare la “cartografia di Fisher”[1], una metodica poco nota, di frontiera, nata per mappare gli stati mentali, la percezione, sino agli stati alterati di coscienza (ASC – Altered States of Consciousness).

Si tratta di un’area di studi di alto interesse negli anni ‘60 e ‘70, oggi poco frequentata, ma assolutamente utile per localizzare i tipi di attivazione mentale. Questa scala è stata da me ulteriormente rielaborata ed utilizzata su più fronti, per progettare training variati in termini di intensità e tipo di esperienza, e portare nuovi concetti nella psicologia umanistica dell’acquisto, una psicologia del marketing che rispetta la persona.

In generale, le tecniche di frazionamento servono per evitare la monotonia e la noia, ma anche la perdita di efficacia di una tecnica che arriva inevitabilmente in seguito alla mancanza di varietà nel tipo di lavoro allenante svolto o negli stimoli presenti. Sequenze di input e stimoli, in cui le varie tipologie di stimolo (nel marketing), di  esercizio o esercitazione (nella formazione aziendale) vengono combinate nel tempo, danno luogo a maggiore varietà e maggiore efficacia, perchè rispettano i bisogni basilari della fisiologia umana.

Bene. Questo vale per chi vuole far propri alcuni concetti basilari e fondamentali di una nuova psicologia del marketing umanistico. Come farlo. Occorre mettere mano ai metri quadri e variarli. Occorre costruire isole esperienziali d’acquisto (mondi emotivi, isole connotate, “emergenze” merceologiche) affiancate a zone di decompressione cognitiva, nei quali è possibile inserire ogni tipo di stimolazione naturalistica, elementi architettonici connotati, zone verdi interne, zone di relax, angoli di meditazione d’aquisto, zone di consulenza d’aquisto, zone di problem-solving d’acquisto… e tanti altri strumenti (non mi è possibile sviluppare in questo spazio un intero manuale, ma le tecniche esistono).

Tradurre questi concetti in pratica è assolutamente possibile. Soprattutto, attraverso azioni di perceptual engineering (ingegneria esperienziale), attività che uniscono un lavoro di tipo architettonico (diversa disposizione delle merci, illuminazioni, aree e zone di acquisto diversificate, intervento dei sensi e marketing polisensoriale), visual merchandising innovativo centrato sulle “isole esperienziali” (assolutamente diverso da quello classico), nuove geometrie interne, nuova e diversa formazione del personale di contatto, formazione forte dei manager sui principi del marketing percettivo, iniziative di sensibilizzazione della direzione aziendale per i nuovi temi di psicologia del cliente, una grande voglia di creare spazi di aquisto positivi, unita al know-how necessario, e… un forte valore di fondo: considerare il cliente come un essere umano.

Poche aziende hanno oggi la sensibilità per farlo, ma chi investe oggi su questi punti sta costruendo i fattori reali del suo vantaggio competitivo.

Daniele Trevisani


[1] Fisher, Roland (1971), A Cartography of the Ecstatic and Meditative States, in: Science 26 November 1971: Vol. 174. no. 4012, pp. 897 – 904.