Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani “Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.
Il Deep Expression Rate
Il viaggio dell’eroe è spesso solitario. Questo vale anche per i cercatori di prestazioni, gli innovatori, o per chi vuole andare oltre i limiti e confini abitudinari. Gli apripista sono i primi ad incontrare sia i tesori che le buche.
Nel parlare di performance, torniamo alla metafora dell’eroe, del viandante, del ricercatore o dell’esploratore. Pochi capiscono i suoi sforzi, e le sue ambizioni. Non importa, in ogni caso, essere eroi per sperimentare il senso di solitudine esistenziale, talmente questo è comune o frequente nelle persone e in alcuni brani della vita.
La solitudine esistenziale è da distinguere dalla solitudine fisica.
La solitudine fisica ha a che fare con la rarefazione dei contatti umani, come il trovarsi soli in una casa o su una montagna. La solitudine esistenziale riguarda invece la rarefazione o scomparsa del dialogo profondo umano, l’impossibilità di condividere con qualcuno i livelli più intimi della propria esperienza. Il dialogo di superficie non è sufficiente.
Sentire che qualcuno è sinceramente interessato a sapere come e cosa stiamo vivendo, quali sono le nostre idee, le ambizioni, aspirazioni, paure, è un’esperienza umana positiva. Avere qualcuno cui raccontare le proprie sensazioni, è positivo, così come fare da contenitore per quelle altrui.
Sentirsi un’ombra che vaga nella folla, qualcuno che, se non ci fosse più, nessuno rimpiangerebbe, è invece un passo verso la desolazione.
L’ascolto e la condivisione profonda possono prendere molti formati.
Niente è inutile: dall’incontro interpersonale, allo scambio di messaggi anche tramite media e canali elettronici, o un semplice abbraccio sincero. Il “sapere di essere in contatto” con qualcuno che tiene veramente a noi o al lavoro che stiamo svolgendo è un supporto formidabile per il performer e per qualsiasi essere umano.
Anche il contatto mentale, sapere che qualcuno ci sta pensando, o che siamo in un certo momento del tempo “mentalmente connessi” è uno strumento fondamentale per rompere l’assedio e squarciare le nubi. Non parliamo di strane forme di telepatia, ma semplicemente del fatto di sapere che una persona ci sta pensando in un certo momento, o noi facciamo altrettanto. E non è indispensabile chiamare in causa l’amore, questo fenomeno riguarda anche l’amicizia, o il senso di fratellanza e unione. Sapere o credere che a nessuno importi niente di noi, che quello che facciamo è tutto sommato indifferente, è invece un fattore di demotivazione potentissimo.
Il senso di contatto può essere anche molto forte verso il pensiero di una persona non più in vita, con la quale si condivide tuttavia un’unione forte su un piano di ideali e sul piano spirituale. Questo modo spirituale per tenersi in contatto, ha un senso. Le idee e le essenze più profonde delle persone hanno il potere di travalicare la vita fisica e tramandarsi anche per generazioni, così come hanno fatto le idee di tanti pensatori, leader spirituali e religiosi, o persone comuni che tuttavia hanno lasciato una traccia nello spirito altri.
La vicinanza ad un’idea o ad un concetto può ridurre la solitudine esistenziale. Al contrario, si può essere fisicamente in presenza di migliaia di persone, come in un centro commerciale, o in un cinema, ma sentirsi completamente soli dal punto di vista umano.
La solitudine fisica può essere ben metabolizzata dall’individuo, e non incide in modo deterministico sulle performance, mentre la solitudine esistenziale è corrosiva e danneggia la performance per la maggior parte delle persone. Perché questo succede? L’uomo è un animale sociale ed evidentemente ha bisogno di trovare significati e motivazioni anche dall’incontro con altre menti, oltre che dal confronto con se stesso.
Chi riesce a trovare motivazione solo da se stesso, a nutrirsi di pura motivazione intrinseca, è certamente meno vincolato dal bisogno di condividere, tuttavia la comunicazione è un bisogno umano basilare, e negarlo è una forma di impoverimento inutile.
Chi produce performance è immerso in varie forme di stress, e il fatto di poter comunicare cosa si sta facendo, a cosa si sta lavorando, come vanno le cose, come ci si sente, quali sono le gioie, quali le soddisfazioni, o condividere un piccolo istante di un’esperienza, è un riduttore basilare dello stress.
Persino in chi sia davvero concentrato sulla performance, il bisogno di condividere in alcuni momento uno stato di avanzamento dei lavori, o avere qualcuno cui poter raccontare una vittoria o una sconfitta, è un fattore positivo.
Gli studi sulla deprivazione da contatto (ad esempio nelle prigioni in cella di isolamento) dimostrano il rapido peggioramento delle condizioni di salute in chi non ha possibilità di dialogare con nessuno.
L’atto stesso del parlare ed esprimersi permette al pensiero stesso di chiarificarsi, ed impedisce o frena una condizione di implosione o delirio che invece si verifica in condizioni di stress associata ad impossibilità di comunicare e condividere qualcosa sul piano umano. Ascoltare permette invece di compiere un costante benchmarking e rimanere accordati con il pensiero altrui.
Lo scambio profondo è quindi importante, sia tra persona e persona, che tra performer e coach, genitori e figli, amici, colleghi.
Nel metodo HPM ho ritenuto utile creare un indicatore specifico (DER – Deep Expression Rate – tasso di condivisione profonda) che ci offre una stima della quantità, qualità e frequenza delle occasioni di contatto esistenziale vero, profondo, con altri esseri umani. Esso misura le occasioni di comunicazione autentica, sincera, il potersi sfogare, il poter dare voce ai propri disagi e ai propri sogni, condividere successi o fallimenti, sentimenti o semplici stati fisici, scambiarsi opinioni su questioni esistenziali che ci toccano, ascoltare profondamente ed essere ascoltati profondamente.
Questo indicatore non deve necessariamente diventare numero (anche se esiste un sistema per numerizzarlo), ma indicarci segnali di qualcosa che non va o può essere migliorato. Il DER evidenzia in ogni caso le opportunità della persona di avere occasioni di scambio profondo sui significati personali interiori, le occasioni di comunicazione vera, non persuasiva o manipolatoria.
La psicoterapia contemporanea spesso diventa l’unico modo per sopperire all’enorme deprivazione e carenza di scambio profondo e ascolto profondo che vige nelle società contemporanee, soprattutto occidentali.
Nelle società democratiche non manca in genere la possibilità di esprimersi, ma nessuno ascolta. L’effetto finale è quindi, comunque, una condizione di impoverimento del livello di qualità nella comunicazione e relazione tra persone. Lo scambio comunicativo sempre più “amministrativo” e sempre meno umanistico è uno dei fattori che fa degenerare i matrimoni e le amicizie, allontana le persone, crea distanza nel gruppo. Le relazioni impoverite sono come ruscelli secchi in cui rimangono solo le pietre.
Man mano che il DER si impoverisce, la persona ha sempre meno occasioni di contatto umano profondo. Meno parliamo di questioni profonde e più ci abituiamo a stare in superficie. Questa regressione e impoverimento della comunicazione fa si che anche se si presentano occasioni per farlo, non sappiamo più nemmeno come si fa.
È un tratto essenziale di chi ama il potenziale umano e le performance stimolare un tasso di espressività profonda tra esseri umani e renderlo abitudine, spezzare l’assedio dell’incomunicabilità, farsi promotore di uno stile di vita sempre meno superficiale e sempre più connotato da calore umano, ascolto, condivisione, partecipazione emotiva.
Nessuna ricchezza economica può sostituire la ricchezza che viene dall’avere relazioni profonde, scambi di comunicazione positiva, occasioni di essere ascoltati ed amati non per interesse ma per pura vicinanza umana.
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