Autorealizzazione

Autorealizzazione: la visione della persona come sistema energetico

Contributo del dott. Daniele Trevisani www.danieletrevisani.it – consulente e formatore aziendale, Counselor, Master of Arts in Mass Communication, University of Florida. Insignito dal governo USA del premio Fulbright per gli studi sulla comunicazione e potenziale umano.

Copyright Daniele Trevisani, estratto con modifiche originali dell’autore dal testo “Il Potenziale Umano” Franco Angeli editore

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Ricordarci chi siamo ogni tanto fa bene. O meglio. Va “sollecitato”. Altrimenti va nel dimenticatoio, e ci si dimentica, giorno dopo giorno, di fare un lavoro “sacro”. Sacro? Ma come? Cosa vuol dire? Beh, in qualche paragrafo cercherò di spiegare cosa intendo e che benefici derivano per sé e per gli altri dal cogliere la dimensione “sacra” del fatto stesso di lavorare nel fitness e nel wellness, o nello sport, nel coaching o nel counseling.

Il primo fatto è questo. Che lo vogliamo o meno, siamo operatori del Potenziale Umano. Ogni allenatore, istruttore, e in generale chi opera nel mondo, agisce a vari livelli con lo scopo consapevole o del tutto inconsapevole di alimentare le energie personali (fisiche e mentali) di un cliente/partecipante. Diventarne coscienti è un passaggio fondamentale.

L’importanza del lavoro sul corpo nell’autrealizzazione è fondamentale. Il corpo è la nostra casa, è dove abitiamo.

Ogni esperto di fitness, salute, allenatore o Direttore Tecnico si ispira – sapendolo o meno – ad un metodo o scuola di riferimento. Quello che diventa importante per ogni essere umano è capire come fuoriuscire dal metodo di provenienza, non considerarlo una gabbia ma un trampolino per la propria ricerca, e cercare un modello universale, la matrice che ispira il motivo stesso di lavorare e di vivere il corpo.

Possiamo immaginare l’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni. Noi siamo attivi nel fitness sia per una catena di eventi del tutto casuali, ma lo rimaniamo nel tempo e ne facciamo una professione voluta solo quando capiamo la sacralità che si nasconde dietro ogni piccolo gesto che vediamo compiere in una palestra, che sia aiutare qualcuno a far bene una distensione su panca, o vedere una persona entrare cupa e uscire felice e più serena dal nostro centro. Se un istruttore crede in quello che fa, si vede da kilometri di distanza. E i clienti lo sento, lo “percepiscono”. Respirano l’energia del centro fitness e ne escono carichi e motivati. O, al contrario, si annoiano e non torneranno più.

Il metodo che utilizzo per la formazione di trainer, allenatori, istruttori e Maestri di varie discipline, sia nel fitness che nelle arti marziali, individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascun cliente, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire e far progredire qualcuno, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali. Farlo per i clienti significa porsi come coach del loro potenziale, anziché vederli come semplici numeri da casellario.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o team, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Può far diventare il centro fitness un luogo sacro, inteso come luogo dove si persegue una forma di ricerca del proprio potenziale. Non sono davvero convinto che tutti gli operatori colgano questa forma di sacralità. E non cogliendola, non la trasmettono, né ai clienti, né alla reception. E diventano quindi freddi, distaccati, trattando il cliente appunto come un numero.

Non ci meravigliamo quindi se poi un cliente abbandona presto. Ognuno di noi ha avuto voglia di andarsene durante un’omelia o una messa quando ha iniziato a sentire noia. Perché non dovrebbe succedere lo stesso in palestra o in un centro fitness?

Dobbiamo quindi aiutare i clienti a prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli. Questa è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo di un praticante), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o una squadra, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire. La ricerca di un modo diverso di fare fitness parte proprio dalla “sacralità” che ciascuno di noi percepisce nel fare il lavoro che fa, o nel vederlo invece come uno dei tanti possibili lavori.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.  C’è chi crede che esista qualcosa di sacro e per il quale vale la pena battersi, e chi crede che tutto sia inutile. Il metodo si rivolge ai primi.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

 Figura 1 – Esposizione grafica del modello HPM

Ciascun punto riguarda un lato specifico di un cliente, ad esempio

  • Il suo stato di forma fisico, sia generale che nei diversi distretti corporei
  • Il suo stato di motivazione e la sua capacità di essere continuativo nella frequentazione
  • L’ampiezza delle discipline che riesce a padroneggiare (spettro o vastità disciplinare), e che riusciremo quindi a vendere ad un cliente, entro un percorso multidisciplinare di marketing del centro fitness
  • La capacità di andare in profondità nelle tecniche di alcune di esse, sino al punto di far sentire un cliente “padrone” di un certo territorio psicologico e far si che si senta davvero bene
  • I valori che ispirano l’essere praticante di fitness, atleta, coach, istruttore o Maestro, il perché facciamo le cose e il perché pratichiamo fitness
  • La capacità di tradurre una “voglia di migliorare” in un progetto concreto, per se o per i propri allievi e clienti. Questo si traduce in un vero atteggiamento consulenziale, che parte dal desk e deve permeare ogni singolo istruttore, e persino i muri del centro fitness (non come metafora, ma realmente, tramite illustrazioni e figure che aiutino a motivare i cliente all’assiduità e alla frequenza. Ne ho visto esempi pratici nella palestra di una base americana della Nato, e vi assicuro che funzionano).

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale di un cliente è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

È vero Maestro o vero istruttore o fitness trainer colui che sa dare voce a questo potenziale. In caso contrario, saremmo di fronte ad un puro “insegnante di tecniche”, non ad un “formatore” dell’individuo, nostro vero obiettivo.

Nessuno pratica fitness per gettare soldi in abbonamenti se non coglie un senso in ciò che fa, ma ha una motivazione psicologica (non annoiarsi, o una forma di riscatto personale, e mille altre possibili ragioni che formano l’universo motivazionale del cliente). Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale a crescere, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione durante un allenamento, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria per ricordare brani di allenamento positivo, amplificazione sensoriale, vissuti emotivi, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel centro fitness, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organismico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie di esecuzione del gesto, che fanno la differenza in una allenamento buono e produttivo, “sentito”, o invece scadente e noioso. Comprende anche le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente,  le micro-abilità relazionali e di movimento da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un partecipante; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne attivi in una gamma di discipline variegata; questo per noi significa riuscire a collegare il cliente al centro fitness al di la della disciplina praticata ed aiutarlo a cambiare discipline in un percorso variegato, senza perderlo. È una delle sfide che il modello vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); infondere motivazione nel partecipante, generare la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi allenanti e focus sui risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione che si nasconde dietro e dentro al fare fitness, un senso da recuperare assolutamente. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Se sappiamo generare energie e alimentare energie di queste 6 celle avremo fatto al cliente o a noi stessi un dono incredibile, un dono che si collega all’aumento delle sue energie personali come risultato di cui essere fieri.

Copyright Daniele Trevisani, www.danieletrevisani.it estratto con modifiche originali dell’autore dal testo “Il Potenziale Umano” Franco Angeli editore.

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 Video di approfondimento, una visione particolare sul concetto di Autorealizzazione, Eckart Tolle

https://youtu.be/jP_veYfhx4M

I tipi di stress. Riconoscerlo per combatterlo efficacemente. Le 6 tipologie di Stress identificate nel Metodo HPM (dal testo “Il Potenziale Umano”)

Per migliorare l’azione di contrasto e gestione dello stress, in chi vuole sviluppare performance e avanzare nel potenziale personale, è indispensabile localizzare alcuni tipi specifici di stress. Il modello HPM permette di far emergere alcune tipologie specifiche.

Le 6 tipologie di Stress sono ufficialmente citabili, previa citazione della fonte originale. Identificate dal dott. Daniele Trevisani in base a studi specifici su manager e atleti, sono pubblicate nel testo “Il Potenziale Umano” edito da Franco Angeli editore, Milano.

tipologie di stress - i diversi tipi di stress

Stress di tipo 1 – Stress bioenergetico (stress corporeo e fisiologico)

Riguarda la presenza di un compito o stile di vita che risulta troppo gravoso rispetto alle energie organismiche, fisiche, biologiche.

Tra questi: dormire troppo poco rispetto alle esigenze personali, alterare ripetutamente i ritmi sonno-veglia, svolgere lavori che impegnano eccessivamente alcuni apparati senza sufficiente tempo di recupero (es: apparato visivo), intasarsi di sostanze tossiche (fumo, alcool, cibi spazzatura, farmaci, smog e altro) senza valutarne le dosi e/o senza purificarsi o contrastare i “veleni” con sostanze riparanti o curative (integratori, cibo di qualità, aria sana, rigenerazione fisica).

Lo stress bioenergetico eccessivo e cronico emerge sia in casi di fatica acuta, oltre la soglia di riserva, che come forma di affaticamento cronico o fatica cronica, e va ad intaccare negativamente lo stato psicoenergetico, la volontà, la motivazione, e persino la sicurezza di sé, sino a distruggere progressivamente la salute fisica.

Stress di tipo 2 – Stress psicoenergetico (energie mentali)

Si verifica ogniqualvolta le risorse mentali necessarie sono superiori a quelle disponibili e attivabili. Tra i casi, citiamo la condizione in cui vi sia un compito da svolgere che richiede energie motivazionali superiori a quelle disponibili, ruoli che il soggetto non sente come propri, o ancora manca la linfa vitale del sostegno del gruppo, o vi sono troppe persone che drenano le energie mentali rispetto a quelle che invece apportano energie all’individuo.

Fanno parte dello stress psicoenergetico anche le crisi di ansia (timore e attivazione negativa, generalizzata o specifica per situazioni) e le crisi di senso (perdita di un riferimento o significati nel proprio orizzonte).

Ad esempio, uno studente di chirurgia che non sopporti la vista del sangue e stia studiando medicina su pressione dei genitori si sta sottoponendo a stress psicoenergetico forte. È stress andare a lavorare in un ruolo che non piace e non si sente proprio. È stress fare nel lavoro ripetutamente un’azione in cui non si crede, ad esempio, per un venditore può essere stress ascoltare il cliente, se non crede fermamente nel valore dell’empatia ai fini della vendita.

È stress psicoenergetico ogni lavoro svolto malvolentieri, ogni relazione obbligata, non voluta o desiderata, forzata, ogni situazione emotiva che non corrisponde ai desideri.

Tali situazioni sono sicuramente comuni, ma la condizione di stress si manifesta proprio nel divario tra risorse energetiche in grado di attivarsi per far fronte (almeno momentaneamente) alla situazione, e il compito stesso.

Le tecniche di training psicoenergetico possono incidere favorevolmente sulla capacità di metabolizzare gli stressor, sulla sopportazione, flessibilità, capacità di straniamento e distanziamento, capacità di contestualizzazione degli eventi, sino alla superiorità esistenziale.

Stress di tipo 3 – Micro-stress (gap di micro-competenze)

Ogni task o sfida si correla a precise micro-abilità. Quando diciamo “c’è qualcosa che mi sfugge, ma non so bene cosa” stiamo incontrando un esempio di micro-stress. Lo incontriamo anche sul piano dei gesti meccanici, quando le micro-abilità legate all’esecuzione fisica di un compito non sono sufficientemente possedute e interiorizzate. Quando succede,  l’individuo deve aumentare lo sforzo di esecuzione, consuma e assorbe più energie, a volte nemmeno questo risulta sufficiente e l’azione fallisce.

Le abilità che sono invece completamente possedute si esprimono con naturalezza, richiedono meno sforzo, e producono meno stress.

Lo stress nelle micro-competenze comprende fattori sfuggenti, micro-dettagli, imperfezioni operative, che creano un divario tra esecuzione ottimale di una performance e esecuzione reale.

È spesso il risultato di azioni formative che si fermano troppo presto rispetto alla reale esigenza.

Stress di tipo 4 – Macro-stress (stress di ruolo, stress esistenziale)

Consiste in disallineamenti nei profili professionali e di competenze, scostamenti tra proprio portfolio di competenze, ruolo atteso e ruolo ricoperto.

In azienda, si manifesta come crescente difficoltà nel dare una contribuzione reale, nella difficoltà a sviluppare risultati e generare valore.

Possiamo avere un macro-stress di competenze quando il ruolo viene cambiato senza adeguata formazione, o quando lo scenario evolve con una rapidità tale da rendere vecchio il patrimonio di conoscenza acquisito sinora.

Si verifica quindi un’obsolescenza delle competenze quando i nostri saperi diventano pressoché inutili rispetto alle esigenze nuove, attuali, mutate. Questo produce entropia delle competenze, uno stato di disordine o caos nei profili professionali.

Di forte interesse per il coaching è soprattutto individuare e intervenire sulla dinamica di entropia delle competenze, termine da noi fissato per identificare l’erosione di valore e applicabilità del proprio bagaglio professionale, quando non viene svolta “manutenzione professionale” e formazione adeguata. Se gli scenari cambiano e si rimane fermi, questo equivale ad arretrare.

In condizione di entropia, un’organizzazione perde contatto con i fattori che generano il suo valore. Ad esempio, un centro di formazione che non sa fare didattica attiva, uno studio legale che non si aggiorna sulle legislazioni, un medico che non conosce nuove forme di terapia e nuovi farmaci, un’impresa familiare che resiste all’ingresso di un modello di gestione più manageriale anche quando il modello familiare non regge più, una squadra sportiva che non fa preparazione atletica.

Stress di tipo 5 – Stress progettuale (stress legato ai goal)

Deriva dal possesso di obiettivi e goal inadeguati, e comprende sia aspetti di ipo-stimolazione che di iper-stimolazione. Gli obiettivi possono essere troppi o troppo pochi, oppure mal definiti e imprecisi. Distinguiamo:

  • stress da iper-stimolazione: deriva da goal eccessivi rispetto alle risorse individuali, goal praticamente irraggiungibili (es.: tre, quattro progetti significativi contemporanei). È spesso il frutto di un coaching poco etico che ripete alla persona messaggi del tipo “puoi dare di più, devi fare di più, tu sei un leader, risveglia il leader che è in te”, e simili, ma non si prende il tempo necessario per formare veramente la persona;
  • stress da ipostimolazione: deriva da goal assenti, insufficienti come numero o grado di sfida, obiettivi di portata non sufficiente per attivare curiosità, interesse o motivazione, o superare la noia;
  • stress da eccesso di varianze temporali nei goal: avviene quando i goal variano troppo rapidamente, “cambiano le carte in tavola”, non consentendo al soggetto di attuare quanto previsto; troppi progetti si aprono e nessuno si chiude, ci si perde, si attivano energie su progetti che poi vengono dimenticati o dispersi nel caos organizzativo;
  • stress da molteplicità nelle definizioni e attese dei referenti: accade quando più persone si attendono goal diversi dalla persona; troppe persone creano attese e pongono richieste, e il soggetto non è in grado di rispondere simultaneamente ai diversi goal, o il rispondere ad un goal crea automaticamente soddisfazione in un referente e contrasto con un altro referente;
  • stress da offuscamento dei confini dei goal: avviene quando un soggetto non ha più chiaro cosa la sua struttura o organizzazione si attenda da lui/lei, cosa costituisca un goal e cosa non lo sia, cosa verrà apprezzato e cosa non sarà apprezzato;
  • stress da mancanza di riconoscenza: deriva dalla mancata gratificazione psicologica verso chi raggiunge il goal, o attua impegno consistenze: la mancanza di riconoscimento demotiva il soggetto sia nel presente che verso l’impegno futuro;
  • stress da difficoltà di canalizzazione: difficoltà a tradurre un ideale (sogno, visione) in una sequenza di azioni concrete, goal pratici, tale che il soggetto continua per lungo tempo ad essere attivato (volontà elevata) ma non riesce a tradurre l’energia in progettualità e azione;
  • stress da dissonanza tra aspettative interne concorrenti: è uno stress psicologico molto forte in cui ci si trova nella condizione di dover rispondere a più input interni ma in modo dissonante, tale che il perseguimento di uno porti al decadimento dell’altro. Si crea una forma di concorrenza nelle aspettative interne quando l’individuo non riesce a risolvere le tensioni psicologiche sottostanti e queste continuano a macerarlo o “torturarlo”. Ad esempio, per un padre di famiglia, il caso in cui le aspettative su di lui siano duplici e contrastanti: dover portare a casa più soldi e contemporaneamente essere più presente in famiglia; per una madre di famiglia: sentire pressioni per essere produttiva e di successo e contemporaneamente più presente come moglie e madre. Per un’azienda, classicamente, dover scegliere tra investimenti e taglio di costi.

Stress di tipo 6 – Stress legato alla vision e ai valori

Distinguiamo anche in questo campo:

  • stress da hyper-visioning non canalizzato: deriva dalla costruzione di obiettivi di lungo periodo eccessivi rispetto alle risorse individuali, praticamente irraggiungibili. Lo hyper-visioning (sognare e progettare in un orizzonte temporale molto lungo, o su sfide estremamente ambiziose) è una pratica positiva quando attuata entro confini personali e manageriali adeguati, e rappresenta invece una fonte di disagio se si trasforma in “ru­minazione mentale permanente” o insoddisfazione permanente. Sognare lontano e guardare lontano è positivo. Farlo e pretendere che tutto si avveri immediatamente no. La vision parla di sogni e ambizioni, e questo è positivo, ma se non vengono fatti i conti con la realtà essi rischiano di far male. La presenza nella vision di elementi decisamente eccessivi per le risorse individuali, vissuti come castrazione permanente, riduce la motivazione anziché aumentarla; ambizioni irraggiungibili che diventano non più motivatori in back­ground (positivi) ma ossessioni o afflizioni; deve essere chiarito se un tratto di vision si considera sostanzialmente riportabile all’area dei goal (vision raggiungibile) o invece come visione puramente ispirativa;
  • stress da hypo-visioning: un vissuto permeato da una mancanza di “senso delle cose”, o “senso del perché”, mancano desideri e traguardi nobili o significativi per il sistema di valori dell’individuo. La visione del futuro è imprecisa, manca un senso del “tendere a…”, gli obiettivi personali o aziendali sono confusi, o variano continuamente, manca un “faro” nella vita, un ideale cui tendere, viene meno una linea di tendenza e si perde il senso del percorso non capendo più per chi o per cosa affaticarsi, verso cosa tendere, per cosa darsi da fare;
  • stress da incoerenza tra valori individuali e valori dell’organizzazione: il soggetto non sente di poter aderire ai valori che percepisce nella realtà aziendale o del team di cui fa parte. Ed ancora: il soggetto percepisce uno scontro o un divario tra valori iniziali a cui ha aderito nell’entrare in azienda o nell’organizzazione, e i comportamenti reali che osserva in seguito e quotidianamente;
  • stress derivante dal conflitto tra scuole di pensiero, stress da diversità delle scuole metodologiche: spesso le scuole di provenienza portano con se precise visioni dell’uomo e valori di riferimento ben consolidati, cui le persone aderiscono. In ogni organizzazione si creano confronti (positivi) o scontri (conflittuali) tra scuole di provenienza delle varie persone. Si creano anche cordate aziendali, gang, bande interne, tribù, clan, e altre dinamiche di antropologia tribale dell’organizzazione. Lo stress deriva in questo caso dal dover operare entro modelli di valori e visioni che non si sentono propri. Es.: in una clinica, quando i diversi professionisti appartengono a scuole diverse e queste non trovano convergenze, collidono sul da farsi pratico sul paziente, e il medico o terapeuta può trovarsi a dover lavorare con metodi e prassi in cui non crede. Questo accade frequentemente anche nei sistemi educativi, scuola, università, aziende, e in ogni organizzazione.

Copyright, articolo di: Dott. Daniele Trevisani dal testo “Il Potenziale Umano” edito da Franco Angeli editore, Milano.

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Per approfondire, due video di supporto

Nel primo video, un breve commento su uno dei più grandi nemici dello stress: le competenze. Le competenze, professionali, relazionali, emotive, sono un enorme antidoto allo stress, e nel modello HPM si distinguono 2 diversi tipi di competenze, micro e macro competenze. Qui il video

https://www.youtube.com/watch?v=Xsa_iWMeR2A&t=18s

Un secondo grande antidoto allo stress è chiarire la propria “vision”, i propri ancoraggi nei valori, da cui far discendere azioni concrete, progetti reali che ci tengano impegnati nel “fare positivo”.

Qui il video con alcune tracce su questi argomenti, dal metodo HPM

https://www.youtube.com/watch?v=AWkTDqZfFK4

Le sensibilità in Coop

Le sensibilità in Coop

Sintesi lavori del gruppo Master Domino, Scuola Coop, composto da:

Achille Congedo (Responsabile Commerciale Extralimentare, SAIT), Antonio Audo (Responsabile Area Progettazione, Promogeco/Novacoop), Gabriella Caprotti (Responsabile AAGG e Sicurezza, Coop Italia CNNA), Tullio Waldner  (Responsabile Rete di Vendita Diretta e Associata, SAIT), Camillo Lonardi (Respnsabile Ricerche di Marketing e Analisi di Geomarketing, Coop Lombardia).

Sensibilità è…

  1. Immedesimarsi – vedere le cose con gli occhi degli altri
  2. Autenticità
  3. Coinvolgere
  4. Percepire ed interpretare i segnali deboli anche in modo plurisensoriale
  5. Superare le apparenze e i pregiudizi
  6. Attenzione e rispetto
  7. Ascolto
  8. Esercizio costante
  9. Correlazione con il contesto
  10. Curiosità ed interesse verso le persone

CHI DEVE AVERE SENSIBILITA’

Tutti, all’interno del proprio ruolo e del proprio contesto

QUANDO  SI  DEVE AVERE SENSIBILITA’

Sempre

DOVE ?

Ovunque

COME ?

  • Con onestà intellettuale
  • Con l’esempio
  • Con dimensione estesa

SENSIBILITA’ DI RUOLO

Coniugare e valorizzare la sensibilità dei singoli finalizzandola agli obiettivi aziendali

Essere punto di riferimento.

Le sensibilità in Coop, lavori del gruppo 1

Le sensibilità in Coop

Sintesi lavori del gruppo Master Domino, Scuola Coop, composto da:

Giuliana Giuggioli (Responsabile Canale Ipermercati, Unicoop Tirreno), Daniele Dreassi (Direttore di Ipermercato, Coop Nordest), Emanuele Rogora (Responsabile Sviluppo Vendite G.V. e NF, Coop Lombardia), Massimo Favilli  (Responsabile Politiche Sociali, Unicoop Tirreno).

COSA SONO LE SENSIBILITA’

1)      sapere ascoltare, predisponendosi  all’ascolto e   dare risposte con educazione e rispetto

2)      rispetto dell’ambiente interno ed esterno a partire dalla pulizia alla manutenzione fino alla individuazioni di soluzioni che lo migliorino

3)      come mi  presento e mi relaziono con gli altri

4)      chiedersi se sto facendo la cosa giusta , lo farei a casa mia ?

5)      apprezzare e valorizzare il lavoro altrui

6)      impegno nel trasmettere i valori

7)      spendersi  ( collaborare ) per il raggiungimento dell’obiettivo

8)      sforzarsi di capire gli stati d’animo degli altri

9)      trasmettere la cultura del piacere

10)    sviluppare coerenza

CHI DEVE AVERE SENSIBILITA’

  • 1        TUTTI
  • 2        TUTTI
  • 3        TUTTI
  • 4        TUTTI
  • 5        I CAPI
  • 6        TUTTI
  • 7        TUTTI
  • 8        TUTTI
  • 9        TUTTI
  • 10    I CAPI

Sono sensibilità che devono essere diffuse , in particolare  devono essere presenti nei capi in quanto esempio

QUANDO  SI  DEVE AVERE SENSIBILITA’

Quando mi devo relazionare con le persone (clienti, dipendenti ), con gli ambienti e con  i prodotti  sugli scaffali

DOVE ?

Se hai sensibilità ogni ambiente è quello giusto

COME ?

  • Con l’atteggiamento inteso come gestualità , tono di voce , cura della persona
  • Con la predisposizione all’ascolto
  • Con l’esempio

SENSIBILITA’ PERSONALE

La sensibilità personale attiene all’area delle relazioni , alla cura della persona e delle cose che le vengono assegnate  e si sviluppa in relazioni agli ambienti e alla coerenza dei capi

SENSIBILITA’ DI RUOLO

La sensibilità di ruolo  diviene indispensabile per costruire buone relazioni e  risultati e si esprime soprattutto con la  consapevolezza , la buona pratica e l’esempio . La sua presenza deve essere visibile e ben sviluppata

Psicologia e Potenziale Umano: uscire dal sequestro professionale, verso un approccio scientifico e multidisciplinare

Psicologia, Psicoterapia, Formazione: uscire dal “sequestro professionale” – il bisogno di dialogo interdisciplinare, la contaminazione positiva, la convergenza verso un approccio multidisciplinare

Esiste una componente formativa in ogni processo terapeutico, e una componente terapeutica in ogni processo formativo. Ciò che conta è che al centro della nostra attenzione vi sia una pulsione a generare crescita, evoluzione, progressione, da qualsiasi livello e condizione si parta.

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Una convinzione forte: chi si occupa di Psicologia, Psicoterapia, Formazione, Counseling, Sviluppo Organizzativo, e ogni altro tipo di relazione professionale d’aiuto, deve possedere un fondamento scientifico. La quantità di variabili e la loro complessità non permettono di lasciare spazio al semplice senso comune. Su questo (almeno per chi ha dedicato parte della propria vita alla Psicologia come area di studio), non esiste dubbio.

Un processo formativo vero non si limita al semplice addestramento, ma entra nel cuore della persona, nella sua identità, nel modo di essere, nel modo di pensare. Ma la buona volontà non basta. Il desiderio di aiutare (sia esso sul fronte terapeutico, nella consulenza, o nella formazione aziendale) richiede metodo, non improvvisazione. Richiede scienza, non solo desideri.

Il problema immediatamente successivo nasce dal fatto che ogni “scuola di riferimento” in campo psicologico, possiede una propria vocazione, autori di riferimento, pubblicazioni cardine, e  una “visione del mondo” (Weltanschauung), che si riverbera sul modo di condurre il processo formativo o l’approccio terapeutico, a volte con una tendenza al “sequestro professionale“.

Con questo termine intendo la (possibile, ma non automatica) tendenza totalizzante e “assorbente” – la tendenza all’appropriazione che un approccio psicologico tende ad avere verso il professionista. L’appartenenza ad una Scuola di riferimento offre tra l’altro sicurezza, conforto, possibilità di condivisione, metodi, ma – nei casi peggiori – ha un costo: la chiusura verso altre scuole e altri approcci, la limitazione della gamma di strumenti utilizzabili, la chiusura mentale e peggio ancora un autoriduzionismo professionale.

Al contrario, è sicuramente auspicabile che ogni professionista si preoccupi di ampliare la propria gamma di strumenti utilizzabili, la propria “cassetta degli attrezzi”, per potersi spingere oltre la propria scuola di provenienza, senza per questo rinnegare i propri studi o i propri Maestri.

Operando spesso in territori di frontiera tra psicologia e formazione, e collaborando quotidianamente con psicologi, formatori, manager e progettisti, ho notato quanto urgente sia il bisogno di allargare la prospettiva sul Potenziale Umano in ottica interdisciplinare. Ne è emersa una grande mole di ricerca (durata otre 20 anni) ora pubblicata in un volume specifico, “Il Potenziale Umano”, edito da Franco Angeli (è la prima pubblicazione di una serie di contributi in progress). Nel volume si individuano 6 possibili aree di sviluppo dalle quali partire, per poter poi realizzare programmi (terapeutici, o formativi) che possano combinare e far convergere due o più aree in un progetto complessivo di crescita, sia essa centrata sull’individuo o su un gruppo.

L’alchimia necessaria, da parte del professionista, consiste proprio nel costruire un piano di lavoro che non trascuri alcune componenti essenziali.

Le matrici di obiettivi individuate in ottica interdisciplinare sono (allo stato attuale delle ricerche) le seguenti:

1 – sviluppo bioenergetico: si prefigge di accrescere le energie del corpo, le forze fisiche, lo stato di salute, forze su cui poggiano tutti gli altri sistemi; vengono individuate sia azioni globali (es.: migliorare lo stato di forma fisico) che azioni localizzate su specifici micro-obiettivi, es.: aumentare la resistenza aerobica, migliorare la postura, rivedere l’alimentazione. Gli interventi si dividono in azioni (1) di riparazione (terapeutiche) o (2) di potenziamento; esse riguardano (a) economie dei distretti locali del corpo e (b) azioni centrate sull’economia corporea complessiva; (non dobbiamo mai dimentare che ogni processo mentale ha componenti biologiche, e – per chi si occupa di formazione – che ogni persona al lavoro attinge continuamente alle proprie energie biologiche, dal cui livello ne è fortemente condizionata);

2 – sviluppo psicoenergetico: a seconda del tipo di approccio (terapeutico o formativo), si occupa di individuare aree e metodi per la crescita delle energie psichiche, motivazione, volontà, spinta interiore ad agire e a progredire; rimozione di blocchi psicologici e stili di pensiero che impediscono di raggiungere il potenziale, individuazione delle auto-limitazioni, irrigidimenti cognitivi, credenze culturali autolimitanti o dannose per sé (e per il team, in campo di sviluppo organizzativo); richiede un forte lavoro di emersione della consapevolezza dei potenziali, riduzione dello stress negativo, incremento di autostima, lucidità decisionale, chiarezza delle proprie risorse interiori; il lavoro è sia sull’economia cognitiva generale (es.: ridurre l’ansia generalizzata, aumentare l’autoefficacia generale) che su economie di specifiche aree psicologiche in azione, es.: lavorare sull’ansia in un public speaking, o l’ansia pre-gara, o la visualizzazione mentale dell’evento;

3 – sviluppo delle micro-competenze: riguarda sia il fronte terapeutico che quello professionale. E’ è un lavoro specifico, inteso come innestato all’interno di una matrice di obiettivi legati al ruolo che la persona desidera interpretare nella vita o nella professione. In campo terapeutico, intende fornire alle persone micro-abilità quotidiane che ne permettono una progressiva variazione dello stile di vita e dello stile di pensiero (competenze cognitive, relazionali, comunicazionali). In campo professionale, richiede di individuare fattori che creano differenza tra un’esecuzione (1) scarsa, (2) normale o media, (3) un’esecuzione di alto livello (il nostro obiettivo finale). Gli esempi possono essere tanti. Es.: localizzare i dettagli che differenziano una vendita da principiante vs. una vendita di alto livello (dove sono esattamente le differenze?); capire le “distintività” (azioni, dettagli, micro-atteggiamenti, micro-comportamenti) che mette in campo un combattente professionista rispetto ad un dilettante, nella preparazione, e durante un incontro. O la differenza che c’è tra un rigore tirato bene e un rigore tirato male, o tra una riformulazione corretta e una sbagliata (per un terapeuta), o per un cuoco, il tempo ottimale di cottura e uno leggermente peggiore. La ricerca di dettagli delle performance può essere applicata in ogni campo. Possiamo localizzare le micro-competenze di un direttore, di un venditore, di un atleta, di un medico, di uno psicologo, di un negoziatore, di un educatore. Il lavoro sulle micro-competenze richiede sia una fase di riconoscimento (detection aumentata, stimolo della capacità di percezione e localizzazione) che una fase di formazione (lavorare sulle variabili prima isolate); produce inoltre un forte incremento della sensibilità ai dettagli, dell’attenzione, della capacità di trovare “cose concrete su cui lavorare”;

4 – sviluppo delle macro-competenze: le macro-competenze sono la connessione tra (1) il repertorio globale di abilità della persona e (2) il ruolo che quella persona vuole ricoprire. Le due sfere possono di fatto collimare perfettamente, o invece essere scollegate o ridotte (il che mette la persona in sicura difficoltà). Possono anche essere sovrabbondanti e anticipatorie dei futuri cambiamenti (creando agio e una condizione di maggiore elasticità e sicurezza). Prevedono l’esame del ruolo, delle aspirazioni, delle traiettorie, la rilevazione di gaps (lacune) e incoerenze professionali, analisi di bisogni di revisione o cambiamento significativo del proprio lavoro o della posizione professionale, dei ruoli giocati in campo; richiede valutazione e anticipazione dei mutamenti organizzativi cui dare risposta; sviluppo di una coerenza tra proprio profilo professionale e propri obiettivi di vita o obiettivi aziendali da raggiungere, tra le proprie aspirazioni e le opzioni reali dell’azienda e del team, ricerca di spazi nuovi di espressione;

5 – sviluppo della vision e del piano morale: localizzazione degli ancoraggi morali forti, dare spessore morale e senso alla vita e all’azione, costruzione e revisione di un piano di lungo periodo, costruire una linea di tendenza ideale, sognare e idealizzare una traiettoria di crescita positiva; coltivare saggezza nelle scelte, cercare un ancoraggio a valori guida, revisione della mappa di credenze morali e consolidamento di una filosofia di vita positiva. Comprende la ricerca di nuovi stimoli all’auto­realiz­za­zio­ne, connessione a valori umani positivi e forti, senso pieno del fare e dell’esistenza, ricerca di un senso profondo dei progetti, trovare motivi e direzioni per cui vale la pena impegnarsi; e persino nuove aree di obiettivi esistenziali o/o professionali che diano sapore e senso alla vita, idee e pensieri ispirativi sui quali la persona non aveva ancora riflettuto;

6 – sviluppo di mete, traguardi, goal e progettualità necessaria: definizione di obiettivi precisi da raggiungere, misurabili, tempificabili; progettualità su risultati concretamente raggiungibili; sviluppo della capacità di gestio­ne di tempi (time management) e progetti (project management), gestione efficace delle proprie risorse, capacità di concretizzazione, di realiz­zazione, abilità nel calare nella realtà un concetto o un obiettivo, trasformare una visione d’insieme in to-do-list (lista delle cose da fare); capacità di tradurre un ideale o un proprio valore in un piano di azione.

Un progetto può attingere a più piani, e spaziare dal corpo alla mente, dal ruolo al piano morale, sino ad arrivare alla crescita della progettualità. La distinzione tra piano terapeutico e formativo, tra “riparazione” e “costruzione”, se da un lato è stata utile (e lo rimane per molti casi), verrà probabilmente superata da una concezione psicologica di progressione continua del potenziale personale, da qualsiasi punto di partenza si intenda partire. Una forte contaminazione interdisciplinare tra tutte le aree che si occupano del potenziale delle persone, a questo punto, diventa davvero una nuova sfida per tutti.

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Estratto sintetico dal volume: Trevisani, Daniele (2009), “Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”, 240 p., editore Franco Angeli, Milano

Scheda completa del volume su IBS (Internet Bookshop Italia) al link:

http://www.ibs.it/code/9788846498625/trevisani-daniele/potenziale-umano-metodi-e.html?shop=4636

© dott. Daniele Trevisani, www.danieletrevisani.com –estratto dal cap. 2

Sondaggio sui valori della vita

Sondaggio anonimo, a scelta libera (è possibile barrare più caselle), per confrontarsi con alcune grandi scelte (chi lo compila potrà inoltre vedere i risultati complessivi, immediatamente, proprio al termine della compilazione)

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Lavorare sui risultati personali, dei team, delle organizzazioni: Il metodo HPM (Human Performance & Potential Modeling)

Le persone viaggiano per stupirsi

delle montagne, dei mari, dei fiumi, delle stelle

e passano a fianco a se stesse senza meravigliarsi

Sant’Agostino

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Articolo di: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Copyright

 

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, e quindi plasmare, costruire, supportare la crescita.

Dirige l’attenzione verso due diversi ambiti o sfere di applicazione:

1.      crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling,

2.      sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Le due aree sono strettamente collegate, e hanno al centro un tratto comune, la concezione dell’uomo come articolazione di energie (fisiche e mentali), competenze (skills, abilità), e direzionalità (obiettivi e valori).

Modello HPM

Il metodo HPM considera tutti i fattori evidenziati nel modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) come aspetti allenabili, aumentabili, e su cui si può agire.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  1.  il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  2. il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  3. le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente,  le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  4. le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  5. goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  6. visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

 

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Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Copyright.  
Pubblicato per concessione dell'autore da www.studiotrevisani.it. 
E' consentita la riproduzione solo con citazione dell'autore e del volume originario.